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Il Marin

Un tuffo nel Porto Antico di Genova

L’atmosfera del Porto Antico di Genova è parte integrante dell’esperienza al ristorante Il Marin. La Biosfera e il Bigo di Renzo Piano, la Porta Siberia saranno la vista che allieterà il pasto. Poco più avanti vi è l’edificio Millo, proprio quello che all’ultimo piano ospita il ristorante all’interno di Eataly. La sala è incredibilmente luminosa, a vetri e con la cucina a vista, le ceramiche di Fabrizio Russo portano in tavola la tradizione Albisolese. La carta, disegnata da Francesco Musante, è suddivisa in più percorsi: “I classici“, “Liguria Contemporanea” e il “Percorso Maree“, dedicato al mare, alla sua varietà, alle consistenze e alle tecniche di lavorazione. Per tutti i percorsi vi è la possibilità della degustazione completa o un menu più breve, in ultima istanza si possono scegliere due portate tra quelle dei vari degustazione.

Lo Chef Marco Visciola, bogliaschino di nascita, traina la tradizione genovese nella cucina contemporanea utilizzando materie prime del territorio, senza sprechi, con tecniche a tratti dal sapore asiatico. Una identità definita e non banale con radici ben piantate. Il benvenuto dalla cucina ci accarezza dapprima con voluttuosità e sapidità: Pane sfogliato alle erbe aromatiche, che ne conferiscono quel tipico retrogusto amaricante tutto genovese, abbinato con burro montato all’acciuga, una delizia. Si prosegue con Ciliegia accompagnata da maionese di soia e carota e melone marinato all’asinello e gelatina di agrumi. Dalla gustosità iniziale un climax ci porta sino alla freschezza della gelatina di agrumi. Il secondo benvenuto prepara il palato alle portate a seguire, ci si ispira al Condijun ligure declinato con pomodorino confit, sarda affumicata, anguria e peperone cotto alla brace, il gelato all’olio extra vergine di oliva rinfresca la bocca e il kombutcha alla ciliegia dà una piacevole nota acidula.

Il Percorso Maree

Si apre con il Crudo centenario che rimanda nel nome all’uovo centenario cinese. Crudo di ricciola frollata 10 giorni, base salsa di albicocca fermentata e insalata di salicornia, completa infuso freddo preparato con le lische della ricciola frollata, albicocca e whiskey torbato, cotto 10 ore nell’ocoo, una pentola coreana che mescola la pentola a pressione a bassa temperatura e la cottura ad infrarossi, preservando quindi le proprietà organolettiche degli ingredienti. Il vapore all’interno dell’ocoo non fuoriesce, si lega con gli aromi del cibo e ne esalta e concentra profumi e sapori. L’Insalata di mare è meno incisiva, cuore della salanova, ripieno di battutto di cozze, vongole e cannolicchi, si completa con ostrica ed emulsione di ostriche, arselle, lime e cipollotto. Il piatto è molto, molto delicato, la salsa di salicornia copre appena i sapori fini all’interno.

Interessantissima “La riserva della grotta“, selezione e produzione di norcineria di mare, lardo di seppia stagionato due settimane, mortadella tonno e totani cotta, prosciutto di spada un mese di frollatura, bresaola di tonno alletterato due mesi di stagionatura, salame di bonitto quattro mesi di stagionatura e ‘nduja leggermente piccante di pesce spada, una settimana di frollatura. Al centro il sancrau, cavolo verza fermentato, condito con emulsione di pinoli e maggiorana.  In questo piatto la tipicità del sancrau genovese si affianca alla frollatura di mare, dopo ogni assaggio infatti il cavolo verza rinfresca e pulisce la bocca. Esperienza interessante quella di poter saggiare le diverse consistenze, la morbidezza ed il profumo della mortadella di tonno e totani ed il contrasto con i quattro mesi di stagionatura del salame di bonitto.

Da segnalare ancora il “100% gambero” che già nel nome racchiude la sua essenza, pelle di latte fatta con i carapaci dei gamberi, gambero viola di Santa Margherita crudo ed in tempura e una emulsione di gamberi e le Mezze maniche fondale e salvia: la pasta è mantecata in un fondo di pesce di fondale, scorfano mostella e sogliola, un pil pil degli stessi, carpaccio di mostella e tracina e polvere di salvia. Davvero un bel piatto con il leggero amaro del fondo e la consistenza dei pezzi di pesce carnosi che regalano una bella sensazione d’insieme. Un percorso a tratti molto delicato ed a tratti potente, dalle consistenze insolite e ben calibrate.

La chiusura del percorso è un marchio dello Chef e del suo impegno, sia in “Quel che resta si frigge” sia in “Save the sea“. Il primo un piatto di recupero, gola del nasello, lattume di ricciola, uova di palamita quindi il tema dello spreco zero. Il secondo, suddiviso in due parti, un messaggio per la salvezza del nostro mare. La prima parte una rappresentazione dell’inquinamento: petrolio, plastica e polistirolo, ottimo il “petrolio” gelato di cioccolato fondente mirtillo e fondo di totani. La seconda parte rappresenta il mare pulito, la medusa. 

Il servizio di sala è solerte e attento, gradita la possibilità di assaggiare grazie al Coravin il vino scelto prima di aprirlo. E, come all’arrivo, non si può far a meno di immergersi nel Porto Antico dopo questo percorso si sente la necessità di riemergere dall’acqua. Il mare negli occhi e nel piatto è l’esperienza che Il Marin regala ai suoi ospiti.

La Galleria Fotografica:

A Gabicce Monte un ristorante di pesce con la P maiuscola. E un panorama mozzafiato

Il Ristorante Posillipo, che è anche un bellissimo albergo e una pasticceria tra le migliori della Romagna, è, insomma, uno dei più chiari esempi della grande professionalità e ospitalità romagnolo-marchigiana. Qui sin dall’inizio -la famiglia Arduini è proprietaria da 3 generazioni- viene presentato e portato in atto tutto il meglio di questa terra. Un grandissimo prodotto, il pescato, forse tra i migliori nel raggio di molti chilometri. Un albergo, dicevamo, molto suggestivo e originale, con una vista mozzafiato su questo tratto di costa. Una pasticceria che ha tra le sue punte di diamante anche i lievitati. Qui nulla è lasciato al caso, qui tutto è fatto e costruito con professionalità estrema, calore romagnolo e marchigiano, intensa e vibrante energia.

E per dei grandi appassionati come noi del divino nettare il Posillipo ha anche una immensa cantina, ovviamente prevalentemente vocata a bollicine e bianchi ma non solo, tra le più originali, estese e ben prezzate della zona. Un tripudio, da cui abbiamo pescato uno tra gli Chablis a noi più cari, a un prezzo da encomio.

Sulla cresta del gusto, dalle crudità di mare ai dolci

Tornando alla cucina la materia prima utilizzata è di assoluto pregio. La qualità è estrema e indiscutibile. Le preparazioni seguono il solco della moderata creatività, perché un pescato del genere fai in fretta a mortificarlo, cercando di accontentare la clientela d’albergo, ma non solo, con preparazioni molto basilari. E dobbiamo dire che, a parte qualche eccesso di sapidità, il tutto scorre liscio e meravigliosamente bene. I crudi sono strepitosi, la pasta con i ricci forse un filo troppo cotta e con il sugo lievemente ossidato, la rana pescatrice stupenda, nel suo genere, e fresca come una rosa.

Peccato per i dolci, bellissimi e molto tecnici, che però lasciavano il passo a un eccesso, classicista, sul versante zuccherino che tende ad appiattire generalmente il gusto, pur essendo molto variegati. Il Posillipo è un posto di elezione per gli amanti di questo genere di locali, che non a caso riscontrano un grande successo sia di pubblico sia di critica. E noi siamo tra questi.

La galleria fotografica:

Un riferimento assoluto per la cucina di pesce nel nord Italia: Al Passo

Nell’angolino più nascosto e recondito di ogni gourmet, in uno di quei nascondigli dell’anima che mai e poi mai rivelerebbe nemmeno sotto tortura, si cela l’amore viscerale per il grande ingrediente nudo e puro, quello privo di qualsivoglia sovrastruttura.
Il gourmet amerà allo spasimo la cucina d’avanguardia dei grandi creativi contemporanei, sperimenterà tachicardie parossistiche per gli immensi piatti della tradizione… ma il godimento vero, quasi lussurioso, regalato dalle morbide e dolci carni di uno scampo crudo, dall’esplosione di sapore di un canestrello freschissimo o di un gambero rosso non trattato… beh, francamente, riempie ogni angolo di tristezza di un qualsivoglia stressato corpo umano.

Ebbene sì, lo ammettiamo anche noi, siamo colpevoli.
Ma sono così in antitesi le due visioni della cucina? Ovviamente no, come sempre il gaudente vero saprà godere dell’una e dell’altra faccia della luna: la qualità e il gusto non hanno bandiere. Da Al Passo a Campalto troveranno la pace dei sensi tutti gli amanti del pesce senza sovrastrutture: semplicemente uno dei migliori pescati del Nord Italia, trattato il meno possibile. Ed infatti, i picchi al Passo si toccano proprio sui crudi, dove il cuoco deve fare il minimo o, girando il concetto, il massimo per non rovinare la qualità di cotanto pesce.

Il patron, Massimo, vi scruterà con aria quasi indagatoria, quasi a valutare se siate degni delle sue meraviglie: affidatevi con fiducia, chiedete consiglio e non ve ne pentirete. Qui i convenevoli stanno a zero, tanta sostanza e rispetto assoluto dell’ingrediente.
Indirizzatevi verso le preparazioni (apparentemente) meno complesse: crudi, griglia e, magari, un bel fritto.
Godimento allo stato puro, semplice, primitivo, intenso.
La veranda completamente a vetri è un posto molto piacevole dove pranzare, in prenotazione preferitela all’interno, un po’ cupo.
Carta dei vini “verace” e poco amante della forma (come tutto il locale) ma con qualche bella chicca prezzata in modo correttissimo.
Un riferimento assoluto per la cucina di pesce: segnate ed andate di corsa.

Un grande sushi master di Tokyo, giovane ma già allo stesso livello dei big.

Se volete fare un tuffo vero nel Giappone più profondo, Ootanino sushi è quello che fa per voi. Una entrata anonima, difficile da trovare. Mai direste di essere arrivati davanti all’ingresso di un ristorante: solo una lampada con ideogrammi giapponesi, di fronte, può far intendere -ai più avvezzi alla cultura giapponese- di essere al cospetto di uno scrigno di grande bontà culinaria.

Varcata la soglia, una stanza, o forse meglio dire uno sgabuzzino, con 10 posti a sedere ed un maestro davanti a voi dall’aria vispa, giovane, dinamica… e con tanto, tantissimo talento.

Qui non c’è la carta, non c’è il menù. Ci si siede e ci si affida a ciò che il mercato e il talento di Ootanino hanno deciso che quel giorno andava fatto. Il menù omakase questo significa: totale improvvisazione, l’adesso più estremo.

Ecco quindi che, come è successo a noi, potrete essere investiti da un tripudio di pesci fritti vivi -nel senso di cucinati estratti direttamente dall’acquario ed immersi nel caldo olio bollente- o assistere alla preparazione di un calamaro appena uscito dall’acqua… e, come potete vedere, non è per niente una metafora.

Poi alternanze di caldo-freddo: lattume di ricciola alla brace, Abalone, nigiri e maki eccezionali, un imperioso bambù al vapore e pesto di shiso, sublimi ricci di Okkaido, gamberi ancora vivi, bonito e fegato di pescatrice, sashimi eccellente accompagnato da polvere di zenzero fresco o wasabi: tutto freschissimo, incredibilmente vivo.

Una grande, grandissima esperienza quella da Ootanino, difficilmente uguale da un giorno con l’altro, da un servizio con l’altro.

Avrete a disposizione un maestro che cucina per voi e per pochi altri, che vi condurrà nel più profondo ed intenso percorso gustativo che possiate mai immaginare, uno dei più interessanti da noi provati.

Ootanino non è tra i più famosi e pluricitati sushi master, ma secondo noi merita la visita più di molti altri.

Foto d’apertura: l’ingresso.

Se negassimo a Polignano l’indubbio privilegio di aver dato i natali a Domenico Modugno, Tuccino sarebbe senza dubbio la bandiera iconica del meraviglioso borgo pugliese. Difficile incontrare qualcuno, amico gourmet o semplice conoscente, che dopo aver saputo della nostra missione a Polignano non ci abbia chiesto: “Sei stato da Tuccino, vero?”. Lo conoscono tutti questo indirizzo, da decenni, quasi fosse un monumento tutelato dalla soprintendenza. Perché tanto successo, tanta fama indiscussa e trasversale?

Di posti buoni o ottimi, dove gustare materie prime di mare e preparazioni di qualità, Polignano è piena. Soprattutto nel centro storico, che rispetto all’ubicazione di Tuccino, più nascosta verso il nascente porto turistico, consente anche di assaporare con gli occhi lo splendore di questo luogo affascinante: prima di cena qui è difficile resistere a una passeggiata tra le strette vie del cuore di Polignano, per scoprire all’improvviso uno dei panorami più attraenti dell’intera costa pugliese, con lo sguardo a inseguire una lingua di mare cristallino che s’insinua nel ventre dello sperone roccioso. Ammirare il tramonto dalla terrazza in cui hanno collocato la statua del sommo Mimmo è un privilegio che neppure gli anziani del villaggio si negano ogni giorno. Poi alla sua sinistra la strada degrada lentamente verso le zone residenziali, gli anfratti marini, le spiagge, e … verso Tuccino.

Rispetto alla generale semplicità che domina i ristoranti locali, Tuccino ostenta subito un’originale eleganza. Parcheggio privato, linee armoniose dell’edificio, spazi ampi, ordinati e luminosi. Un colpo d’occhio ben diverso da quello che doveva essere il locale ai suoi esordi, una cinquantina d’anni fa, quando Vito Benito Centrone detto Tuccino aprì uno “sciale” sul mare dove vendeva solo cozze nere. L’evoluzione verso l’alto è un processo rapido e costante nel tempo, la chiave del successo di “Tuccino” l’inflessibile volontà di Benito di scovare il miglior prodotto che il mare avesse da offrire. E di portarlo semplicemente in tavola. La cucina non si pone in teoria davanti alla materia ittica, non osa fargli ombra, è al suo servizio, con i suoi pregi e i suoi difetti: alcune preparazioni sono più azzeccate, altre meno, come accade normalmente anche altrove. Qui da Tuccino, però, c’è un qualcosa in più. Il grande merito di Benito è di aver instillato nelle menti di suo figlio Pasquale e di suo nipote Vito lo stesso amore viscerale per questo lavoro che l’ha animato nel corso della sua intera esistenza. Un’eredità che è una garanzia per il presente e per il futuro. Se non fate di professione il pescatore, è probabile che qui da Tuccino assaggerete i crudi di mare più buoni della vostra vita, dai crostacei ai mitili, dalle coquillages ai pesci selvaggi. Letteralmente di un altro mondo. Una selezione hors catégorie che passa attraverso le centinaia di chilometri che ogni giorno il buon Vito (19 anni) si sobbarca per raggiungere i migliori mercati, anche i più lontani. Sempre con quel sorriso sincero sulle labbra, il medesimo che abbiamo letto negli occhi del padre Pasquale, al quale una sciagurata malattia ha deciso di negare libertà di movimento e di parola. Ma non certamente l’opportunità di essere felice e di sognare, come gli accade da sempre nel suo ristorante, accanto alla sua famiglia, ai suoi clienti e di fronte al suo mare.

La sala, vista mare.
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Il meraviglioso bancone del pesce. Qui si va in pellegrinaggio appena arrivati, qualche secondo di silenzio e si stabilisce cosa mangiare. Nel conto finale il pesce normalmente è quotato a peso.
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Dettaglio del bancone: crostacei e gamberi viola di Gallipoli, li mangeremo crudi …
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… ed ecco l’imperdibile trionfo di crudi: oltre a crostacei e violette, le straordinarie cozze nere tarantine e le pelose di Manfredonia, i tartufi di Barletta, i ricci di Savelletri, il polpo di Polignano “arricciato”, gli intrusi stranieri tra cui percebes e ostriche di variegata e meravigliosa tipologia. Un mondo paradisiaco difficile da mettere insieme in un colpo solo.
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Prima scelta dalla carta dei vini: Ruinart Blanc de Blancs. La lista è sontuosa e infarcita di “nobiltà” proposte a prezzi di rara intelligenza. Invita all’eccesso, lo faremo.
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I carpacci: tartare di tonno, saraghetto, triglia sfilettata e fragolino marinato con mosciame di tonno. Talmente alta la qualità di partenza dei pesci che ogni intrusione (olio, capperi, limone o mosciame che sia) è quasi un fastidio e appare superfluo. Su tutti la triglia, non a caso la più “nature”: di incomparabile bontà.
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Spaghetti, gamberi viola e bottarga. Primo piatto “cucinato”, tecnicamente ineccepibile, gustoso e saporito: tanto per reiterare un concetto già espresso il gambero viola supera in intensità la bottarga …
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Orecchiette al nero: un grande classico di Tuccino, pasta ricca, ben equilibrata e aromatica. Il mare con un bel doppiopetto di velluto.
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Felice intramezzo vegetale: Pino, cabarettista mancato, ci porta un assaggio di Carosello (piccolo melone verde), cetrioli e rapanelli. Oltre a ricordarci l’incredibile freschezza e leggerezza di queste gemme di terra pugliese, ecco l’occasione per lodare il personale di sala, di rara efficienza e cortesia.
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L’abuso promesso dalla carta dei vini: Dom Perignon vintage 2000. Ci sta tutto a questo punto.
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Un altro classico di Tuccino: ombrina alla catalana. Buono, ma anche qui slalom tra le verdure per arrivare al pesce …
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In questo piatto vige una regola: tutto ciò che può esser mangiato crudo, si può anche friggere. Nonostante un’untuosità che appare eccessiva, la leggerezza è incredibile e sorprendente, anche il giorno dopo. L’altra faccia dello specchio.
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La zuppa: normalmente la cena di una persona comune. Non per noi.
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Il cuore di Polignano.
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Il suo mare.
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Il suo panorama.
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Il suo sorriso.
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