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Osteria Francescana

Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena

Tu e lui, il piatto. Affascinante, adulatorio, provocante.
Continui a scrutarlo curiosamente, in un misto tra la voglia di affrontarlo e quella di godere al massimo di quel momento.
La prendi larga, lo attacchi con l’olfatto, in una sorta di delicato e rispettoso preliminare.
Prima lieve emozione: quanto raccontato contestualmente al servizio ti si ricostruisce olograficamente di fronte, la gerarchia degli ingredienti è chiara, rispettosa dell’ordine di apparizione nella spiegazione.
Lo affronti successivamente con la posata, timoroso, conscio di un gesto irreparabile. Dopo aver esaminato con discrezione le singole componenti, con perizia cerchi di ricomporre parte del piatto in un boccone, assicurandoti scrupolosamente di non dimenticare nulla.
Porti il tutto in bocca. L’attenzione è tale da non vedere né sentire altro.

Uno shock, un pugno nello stomaco, uno schiaffone in pieno volto.
Ma non c’è dolore.

Ti viene da ridere di gusto, ti trattieni in modo da non passare per matto.
Quello che prima era olografia, prende forma davanti a te dieci, cento volte più grande. Puoi vedere distintamente quanto raccontato, singolarmente, poi nell’amalgama. Poi ancora singolarmente, poi di nuovo nell’insieme.
La definizione dei singoli componenti è sconcertante, ancor di più lo è l’armonia tra loro. Alzi gli occhi appagato e ti accorgi che come tu non badavi a nessuno, dagli altri tavoli nessuno bada a te.
E’ un momento estremamente intimo, tra te ed i tuoi sensi.

In una qualsiasi tavola, secondo dinamiche soggettive ma pressappoco simili, quando questo accade, nella sua completezza, almeno una volta, ci si può ritenere fortunati.
In Francescana, ciò avviene in non meno di dieci occasioni consecutive.

Dopo ogni pranzo -o cena- al 22 di via Stella, si ha la sensazione netta di aver raggiunto l’apice, che l’asticella posta lì, così in alto, sia impossibile da innalzare ulteriormente. E prontamente questa sensazione sarà smentita dalla visita successiva, e così in ogni occasione.
La stessa percezione di altezza è chiara all’interno del percorso, nei singoli piatti: si parte a rotta di collo e l’acceleratore viene chiuso soltanto dopo l’ultima portata. Una gara di dragster che, anziché durare dieci secondi, passa le tre ore. Non un crescendo, ma una linea orizzontale collocata abbondantemente in zona rossa.
E soltanto quel paio di piatti un filo meno che sublimi, nonché alcune blande -ma soltanto estetiche- reiterazioni stilistiche (il camouflage mimetico ripetuto in tre piatti, o l’uso del medesimo germoglio in tre piatti differenti) ti ricordano di essere sulla terra.

Quello di Bottura, per quanto riconoscibilissimo, è un non-stile, tracciato attraverso il volteggio armonico all’interno di tutti i campi del gusto: dal Pancake, piatto rotondo, morbido, di deriva dolce, che gioca sulla “rottura del confine tra il dolce ed il salato” tanto cara allo chef, fino al Raviolo di zucca, perfino disturbante nel contrasto tra il ripieno dolce e l’acidità ficcante del brodo, passando per piatti che fanno leva sulla memoria, come La parte croccante della lasagna. L’unica costante è la certezza di trovarsi di fronte sempre dei veri e propri piatti capolavoro che vanno a comporre un menù monumentale, nonché realmente sensazionale.
In Francescana pare abbiano trovato la formula magica per il piatto emozionante e vogliano riproporla dodici volte, sotto dodici forme differenti, senza spazio per alcun compromesso, né tantomeno sacrificio: massima finezza, nonostante i sapori netti ed amplificati. Eleganza e pulizia estreme, pur utilizzando ingredienti certo di qualità assoluta, ma di natura comune. Centralità gustativa da cecchino, nonostante il numero de la “regola del 3” qui sia da leggere come “al cubo”. Sapori dettagliati e sfaccettati al cesello, nonostante piatti all’apparenza semplici.

Il perfezionismo a 360° di questo ristorante, in quanto tale, coinvolge anche il feudo dell’ormai celeberrimo uomo di sala, Beppe Palmieri: l’accompagnamento al calice. Cosa praticamente più unica che rara in Italia, acquisisce qui una quarta dimensione, tanto da poterlo definire un ampliamento al calice. Ci si spinge oltre il concetto di abbinamento, sfruttando le note delle bevande (non necessariamente vino) per incrementare quelle dei piatti; non si intenda però come un completamento delle portate (che sono, ovviamente, compiute da sole), ma come una maniera per far si che il calice possa armonizzarsi nel miglior modo possibile con il piatto.

Torniamo con i piedi per terra: in fondo, l’Osteria Francescana è soltanto un ristorante, e Massimo Bottura ne è solamente il cuoco.
Sacrosanto e condivisibile: d’altra parte, anche Banksy è solamente un writer, anche Hirst semplicemente fa installazioni, anche Fontana solamente tagliava le tele, così come Pollock le macchiava.
In fondo anche noi appassionati veniamo definiti pazzi solamente perché spendiamo centinaia di Euro per un pugno nello stomaco.
D’altra parte anche a Modena, tra un piatto e l’altro, si sta solamente scrivendo il futuro della nuova cucina italiana.

L’ingresso.
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Champagne di benvenuto.
vino, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il pane…
pane, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con l’olio.
olio, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Si inizia. Il menù “Sensazioni” che vedrete qui sotto è stato introdotto in carta meno di una settimana prima del nostro pranzo. Riportiamo i nomi per come ci sono stati presentati i piatti al tavolo, ma sappiate che potranno essere assolutamente variabili.

Stuzzichino: Macaron all’acqua di pomodoro, mozzarella, e pasta di acciuga…
stuzzichino, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con limoncello caldo/freddo. Un omaggio al Bulli di Adrià, in chiave italiana.
limoncello, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
I panini, gli ormai mitici croissant salati, i grissini.
panini, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Pane Burro e Alici. In una cialdina di pane tostato sono contenuti l’alice, una spuma di pane calda e niente burro, ma al suo posto una riduzione di latte montato.
pane burro alici, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Con il suo accompagnamento: Malvasia 2012 Raccaro.
malvasia, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
L’Est incontra l’Ovest. Una provocazione nei confronti dei famigerati ravioli cinesi, preparati malamente in mezzo mondo: ravioli cotti appena al vapore, con all’interno dei (fa-vo-lo-si) gamberi rossi siciliani. La testa del gambero è polverizzata e ricostruita in una concentratissima cialdina, per un travolgente umami mediterraneo. Le lenticchie sono disidratate e poi fritte, per essere al contempo leggere, croccanti ed estremamente concentrate. Piatto favoloso, che combina tecniche e sapori orientali ad altri più consoni alle nostre latitudini.
est incontra l'ovest, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Triglie alla livornese. Una triglia all’ennesima potenza, ripiena di scampi, coperta da una cialda croccante di pane e completata da disidratazioni di olive, di prezzemolo e di pomodoro (sull’idea del camouflage), accompagnata come da tradizione da un concentratissimo pomodoro. Un elegantissimo tuning della triglia alla livornese, tradizionale nei sapori ma assolutamente innovativa nelle tecniche e nelle concentrazioni.
triglia alla livornese, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Entrambi accompagnati dal Timorasso Farewell 2011, una collaborazione di Palmieri con Walter Massa.
Timorasso, farewell, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Terra e Mare. Un’ostrica cotta appena al calore, affumicata e passata in una “panatura” composta da innumerevoli erbe disidratate. Sul fondo una salsa al rafano. Le classiche note marine dell’ostrica si fondono a quelle terrose delle erbe e dell’affumicatura, sostenute dalla lieve piccantezza della salsa (che ne allunga la persistenza a dismisura) e dai germogli, che amplificano la percezione di terrosità mentre donano freschezza all’insieme. Alla faccia di tutti quelli che mettono germogli ovunque, senza alcun senso.
terra e mare, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La nostra Caesar Salad. Solamente il cuore dell’insalata, ove vengono inseriti gocce di senape, crostini di pane, pancetta croccante, uovo, aceto, cialda di parmigiano, acciughe… praticamente una versione emiliana dell’insalata internazionale per antonomasia. Le concentrazioni di tutti gli ingredienti fanno sì che attraverso un solo ciuffo, si ha la sensazione di averne mangiata una cassetta intera.
caesar salad, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Entrambi accompagnati dalla Genziana di Boroni: nel caso del primo piatto pura, con l’indicazione di berla solo dopo il piatto, per ampliare la sensazione di terrosità. Per il secondo piatto invece viene pesantemente diluita in acqua, in modo utilizzare soltanto l’aromaticità della Genziana.
Genziana, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Lumache in vigna. Omaggio al Piemonte: lumache di vigna cotte alla bourguignonne, con spuma di aglio dolce e succo di prezzemolo, con una miscela di erbe, polvere di porcini, tartufo nero. Come inciampare e cadere di faccia nella terra umida di ottobre, in vigna, durante la vendemmia.
lumache in vigna, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Accompagnate da una birra al Ginepro e Castagne affumicate del Birrificio Beltaine.
birra al ginepro, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La parte croccante della lasagna. Quando un nome dice tutto: una cialda croccante, che da sola racchiude il gusto di una intera lasagna, che copre una meravigliosa e leggerissima besciamella al parmigiano ed un concentrato ragù battuto al coltello. In pratica lo stesso effetto della Caesar Salad: una teglia da 60×40 di lasagne tradizionali, concentrate in un cucchiaio.
la parte croccante della lasagna, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Con la Ribolla di Damijan Podversic.
damjian, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Le rane nello stagno. Un piatto realmente spettacolare, nella sua complessità: delle coscette di rana avvolte in una leggera panatura, posate su una pasta tradizionale addizionata di innumerevoli elementi erbacei disidratati, disposti in maniera che la pasta tirata (e poi resa croccante) simuli un camouflage, che va a nascondere delle nocciole, un ristretto di bourbon e della crema di pinoli, entrambi dalla consistenza densa e quasi gelatinosa, per un reale effetto di “melmosità”, come ogni stagno che si rispetti.
rane nello stagno, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…accompagnate da un succo puro al 100% di rabarbaro.
succo puro di rababarbaro, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il contenitore (una sorta pagnotta di sale alla cenere, portataci al tavolo soltanto in visione) all’interno del quale viene cotta la lingua di…

…Tutte le lingue del mondo. La lingua, compatta e morbida anche più di quanto non riesca a fare la cottura sottovuoto, acquisisce le note affumicate dalla cenere durante la cottura. Vere protagoniste del piatto sono però le meravigliose salse, un “giro del mondo” di sapori tradizionali. Secondo l’ordine di degustazione indicatoci, in senso antiorario: frutto della passione e semi di basilico disidratati, al coriandolo, al curry e lenticchie, ai peperoni, mostarda di mele campanine.
lingua, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Accompagnato da un fin troppo dolce, ma perfetto con le salse, Passo Nero 2010 di Arianna Occhipinti.
occhipinti, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Il maple syrup, versato a tavola…
maple syrup, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…sul Pancake. Un Pancake tradizionale farcito con bacon e foie gras, il tutto accompagnato da un gelato al burro salato e finito con uno sciroppo di acero (ottenuto affumicando il maple syrup con l’aggiunta di sciroppo di amarena). Labili le percezioni di caldo/freddo e dolce/salato, un piacevole esercizio di stile ricorrente su questa tavola.
pancake, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
L’ultimo (per fortuna) abbinamento: il Moscato 2006 di Cà d’Gal
moscato, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Raviolo di zucca. Un raviolo estremo, l’unione di nord e sud: il tradizionale raviolo di zucca mantovano/cremonese (con mostarda, zucca ed amaretto) viene rivisto in chiave “dessert”, aggiungendo dei capperi e del bergamotto candito e servendolo in un acidissimo brodo di agrumi ed aceto di mele. Quasi borderline voler racchiudere spiccate dolcezza, sapidità ed acidità, davvero complesso bilanciarle quando tutte sono di questa entità. Spiazzante.
Raviolo di zucca, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Per finire con l’unico piatto “già visto” su questi schermi, ma solo perché richiesto esplicitamente: Camouflage, ovvero una lepre in civet proveniente dal futuro.
camouflage, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…con Torta Barozzi, Sbrisolona, Pralina…

…e una tazza di caffè lungo. Ci viene spiegato di raccogliere con il cucchiaino il camouflage da un lato all’altro del piatto, poi prendere un dolcetto, poi un sorso di caffè… e ricominciare.
Spettacolare. Una delle chiusure di pranzo più estreme della storia.
caffè lungo, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…è stato un lungo percorso il nostro, e ce ne rendiamo conto soltanto alla fine.
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Natale è nell’aria.
piccola pasticceria, Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena
…grazie a voi!
Osteria Francescana, Chef Massimo Bottura, Modena

Uno dei ristoranti storici nella cucina italiana. Da oltre cinquant’anni un nome legato alla ristorazione parmense, più di trent’anni d’ininterrotta stella, una location centrale da sempre tra queste mura, che si rivelerà poi un ambiente curato, moderno e con qualche lieve tocco d’arte. Notevoli premesse, che gettano le basi per grandi aspettative.
In cucina lo chef Marco Parizzi, prima nipote e poi figlio di quel nome ben noto ai gourmet emiliani, è ora il protagonista che non riposa sugli allori di famiglia, artefice da qualche anno di una ristrutturazione imponente, con aree dedicate ai corsi di cucina, eventi e camere a disposizione sopra al ristorante.
La cucina di Parizzi gioca nel campo del nazional-popolare: tutti i piatti, dall’aspetto moderno ma dalla concezione classica, nascono per appagare davvero ogni palato, attraverso una natura semplice e priva di contrasti. Dagli antipasti ai dessert, sono tutti ben eseguiti e piacevolmente gourmand, ma capaci di imprimersi nella memoria giusto il tempo necessario all’arrivo della portata successiva. E la quasi totale assenza di errori vistosi palesa in realtà la completa mancanza di rischi.
Qualche dubbio quindi è legittimo. Se pensiamo alla storia che il ristorante si porta dietro, riflettendo sul fatto che fin dal dopoguerra queste sale hanno ospitato e ospitano ininterrottamente clientela, i menù degustazione non sono per nulla influenzati né ispirati dalla cucina tipica emiliana (senza scomodare stagionalità o territorialità), tra l’altro una tra le più emotive, ricche e floride del Belpaese.
Da una cucina così ricca di storia, di blasone e riconoscimenti, è lecito aspettarsi più aderenza territoriale, più sostegno, più volontà di divulgazione, o quantomeno delle basi che vadano oltre a tre (nemmeno sconvolgenti) assaggi di Parmigiano Reggiano o un caprino di Coduro, e che non si fermino ad apporre orgogliosamente il proprio nome su di un’etichetta di Champagne.
Questa è una cucina che fa lustro della tecnica prima ancora della tradizione, che strizza l’occhio allo stile “global”, molto abile e capace (ed è senz’altro un merito), ma non abbastanza “sensibile” da scaldarti il cuore.
Capitolo carta dei vini molto interessante. Il dispiegamento di etichette è notevole (circa 1200 referenze) e, nonostante sia sbilanciato verso i “grandi nomi”, non manca qualche interessante proposta con protagonisti piccoli produttori ed etichette naturali.

Gli ottimi (attenzione, anche troppo!) pani.

Champagne servito come aperitivo, con il quale abbiamo continuato a tutto pasto.

Lodevole la scelta di differenziare le entrée in funzione del menù:
Crema di ceci con polpettine di pasta di salame (per il Menù di Terra).

Salmerino in carpione su giardiniera di verdure croccanti (per il Menù di Mare).

Crudi e poco cotti (tonno, ricciola, capesante, gambero).
Materia giustamente poco lavorata per farne risaltare la buona qualità. Cinque varietà di sale in accompagnamento (al pepe, al curry, Rosa Himalayano, Rosso Hawaiano, Nero Molokai) e relativo utilizzo a nostra discrezione.

Caprino e ricotta di Coduro in crosta su mele e fagiolini aceto balsamico.
Caprino dalla notevole acidità, che non riesce comunque a tenere a bada la ridondante dolcezza delle mele e delle fragole, l’aceto (ridotto e caramellato) fa poco o nulla. Un buon dessert …

Patè di lepre con il suo filetto marinato, gelatina ai frutti e fiori rossi, pane alle banane.
…e dopo il dessert, la macedonia.

Polpo grigliato su verdure a vapore con salsa leggermente piccante.
Polpo dalla golosità inaudita, molto morbido e dalla pronunciata nota grigliata. Da mangiarne un pallet.

Ravioli di fagiano con porri fritti, salsa al marsala e tartufo nero.
Come per gran parte di tutte le altre portate, piatto decisamente “di pancia”, semplice ma ben eseguito e realmente succulento.

Piccoli cannelloni di rombo con guazzetto di pesce e trippa di baccalà. Gran piatto con un ripieno e una trippa fintanto collosi nella loro grassezza, con il guazzetto che tenta di stemperarne l’irruenza.

Maialino da latte croccante con salsa alle spezie e tortino di patate.

Astice arrostito al rosmarino con schiacciata di patate, zucchini e salsa all’arancio.
Come per il polpo, gran golosità e piacevole la freschezza del rosmarino. Da mangiarne mezzo pallet (la sazietà si fa sentire…)

Assaggio di parmigiano di diversa stagionatura (comune ad ambo i menù).
Degustazione qualitativamente a “V” rovesciata:
– 22 mesi (Gennari, Collecchio, n.2312) troppo giovane, lattico e pastoso.
– 28 mesi (Casaselvatica, Berceto, n.3082) in grande forma, con una grande nota vegetale. Scopriremo poi che fra i tre è l’unico Parmigiano di collina.
– 36 mesi (Mezzani, Valserena, n.2111) quasi scollinato nell’evoluzione spinta, eccessivamente sapido, con presenza di sentori assimilabili alla crosta e importanti concentrazioni di glutammato.

Predessert: Mousse di yogurt e passion fruit. Svolge diligentemente il suo lavoro: grasso e fresco, ottimo.

Cioccolato e lamponi.
Lamponi pervenuti solo nell’ultimo assaggio. Dessert eccessivamente impegnativo alla fine di un percorso degustazione.

Tutto castagne: tiramisù, cioccolatino e gelato, salsa al caramello e caffé.
Come sopra, castagne che partecipano al dessert in maniera troppo marginale. Di contro, sempre come sopra, glicemia in fuorigiri.

Scorcio della sala, vista dal corridoio d’accesso.