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Collina

Un’eccellente cucina di lago, con vista sulle colline bergamasche

Cuoco molto preparato, Mario Cornali è anche una persona intelligente e di buona cultura: una personalità poliedrica, che aggiunge all’amore per la cucina la passione per le arti: pittura, scultura e, soprattutto, scrittura, così, tra una chiacchiera e l’altra, scopriamo, tra l’altro che, dopo aver pubblicato un libro di aforismi, ha da poco dato alle stampe un libro sulla complessità dell’atto creativo.

E, d’altra parte, un atto creativo non da poco è stato quello di trasformare una bella e panoramica location per banchetti in un ristorante di tono. Oggi, grazie al suo impegno appassionato, il Collina non è solo un ristorante in cui si mangia molto bene, bello, elegante e arredato con grande gusto, ma anche uno spazio multiforme che ospita concerti ed eventi e, al cui interno, sono esposte opere di artisti locali.

Gli ambienti sono raffinati: le due sale sono entrambe dotate di ampie pareti a vetro dalle quali l’affaccio sui colli che circondano Bergamo è impareggiabile. La cucina, chiaramente, è pensata ed elaborata in una forma quasi concettuale, ma si esprime al meglio delle sue capacità col pesce di lago, di cui Cornali è oggi certamente uno dei massimi interpreti.

Una cucina ricca di fantasia, capace di rispettare ed esaltare il prodotto

Materia prima impeccabile, grazie a rapporti ormai consolidati con i migliori pescatori del Lago di Como – che è più vicino di quanto potrebbe sembrare – ed esecuzioni sempre molto felici tratteggiano il profilo di una cucina in continua evoluzione, moderna, leggera, ricca di contaminazioni e contrasti e dove il pesce di lago è declinato a 360°, con esiti a volte sorprendenti come nel caso del Lachburger, perfetta riproposizione di panino con hamburger – di lavarello, trota e luccio – in cui centrale si rivela il contrappunto dato dalle salse: un’eccellente salsa barbecue maison e una golosa crema di missoltini. Molto interessanti anche il crudo di salmerino, a cui gli agrumi regalano la giusta vivacità e toni acidi perfettamente calibrati, e il pescato del giorno proposto con menta, lime e carbone di olive.

…di lago e non

Ma una menzione la merita anche Montagna: succulento controfiletto di cervo splendidamente accompagnato da gelato al fieno, cristallo di grappa e crema di mirtilli, così come i dessert, tra cui segnaliamo Essentia, ovvero una mousse al cioccolato con sfoglia di cacao, spugna alla liquirizia, crema inglese alla mirra e cedro candito.

La cucina del Collina – a nostro giudizio alquanto sottovalutata – oggi regala molti stimoli interessanti e lo fa, tra l’altro, rifuggendo da qualsiasi forma di banalità. È, quindi, una tappa irrinunciabile per i gourmet della zona. Provare per credere!

La Galleria Fotografica:

 

Undici anni, due stelle. E una vita dedicata al lago e al territorio

Il Mergozzo, un lago immerso nel silenzio, un piccolo mare dalle rive selvagge, parte integrante e antica del più noto Maggiore. Qui la luce del sole tesse la sua trama sul lago e le arruffate nuvole si specchiano sull’acqua limpida e sulle vetrate del ristorante e della cucina  di Marco Sacco, lo chef del Piccolo Lago, due stelle Michelin.

Come catapultati su una macchina del tempo cominciamo la nostra avventura gastronomica, tra preparazioni storiche e piatti in rotta verso il nuovo. Scendiamo nelle fredde, ma accoglienti stanze della cantina, scrigno di tesori enoici conservati e vagliati con attenzione dal Sommelier Alessandro Mantovani, premuroso e insieme capace di una rara e gustosa ironia.

Quindi ci sediamo a tavola. Gli atipici amuse bouche giocano sul concetto del “sembra ma non è”: i Bignè con granella di lampone sono farciti con crema ai tre latti, i Cioccolatini sono ripieni di fegatini ruspanti, mentre il Pesce siluro, un alloctono infestante, dal nome caricaturale, si trasforma in un marshmallow con cocco e gelatina di Calamansi, sprigionando un carattere a tratti melmoso.

Gustosi inganni

Durante il pranzo vi basterà girare lo sguardo per vedere lo chef Sacco, il sous chef Marco Rispo, il pastry chef Andrea Valle e tutta la brigata all’opera, mentre insieme scrupolosi, lavorano dietro le trasparenti pareti che inframezzano la sala. Marco Sacco ora ha il piglio e la tempra del Maestro, le sue idee, un tempo, a dire il vero non realizzate con l’efficacia che la presentazione iniziale poteva far immaginare, hanno oggi non solo dei traduttori con una tecnica e una impronta di prim’ordine, ma sono anche, e sopratutto, una fonte ispirativa per nuovi traguardi e nuove apparizioni. Il connubio tra il sous chef e la squadra di giovani e motivati talenti, in cui si intersecano tecnica, idee e profonda conoscenza del lago e dei suoi prodotti, è la chiave vincente di un risultato che abbiamo per ora arrotondato per difetto, in attesa che le prossime visite esprimano tutta la continuità che il luogo e le persone lasciano presagire.

Ma veniamo al nostro pranzo, soltanto per un attimo il lago incastonato nelle terre dell’alto Piemonte sembra congiungersi all’Oceano Pacifico neozelandese con un assaggio del frutto di mare per intenditori, l’Abalone. Qui servito nella veste di una delicata tartare, una lavorazione che quasi lo priva di quella sua tipica callosità, accompagnata dalla sapida cremosità di una maionese di corallo, frullata con olio e acqua di mare.

Ci inganna poi una Lumaca, che nel suo aspetto e nella sua forma somiglia più ad un after eight, una lumaca che diventa una sorta di paté, glassato con burro di cacao aromatizzato con aglio e prezzemolo, a parte gocce di castelmagno, un piatto dal nerbo terragno e dal DNA piemontese. Interessante è la texture del Cavolfiore, cotto al forno e ricoperto di salsa al mou,  bruciato poi con un cannello, e spennellato con l’estratto di papacella, dolce peperone di origine campana.

Per conoscere a fondo la cucina dello chef, le tappe irrinunciabili del viaggio sono però i grandi classici del Piccolo Lago: il Lingotto del Mergozzo, trota affumicata con bacche di ginepro e legno di faggio, oppure l’Anguilla dalla complessa lavorazione, ma tra i grandi vi è sicuramente la Carbonara au Koque. Per un attimo dimenticatevi della versione tradizionale, qui il guanciale è sostituito dal prosciutto affumicato vigezzino, i tajarin all’uovo sono subentrati al posto dei bucatini e una salsa al gin è posta all’interno del guscio dell’uovo e versata sui tagliolini.

La cucina di Marco Sacco parla di lago, fiumi, valli, mari lontani. Parla di viaggi in Oriente, spiazza e a volte confonde; è l’esito, straordinariamente moderno, di quel suo amore irrefrenabile per il territorio, e per la moglie Lella senza la quale il Piccolo Lago non sarebbe mai stato lo stesso.

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Stefano Masanti è tornato.
In realtà non se n’è mai andato, sempre impegnato nel suo Cantinone a Madesimo, una tra le cucine di montagna più frizzanti, punta di diamante della Valtellina gastronomica, nonostante l’infelice localizzazione (geograficamente, tra l’altro, al di fuori dalla Valtellina) al culmine di 20km tutti curve e stradine che scoraggerebbero anche il più appassionato dei motociclisti.
Il vulcanico Chef, in tempi recenti, avrebbe voluto imprimere un diverso passo alla storica cucina del Cantinone, rendendola più agile e fruibile ma, visti anche i sopracitati problemi “logistici”, una consistente fetta della sua clientela è locale e poco incline a cambiamenti di qualsiasi tipo.
Quindi se Maometto non va alla montagna il Masanti che fa? Quasi a dire “…provate ad ignorarmi ora!” apre un secondo ristorante a Colico, in una strategica posizione proprio in cima al lago di Como, a un paio di chilometri dall’arteria che collega Milano con Lecco e la Valtellina.
E non lo fa in sordina, magari attraverso una collaborazione che non lo esponga troppo, ma attraverso un ristorante chiamato “Masanti’s restaurant”, all’interno del Seven Park Hotel, nuovo ed avveniristico polo bio-attivo affacciato sul lago.
Il risultato? Notevolissimo, fin da subito.
La struttura è realmente imponente ma sviluppata in orizzontale, quindi praticamente a impatto estetico-ambientale quasi zero, nonostante la presenza delle 36 camere dell’hotel, della SPA, di una piscina all’aperto, del lido sul lago, di una sala congressi… e ovviamente del ristorante.
Al comando dei fornelli troviamo, oltre allo stesso Masanti che deve però dividersi tra le due cucine, il giovane chef/uomo di fiducia Marco Mori: lo stile rispecchia totalmente la filosofia nata a Madesimo, ovvero quella dell’utilizzo di prodotti locali, possibilmente poveri, maneggiati il meno possibile. Tutto in favore dell’ingrediente e del gusto, in una maniera però dinamica e non legata ad alcun tipo di tradizione né tantomeno a mode, semplicemente in un puro “Masanti style”.
In questo caso i prodotti locali non sono quelli della montagna ma, sebbene le influenze alpine restino ben presenti, entra in gioco il lago: trota, bottatrice, persico, luccio perca, lavarello, salmerino, un patrimonio proveniente dal vicinissimo storico specchio d’acqua in funzione della pesca. Tutto nel piatto assurge a protagonista, coadiuvato da quanto di meglio i produttori locali e le stagioni riescano a fornire. Il risultato è una cucina originale e mai fine a se stessa, sostenuta da prodotti semplici che, colti al loro apice qualitativo, restituiscono performance di primario livello. L’unica pecca del nostro menù, che d’altra parte è lo scotto da pagare per una linea di cucina volutamente legata al lago, è una certa monotematicità sull’argomento “filetto di pesce”, visto che in 3 piatti su 7 ne è protagonista. Certo che, per un ristorante aperto da nemmeno un anno, il livello è già notevole.
Carta dei vini forse meno ampia di quella del Cantinone in termini di referenze ma altrettanto interessante, soprattutto per quanto concerne gli emergenti produttori della Valtellina che Stefano e Raffaella da sempre scoprono, aiutano e promuovono.
In sintesi non una succursale del Cantinone, ma un vero e proprio fratello che, anziché seguire le “orme di famiglia” dirette verso la montagna, ha deciso di virare in direzione del lago, con ottimi risultati.

Pane e grissini, live from Madesimo.
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Entrée a tema: crudi di lago, oltre alla famosa (nonché pazzesca) brisaola prodotta dallo stesso Masanti.
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Roastbeef affumicato, gelato di tonno, germogli di cavolo rosso, bruschetta.
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Crema di patate, trippa di trota, salsa di prezzemolo.
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Il carpaccio di piedino di maiale, insalatina acidula all’acetosella e zenzero, gnocchi di pane croccanti.
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Il toast di trota alla mozzarella di bufala, olive verdi e succo di pomodoro fresco.
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I tonnarelli fiori di zucca, bitto e pepe.
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Raviolo di polenta (impasto senza uova), ripieno di capretto, funghi porcini, salvia.
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Il luccio perca su fondo verde di zucchine grigliate e zucchine essiccate.
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Persico impanato al melonz (farina gialla tostata in padella con il burro), brunoise di verdure, salsa allo yogurt e menta.
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Predessert, pallina di gelato alla vaniglia del Madagascar.
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Il finto pan di spagna ai pinoli, mousse di cioccolato fondente e salsa al latte di cocco e zucchero di palma.
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Il semifreddo alla panna con la sua “macedonia”.
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Piccola (ma ingombrante) pasticceria.
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Una Sassella di assoluto valore: il Grisone di Mozzi.
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Il ristorante, visto dal tavolo.
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La cantina, curiosamente ottenuta in sala ma comunque rinfrescata, attraverso le bocche di climatizzazione della sala che vanno a far da barriera al calore mantenendo in temperatura le bottiglie.
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La sala interamente vetrata, affacciata sul verde e con il lago a far da sfondo.
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