Passione Gourmet Paris Archivi - Pagina 2 di 9 - Passione Gourmet

Plénitude

Arnaud Donckele e Cheval Blanc: un binomio vincente

La fortunata collaborazione tra lo Chef Arnaud Donckele e la maison alberghiera Cheval Blanc – prima limitata a La Vague d’Or di St-Tropez – ha dato alla luce un’altra gemma, Plénitude, il ristorante di alta cucina situato all’interno della nuovissima sede parigina che, a soli sei mesi dall’apertura, è stato premiato con tre macarons, conseguendo un risultato più unico che raro (l’ultimo esordio in guida con il massimo riconoscimento era rappresentato dal Pavillon Ledoyen di Yannick Alléno). Peraltro, occorre sottolineare come le offerte gastronomiche dei due ristoranti siano ben distinte e originali, ciascuna fortemente influenzata dal contesto d’appartenenza, l’una mediterranea e focalizzata sull’ingrediente, l’altra più tesa a celebrare la classicità della Ville Lumière: in tal senso, non è azzardato affermare che, con l’apertura di Plénitude, il cuoco di Rouen abbia inaugurato un percorso inedito. Un plauso merita, poi, la parte dolce del percorso, affidata a Maxime Frédéric, uno dei più grandi pasticceri francesi – allievo di Cédric Grolet e già responsabile dei dessert de Le Cinq – a cui è stato altresì affidato il Limbar, la pâtisserie-boulangerie situata all’interno dell’albergo.

Un nuovo approccio alle salse: come proiettare nel futuro la cucina classica francese

Il manifesto del ristorante parigino di Arnaud Donckele è chiaro: proporre una visione personale e contemporanea della cucina francese – in particolare, quella della Capitale – attraverso una rilettura dei suoi capisaldi, ovverosia salse, vinaigrettes, brodi e jus. Queste ultime sono le vere protagoniste del menù, in un’inversione della gerarchia classica che, invece, le concepirebbe come accompagnamento dell’ingrediente principale. Infatti, Il personale di sala invita calorosamente l’ospite ad assaggiare innanzitutto la salsa – a cui è costantemente dedicato un servizio di grande impatto estetico, teso a valorizzarla – e, solo in un secondo momento, la portata nella sua interezza. Questo scambio di ruoli tra protagonisti e co-protagonisti ha implicato un lavoro maniacale su complessità – l’elenco dettagliato degli ingredienti di ciascuna salsa è sbalorditivo – finezza e leggerezza, quest’ultima raggiunta mediante l’eliminazione dei “leganti” classici, sostituiti da ingredienti nobili.

Un esempio fulgido in tal senso è rappresentato da Langoustine/Artichocke/Buddha’s Hand, in cui il crostaceo (dalla cottura ineccepibile) è affiancato da una Vinaigrette “Cornaline” che, oltre ad amplificare il sapore dell’ingrediente principale – presente sotto forma di brodo e di uova, queste ultime utilizzate altresì per legare la salsa – aumenta la complessità del boccone con una trama straordinariamente fitta di sentori agrumati, in perfetto equilibrio tra sapidità, acidità e dolcezza (limone macerato, sciroppo di cedro, succo di yuzu, olio di verbena, etc.). Il risultato più entusiasmante è però rappresentato da Trout/Clam/Caviar e brodo “Ode à l’iode”, indovinato connubio tra le note di terra del pesce d’acqua dolce e quelle tipicamente marine (“ode allo iodio”, per l’appunto): sul piatto, si trovano trota, caviale, molluschi, nocciola e salicornia; dall’altro lato, il brodo è invece preparato con una base di pesce, limone caramellato, ramo di melissa, polvere di plankton, succo di abalone, ostrica piatta e olio al limone. In sparuti passaggi – soprattutto in Veal/Morel/Wild Garlic e nei benvenuti iniziali – si è invece avuta la sensazione che la costruzione della portata e il governo della complessità avessero preso il sopravvento sul risultato finale: un assolo in cui al numero mirabolante di note suonate non corrispondono eguali emozioni.

Da ultimo, il dessert, memorabile: un’insalata di agrumi su cui è poggiata una rosa di meringa ripiena di crema al basilico e limone, cui viene aggiunta – in perfetta coerenza col resto del percorso – una salsa denominata Esquisse d’endocarpe (limone macerato, endocarpo di limone, olio d’oliva e di mandarino), a conferire altresì un’elegantissima nota amara.

In conclusione, Plénitude conferma l’enorme talento di Arnaud Donckele, un cuoco capace di costruire piatti tanto complessi quanto ragionati (e, in quanto tali, passibili di più gradi di lettura), il cui livello – lo si ribadisce, già eccezionale –  evidenzia ulteriori margini di perfezionamento.

La Galleria Fotografica:

Fruits de mer pas cher

Clamato è uno dei bistrot più in voga di Parigi. Amatissimo da “les bobos“, ossia quella clientela borghese bohémien parigina, è il fratello minore di Séptime, blasonatissimo ristorante del duo Bertrand Grébaut e Théophile Pourriat, ed è incentrato sui frutti di mare.

Un piccolo locale con sedute al bancone e pochissimi tavoli ravvicinati tra loro, dall’arredamento rustico dove si possono gustare prelibatezze ittiche (da pesca sostenibile, scrivono). Il menu si evolve con ciò che è giornalmente disponibile dalle regioni di Saint-Jean-de-Luz, Concarneau e Île d’Yeu, offrendo crostacei, ostriche, granchi, ricci di mare e tanto altro, oltre a piatti à la page – come l’ormai onnipresente ceviche (ne abbiamo mangiato uno piacevolissimo di merluzzo, leche de tigre ai frutti rossi e olio alle foglie di fico) – e preparazioni più tradizionali, cucinate con cotture ancestrali come la brace. A grandi e piccoli plateau componibili a gusto del commensale, quindi, si aggiungono piatti di pesce crudo, abbinati a prodotti (verdure, ortaggi e frutta) rigorosamente stagionali.

Ricordiamo, in particolare, dei piacevoli assaggi come la tartare di tonno rosso, pomodoro, zenzero e gelatina di zafferano, la melanzana brasata con cozze sotto aceto e salsa XO e la squisita ed equilibrata insalata di pomodori, albicocche e bottarga, da bis. In chiusura, buono anche il dessert: fichi arrosto, mirtilli e gelato alla foglia di fico.

In sintesi, un posto perfetto per condividere diversi piatti accompagnandoli a cocktail della casa o vini naturali dei più acclamati (e ricercati) vignerons d’Europa (rammentiamo, tra i nostri connazionali, etichette come Amerighi, Occhipinti e Radikon), dove ci si può divertire, senza spendere le cifre esorbitanti della capitale francese, ma ad un prezzo da pagare: il locale non accetta prenotazioni e, considerata la limitatissima capienza, è facile trovare una folta coda all’ingresso se non ci si appropinqua in orari strategici. Fortunatamente il fine settimana la cucina è aperta tutto il giorno. Altre info pratiche: il servizio è giovane, spigliato e appassionato e il conto si aggira sui 50 euro a persona, se non si esagera con i plateau, ovviamente.

La Galleria Fotografica:

Un trait union tra la bistronomia francese e la trattoria romana


Giovanni Passerini è uno degli ambasciatori più autentici della cucina italiana, d’autore e moderna, in Europa. È stato in grado di ricevere fiducia e rispetto a Parigi, dove l’offerta gastronomica gioca in un campionato prestigiosissimo, con pochi eguali.

Il suo attuale avamposto è in Rue Traversière, nei pressi della Bastiglia. È qui che si celebra il trait d’union tra la bistronomia francese e la trattoria romana. Dove una insalata di porcini ha una veste elegante e chic grazie allo zabaione salato e al carpaccio di pesche e pomodori, e la schiettezza di quella trippa, da sempre in carta, con quella mentuccia e l’immancabile pecorino che sono come due mani che ti prendono la faccia e ti dicono che il cuore in cucina batte all’ombra del Cupolone.

Da Passerini ti senti a casa in tutto e per tutto.  Già in tempi non sospetti, quando Rino – la sua prima insegna da solista – faceva drizzare le orecchie ai foodies, Passerini sfoggiava piatti complessi ma al contempo appaganti frutto di gomito e padella ma anche di cervello. Oggi poco è cambiato, se non l’aver conferito un imprinting tricolore ancora più marcato (sono formidabili i piatti di pasta, semplici ma appaganti in maniera disarmante) al quale ha accostato rituali conviviali tipici del grande ristorante francese, con “Les plats à partager” – animali cucinati interi, da condividere per tutto il tavolo – presenti in carta (durante la nostra visita venivano serviti il piccione in più servizi e l’homard, due ingredienti feticcio dei cuochi transalpini).

L’ambiente, un po’ rumoroso, ha un’atmosfera da bistrot parigino (grandi vetrate e cucina a vista), ma è con i sapori di alcuni piatti che ci si ritrova in un angolo di Roma. 

L’alleanza italico-transalpina è sapientemente celebrata con alcuni piatti di estrema eleganza tra ingredienti da urlo e temperature e tagli che fanno letteralmente divorare tutto ciò che arriva sotto gli occhi del commensale: dalla passardiana tartare di barbabietola e melanzana affumicata con lamponi e ricotta salata, alle golose linguine alla puttanesca di anguilla affumicata, passando per una (sempre presente in carta) trippa alla romana memorabile, così come la “scrocchiarella“, che crea dipendenza, non soltanto per il commensale ma anche in cucina (ci dicono); ma sono due i piatti che lasciano il segno: l’insalata di porcini, pomodori, pesche, zabaione al miso e portulaca estiva, meravigliosa, e l’eccellente coda di rospo, ostriche, panna fresca, vinaigrette di alghe , cipolla dolce e spinaci, che ti porta con la mente in Normandia.

Si chiude con quello che ci dicono essere un cult della cucina: semifreddo al pistacchio di Bronte con fichi e spuma di formaggio bianco, ricchissimo e goloso. Tutto eseguito alla perfezione anche grazie a una collaudatissima e giovanissima brigata (prevalentemente italiana), guidata dal l’altrettanto giovane e talentuoso braccio destro (e sinistro) di Passerini, Stefano De Carli.

Anche la selezione enoica è accuratissima, con immancabili vini naturali, bollicine di tutti i tipi, eccellenti etichette italiane e qualche blasonato. Da Passerini ci si diverte, in tutto e per tutto.

La galleria fotografica:

Stephanie stand alone

Stephanie Le Quellec, nome non particolarmente noto ai gourmet nostrani, è invece agli onori delle cronache d’Oltralpe da parecchi anni. In primis per essere stata sdoganata al grande pubblico, nel 2011, dalla vittoria del programma televisivo Top Chef. E poi per il merito, forse più concreto, di aver ottenuto due stelle dalla Guida Michelin al timone del primo La Scene, all’interno del Prince di Galles in Avenue George V a Parigi, uno dei lussuosissimi palace che spuntano come funghi a cavallo tra il I e l’VIII arrondissement. A ottobre 2019, si trasferisce armi e bagagli (portando con sé, sorprendentemente, il nome del ristorante) in Avenue Matignon, quasi a voler sfidare da vicino Jean Francois Piege, che dei grandi chef francesi è quello che più di tutti ha beneficiato della notorietà televisiva. A dividerli, l’Eliseo, l’Hotel Bristol e cinque minuti a piedi lungo rue du Faubourg-Saint-Honoré.

Al di là di qualsiasi valutazione sull’energia straripante del personaggio, capace di portare avanti una famiglia con tre figli e contemporaneamente di svolgere con evidente successo un mestiere duro in un ambiente ipercompetitivo e dominato dagli uomini come l’haut cuisine parigina, l’operazione imprenditoriale appare snella ed efficiente. Bistrot al piano terra aperto solo a pranzo, gourmet nell’interrato, aperto solo a cena. Di sotto, 32 coperti, compatti e ravvicinati (sicuramente troppo per puntare ancora più in alto nelle valutazioni della ”rossa”), dai quali si vedono le toques all’opera come in un’unica, grande chef-table. Carta dei vini considerevole, tenendo conto di quanto sia giovane il locale, e prezzata “alla parigina” pur senza le esagerazioni che capita di incontrare in altre grandi tavole della città. Brigata di sala numerosa, charmant, complessivamente precisa, ma in evidente difficoltà in alcune fasi del servizio a causa della distanza tra i tavoli da bistrot.

Sul filo tra il classico e l’informale

E la cucina? La scuola classica da cui proviene la chef (i suoi mentori sono Legendre, Briffard e Jourdin), si vede tra le righe ma, d’impatto, quello che risalta è la volontà di alleggerire, di uscire dalla formalità, di dare più valore possibile ai prodotti e alle stagioni. Per quanto riguarda gli influssi, poco o nulla viene da quell’oriente che continua a condizionare Parigi da un decennio, piuttosto è evidente un afflato mediterraneo, in particolare nella scelta di alcune materie prime.

Il menu “Mise en Scène”, nove piatti e cinque dessert divisi in atti, prevede un benvenuto che invita esplicitamente alla condivisione: la tartelette di foie gras al rabarbaro e menta-bergamotto (mentha citrata), servita per due commensali in sei fette, da mangiare con le mani utilizzando un piccola alzatina in ceramica. Segue la collezione di pomodori maturi 2021 “fatiguées“ (stancati) nella loro acqua, infuso di erbe glassate: quest’ultimo intenso e fine, mentre sulla maturità, decantata nel nome del piatto, rimane qualche perplessità, soprattutto per chi ha avuto modo di assaggiare veri pomodori maturi dalle nostre parti, in particolare da Roma in giù. Classicismo di alto livello nel pane mi perdu/mi soufflé con caviale Oscietra, crema fredda, acetosella: diverse texture nel pane, caviale di ottima qualità e risultato scontato, si vorrebbe il bis. Citiamo anche la triglia “cuite de peur”, noi diremmo “scottata”, e finocchio: un piatto più energico che elegante, che riporta, ancora una volta, al mediterraneo. Tra i vari dolci, serviti tutti in contemporanea, spicca la superba esecuzione della crème brûlée alla vaniglia: comme il faut!

La Scene è un’ottima tappa “intermedia”, perfetta se si vuole passare una serata di indiscutibile interesse gastronomico schivando le tavole parigine più impegnative.

La Galleria Fotografica:

L’alta cucina classica francese rifiorisce ad Ivrea

“Hai un nuovo messaggio Instagram da Giovanni Passerini”

“Alberto, ti scrivo per segnalarti un matto che ha lavorato da me per un anno e mezzo e che ora ha ripreso le cucine di un locale di Ivrea. È un fuori di testa che serve germano e lumache di mare in vineria, un ossessionato di tecnica francese. Non lo conosce nessuno e so che su queste cose tu ti esalti. Un abbraccio a presto!”

Già, Giovanni mi conosce bene. E per una volta abbandoniamo lo stile classico della recensione per introdurre un ragionamento che ci sta molto a cuore. Perché in questa semplice frase c’è la quintessenza della nostra professione, fatta di immensa, sconfinata passione. Passione nello scovare sempre una novità che stimoli noi e che stimoli il nostro lettore, fare chilometri per una liévre à la royale, per un timballo, per un nuovo piatto avanguardista; insomma, per scovare un talento che non si era ancora svelato.

Siamo noi che, mossi dalla passione, abbiamo la responsabilità di raccontare queste meravigliose storie e veicolarle affinché luoghi e persone vengano visti, visitati, celebrati. È il nostro compito, ancor più in momenti difficili, come questo. E dovremmo tornare a farlo con tanta intensità e frequenza ancor più a breve, perché ciò sarà il motore di una ripresa ci auguriamo essere rapinosa perché, ecco, questo settore non è solo la nostra passione ma, non dimentichiamolo, è anche una delle più importanti e straordinarie risorse di cui dispone il nostro Paese: il comparto agroalimentare e tutta la straordinaria filiera che vi ruota attorno.

Nel regno di Roberto Bordone e Alessandro Esposito

Eccoci quindi effettuare una prenotazione fulminea alle Cantine Morbelli e intraprendere un viaggio che, di questi tempi, tanto scontato non è. Arriviamo e subito rimaniamo colpiti dalla varietà di bottiglie e di produttori non scontati che scorgiamo sugli scaffali. Merito di Roberto Bordone, titolare di questa splendida realtà che, con grande passione e capacità, vi saprà regalare abbinamenti forieri del suo talento, della sua personalità e della sua sensibilità. È lui che ha preso in mano il tutto, 6 anni fa dalla famiglia Morbelli, lanciandosi letteralmente nell’ignoto.

Oltre che le sue grandi doti di sommelier e di wine-scout, Roberto ha anche il ruolo fondamentale di mecenate di Alessandro Esposito, giovane poco più che trentenne eporediese che ha trascorso qualche anno a Parigi facendo esperienze in cucina che lo hanno segnato indelebilmente. Da Christophe Pelé a Le Clarence, con il grande Giuliano Sperandio come co-partner in crime, ha attinto la grande passione per il classicismo francese rivisitato e una quasi-ossessione per l’abbinamento ittico-cacciagione. E poi il passaggio dalle cucine di quel cavallo di razza dal talento jazz e un filo punk di Giovanni Passerini, che gli ha consentito di approfondire ancor più l’irriverente manipolazione dei classici con un tocco di folle ma lucida, eretica pazzia.

Il risultato? Beh, pur nella sua verde e ancora lievemente acerba elaborazione, siamo al cospetto di una delle cucine più interessanti che abbiamo avuto modo di trovare in questo periodo girovagando l’Italia. Le ingenuità non mancano, la tecnica è ancora sporca, l’errore è dietro l’angolo, ma quanta personalità e quanta passione! E ancora quanto rigore, quanta voglia di crescere, migliorarsi, emergere! Un progetto ambizioso quello di Alessandro e Roberto, ambizioso e qualitativamente elevato, al pari del rispettivo talento.

La grande scuola francese al servizio di una cucina di mercato

L’intento qui è quello di portare una grande cucina di mercato tutti i giorni, frutto di improvvisazione e tecnica, tanta tecnica, contaminando i grandi classici con spunti creativi. Il legame tra il regno del mare e quello della caccia è una costante ereditata dall’esperienza a Le Clarence, la grande passione per la pasticceria classica e la voglia di cimentarsi con ricette tanto importanti quanto complicate completa il cerchio di questo luogo davvero magico.

E nel nostro pranzo un tripudio tra liévre à la Royale, tourte de pigeon, le turbot en vessie, mille feuilles e via di seguito, non disdegnando nemmeno un risotto e dei tortelli, anch’essi francesizzanti, forieri di storia, tecnica e un condensato di passione davvero elevatissimi.

Il giudizio, non ancora pieno, è prospetticamente e velocemente raggiungibile ma soprattutto è l’auspicio che qui si continui a fare questa rivoluzione lenta ma continua in una piazza tutt’altro che facile. E allora largo ai temerari di Cantina Morbelli, inondiamoli della nostra presenza!

La galleria fotografica: