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Tomo

Un pezzo di Tokyo nella ville lumière!

Nella generale mania per il Giappone che da qualche anno pare aver colpito la scena gastronomica delle città occidentali sembra essere stata dimenticata una delle sue espressioni più autentiche e affascinanti: i wagashi, ovvero i dolci tradizionali.

Si contano infatti sulle dita di una mano i posti dove poterne trovare nelle capitali europee, che abbondano, invece, di riletture à la japonaise di dolci della nostra tradizione, dal tiramisù al mont-blanc, spesso abbinati senza grande fantasia a creme e gelati al tè matcha di dubbia qualità. È davvero un peccato perché si tratta di vere e proprie meraviglie che a un delizioso gusto estetico abbinano una grande profondità di sapore e consistenze a noi poco familiari e, anche per questo,  interessanti.

Una sala da tè con pasticceria, in bilico tra Oriente e Occidente

A Parigi, per fortuna, accanto allo storico, eccellente Toraya ha aperto, a due passi dalla Rue Saint Anne, questo Tomo in cui si cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte: da un lato, infatti, sono presenti dolci d’impostazione europea a cui si aggiungono tocchi giapponesi in forma di dorayaki; dall’altra, si producono giornalmente un  numero limitato di wagashi, totalmente rispettosi della tradizione della terra d’origine.

Questa sintesi è il frutto dell’incontro delle due anime del locale: Romain Gaia, francese, vive metà dell’anno in Giappone dove ha imparato i segreti della pasticceria nipponica con Takanori Murata, cresciuto in una famiglia di pasticcieri, è stato per anni la parte dolce dello stellato Aida e del suo salone da tè, lo splendido e compianto Walaku.

Sedendosi a uno dei tavoli della sala, un po’ anonima, si sceglie il proprio tè dalla bella selezione di sencha o di gyokuro proposti, descritti con dovizia di dettagli su produttore, regione e note organolettiche; al tè si può abbinare a quel punto un dorayaki o, per i più curiosi, un wagashi.

Sono certamente “dolci” d’impostazione molto diversa dai nostri: meno dolci, apparentemente molto simili tra loro per la frequente presenza dell’anko, la confettura di fagioli azuki che spesso ne costituisce l’ingrediente principale. Ma le variazioni sono infinite, così come le forme e le consistenze, che variano con le stagioni: non le nostre 4 ma ben 72 sono le stagioni in cui il giapponese suddivide l’anno: doveroso approfondirne le tipologie per familiarizzare con la raffinatezza del  pensiero di questo grandissimo popolo.

Noi abbiamo gustato un dorayaki classico appena fatto, dalla texture setosa come è possibile trovarne solo in Giappone e uno yaki guri in cui la crema di castagne e l’anko di Murata-san si sposavano a meraviglia.

Una sosta davvero consigliata in una zona centralissima ma non così frequentata, e vivaddio, dal turismo di massa.

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Girovagando per Parigi alla ricerca del bello e del buono

Per poter sopportare i grassi saturi e insaturi ingurgitati durante le splendide cene parigine occorre tanto moto e un pranzo leggero, ma senza farsi mancare il gusto. Poi, capita di andare a trovare un manico vero, anzi due, nei loro rispettivi ruoli e forse la pausa veloce e leggera che ti eri immaginato lo diventa un po’ meno. Ma, come sappiamo, la testa in questo caso fa molto, ed ecco quindi una interessante, e per certi aspetti, diversa prospettiva per una pausa pranzo alternativa a Parigi … con tanto, tantissimo gusto!

Restaurant Passerini

Giovanni Passerini, seppur quarantenne, è già un cuoco e un imprenditore maturo. Ha creato un luogo d’elezione vicino alla Bastiglia che è il regno dell’italianità più spinta. Un pastificio di fianco al ristorante, ormai sempre più marcatamente un avamposto della cucina italiana a Parigi. Semplice, ma non per questo non ricercato. Il puntiglio e la maniacalità, nonché la tecnica e il senso del gusto, del grande cuoco romano si sentono. Eccome se si sentono. Se poi deciderete di andarci a pranzo, avrete dalla vostra anche uno scontrino incredibilmente economico.

Cedric Grolet

Trentadue anni, oltre 1 milione di followers su Instagram, pastry-chef star e uomo del momento a Parigi. Capo pasticcere de Le Meurice, premiato come miglior pasticciere dell’anno 2018 dalla The World’s 50’s Best Restaurants, Cedric Grolet ha aperto la sua pasticceria, in collaborazione con Le Meurice, in cui allieta, tutti i giorni tranne il lunedì, i palati raffinati dei parigini. Famosissimo per i suoi dessert “trompe l’oeil”, prepara anche un’ampia gamma di prelibatezze che, frigorifero in camera permettendo, si possono degustare in un paio di giorni. Tanto belle quanto incredibilmente buone.

Era uno degli enfant prodige italiani protagonisti della scena parigina. Oggi, con il passare degli anni, è diventato  un uomo adulto, un cuoco fatto e finito, che ha modificato in maniera significativa la sua cucina e il suo modo di porsi dai tempi del Roseval.

Da Racines Simone Tondo propone una cucina molto più semplice, con meno fronzoli e orpelli, e si concentra decisamente più sul gusto. Anche perché, è bene ricordarlo, questa deliziosa bomboniera in Passage des Panoramas ha spazi, e conseguentemente accessori di cucina, estremamente ridotti.

Con il fuoco primordiale e poco di più, Simone ci delizia con una cucina profondamente italiana, a tratti anche agricola e ruvida, come il luogo giustamente impone.

Una cucina in cui non manca il guizzo, certamente, come nel Gazpacho scampi e limone, in cui la punta di pepe di Gianni Frasi dona eleganza al piatto, nel bonito, un piccolo tonnetto, servito con cocomero e sesamo, o nelle Linguine con guancia all’origano, olive, pecorino e pomodoro. Piatto tutt’altro che greve, come l’immagine farebbe presagire.

La freschezza e la leggerezza dei dolci – a dispetto di ciò che la tipologia potrebbe far pensare – insieme a un servizio alquanto preparato e accogliente, seppur fin troppo sbrigativo, coniugano un luogo davvero incantevole, che meriterebbe degli spazi meno angusti.
Nota dolente? Il conto, impegnativo per la tipologia di locale. Ma una visita a questo delizioso mignon non dovete proprio mancarla quando sarete a Parigi. Evviva Simone Tondo, evviva Racines!

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Una cucina geniale e contemporanea pensata quasi 30 anni or sono a Parigi

Alain Passard è indubbiamente uno dei cuochi contemporanei che ha maggiormente segnato e contribuito all’evoluzione dell’alta cucina francese, ma anche mondiale, con il suo ristorante Arpège. La sua ossessione – perché di questo si tratta – per l’orto e per i suoi frutti è molto più di uno slogan, a differenza di molti suoi colleghi. È un credo profondo, frutto di anni e anni di studi e ricerche. Lo chef possiede un orto di qualche ettaro fuori Parigi in cui coltiva varietà dimenticate: frutti della terra che riportano direttamente al paradiso.

Già dal suo esordio, ormai una trentina di anni or sono, ha sempre creduto in una cucina moderna, attuale, quasi eretica al tempo. Poca, pochissima proteina animale – di elevatissima qualità, ça va sans dire – che ruota attorno al vero protagonista del piatto… una volta una rapa rossa, poi un’incredibile patata, quindi un porro da antologia.

La via della creatività vegetale passa da rue Varenne

Le sue ricette, vere e proprie opere d’arte avanguardiste, sono oggi dei classici indiscussi e indiscutibili. Prendete per esempio l’Uovo in caldo freddo con sciroppo d’acero. Uno tra i piatti più copiati di sempre, così come le capesante impreziosite da un’emulsione al geranio e da paradisiache rape. Un piatto fresco, goloso, invitante, e che ha anche il merito di  far risaltare la straordinaria dolcezza della capasanta. Ma la maestria di Alain Passard si ritrova anche nella capacità di grande rôtisseur nelle cotture delle carni e non manca di certo ai dolci, Millefoglie e Torta di mele alle rose su tutti.

Un grande, grandissimo cuoco che ha creato una lunga schiera, da Mauro Colagreco a Pascal Barbot passando per Claude Bosi per citarne alcuni, di allievi e proseliti della sua filosofia di cucina. Una cucina moderna, attuale e contemporanea, ma pensata e costruita decine di anni or sono. Un genio, indiscutibile, che tra i suoi piccoli difetti ha un luogo e un servizio non all’altezza del tenore e della profondità espressa dalla sua cucina.

In questa nostra ultima visita, inoltre, siamo rimasti un po’ delusi dalla qualità della materia prima non vegetale. Carni e pesci ottimi, ma non supremi come ci ha sempre abituato Alain Passard e come il conto lascerebbe presagire.

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La nuova cucina francese passa attraverso le maglie di questo Hotel Particulier, a Parigi

Se ti chiami Cristophe Pelé hai un grande peso sulle spalle da portare. E, se riesci a spuntare un riconoscimento importante (2 stelle Michelin) in un neo-bistrot con una cucina pura d’istinto, beh, la strada si fa proprio in salita. Ma il fisico da scalatore Cristophe ce l’ha. Come un geniale e talentuoso Pantani si inerpica sui sapori, sui gusti e sulle consistenze di una cucina di puro istinto che solo il talento innato e il palato assoluto possono concepire. Ma, non è solo in questa difficile e stimolante sfida. Un italiano, di cui dovremmo essere tutti molto orgogliosi, è il suo braccio destro (e probabilmente anche sinistro) sin dai tempi della Bigarrade: Giuliano Sperandio. Ligure di origini, ma ormai francese di adozione, Giuliano – è bene non dimenticarlo – ha palato e doti pari al suo grande condottiero.

La sfida aperta a Le Clarence, piccolo luogo di incanto che è la sede di Haut Brion a Parigi, con una cave da fare invidia a molti, è difficile e tortuosa. Qui Cristophe e Giuliano svuotano i frigoriferi ad ogni servizio, proponendo una cucina di totale e completa improvvisazione. Certo, salse, fondi e basi di alta scuola classica sono preparate fresche ogni giorno con un tocco impeccabile. Ma qui, il vero fiore all’occhiello è il talento di questi due cuochi, ogni giorno al servizio di pochi commensali. Con una brigata estesissima per i tempi moderni – 17 in cucina – che prepara basi e linea ad ogni servizio partendo da zero, ciò che dona il mercato viene interpretato al meglio, con tecnica, sensibilità e tanto, tantissimo gusto.

Il risultato? Semplicemente eccezionale, come per questa spigola con terrina di eglefino e foie gras, agrumi, zabaione salato, indivia brasata, ostrica, orecchio di maiale …

Un tripudio di ingredienti e sapori che trovano un equilibrio inaspettato ma convincente. Una cucina che ha chiari riferimenti gagnairiani, pur distaccandosene con imponente personalità. Una cucina d’istinto e improvvisazione, una cucina profondamente jazz.

Il jazz in cucina, fenomenale!

Il paradigma di questo stile così personale e affascinante è il piatto Sfilacci di lepre, il suo civet (semplicemente sublime), astice blu demi-cuit e tartufo bianco. Il crostaceo, che beneficia di una cottura lieve, mantiene tenacità e una dolcezza incredibile, che allunga sia la salsa che gli sfilacci di lepre. Un’opera d’arte contemporanea e neo-classica nello stesso istante. Una cucina di palazzo resa irriverente da abbinamenti e azzardi, a dire il vero anche contenuti.

Ecco, se vogliamo trovare un difetto a questa cucina, e può sembrare un paradosso, è che risulta eccessivamente accomodante e rotonda. Le esigenze del palazzo probabilmente lo impongono, ma la nostra sensazione, forse più di una sensazione, è che questi due grandi geni della cucina contemporanea francese possano e debbano osare ancora di più. Perdetevi tra le stupende sale di questo palazzo-bomboniera nel centro di Parigi, abilmente ristrutturato e reso profondamente elegante. Godetevi un pasto in un luogo magico, accuditi da un servizio attento e a dir poco sensazionale, all’altezza del rango della cucina.

Se non volete farvi mancare una grandissima cucina con pathos e sentimento, una grande cucina di emozioni, correte qui, in Avenue Roosevelt a Parigi. Correte per vivere emozioni intense, vibranti, uniche.

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