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Marchesiani si nasce

Ecco una nuova rubrica dedicata alle influenze, ovvero a quegli chef la cui ispirazione e identità contemporanea è stata determinata da un singolo individuo il quale, con la forza e la sistematicità del suo pensiero, ha fatto “scuola”, indicando a molti la traiettoria. Date queste premesse, non potevamo dunque esimerci dal dedicare il primo articolo di questo ciclo a Gualtiero Marchesi, ma con un’avvertenza: “Marchesiani si nasce”, appunto, nel senso che non bastano un singolo piatto o un pugno di citazioni per esser considerati tali (per questo abbiamo creato un’apposita appendice, quella relativa agli “omaggi”, in calce). Serve, piuttosto, un registro stilistico da lui forgiato e a lui ispirato; un impianto culinario che sia qualcosa di più che un tributo, per quanto indefesso. Serve, insomma, aver assimilato così profondamente la sua lezione da rifrangerla fedelmente attraverso il prisma della propria identità. E scusate se è poco.

Paolo Lopriore, il Canto, Siena

Forse più di tutti Paolo Lopriore ha incarnato il mito del cuoco contemporaneo. Metamorfico, controverso, cerebrale, viscerale, nonché marchesiano di primissima generazione, di cui era considerato l’allievo prediletto. Come tale, Lopriore ha iniziato presto a indagare la lezione del Maestro fino a metterla radicalmente in discussione pur mantenendone il profondo estetismo. Come faceva negli splendidi spazi della Certosa di Maggiano presso Il Canto di Siena dove, fino al 2013, andava in scena una cucina che, attraverso la lezione del Maestro, isolava, indagava, sviscerava e talvolta esasperava leitmotiv che erano solo suoi, come l’amaro, le consistenze – sempre di confine – e le violente acidità. Una cucina che sopravvive nei ricordi di tutti coloro che l’hanno esperita, e che ha fatto di lui il cuoco più intellettuale di sempre.

Giugno 2013

Le lasagne verdi al piatto, omaggio dichiarato a Marchesi nonché congedo dal cuoco di Appiano Gentile dalla cucina fine dininig.

Carlo Cracco

Curriculum inappuntabile, da cui occhieggia tanta scuola classica francese (Alain Ducasse e Alain Senderens) e fino a Gualtiero Marchesi, con cui è stato sia da giovanissimo, a Milano, che successivamente all’Albereta, in Franciacorta. E benché la consacrazione arrivi con le tre stelle conquistate al timone dell’Enoteca Pinchiorri, a Firenze, in Carlo Cracco alberga tutta la milanesità – quella fatta di internazionalismo, minimalismo e identificazione con l’arte contemporanea – che permea tutta la scuola marchesiana. Una cucina fatta di ingredienti feticcio, come l’uovo, di tecnica, la stessa che non di rado si presta a stravolgere i piatti della tradizione – sua la  pasta all’uovo senza farina – e, ultimo ma non ultimo, di una radicalità nella definizione del gusto espressa attraverso ingredienti difficili quali le animelle, il caffè, i capperi e i ricci di mare, solo per citarne alcuni.

Andrea Berton 

Ha trovato la maturità cercandola semplicemente in se stesso Andrea Berton che, oggi, appare quanto mai maturo e pacificato, anche nell’imprinting. Da lui, come da Cracco, è passata un’intera generazioni di cuochi che oggi sono considerati sì marchesiani, ma di seconda generazione. Suo, invece, uno stile fatto di padronanza tecnica, una ricerca espressiva completamente vocata alla pulizia nonché una precisione millimetrica nell’assemblaggio degli ingredienti e conseguenti combinazioni di sapore. In  poche parole, nel perfezionismo innato dello chef sommato a qualche indovinata contaminazione. Suo il feticcio di un intero menù dedicato alle suggestioni del brodo, che s’è dimostrato fecondo sin dal 2017.

Silvio Salmoiraghi, febbraio 2020

Da Gualtiero Marchesi Silvio Salmoiraghi ha attinto l’arte, e la disciplina, della riattualizzazione, e conseguente valorizzazione dei grandi classici della cucina italiana. I primi vagiti di quel movimento, chiamato Nuova Cucina Italiana han preso forma proprio con lui. Uno stile che ha influenzato i canoni estetici molto più di quanto si creda, e che si ritrova in tutte le evoluzioni dei suoi menu degustazione (in ordine cronologico nel 2013, nel 2015, nel 2016, nel 2018 e nel 2020) cadenzati secondo un ritmo affine a quello del kaiseki, ovvero secondo quell’orientalismo filo-nipponico che tanto fu caro al suo Maestro. Quel che ne sortisce, in anni di rifiniture e perfezionamenti, è l’espressione di un talento puro, autorevole e definito, nonché il palato assoluto di un direttore d’orchestra, che non fa che perfezionare la stessa pièce: un compositore di spartiti con un pentagramma palatale che fa arrivare e percepire ogni singola nota in modo chiaro e distinto. Qui, oltre all’omaggio dello spaghetto freddo si ritrova anche il topos del carpione.

Riccardo Camanini

Ciò che non si dice mai abbastanza di questo grandissimo talento nostrano è quanta tecnica ci sia nella sua mano. Non una tecnica di laboratorio, ma una tecnica artigiana “fatta di pentole, forni e griglie e, soprattutto, di una conoscenza profondissima della materia in tutte le sue sfaccettature, coerentemente con la lezione marchesiana”. Al bando sifoni o sottovuoto. La modernità viene qui concepita in altre forme – simili a quelle di Lopriore – che non a caso si magnificano nella ricorrenza dell’amaro, come nella potente componente estetica di ciascun piatto. Un’estetica raffinata e mai sofisticata, figlia di una cultura vera e profonda, la stessa che è servita a Camanini ad affinarsi fino a lambire, con naturalezza e senza forzature, il confine stesso con l’arte. Di Marchesi ritroviamo poi anche i continui rimandi alla grande tradizione italiana, introiettati così profondamente da rifrangerli in chiave personalissima e sempre di grande attualità. Infine, un dettaglio: che tutto abbia un senso nel suo impianto era un sospetto che avevamo già da tempo: lo troviamo puntualmente confermato nelle porcellane – qui nella linea intitolata, non a caso, Oriente Italiano – di Richard Ginori, che già fu cara e ricorrente anche nelle sale calcate da Marchesi.

Enrico Crippa

Il “marchesismo” – passateci il neologismo – di questo grandissimo chef consiste in una combinazione precisa: da un lato il fraseggio arioso degli elementi vegetali e floreali (questi ultimi reali o anche solo disegnati), dall’altra il rigore stilistico: una tensione verso l’essenzialità che da un lato lo porta a giustapporre anche decine di ingredienti nello stesso piatto, dall’altra si manifesta invece come un raffinatissimo lavoro di lima su una materia bruta: un approccio quasi scultoreo alla materia, di michelangiolesca memoria. Tra l’altro questa posizione, che è estetica prima di tutto, parla del gusto marcatamente orientale che Crippa si porta dentro sin dalla sua fondamentale esperienza in Giappone e che, ancora una volta, già fu di Gualtiero Marchesi.

Davide Oldani 

Marchesiano di formazione e di indole, Davide Oldani del Maestro incarna la propensione a lasciare lindo l’ingrediente: a tenersi aperte tutte le strade di manipolazione della materia, memore del fatto che “l’esempio è la più alta forma di insegnamento” diceva Marchesi, e “solo quando sai fare un esempio – sostiene Oldani – sei uno chef”. E lui è uno chef contemporaneo ancora perfettamente sospeso tra il “classique” e il “pas classique”: una tensione tra due poli tanto feconda da aver determinato, in lui, la capacità di ordire una cucina nuova, pop nel vero senso del termine: e pertanto funzionale, come il design che, non a caso, si ritrova in ogni dettaglio del suo ristorante di Cornaredo.

Ilario Vinciguerra

Sua è la paternità di quella che è stata unanimemente definita come una delle più interessanti cucine del sud Italia, benché oggi eserciti in quel di Gallarate, in provincia di Varese. Una cucina “col sole dentro“, per dirla con un eufemismo: leggera, fondata su alcuni prodotti simbolo della mediterraneità, a cominciare dall’olio extravergine d’oliva, che lo chef utilizza sempre anche per mantecare i risotti, fino al pomodoro, passando per le grandi paste artigianali dello Stivale.  Non si tratta solo di un esercizio di stile, come pure potrebbe sembrare: perché in Ilario Vinciguerra alberga pensiero, tecnica ed estetica: quella di soluzioni cromatiche mai scontate che gli permettono di ordire piatti che sono sì molto belli e, dunque, anche molto buoni, secondo la regola aurea di marchesiana memoria.

Pietro Leemann, coming soon

La sua cucina è fatta di scelte rigorose, quasi monastiche nell’approccio alla materie prima, cui viene rivolta un’attenzione maniacale, imposta dall’etica. Recentemente riconosciuta, peraltro, perché insignita della stella verde Michelin, e non poteva essere diversamente essendo lo chef da molti anni uno dei riferimenti, in Italia e non solo, dei valori di ecologia e di sostenibilità in cucina. Oltre all’etica, tuttavia, c’è l’estetica, perché Pietro Leemann non smette di concepite piatti che sono pure architetture ludiche, caleidoscopi di cromie, consistenze e gusti perfettamente puliti e definiti ancorché precisamente interrelati. Ebbene, ci piace pensare che larga parte di questa prolifica linfa green che sembra abitare senza cedimenti la creatività dello chef di Locarno naturalizzato a Milano, gli provenga proprio dagli insegnamenti mutuati dal suo  Maestro.

Omaggi

Gli spaghetti freddi alle vongole e prezzemolo di Giancarlo Perbellini

Uno dei piatti più riusciti dell’intero menu. Un colpo ben assestato, quello degli spaghetti freddi alle vongole e prezzemolo, in cui l’omaggio al maestro Marchesi diventa per il suo fautore il pretesto per esprimere personalità e tecnica, nonché, anche in questo caso, profondità di gusto.

Leonardo Marongiu

Proviene dalla Scuola Superiore Alma di Colorno, dove ricopre ruoli importanti per quasi 6 anni. Decide quindi di abbandonare il ruolo accademico per riprendere quello fattivo della cucina, e lo fa ambientando la sua idea di cucina regionale italiana in terra sarda. Influenze fusion e riferimenti marchesiani si ritrovano soprattutto nella scelta di servire freddi gli spaghetti: uno dei temi ricorrenti di Gualtiero Marchesi. 

Enrico Bartolini, settembre 2020

Con la sua fidata squadra lo chef più stellato d’Italia ha ripreso da dove aveva lasciato. Tra estetica, gusto e una materia prima rigorosamente nazionale, con l’intento di valorizzare sempre di più i meravigliosi prodotti italiani. Il tutto all’insegna della perfezione. A cominciare dall’introduzione al nuovo menu degustazione, che si tributa al “dio” della cucina italiana: ancora una volta, Gualtiero Marchesi.

Enrico Bartolini, maggio 2016

Accadeva cinque anni orsono, e si trattava di sorta di sfida bonaria al sommo Marchesi secondo il quale, all’epoca, anche nelle grandi tavole d’Italia i risotti avrebbero avuto tutti solo sapore di formaggio e un’eccessiva acidità. Ed è proprio partendo da questo concetto che Bartolini trova l’espediente: alla base del piatto c’è un arcobaleno di sapori sul quale viene, solo in un secondo momento, adagiato un “semplicissimo” risotto alla parmigiana, perfettamente bilanciato nel trittico parmigiano-burro-limone. L’esito, però, è sorprendente: un equilibrio di sapori e richiami all’India, all’Asia, alla Provenza e all’Italia, ça va sans dire.

Il casoncello crudo ma cotto di Alberto Gipponi 

Rimanda nella forma alla pasta ripiena tipica del bresciano, per racchiudere un ripieno di molluschi, pesce e zenzero di raccordo all’iconico raviolo aperto. In un boccone tutta la grande cucina di Gualtiero Marchesi, pulita e lineare, in alternanza alla memoria gustativa infantile della pasta cruda, appena fatta e rubata dalla spianatoia. Il riferimento, stavolta, è rivolto a un altro grande della cucina contemporanea, Massimo Bottura.

Il risotto argento e gó di Luca Tartaglia

Nell’epoca bistronomica per eccellenza, Zanze XVI è un’insegna dove la cucina della Serenissima ritorna a nuovo splendore con Luca Tartaglia. Sul desco dell’avventore si susseguono gli attori, tra cui questo Risotto foglia d’argento e gó che impreziosisce l’ostico pesce di laguna con la lunare foglia d’argento, dichiaratissimo omaggio all’aureo riso, oro e zafferano di marchesiana memoria.

Il peso della storia

Non possiamo negare di provare sempre una certa emozione stando seduti a tavoli come questo: quella nostalgia che si mescola al piacere del ricordo, con la mente che ritorna ai quei primi anni di scorribande gastronomiche tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio dei Duemila. Qui si è fatto un pezzo di storia della cucina italiana e tutto, di questa sala, lo ricorda. La storia può, però, essere anche un fardello da portare, una grossa coperta calda che, invece che scaldare, soffoca: in questo caso, l’intraprendenza delle giovane menti.

E questo è quello che, secondo noi, è successo nei primi anni di riapertura del Perbellini di Isola Rizza, in mano oggi a Paola Secchi e al giovane chef Francesco Baldissarutti: ti sedevi per mangiare la cucina di Giancarlo Perbellini (oggi nel centro di Verona nel suo Casa Perbellini) ma, al confronto, l’opera di Baldissarutti ne usciva obnubilata, penalizzata. Andava trovata la formula magica per scrivere in maniera convincente una nuova storia senza buttare via quanto di buono era stato costruito, in prima istanza la tradizione di una pasticceria che, da decenni, continua a deliziare gli appassionati. Ebbene, la notizia per noi è che Perbellini a Isola Rizza è ancora un locale in evoluzione.

Una nuova pagina da scrivere

In questa nostra ultima visita abbiamo visto qualcosa che nelle precedenti era mancata: la personalità di un nuovo chef. Alle soglie degli “anta” Francesco Baldissarutti sta, infatti, mostrando il suo valore. Non tutti i piatti ci hanno convinto a pieno, ma certamente abbiamo colto l’espressione delle idee di Francesco e non più l’esecuzione delle idee di un altro: passo fondamentale per un ristorante come questo, ben rappresentato dal Kebab di sedano rapa cotto allo spiedo, spennellato di burro e poi tagliato appunto come un kebab con la sua crosticina deliziosa: piatto di testa e di pancia. Così come la Mozzarella in carrozza, che sconta solo un filo di sapidità eccessiva ma convince per gusto e consistenze o Come un sushi di gamberi e seppie, piatto di grande gusto e complessità per arrivare, infine, a una favolosa trippa, davvero un piatto da grandissimo ristorante.

Altri piatti, dicevamo, ci sono piaciuti meno come i Bigoli, dalla consistenza dura, con tendenza a spezzarsi e squilibrati al gusto, o il Risotto alla salvia, perfetto di cottura ma non sufficientemente concentrato nei sapori dichiarati. Ma la personalità non è mai mancata, si è sempre intravista una firma e questo, a volte, può essere più importante del risultato finale. Perché pensiamo che questa cucina fresca, giovane, tecnicamente di altissimo livello (l’uso dello spiedo è magistrale oltre che un segno distintivo importante) saprà dare nuova linfa a queste mura.

Senza dimenticare il fatto che il tutto è condito da un servizio di grande scuola e da una cantina meravigliosa, con una profondità di annate su bottiglie importanti davvero unica, a prezzi incredibilmente contenuti e tali da rendere una cena da Perbellini una delle migliori, in termini di rapporto felicità/prezzo.

La galleria fotografica:

JW Marriott, il settore lusso di Marriott International, ha scelto Venezia per aprire il suo primo Resort italiano. Non è un brand molto conosciuto al pubblico italiano: facile associarlo agli hotel business 4 stelle della costellazione Marriott.
Ma quello del JW è tutto un altro mondo: alberghi e resort di altissimo profilo, in grado di competere con i grandi marchi dell’hotellerie di lusso internazionale come Four Seasons o Park Hyatt.
La scelta della proprietà è ricaduta su un’isola a 20 minuti di barca da Piazza San Marco, Sacca Sessola, meglio conosciuta come Isola delle Rose.
Isola artificiale, costruita nel 1870 con il materiale degli scavi per il porto commerciale di Santa Marta, nei primi anni del 900 divenne sede di un sanatorio e nel 1936 (fino al 1980) dell’ospedale pneumologico Achille De Giovanni: pare che quest’isola, per la sua particolare collocazione tra laguna e mare, goda di un clima e un’aria particolarmente favorevole, fatto che permette la crescita di piante altrove difficili da trovare in laguna (ad esempio ulivi).
L’opera di recupero, affidata allo studio di Architettura di Matteo Thun, è stata maestosa, dato che l’isola versava in uno stato di completo abbandono.
Il recupero è stato molto rispettoso dell’impianto originario: il parco di 12 ettari è un piccolo gioiello nella laguna veneziana, tra ulivi, palme, tigli, pini e ippocastani. Caratteristica unica in laguna è la totale mancanza di mura di cinta intorno all’isola: c’è quindi la possibilità di vedere la laguna o Venezia da ogni punto della proprietà.
Le strutture ricettive sono diverse, sparse per la tenuta: grazie a questa caratteristica, il resort non ci è sembrato mai affollato, anche se ad occupazione quasi completa.
In quello che era il corpo centrale dell’ospedale è stato realizzato l’hotel: un palazzo figlio del razionalismo anni ’30 che accoglie 4 tipologie di camere, dalla deluxe alla premium suite.

La hall.
hall, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Hall, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
L’albergo ospita anche una galleria d’arte.
Galleria D'arte, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
La Junior Suite è molto spaziosa, con terrazzo vista parco/laguna e bagno con vasca e doccia.
Junior Suite, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
suite, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
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JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
bagno, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
suite, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
vasca da bagno, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
bagno, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Macchina del caffè Illy e salatini Eataly.
JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
salatini eataly, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
La terrazza vista parco.
terrazza, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Vista, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Al 4° piano dell’hotel è presente la terrazza più bella del resort, con una piscina (in verità molto piccola) con vista a 360° sulla laguna, un ristorante e un bar.
quarto piano, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Terrazza, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
La cucina del ristorante Sagra.
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Vista.
Vista, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
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vista, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
vista, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Molto interessante la tecnica di ristrutturazione usata per “La residenza”, 11 camere, alcune con piscina privata vista Venezia: “box in the box”, costruendo cioè i nuovi volumi all’interno delle antiche mura (che da sole non avrebbero potuto reggere il peso della nuova struttura). A nostro avviso, una delle camere più belle che aci sia capitato di vedere.
residenze, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
residenze, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
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Piscina privata vista Venezia.
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piscina, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
piscina, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Completano l’offerta “La maisonette”, “L’uliveto” e una grande villa privata con piscina “Le Rose”.
Una camera della struttura “La Maisonette”: su due livelli, la parete della camera al primo piano è completamente vetrata per consentire la vista sulla laguna e Venezia.
maisonette, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
maisonette, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
maisonette, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
maisonette, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
maisonette, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
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La piscina privata.
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Oltre a quella sul tetto dell’hotel, è presente anche una seconda piscina nel parco (anche questa costruita di dimensioni contenute per vincoli ambientali) e una terza all’interno della GOCO Spa.
Il parco è davvero tutto da scoprire.
JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
l'oliveto, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
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JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
C’è anche la Chiesa.
chiesa, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
chiesa, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
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Splendidi lampadari.
lampadari, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Una struttura davvero di alto livello, ma molto informale nell’approccio.
Tra i ristoranti figura anche la “Dispensa”, in cui vengono organizzati corsi di cucina e vengono venduti alcuni prodotti, rigorosamente made in Italy.
dispensa, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
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Il ristorante Dopolavoro, guidato da Giancarlo Perbellini.
Dopolavoro Perbellini JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
Nel ristorante al piano terra dell’Hotel vengono serviti colazione e pranzo.
Molto buona la colazione (sempre compresa nella tariffa della camera), anche se è migliorabile la distribuzione dei prodotti che risulta un po’ confusionaria.
JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
sala, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
sala, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
sala, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
colazione, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
colazione, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia
colazione, JW Marriott Venezia, Isola delle Rose, Venezia

Ci sono alcuni dettagli da sistemare (qualche vetro o scala non perfettamente pulita), ma, essendo una struttura aperta da soli due mesi, sono peccati veniali.
Le camere base si collocano in una fascia di prezzo molto competitiva tra i 5 stelle veneziani (si parte da 370 euro) e il fascino dell’isola è incontestabile.
Il vantaggio è quello di poter godere della tranquillità e della pace dell’isola privata rimanendo a soli 15 minuti da piazza San Marco (la navetta è gratis ed attiva per tutta la giornata).
Punti di forza: il verde, gli ampi spazi, la SPA e la ristorazione (con servizio in camera 24h/24h).
Punti di debolezza: le piscine di piccole dimensioni.
Indiscutibilmente un altro grande indirizzo nel panorama alberghiero veneziano.

Può capitare che, nonostante la separazione sia presa in considerazione prima, ed effettuata in comune accordo poi, una volta avvenuta lasci dietro di sé qualche strascico. Tutto studiato a tavolino, tutto pensato nei minimi dettagli, per la fortuna e la realizzazione dell’una e dell’altra parte. Eppure alla fine qualche errore di valutazione, qualche svista, qualche imprecisione viene a galla.
Da qualche mese in quel di Isola Rizza, uno dei più influenti cuochi del panorama nazionale ha deciso di lasciare il suo quartier generale, spostandosi in una delle più belle piazze del centro di Verona, lasciando nelle mani di Paola Secchi il tanto affascinante quanto gravoso compito di portare avanti i fasti di quello che è il ristorante Perbellini.

Appena fuori dall’uscita della superstrada, nella solita location, il ristorante Perbellini continua quindi ad accogliere i suoi ospiti come da venticinque anni si è incaricato di fare.

Il locale, lasciato completamente intatto, trasporta immediatamente i clienti in un’atmosfera lussuosa, sfavillante e un po’ retrò. Paola, dall’alto della sua eleganza e professionalità, continua a recitare il ruolo di padrona di casa, riuscendovi al solito con ottimi risultati. La moquette attutisce i passi e rende l’ambiente ovattato, accogliendo ed esaltando uno dei servizi di sala migliori della penisola.

Sfogliando l’importantissima e profonda carta dei vini si ha la netta sensazione di essere parte di un’esperienza già vissuta, in cui, nonostante tutto, il colpo sembra essere stato attutito perfettamente, senza lasciare spazio a polemiche e inutili recriminazioni.

Certo, guardando con un occhio critico, qualche piccolo cambiamento si può registrare. Una leggerezza di insieme, data da un lieve snellimento dell’operato, lascia senza dubbio piacevolmente sorpresi. Si percepisce un atto di modernizzazione ragionata, fatta a piccoli passi, senza stravolgere la filosofia del locale. Tutto meno “ingessato”, qualche etichetta biodinamica comincia a fare capolino nella carta dei vini, un prezziario decisamente ridimensionato…
Il menù lunch proposto per soli ventidue euro a persona è la testimonianza che il nuovo chef, Francesco Baldissarutti, abbia voglia di innovare, in un tentativo di rendere più accessibile uno dei locali più conservatori e puristi del panorama nazionale. E non si può non sottilineare come questo locale stia proponendo una offerta dal rapporto qualità/prezzo eccezionalmente vantaggioso.

Abbiamo visitato il locale due volte nell’ultimo periodo, scegliendo una volta il menù degustazione e una volta alla carta. Come capitava spesso anche con Giancarlo in cucina, le due proposte hanno una marcia diversa: il nostro consiglio rimane quello di scegliere dalla carta, non facendosi scappare una pasta ripiena o un risotto e soprattutto una preparazione dallo spiedo. Nel nostro caso, l’astice blu allo spiedo è stata la vetta del pasto: semplicemente stupendo, un piatto da grandissimo ristorante.
Quindi, si sta molto bene, i prezzi sono stati notevolmente ridemensionati, Fabrizio Franzoi si dimostra un grande sommelier… che cosa risulta leggermente stonato?

Dopo anni passati sotto l’occhio vigile di Giancarlo Perbellini, del quale Baldissarutti era secondo per ruolo, lo chef pare soffrire sensibilmente il distacco dal maestro. La cucina proposta sembra essere un continuo omaggio a colui che ha reso possibile la sua ascesa. La volontà di smussare piuttosto che acuire gli spigoli nel piatto, gli impiattamenti in perfetto stile classico, danno vita ad un percorso degustazione in cui il gusto è sempre centrato ma nel quale manca la personalità di chi mette la firma.
Piatti a volte stupendi, a volte meno convincenti, ma in cui non si può non notare l’influenza di Giancarlo Perbellini. Ecco perchè per ora la valutazione è prudenziale, in attesa di vedere veramente la cucina di questo interessantissimo e dotato chef.

Un male? Commercialmente forse no, soprattutto se il ristorante riuscirà, grazie al ridimensionamento dei prezzi, ad attirare una nuova clientela.
Ma noi ci auguriamo, viste la qualità tecniche messe in mostra da Baldissarutti, che in breve tempo lo chef possa proporre una cucina più personale, più sua, distaccandosi dall’ombra del maestro e portando in tavola il suo stile e le sue idee.

La sala.
sala, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Il pane fatto in casa.
Pane, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Crema di burro salato di Normandia.
Burro Salato, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Il benvenuto dello chef. Taccole in insalata, vellutata di ortiche, paprika croccante e gelatina di aceto di champagne. Inizio gradevole anche se nonostante i molti ingredienti il piatto risulti un po’ monocorde. Avremmo sperato in un’incisività maggiore data dalla paprika e dall’aceto di champagne.
Benvenuto, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Baccalà non Baccalà. Spuma di latte, scalogno, polvere di acciughe disidratate, emulsione di capperi e polenta croccante. Esercizio di stile un po’ fine a se stesso. Ne risulta un piatto goloso, equilibrato e con un bel gioco di consistenze dato dalla polenta, dallo scalogno e dalla crema di latte.
Baccalà, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Scampi grigliati, asparagi bianchi, bacon e pistacchi. Piatto per concezione, assemblaggio e impiattamento di stampo iper classico. Gusto come al solito centrato, materia prima ittica strepitosa.
Scampi grigliati, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Risotto alla crema di peperoni allo spiedo, vaniglia barbon e lime. Piatto della giornata. Passaggio che dimostra il suo temperamento partendo dall’olfatto. La vaniglia in bocca viene smorzata dall’acidità del lime e lascia spazio all’intensità dei peperoni con il loro retrogusto fumé. Il riso cotto il minimo indispensabile in prefetto stile veneto estremizza leggermente il tutto. Ottimo.
Risotto di crema di peperoni, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Spaghetto di basilico alla chitarra, rafano, acciughe del cantabrico, coulis di pomodoro e pane grattato. Piatto un po’ confuso in cui gli aromi e i sapori si perdono gli uni sotto gli altri. Spaghetto di ottima fattura, fresco per il basilico e tenace al punto giusto. Peccato.
Spaghetto di Basilico, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Petto rosa di piccione, salsa yogurt, tarassaco e crumble alle fave di tonka. Cottura del piccione perfetta, fondo da urlo. Un altro piatto molto classico ben eseguito.
Petto rosa, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Colazione a Palermo. Granita alla mandorla, semifreddo al caffè, aria di cioccolato di Modica affumicato e canditi. Causa gran caldo il dolce è arrivato al tavolo un po’ sciolto. Nulla di grave ma si può di certo migliorare.
colazione a palermo, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
La piccola pasticceria. Eccezionale. Piccoli stralci della pasticceria targata Perbellini che ci ricordavamo.
piccola pasticceria, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Nello specifico: Cremoso all’albicocca, thè verde e pomodoro fresco.
cremoso all'albicocca, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Macaron polenta, carote e frutto della passione.
Macaron, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Foresta nera.
Foresta Nera, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona

Ecco invece i piatti della seconda visita, scelti alla carta.

Bloody Mary.
Bloody Mary, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona

Insalata di melanzane alla parmigiana.
Insalata di Melanzane alla parmigiana, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Scampi grigliati, pomodori verdi, cipolla e salsa al bacon.
Scampi Grigliati, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Tortelli di mascarpone glassati allo zafferano e gamberi rossi di Sicilia. Un piatto eccezionale, tecnica e gusto ai massimi livelli.
Tortelli di Mascarpone, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Spaghetti quadrati all’aglio orsino e granchio reale. Piatto molto, troppo rustico.
Spaghetti quadrati, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Astice blu allo spiedo con caponatina di verdure. Grande preparazione di stampo classico, difficile da trovare tra le tavole italiche.
Astice Blu, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Astice Blu, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona
Colazione a Palermo.
colazione a palermo, Perbellini, Chef Francesco Baldissarutti, Isola Rizza, Verona

Il Perbellini è un ristorante di gran classe, uno degli ultimi rimasti in Italia, influenzata dalle Madonie alla Cozie dalle tendenze bistronomiche senza fronzoli e dal minimal radical chic.
Immergersi per qualche ora in un ambiente lussuoso e confortevole, seppur saltuariamente, ci fa ancora sentire bene, sospesi tra onirico e reale.
Curato nei minimi particolari l’arredamento, improntato alla grandeur francese, in stile Luigi XV, servizio coordinato dalla Signora Paola pressoché perfetto e cliente coccolato a tutto tondo, dal suo arrivo al congedo. Sommelier e cantina di pari passo.
Poi c’è la cucina, la ragione primaria del nostro viaggio ad Isola Rizza.
A Giancarlo Perbellini va riconosciuto il grande merito di essere stato il capofila, insieme al troppo spesso dimenticato Elia Rizzo, dell’alta cucina veneta.
Da venticinque anni nelle sue cucine vedono la luce creazioni che hanno fatto la storia della ristorazione italiana: il sontuoso “colori e sapori del mare” a cui oggi è dedicato un intero menu degustazione, “skampandoooooo”, viaggio didattico intorno allo scampo, il “wafer di branzino” ed in ultimo la riscoperta dello spiedo.
Non dimenticando la millefoglie strachin, senza tema di smentita la migliore in Italia.
In queste sale si è scritta la storia della ristorazione nazionale e di questo il bravo Giancarlo deve andare fiero.
Negli ultimi tempi, però, abbiamo notato una lieve stanchezza, poca incisività ed una deriva dolce, da sempre la cifra stilistica di questa cucina, ancor più accentuata.
Ci è apparsa una proposta meno in linea con i tempi, sebbene mantenga fermi i suoi capisaldi.
Lo stampo classico, di chiara ispirazione francese, è sempre lo stesso, le salse sono splendide, le cotture anche, ciò che è mancato è il collegamento tra “vecchio” e “nuovo”, non sempre allo stesso livello.
Gli gnocchi alla romana ad esempio, dolci ed allappanti, privi di consistenza, quasi monocorde, non facilitano l’ accesso palatale alle carni.
Dalla sopa coada di grancevola ci saremmo aspettati maggiore incisività, ma scivola via senza graffiare.
O l’anatra in cui, per il gioco di texture, avremmo preferito qualcosa di diverso (ed in quantità minore) dalla mollica di pane croccante.
Per altro verso, le vette ci sono state, altroché.
Scampo, piselli e agrumi è un antipasto di impatto estetico meraviglioso oltre che di finissima classe, reso vibrante dai lievi toni acidi.
Il foie gras allo spiedo, con sale Maldon, bruscandoli e asparagi selvatici è degno delle grandi tavole, giocato com’è sull’equilibrio sottile dell’amaro, invero una rarità tra questi fornelli.
Finale dolce pirotecnico con decine di piccole creazioni di pasticceria sopraffina, ma il carrello ci manca, eccome se ci manca…
Da Perbellini torneremo spesso, come sempre, ed il piacere sarà grande, nonostante le incertezze riscontrate.

Uova, asparagi e shiso.
uova asparagi e shiso, Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Acciuga del Mar Cantabrico caramellata, menta. La materia prima è paradigmatica, con buona pace della “mia” Cetara.
Acciugha del mar cantabrico,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Il wafer al sesamo, con branzino e liquirizia. Il mito non necessita commenti.
Wafer al sesamo,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Scampo, agrumi e piselli. Un quadro, bello e buono.
scampo agrumi e piselli,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
“Come la sopa coada” di granceola. Crema di pomodoro calda, spuma di spinaci, grancevola e crostino.
granceola,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
“Sushi di maccheroni” e gamberi rossi al pesto di alga nori. Un’insalata di pasta fredda orientaleggiante.
sushi di maccheroni,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
“Gnocchi alla romana”. Spuma. Allappante.
gnocchi alla romana,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Petto rosa d’anatra su gratin al prezzemolo, polvere di lamponi e olive disidratati. Non abbiamo amato il pane, ridondante.
petto rosa d'anatra,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Foie gras allo spiedo con bruscandoli, asparagi selvatici e sale maldon. Ce lo sogniamo di notte.
Foie Gras,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
I formaggi.
formaggi,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
La “piccola” pasticceria. Trionfo glicemico.
dessert,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Gelato alla vaniglia.
gelato alla vaniglia,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Ancora piccola pasticceria. Giocare diverte, anche da grandi.
piccola pasticceria,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Esotico: mango, passion fruti, yogurth, cocco. Acido e rinfrescante.
Esotico, mango,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
Nocciole, cioccolato salato, gelatina di cognac.
nocciole, cioccolato,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
LA Millefoglie Stachin. Orgoglio della casa.
millefoglie,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona
I vini che ci hanno fatto compagnia.
vini,  Perbellini, chef Giancarlo Perbellini, Isola Rizza, Verona