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Petit Royal

La forma al servizio della sostanza

Lo diciamo da tempo, questa tremenda e difficile situazione ha risvegliato animi e pensieri in tutti i cuochi dello Stivale, da nord a sud, fornendo stimoli dalla riflessione che il lockdown ci ha imposto. Stimoli che hanno portato ad una fotografia della attuale situazione di una cucina italiana in grandissima forma. Si mangia meglio di prima pressoché ovunque. E anche qui, a Courmayeur, meta vacanziera à la page per molti milanesi, e non solo, al Petit Royal abbiamo trovato un Paolo Griffa in splendida forma.

Continua la sua costante e puntigliosa crescita verso la ricerca del bello ma, soprattutto, del buono. Un buono che ha sempre più centralità gustativa, attenzione al dettaglio, precisione millimetrica nelle cotture, negli abbinamenti, negli accessori. Una novità in sala, da quest’anno, ha impreziosito ancor di più il nostro percorso culinario. L’arrivo di Alessandro Mantovani, forte dell’esperienza di molti anni al Piccolo Lago di Marco Sacco, ha impresso ulteriore qualità e classe a una sala anagraficamente molto giovane ma già molto affiatata e valida.

Ma è quello che abbiamo trovato nel piatto, ciò che maggiormente ci interessa, ad averci colpito. Un piccolo velo di appunto, a dire il vero impercettibile, che potevamo muovere a Griffa era appunto che la forma delle sue creazioni finiva qualche volta per sovrastare la sostanza. Quest’anno, invece, la concentrazione, il gusto, l’originalità degli abbinamenti e delle preparazioni ci è parsa evidente, e lapalissiana coi risi e bisi, dedicato al pittore Marc Chagall. Una vera e propria opera d’arte contemporanea che è il compendio, a nostro avviso, della stilistica di Griffa. Un piatto molto bello e originale nei colori e nelle cesellature, ma altrettanto buono, con sapori e consistenze inusuali per un risotto. Volutamente “lento”, quasi ma non del tutto una minestra, con un filo impercettibile che lega la mantecatura. Un nuovo paradigma per il risotto, che pareva quasi impossibile pensare. E un rincorrersi di sapori in cui il brodo di prosciutto, il miso di riso e piselli, il kimchi, le farfalle di fontina (autoctona), le foglie di silene giocano un ruolo decisivo, fornendo un contributo fondamentale al piatto che è sì barocco ma non caotico, ricco ma al contempo preciso e profondo al gusto. Un vero e proprio miracolo al palato.

Ma potremmo fare tantissimi altri esempi: il ceviche,  il consommé di faraona con la splendida, e anche molto buona, tajine di verdure e, per finire, l’apparentemente semplice filetto di cervo, che restituiscono il ritratto di una cucina elaborata ma non complicata, ricca ma al contempo leggera e precisa: in poche parole, una grande cucina d’autore.

Non perdetevelo!

La galleria fotografica:

Una solida cucina gourmet, a Courmayeur…

Paolo Griffa, a 28 anni, possiede già un curriculum di tutto rispetto. Alcuni passaggi in cucine importanti, italiane e estere, oltre a un periodo significativo al fianco di Marco Sacco del Piccolo Lago e di Serge Vieira, che lo proietta nel firmamento del concorso dei concorsi: il Bocuse d’or. Una scuola importante, un percorso significativo, che ha segnato indelebilmente la stilistica e la cucina di questo incredibile giovane talento della cucina italiana.

Grande tecnica, dicevamo, che a vederla applicata nelle sue preparazioni e nei suoi piatti potrebbe far pensare a un eccesso di manierismo: cesellature perfette, quasi maniacali, forma molto curata, angoli smussati. Bene, dopo aver provato questa cucina niente di tutto ciò è risultato predominante. Prendiamo ad esempio la Faraona al fieno, fiori di tarassaco, mais e pop corn d’amaranto abbinato a Girasole di royal di mais grigliato, petali di patate e zafferano, fiori di calendula e semi di girasole. Piatto paradigmatico che ben descrive a nostro avviso la cucina di Griffa: cottura della faraona in casseruola, di vecchia scuola francese, fissando con l’osso il gusto e senza sbagliare di un millimetro cottura e umidità. Petto sugoso, carnoso, per niente sapido e dosato nell’intensità gustativa. Ma il vero protagonista è il girasole, di una complessità costruttiva e, parimenti, di una bellezza visiva di grande livello. Ma anche di una grande profondità gustativa, molto intensa. Il vero protagonista del piatto è decisamente lui, senza dubbio alcuno. Una votazione non ancora piena e tonda, ma che verrà certamente raggiunta a breve.

Esempi di questo tenore li potremmo fare a iosa, osservando la cottura e la farcia della carota, così come quel fantastico piatto di lumache, anche qui mix di alta scuola francese addomesticata da estro e modernità. Un tripudio, un continuo godimento che lascia lo stomaco e la digestione lievissima, sintomo di cotture precise, di grande materia prima impiegata, di preparazioni fresche, lucide e pressoché immediate. Un cenno all’omage al grande Paul Bocuse, il boulè di consommé, un piatto tanto bello quanto buono, e un finale dolce davvero leggero e divertente.

Ecco a voi il fantastico picnic di montagna!

Un grande plauso alla giovane e dinamica squadra di sala, con Vadim Vasilevshi nel ruolo di Maître e Giorgio Cortucci in quello di Sommelier.

Abbandonate pertanto gli scetticismi, se ne avete ancora, e se passate da queste parti fermatevi al Petit Royal, un luogo e un cuoco che, sicuramente, non vi lasceranno indifferenti.

La galleria fotografica:

Un vero e proprio monumento della cucina italiana: questo è Aimo Moroni. Senza dimenticare la sua compagna di una vita, sua moglie Nadia. Un monumento dicevamo, preso ad esempio da tutta la nuova generazione italiana di cuochi d’avanguardia.
Chi non è passato da queste cucine ha comunque tratto spunto ed ispirazione da questo maestoso luogo che ha costruito la sua fortuna e la sua fama sulla qualità straordinaria della materia prima. Saperla cercare, scovarla, per poi elaborarla il minimo sufficiente per elevarla al sublime. Senza mai rovinarla.
E’ questo un credo, una vera e propria fede, che Aimo e Nadia Moroni perseguono da una vita e che hanno saputo trasferire ai due eredi, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, che tengono alto il vessillo di un grande ristorante italiano e che hanno anzi saputo far evolvere il concetto di cucina di Aimo e Nadia verso una moderata, saggia ma non scontata modernità. Ed attualizzazione.

Ripensando a Paul Bocuse, che peraltro inconsciamente ci ricorda proprio Aimo, ci viene da pensare che questo fantastico luogo, se solo fosse posizionato appena oltre confine, avrebbe le tre stelle a vita, senza dubbio alcuno. Venite qui, se non l’avete mai fatto, e provate ad immergervi in tutti i grandi classici di questa cucina, in primis la zuppa etrusca, che sono tremendamente e indelebilmente attuali, moderni, vivi e brillanti.

Questo è il pregio della grande cucina di Aimo: l’attualità perenne, la grande avanguardia di un tempo che riesce a divenire classico, senza sfiorire.
Accanto a queste grandi preparazioni trovate poi piatti, creazioni del duo che ha ormai preso in mano le redini della cucina, come i ravioli di ossobuco o il finto raviolo di seppia, i quali alternano la rielaborazione costante della filosofia del maestro con una spiccata vena di innovazione. Il tutto sempre con un chiaro, costante e nitido richiamo al prodotto, alla qualità, all’essenzialità dell’ingrediente.
Ad affiancare poi, in sala, il sempre migliore Nicola dell’Agnolo è arrivato quell’Alberto Piras di cui radio casseruola parla, a ragion veduta, come di uno dei migliori talenti sommelier che si possano trovare sul suolo italico. Una sala e un servizio impeccabile accompagneranno la vostra avventura con eleganza e professionalità.

Nessun difetto quindi ? Beh… a dire il vero il proibitivo ricarico della carta dei vini non invoglia ad accompagnare degnamente questa fantastica cucina. Il costante e ripetuto – più volte durante le nostre esperienze – conteggio millimetrico di aggiunte, di contorni e di orpelli avrebbe poi forse bisogno, per rendere veramente unica ed insuperabile quest’esperienza, di una maggiore dose di buon senso al momento di tirare le somme. Che non sono sempre e comunque fredda e lineare aritmetica ma dovrebbero anzi essere, il linea con la carica emotiva del locale e del patron, romanticamente ed armonicamente ammorbidite su note più lievi e meno spigolose.

Il prodotto e i suoi commensali: finto raviolo di seppia ripieno dei suoi tentacoli al nero, gelato di piselli, crema di formaggio affumicato, maionese di pistacchi, purea di limoni. Un concentrato della filosofia di Aimo. Stupendo.
finto raviolo di seppia, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Il prodotto e i suoi commensali #2: fungo porcino in panure di pinoli, zucchina trombetta, mozzarella di bufala, polvere di cacao, salsa yogurt e frutti rossi. Apparentemente confuso, invero terribilmente buono.
fungo porcino in panure, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
La fantastica, intramontabile, sempreverde zuppa etrusca di Aimo e Nadia. Un piatto di molti lustri or sono che è avanguardia pura ancora oggi.
zuppa etrusca, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, MilanoRavioli ripieni di ossobuco in gremolata, salsa zafferano, parmigiano e fondo di vitello. Creano dipendenza fisica.
ravioli ripieni di ossobuco, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Anatra affumicata (forse troppo!) allo zucchero di canna, ciliegie, patate, sedano, asparagi e bergamotto.
anatra affumicata. Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Tiramisud: biscotto al caffè, crema di ricotta e vaniglia, capperi.
tiramisud, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
Black lemon : liquirizia, lime. limone
black lemon, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano
piccola pasticceria, Il Luogo di Aimo e Nadia, Chef Negrini, Pisani, Milano

Chef Paul Bocuse

Lungo il percorso che, dalle sale dell’Auberge du Pont de Collonges, porta verso la salle de bains, s’incontra, sulla destra, una stanza che ospita i prodotti del merchandising targato Paul Bocuse. Accanto a bottiglie, canovacci e prodotti culinari, è difficile non far caso, sugli scaffali, a una non minuta serie di statuette, busti e icone, talvolta di gusto non esattamente cristallino come il dipinto qui sotto, esposto in compagnia di alcuni storici menu preparati per eventi di una certa rilevanza nazionale.

Chef Paul Bocuse

Il ghigno diabolico nei confronti del, chiamiamolo così, diverso understatement transalpino, a quel punto sarà già scattato, inevitabile, se non durante l’attraversamento del Pont Paul Bocuse, alla vista di uno dei numerosi cartelli (quelli stradali, che di solito segnalano le città) indicanti la distanza della celebrità locale da vari punti dei Quai della Saône.
Poi però si fa una piccola raccolta di informazioni. Si scopre, per esempio, che l’impero Bocuse dà lavoro a circa 700 persone. Non tutte in Francia, ovviamente, dato che una parte minore delle attività si svolge in Giappone e negli States.
Comincia però ad insinuarsi il dubbio che tutte le celebrazioni, talvolta dangerosamente confinanti col culto della personalità, in fondo non siano così lontane dall’avere una giustificazione plausibile.
E allora i busti, gli allori, la collezione di medaglie e onori degna di un Generale dell’Armata Rossa, persino quell’ Ultima Cena che grida vendetta, e non certo nei confronti di Giuda, prendono tutto un altro colore.
La Francia ha d’altronde ben chiaro, e non dall’altroieri, il ruolo tanto culturale quanto commerciale che la gastronomia può rivestire per il Paese, e non è certo ironizzando sulla dedica a Giscard d’Estaing di una zuppa di tartufi che si cancellerà il fatto che Oltralpe, nel 1975, mentre il resto del mondo restava in attesa di svegliare la propria kundalini gastronomica, un cuoco veniva insignito della Légion d’Honneur.

Chef Paul Bocuse

Sono ormai quattro volte venti e otto le primavere sulle spalle di Paul Bocuse, e lo chef ha recentemente dovuto allontanarsi dal ristorante che è casa sua dal lontano 1926 a causa di qualche acciacco di troppo, ma non per questo il veterano dei cucinieri francesi ha smesso di estendere i confini del proprio impero.
E’ di recente apertura infatti, accanto ad una delle brasserie targate PB che punteggiano Lyon, un fast food che porta in una dimensione a misura di tutte le tasche prodotti di grande qualità, come le carni che si ritrovano nei pregevoli Hamb..pardon, César. Non bisogna del resto dimenticare che la dimensione ludica e popolare non è mai stata assente dalla cucina di Bocuse; egli è stato, sì, fra i pionieri della nouvelle cuisine, adottando uno stile che ha fatto proprie la cuisine du marché e la tendenza all’alleggerimento delle pietanze del suo maestro e mentore Fernand Point (anche se ci pare che, in senso più stretto, degli allievi di Point, Bocuse sia quello rimasto più a contatto con la cucina classica), ma ha anche vissuto una parte consistente della propria formazione culinaria presso Eugénie Brazier, colei che aveva portato ai massimi livelli ancor più che la cucina lionese, la cucina dei lionesi.
E se è vero che i piatti che hanno proiettato il nome di Bocuse nel mito, prima ancora di lasciare questa valle di golosità, sono gli stessi da almeno tre decenni, è altrettanto innegabile che la loro dimensione non sia terrena, ma già quella eterna della leggenda. E mettere in discussione questo monumento vivente, cristallizzato nella Storia della cucina così come i tre inossidabili macaron appuntati a Collonges dal lontano 1965, suonerebbe assai più grottesco che rivoluzionario, come recensire la partitura della Sacre du Primtemps oggigiorno invece che dedicarsi alle creazioni dei compositori contemporanei.

Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse

I tavoli sono tutti occupati. I camerieri, dai nerovestiti maître e chef de rang, quasi costantemente impegnati fra porzionature e carrelli di formaggi e dolci, ai commis in livrea bianca, sciàmano fra le sale crepitanti di stupore e piccole gioie non quotidiane. C’è un fruscio sottile che accompagna la sensazione di assistere, nello stesso istante, alla routine di una sala attiva quattordici servizi la settimana e al manifestarsi di un’inesauribile varietà di sfumature umane: dalla ragazza che festeggia il compleanno con i genitori e piange al momento in cui, accompagnato dalle note di un Organo di Barberia e dall’applauso generale, giunge un petit gateau di compleanno, alla coppia di vecchi clienti per l’ennesimo anniversario nel solito locale, al gruppo di turisti d’oltreoceano con un assortimento di camicie decisamente poco trois étoiles.
Ad una sala in cui perfino un’insalata diventa un pretesto per dare un giro di ruote al guéridon qualche inezia talvolta scappa, ma non è possibile non provare sincera ammirazione per una brigata totalmente dedita ad una missione: far vivere ai molti convitati un’esperienza memorabile, anche nella sua fallibilità. Perché quello di Paul Bocuse non è solo un ristorante: è un parco giochi gastronomico dove la gioia viene assai prima dell’immota perfezione, una giostra in cui la girandola finale di dolci diventa inno alla vita, oltre che una sfida alla propria capacità produttiva di insulina.

Nel quadro d’insieme qualche dettaglio, certo, farà storcere il naso, dall’ineludibile iconografia del mitologico chef disseminata lungo le pareti alla presenza di un unico impiegato di colore, quello addetto al parcheggio e agli ingressi del sopracitato organetto, circostanza somatica che non noteremmo se non fosse per la bizzarra livrea che il poveretto deve indossare e per la sensazione di déjà-vu avuta in un tristellato italiano che, per molti aspetti, ricorda da vicino il lunapark gastronomico di Collonges.

Ci sono poi i piatti, e qui la storia prende la maiuscola e, talvolta, anche il volo: ad esempio con una salsa, che accompagna dei succulenti filetti di triglia in cui le scaglie sono state ricostruite con fettine di patata, che da sola vale il viaggio per intensità e misura di acidità e grassezza. Con un fegato grasso di qualità superba accompagnato da una più che pertinente salsa al frutto della passione, con dolci classicissimi mai sotto la soglia del molto buono. E’ certamente vero che il più recente di questi piatti, pur fatti oggetto di un minimo restyling che ha fatto entrare qualche schiuma all’Auberge du Pont, ha visto più primavere di una buona parte degli chef che attualmente li cucina, ma è per questo che ogni prospettiva critica qui decàde. Perché piatti che oggi ci sembrano persino troppo opulenti ed indulgenti verso le materie grasse sono gli stessi che meno di mezzo secolo fa hanno contribuito, pur in maniera assai inferiore a quelli di altri allievi di Point come Michel Guérard, all’alleggerimento delle preparazioni, ad una diversa sensibilità per le cotture, per le stagioni, per l’utilizzo della tecnologia in cucina e per un atteggiamento rispettoso per il passato ma non affondato dal peso della tradizione. E un pranzo o una cena a Collonges è un corso accelerato di storia della ristorazione che vale cinquanta libri letti, un’esperienza che non dovrebbe mancare ad alcun appassionato gourmet.

Piccola entrata stagionale: vellutata vegetale al tartufo nero.
entrata, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Casseruola di astice all’Armoricana. Ad una temperatura da pomodorino fantozziano.
Casseruola d'astice, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Fegato grasso in salsa al frutto della passione. Porzione alla carta: tre scaloppe. Follia!!!
fegato grasso in salsa, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Il filetto alla Rossini in salsa Périgueux. Un piatto che va abbondantemente oltre la nostra abitudine a sezionare i sapori.
filetto alla rossini, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Splendidi i filetti di triglia in scaglie di patate. Come già detto, salsa da applausi a scena aperta.
filetti di triglia, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Gli accompagnamenti alla portata principale ordinata alla carta. A tal proposito: avendo provato entrambe le esperienze consigliamo caldamente di scegliere questo tipo di comanda rispetto ad uno dei tre menu disponibili; conterrete i danni al portafogli e nel contempo apprezzerete meglio piatti che non sono fatti per l’assaggio di più preparazioni ma danno il meglio di sé in porzione generosa.
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Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Ferve l’attività in sala: anche per un’insalata (e nel frattempo, purtroppo, non siamo riusciti a fotografare il carrello dei formaggi griffati Mère Richard)
Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Predessert: ganache al cioccolato (splendida) con amarena.
predessert, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
La scelta dal carrello dei dolci: tarte au citron, sorbetto ai lamponi…
scelta del carrello dei dolci, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
…una crème brulée da antologia…
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…babà generosamente innaffiato…
babà, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
…e un Paris-Brest “solo” buono.
Paris Brest, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
Piccola pasticceria. Davvero un di più a questo livello glicemico.
piccola pasticceria, Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
La brandizzazione dilaga.
Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia
L’orgue de Barbarie.
Auberge du Pont de Collonges, Chef Paul Bocuse, Francia