Una delle cose che si apprezzano di Albert Adrià è che non senta alcun bisogno di mascherarsi. È un frontman e va fiero di esserlo. Punta dritto all’essenza delle sue idee disegnandone contorni definiti e pitturandone con tocchi decisi le atmosfere. Per questo si espone a rischi, che si traducono in una sequenza infinita di dettagli, che se non curati adeguatamente potrebbero far risultare l’opera incompleta.
A Pakta, avamposto Nikkei nel centro di Barcellona, tutto è organizzato secondo quell’architettura creativa che Adrià pare abbia trovato il modo di standardizzare e replicare. Il meccanismo che porta al successo sembra essere ben oliato con la firma dell’artista che si esplica fin dall’accoglienza, calorosa e professionale, passando per una tempistica del servizio ineccepibile, senza sottovalutare l’importanza di alcuni aspetti spesso trascurati, come la comodità delle sedute e la qualità dell’illuminazione. Eppure, al contrario delle nostre precedenti visite, questa volta ci siamo imbattuti in una serata non entusiasmante. Abbiamo comprato il biglietto per una partita in cui il fuoriclasse si è dimostrato sì più bravo degli altri, senza però emozionare.
L’analisi di questa serata lascia spazio a una duplice considerazione. Qualcosa, va detto, può essere attribuito e ridimensionato all’interno di un ciclo che inizia e finisce nella serata presa in esame. Ci riferiamo alle temperature di servizio, che durante la nostra cena hanno mostrato un tasso di approssimazione che non ci saremmo aspettati. I campanelli d’allarme, però, arrivano da alcune fasi della degustazione che non rappresentano errori di natura tecnica ma che affondano l’origine dei propri difetti sulla reiterazione di alcuni ingredienti all’interno del menù che, causa anche la stagione invernale non propriamente generosa, ha dato vita a una sequenza di passaggi troppo rassomiglianti gli uni agli altri causando un assopimento emozionale del palato discretamente rapido. Alla luce di questo ci interroghiamo sulla scelta di proporre due menù, entrambi composti da 22 portate, anziché proporne uno più breve, in cui concentrare intensità e sapori. Inoltre, non possiamo esimerci dall’aprire una parentesi sulla materia prima, che, in una cucina essenzialmente di prodotto, non può che essere eccezionale e che invece si è fatta trovare spesso non più che buona.
Qualche passaggio decisamente memorabile c’è ovviamente stato, e più di uno: parliamo di piatti come l’anguilla alla brace con salsa teriyaki o i piselli di Maresme, fave ravanello, foglie di oxalis, kimchi e okra.
Per concludere, sottolineiamo come da Pakta si respiri il profumo di un grande ristorante, che in qualche occasione è anche lecito che possa non esprimersi come tale. Dispiace, e dispiace doppiamente dover ammettere che anche gli eroi abbiano dei punti deboli. Si tratta di dettagli, che per un genio come Albert Adrià non sarà difficile aggiustare, così da riportare la sua idea di cucina Nikkei a splendere a Barcellona.
Intelligente e studiata operazione commerciale, o ennesima grande tavola firmata Adrià?
Non è poi così facile delineare il confine tra un aspetto e l’altro e, forse, nemmeno così importante. Perché se si raggiunge un livello di qualità come quello del Pakta, allora tutto il resto è chiacchiera da bar.
Certamente qui si ha avuto l’occhio lungo, aprendo in tempi non sospetti (nel 2013) un locale di cucina Nikkei.
Cosa c’è di più fashion, oggi, di una cucina che mischia il mondo giapponese con quello Sud Americano?
E infatti il locale va che è una meraviglia, grande successo di critica ma anche di pubblico, perché questa non è una enclave per appassionati, il bacino d’utenza può essere (ed è) decisamente più ampio.
E anche noi siamo tornati più volte a visitare questo locale.
Eppure non sono pochi i fattori che potrebbero smorzare gli entusiasmi: solo due menù degustazione, da scegliere possibilmente in anticipo, all’atto della conferma della prenotazione; prenotazioni non agevoli (online, due mesi prima della data di interesse, vengono aperte le prenotazioni: molto difficile trovare posto nell’orario preferito); una rigidità nel servizio dei piatti quasi esasperata (viene indicato l’ordine con cui mangiare gli ingredienti, con quale stoviglia e in che modo!).
Allora perché venire qui?
Perché, nonostante tutto, qui si fa una grande cucina fusion.
Forse una delle sue migliori espressioni europee, non possiamo che ribadire quanto già espresso nelle nostre precedenti visite.
Non c’è la profondità di sapori di un grande kaiseki di Kyoto, o la precisione di un sushi master di Tokyo, ma quella Nikkei è una cucina interessantissima (che speriamo di provare presto in Perù) e qui viene interpretata ad altissimi livelli.
Tecnica impressionante, mix di ingredienti riuscitissimo: la freschezza e la tecnica della cucina giapponese incontrano il carattere più speziato di quella peruviana; lime, mais, peperoni, patate, si uniscono a miso, alghe, tosazu, dashi, in un vortice di sapori sorprendente.
Non una sbavatura, non un tentennamento: difficile trovare qualcosa di meglio nel vecchio continente.
Allora l’unico interrogativo che ci sentiamo di porre non è legato alla cucina (splendida) ma alla modalità di offerta: menù fissi chilometrici, tempistiche registrate al secondo, fruizione dei piatti rigida… ha ancora senso tutto questo nel 2015? E’ questo il futuro della ristorazione che vogliamo?
Dove sta la carta? Dove sta la libertà di mangiare prima la salsa e poi il pesce se così ci va? Quanto avanti è stato portato (soprattutto nei grandi ristoranti spagnoli) il confine tra ristoratore e cliente? Quanto quest’ultimo deve sottostare a regole indicate dal primo?
Sono domande che lanciamo sul tavolo, per ragionare e ragionarci insieme, come già abbiamo fatto in passato.
E chissà se una risposta c’è davvero…
Per cominciare, un ottimo Pisco Sour e un Lurasnu.
Abbiamo scelto il menù Machu-Picchu.
Mangiando al bancone si possono vedere in diretta le preparazioni dei piatti.
Honzen Ryori.
Nigiri di calamaro con caviale.
Corn surinagashi (zuppa di mais con dashi).
Tamago-dofu (crema d’uovo), salsa tosazu (salsa a base di fumetto di tonno bonito, alga kombu, salsa di soia e hon mirin) con alga nori e uova di salmone.
Sugarello con cetriolo, gari (sottaceto) e salsa sumiso (salsa a base di miso, pasta di fagioli di soia fermentati e aceto).
Polpo con olluco (un tipo di tubero), edamame and kimchi (verdure fermentate con spezie).
Daikon (ravanello cinese) con “ají amarillo” (peperoncino)
Kumquats con gelatina “leche de tigre” (il succo del ceviche)
Un goccio di sake a ripulire il palato.
Shimesaba (sgombro e aceto) con alga wakame e salsa di soia bianca (shiro-shooyu).
Vegetariano abalone “tiradito”: un fungo, ma la consistenza è molto simile a quella dell’abalone.
Tomato ponzu “leche de tigre” con cozze bouchot (mais tostato e mais).
Usuzukuri di lampuga con yuzukosho (una pasta fermentata fatta con peperoncino, scorze di yuzu e sale).
The Nigiris.
Pauro con alga kombu.
Acciuga fresca con sedano, umeboshi e rocoto (un tipo di peperoncino).
Tartare di ventresca di tonno con chips di yucca.
Questa tipo di cucina si abbina benissimo a tea e infusi, molto buono questo allo zenzero e verbena.
Gambero grigliato.
Ceviche di spigola con “leche de tigre” e mandorle verdi.
The Causas.
Causa floral di tonno con maionese “acevichada” e wasabi kizami.
Causa fritta con pollo and huacatay (pianta della famiglia delle Asteraceae).
Ravioli Xiao Long Bao ripieni di maialino da latte con olio “ají limo” (peperoncini peruviani).
“Sanguchito” (sandwich) di guancia di maiale fritta con sottaceti.
Pesce pappagallo fritto con sale andino.
Soba Cancha chulpi (un tipo di mais) con “leche de tigre ají amarillo” e bottarga.
Per finire:
Lumaca di mare con brodo di pollo e huacatay.
Rock fish con salsa nikkei “escabeche”.
Aged rib eye steak con polvere all’aroma di griglia e salsa béarnaise con chincho (una erba aromatica).
La preprazione di…
…melanzana arrostita con miso e crema di fegato.
Sorbetto Huacatay.
Desserts Honzen Ryori.
Melone con frutto della passione.
Lime con pisco e miele di zucchero di canna.
Sashimi di mango con shiso verde (perilla).
Pesca con miso bruciato.
Insalata di cocco e daikon.
Patate dolci “picarones” con fichi secchi al miele.
Cioccolato Pakta.
La forma: la compostezza ed il rigore di un kaiseki.
La versatilità: gli intriganti sapori ancestrali e l’incredibile biodiversità del cibo peruviano.
È una ”unione” perfetta tra due culture agli antipodi. Purezza da un lato, generosi condimenti e diversi comprimari dall’altro. Parliamo naturalmente della cucina “nikkei”, una delle più in voga oggi.
Pakta, la più rappresentativa tavola a tema dei fratelli Adrià, è probabilmente il miglior ristorante in Europa a proporre questo tipo di cucina.
Il menu Machu-Picchu, il più esaustivo tra gli unici due percorsi proposti, ha due anime. Si apre con assaggi all’insegna della pulizia e dell’estetica degli ingredienti e poi vira, fino a straripare nei colori vivaci, nei profumi e nei sapori pungenti, aggressivi e aromatici del Sudamerica, domati e controbilanciati con intelligenza e bravura.
Rispetto all’altrettanto divertente Tickets, in cui il connubio tra ingredienti e sapori è altrettanto studiato, al Pakta la combinazione dei prodotti presenta un coefficiente di difficoltà decisamente più elevato, considerata la tassatività di dover utilizzare, per la causa, i prodotti peruviani più rappresentativi, come i peperoncini, le patate, la cipolla, il mais, la manioca, il platano, senza però tralasciare i crismi della filosofia estetica, naturale e cerimoniale del kaiseki.
Un paio d’anni fa ci colpì parecchio il fascino di questa fusione di culture gastronomiche, nonché l’incredibile cifra tecnica con la quale veniva messa in pratica. Non un boccone che presentasse difetti, banalità o déjà vu, ad eccezione di alcune tecniche “made in elBulli”, comunque marchio di fabbrica di quello che, per noi, è uno dei più geniali e prolifici cuochi in circolazione.
Albert Adrià con i suoi nuovi progetti ha dimostrato di essere una mente brillante, anche sfuggendo dall’ombra del sommo fratello, attualmente impegnato su altri tavoli, più teorici. Del resto, come ha affermato l’ex sommelier Kristian Brask Thomsen a proposito di Albert Adrià e del Pakta, inserito da Forbes nella stretta cerchia dei 12 posti più “cool” dove mangiare nel 2015: “quell’uomo può prendere qualsiasi cucina e farla sua”.
A distanza di due anni dalla prima visita, i ricordi e le aspettative sono stati confermati, con un percorso quasi tutto nuovo con il quale abbiamo scoperto numerose tecniche o condimenti giapponesi di epoche antiche.
La struttura del menù non è mutata rispetto al passato, sebbene le composizioni differiscano integralmente in base alle stagioni. Jorge Muñoz e Kyoko Li sono a loro agio nell’interpretare le rispettive cucine, peruviana e giapponese, e approfondire l’aspetto creativo, innestando la materia prima locale in piatti che restino quanto più aderenti alla tradizione. E il risultato è sempre sorprendente.
La declinazione in stile street food sul pollo, con il “sanguchito” con maionese di “aji amarillo” e i gyoza piastrati, in una manciata di morsi ti porta da Lima a Kyoto. Parimenti il “calçots” (cipollotto) in tempura da intingere in una salsa romesco o il Gindara “añejo”, un baccalà nero, il cui intenso sapore resta integro al cospetto di miele di carruba, puré di patata, peperoncino giallo e cipollotto, offrono continui rimandi all’Asia e all’America con un’alternanza senza soluzione di continuità.
Abbiamo trovato interessantissimi anche gli abbinamenti di cocktail, birra, vini, sakè e the, studiati con l’obiettivo di allungare il sapore di molte portate.
E visto che, come spesso accade a questi livelli, trovare un pelo nell’uovo diventa una sfida, nel caso del Pakta può essere messa in discussione la politica, o meglio la “cortesia”, di dover avvertire i camerieri ogni qual volta si ha la necessità di dover allontanarsi dal tavolo per le più disparate esigenze. Più di trenta assaggi vengono infatti serviti con ritmi tutt’altro che biblici, ma per consentire che tutto ciò sia possibile, il maître, prima di avviare le danze, vi avvertirà di questa circostanza per poter interrompere le tempistiche della macchina della cucina.
Può essere un problema? Decidete voi.
La postazione per sushi e crudità. Chiedete un posto al bancone per apprezzare la gestualità dei cuochi.
Il menu si apre con il Pisco Sour,con lime, zucchero e albume montato.
Come da tradizione giapponese: Honzen Ryori, composto da:
Tofu di avocado con ricci di mare;
Vongola con salsa al tamarindo e alga nori;
Insalata di olluco (un tubero peruviano) con piselli, brodo di fagioli e kimchi;
Manioca croccante con salsa “huancaina” (fatta con una varietà di peperoncino piccante, latte, olio e formaggio fresco);
Kumquat con gelatina di “leche de tigre” e daikon con “ajì amarillo”;
Il primo sakè servito è il pluripremiato Dewazakura Dewano Sato.
Viene grattugiato del wasabi cristallizzato sulla stracciatella di yuba con tartufo nero.
Si tratta di una pellicola ricavata dal tofu. Piatto neutro che sarebbe stato perfetto con un tartufo più profumato.
Sashimi vegetariano di abalone (fungo ostrica).
Urakasumi Zen.
Un sakè servito freddo.
Temaki di tonno, sichimi (tradizionale mix di spezie tipica delle cucina giapponese) e riso tostato. Il cono croccante è ottenuto bagnando l’alga nori in salsa di soia e zucchero e poi messo nell’essiccatore.
Il duo:
Chips di patata con crema di tartufo nero;
Riccio di mare con salsa ponzu.
Usuzukuri di branzino tagliato sottilissimo con yuzukosho (una pasta fermentata fatta con peperoncino, scorze di yuzu e sale).
I fantastici Nigiri:
Seppia con salsa “acevichada”. Favoloso boccone.
Tonno marinato nello Zuke, una antica tecnica risalente alla metà del XIX secolo con la quale veniva preservata la parte grassa del tonno (ventresca) al momento in cui il colore rosso iniziava ad ossidarsi. Il pesce viene immerso per pochi secondi nel “nikiri shoyu”, una miscela fatta da salsa di soia e sakè, portato ad ebollizione, e poi tuffato in acqua fredda. Quindi riportato a temperatura ambiente e lasciato riposare per mezz’ora, per poi essere tagliato. Secondo il mitico Jiro Ono lo Zuke dona l’umami ed arricchisce il sapore del pesce.
Eccezionale zenzero marinato.
Chicha Sin, un soft drink peruviano fatto con il mais viola.
Il fantastico cheviche invernale: paradigma della cucina nikkei. L’equilibrio fatto a piatto. Un gioco di contrasti terreni tra l’ingrediente giapponese (fungo shitake), quello peruviano (mais croccante e crema di patata) ed il freschissimo branzino locale. Davvero eccellente.
La Causa:
Calamaretto, salsa all’ostrica e lime con “mentaiko”, ovvero uova di branzino marinate con elementi piccanti.
Pollo fritto e “huacatay”, una maionese alle erbe (tipiche del Perù).
Una eccellente IPA olandese, Amarillo del birrificio De Molen. Si sposerà a meraviglia con…
…la variazione sul pollo tra Perù e Giappone.
Il “sanguchito” di pollo grigliato. Un tipico sandwich dello street food peruviano, servito con maionese di ajì amarillo si alterna..
..ai fantastici gyoza con pollo stufato, in uno dei passaggi più entusiasmanti del menu. Un piede a Lima ed uno Kyoto.
Si passa alla tempura. In questo caso si tratta del “calçots”, un cipollotto autoctono, da intingere nella salsa romesco.
Chulpe soba. Ancora una volta una concretissima fusion: gli spaghetti sono di mais
e la salsa è fatta con soia, limone e olio al coriandolo.
Piatto da autopreparare al tavolo.
Per finire: ceviche amazzonico. Un piatto caldo, con il pesce cotto velocemente dentro la foglia di banana. La croccantezza finale viene dagli arachidi tostati. Grandissima variante invernale del famoso piatto peruviano.
Un buon Gewurztraminer austiaco Nikolaihof accompagna il…
…Gindara “añejo”. Altro piatto di grande equilibrio.
Il piatto principale di carne: costata di vacca galiziana con polvere di “grigliata”. Nella sua semplicità, favolosa materia prima e grandissima cottura.
Un altro piatto popolare giapponese. Il “Furofuki”, ovvero un daikon bollito con alga kelp e miso, con crema al foie gras. Un sorbetto più dolce che acido.
Per i dessert, si riparte da dove si è cominciato: Honzen Ryori.
Nel dettaglio, Meringa allo yuzu;
Sandwich di mango;
Mochi con more selvatiche e panna;
Flan alla salsa di soia;
Tronco di cannella con crema al mais.
A chiudere i golosissimi “ningyo-yaki” alla crema di banana;
Piccola pasticceria: wild quinoa al cioccolato;
Ultimo abbinamento: Umeshu Choya, liquore di Ume (una prugna giapponese);
Pakta bonbon al the verde e yuzu. Eccellenti.
“Abbiamo dovuto uccidere la bestia. Dopo tanti anni, avevamo paura che la passione morisse”.
Lo disse qualche tempo fa Albert Adrià. Parlava del Bulli, ovviamente. Per fortuna, però, lui e il fratello si erano sbagliati di grosso. La loro passione per la cucina non è mai stata accesa come adesso.
Tutto ciò che si può scrivere oggi su Ferran Adrià, dopo tutto quello che è stato detto, scritto e pensato da quando il genio catalano è entrato in scena cambiando radicalmente il volto della cucina creativa mondiale, potrebbe essere retorico. È dato certo che in pochi hanno avuto il privilegio di provare la sua cucina.
Sedere ad uno dei tavoli nel leggendario ristorante di Cala Montjoi è stato per molti, compresi alcuni di noi, un miraggio di indefinita durata. Non nascondiamo che, per chi non c’è riuscito, la mancanza di un’esperienza gastronomica di tale peso resterà forse il più incolmabile cruccio di questa passione.
Data l’impossibilità, almeno per ora, di mangiare in quel luogo, i geniali fratelli di Roses hanno trovato una degna soluzione: la cucina esperienziale di El Bulli in un contesto raccolto, informale, innovativo e singolare, nella città catalana per eccellenza. Semplice e geniale. E non poteva essere altrimenti.
Così, a due anni dall’ultima cena servita nel più famoso ristorante dell’ultimo ventennio, ha visto la luce l’impero gastronomico di Albert Adrià che, con ben quattro (ma fra poco ne verrà alla luce un quinto) locali diversi, si sta imponendo come il nuovo re Mida della ristorazione mondiale. E, chiariamo, non è solo una questione di nome se Tickets e compagnia bella sono in overbooking tutto l’anno.
Tra tutte le sue nuove e geniali creature, merita grande considerazione il 41° Experience che ci aveva già impressionato lo scorso anno.
Ubicato in Avinguda del Paral-lel, la strada che coincide con il 41°22’34” parallelo terrestre nord, questo non è un semplice ristorante ma una vera e propria esperienza sensoriale a 360 gradi partorita da una mente perfezionista. Basta accaparrarsi, con largo anticipo, sul web uno degli otto tavolini (non è impresa difficilissima ma tocca pagare una discutibile caparra) per vivere l’essenza di un’esperienza gustativa, olfattiva, tattile, uditiva e visiva totalizzante e farsi un’esaustiva idea di cosa sia la tanto acclamata avanguardia culinaria. Tutto ciò in uno spazio piccolissimo ma confortevole, un vero e proprio cocktail bar.
Sedici coperti, un solo menù.
Del Bulli sono rimasti qualche piatto memorabile che ne ha fatto la storia, ma soprattutto lo spirito e parte del team creativo tra i quali il geniale direttore creativo argentino Sebastiàn Mazzola, ancora poco conosciuto, ma del quale si sentirà parlare nell’imminente futuro. Insieme ad Albert sono anche i creatori dell’originalissimo Pakta, che fa cucina “nikkei”, un ibrido tra la cultura giapponese e quella peruviana.
L’ambiente sembra, d’impatto, crepuscolare, ma una serie indefinita e confusa di immagini proiettate su 20.000 lastre di cristallo pendenti dal soffitto crea un’atmosfera rilassata, calda, quasi ipnotica cui ci si abitua col passare del tempo. Si tratta di un’installazione conosciuta come “Frosted Rain”, opera dell’artista spagnolo Javier Milara.
Le immagini sono accompagnate da un sottofondo musicale che muta al mutare delle portate, dando la sensazione di stare seduti all’interno di un’installazione artistica.
Questo è, più o meno, quello che si trova e vi aspetta al “Quarantunesimo”.
Tutto secondario al cospetto dei piatti-assaggi che vi arriveranno sotto gli occhi. Preparazioni di pochi centimetri di diametro, ogni piatto è un piccolo scrigno che custodisce una supernova di sapori.
Solo al momento dell’assaggio si può avere un’idea della rivoluzione culinaria degli Adrià.
Freddo, caldo, freddo, dolce, amaro, freddo, piccante, carne, pesce, frutta, poi pesce, ancora carne, infine dolce. Una palestra per il palato che azzera, o forse ridefinisce, i canoni delle priorità degli ingredienti a tavola.
Quarantuno portate per un totale di una cinquantina di snack, suddivisi in “paesaggi” geografici di tutto il mondo innestati in un preciso contesto stagionale (nel nostro caso “l’autunno”). Una cucina che consente al commensale di viaggiare tra terre e sapori che spaziano dalla rivisitazione di piatti e ingredienti simbolici della cultura italiana, alla tradizione scandinava, passando per il Messico e il Perù, spingendosi fino al Giappone, al Vietnam e alla Thailandia, senza mai trascurare, ovviamente, la tradizione catalana e i sapori mediterranei. In alternanza verranno serviti cocktail, vini e birre. Anche il mariage cibo-bevande è studiato nei minimi dettagli, così come le singolari, bellissime stoviglie, parte integrante delle creazioni.
E poi c’è il servizio, capace di garantire il medesimo lasso di tempo – circa 4 minuti di attesa – tra un piatto e l’altro (avvertiteli se dovete assentare), sempre pronto a pulire il vostro tavolino ed eliminare ogni briciola dopo ogni portata.
Un servizio realmente su misura. Corale, preparato, multilingue (il nostro cameriere parlava benissimo anche l’italiano) e pronto a raccontare ogni minimo dettaglio del singolo piatto, nonché la storia dietro l’idea, contribuendo attivamente a rendere quella del 41° un’esperienza davvero unica, da fare almeno una volta nella vita.
Picnic Cocktail, a base di fiori di sambuco e more.
Paesaggio autunnale: ricordiamo lamponi caramellati con wasabi, pistacchio con miele di pistacchio; uva con lime e timo.
Pere infuse in succo di barbabietola e arancia.
Perla al sesamo nero.
Olive ripiene di acciughe (un classico del Bulli).
Cozze marinate con patate soffiate e polvere di salsa “espinaler”.
Vermouth.
Con il “pizzicato five” (omaggio ad un gruppo pop giapponese la cui musica era in sottofondo) arrivano le chips piccanti di tentacoli di piovra e mais…
…e alghe croccanti con quinoa.
Inizia il viaggio in Italia con la divertente mini burrata fatta in casa (che pecca solo di una accentuata sapidità della pasta filata)…
…e la rivisitazione in perfetto stile “bulliano” della pizza che sprigiona prima olfattivamente, poi in bocca, ogni singolo ingrediente (pomodoro, mozzarella disidratata, gelatina di olio d’oliva e basilico fresco).
Chiude il trittico italico il gustoso sottobosco autunnale: porcini disidratati e cannolo con crema di parmigiano.
Si fa un passo nel passato al Bulli anno 2004: air baguette con prosciutto iberico gran riserva “Joselito”.
Inizia il “paesaggio nordico” con il fantastico salmone affumicato con uova di salmone e panna acida, adagiati su una pellicola che nasconde un fumo di pino molto denso.
Accompagnato da un succo di frutti rossi.
“Shot Caviar”: variazione di uova con caviale beluga, nocciola e melanzana.
Toast and carrots. Ecco le carotine baby…
e il toast con carne cruda, scalogni, aneto e caprino.
Dai toni freddi a quelli calienti: ecco il “paesaggio messicano”: tequila sferica…
…accompagnata da succo di agave.
Una birra spagnola: Shipa India Pale Ale…
…accompagna l’eccezionale taco coni gamberi “aguachile” (peperoni, lime e cipolle).
Si va in Vietnam: il panino Banh Mi, farcito con maialino iberico cotto per 36 ore. Non siamo nemmeno a metà, ma da qui inizia il meglio della cena.
Ecco il Perù. Un fantastico cocktail rivisitato: l’atahualpa 2.0 (Cachaca, ananas, pesca, zucchero e lime).
Ceviche norteno.
Uno dei paesaggi migliori, quello giapponese. Si parte con il pregiatissimo sakè Sohomare Kimoto Junmai Ginjo.
Temaki fritto ai ricci di mare. Boccone di puro piacere.
Anelli di cannolicchi con salsa di soia. La tradizione delle tapas incontra il Giappone con un’eterea tempura.
Cannolicchio che viene riproposto in un’altra raffinatissima preparazione, in scapece con ciccioli di maiale.
La vetta più alta del piacere si tocca con il “paesaggio Thai”. Magnifica la zuppa di calamari e insalata di mango.
Il delizioso agnello piccante.
Per la serie le sorprese non finiscono mai.. udite udite, è l’ottimo Frappato di Cos ad accompagnare…
…il “mountain fideua”, ricetta andalusa mari e monti, a base di tipici funghi spagnoli (simili ai finferli) e seppia tagliata tipo vermicelli.
Pane, formaggio e tartufo bianco d’Alba.
Un calice di Palo Cortado Vors trentennale accompagna l’ultimo boccone salato.
La tartelletta al foie gras e mandorle.
Si apre lo show dei desserts. Entra la postazione mobile di ghiaccio e azoto liquido…
…per il Nitro Pineapple: una crema di vaniglia, ananas e rhum trasformata in gelato espresso.
Seguito da una micro pesca disidratata al mango. Esplosione di piacere.
Fichi.
Oroley Martini. Fatto con una qualità oro della Lavazza.
Banana Musubi.
Nido al passion fruit, anch’esso esplosivo.
Non una cupcake ma una incredibile torta al limone. Con il pirottino che è in verità una finissima pellicola di zucchero.
Si chiude con i cioccolatini.
Nel 1898 i primi cittadini giapponesi emigrarono in Perù con al seguito i loro prodotti e le proprie tecniche di cucina. Da quel momento si unirono ai colori e ai sapori della cucina peruviana. Agli inizi degli anni ‘80 nasce la cucina Nikkei, frutto dell’unione delle due culture, diversissime tra loro.
Crediamo che queste parole siano perfette per introdurre la spirito del Pakta, che nella lingua Quecha originaria del Perù vuol dire proprio “unione”, la filosofia di questo locale.
E’ l’ennesimo, originalissimo progetto dei fratelli Adrià a Barcellona, fortemente voluto dopo la folgorazione per la cultura asiatica e per la varietà dei prodotti e delle marinature scoperti in Sudamerica. Aperto nella primavera 2013, Albert Adrià è coinvolto in prima persona e cura interamente il menù, con il contributo del geniale direttore creativo argentino Sebastiàn Mazzola, chef del 41° Experience, ma soprattutto con due chef che garantiscono l’autenticità, sotto il profilo tecnico e filologico, delle preparazioni. Al banco sushi troviamo la nipponica Kyoko Li, mentre tra i fornelli della piccola cucina in coda alla sala c’è lo chef peruviano Jorge Muñoz: entrambi sono coadiuvati da cinque collaboratori a testa. Anche in sala il servizio multietnico (peruviani e spagnoli) è preciso, gentilissimo e professionale, come c’è capitato di trovare in tutti i ristoranti dei fratelli Adrià.
L’ambiente è raccolto e l’atmosfera è molto calda: predomina il legno che ricorda l’estetica giapponese, ma la caratteristica principale dell’ambiente sono i telai multicolore che percorrono tutta la sala, conferendo alla stessa i vivaci lineamenti peruviani.
Quanto alla cucina, prima ancora di apprezzare un originalissimo stile fusion con essenziali tocchi alla Adrià, si registrano una serie di dettagli infinitesimali su ogni singolo elemento all’interno e al di fuori di ogni piatto: porcellane giapponesi autentiche, posate specifiche per ogni portata, presentazioni sceniche ma mai banali e tanta, tantissima sostanza. La gastronomia molecolare si intravede soltanto, perché quasi tutte le preparazioni sono frutto di cotture millimetriche da grande cucina classica.
Non c’è la carta, ma due menù: Fujiyama e Machu-Picchu. La sola differenza che il primo prevede nove portate e non è nient’altro che un “best of” del secondo che ne prevede ben quindici. E se la sequenza iniziale del percorso può far storcere il naso a qualcuno, per i contrasti nelle temperature e il solo assemblaggio dei pur grandi prodotti ittici locali e degli ortaggi sudamericani, nella seconda serie di portate Adrià & Co. sfoggiano prepotentemente il loro (elevatissimo) tasso tecnico tra i fornelli. L’inarrivabile tempura di funghi o la triglia panata col panko ci fanno capire che la grandezza di un cuoco non può prescindere da straordinarie basi tecniche. Si susseguono piatti che alternano sapori freschi e profumati con risvolti eleganti, ma che non rinunciano ad essere molto golosi e sempre all’insegna di una sorprendente leggerezza. Un luna park per il gourmet, ma anche per il gourmand.
Impressiona l’intesa tra cucina e servizio che porta a tempi di attesa pressoché nulli.
Anche qui, per ragioni di servizio, come al 41° Experience o a El Bulli, assentarsi per qualche istante implica la necessità di avvisare i camerieri che, a loro volta, provvederanno ad avvisare la cucina.
A nostro avviso, un grande ristorante che ben presto sarà sulla bocca di tutti.
Il percorso è suddiviso in “atti”. Si parte dalla cultura giapponese con una sequenza di preparazioni in stile Kaiseki, ma con una combinazione di sapori e ingredienti nippo-peruviani.
Honzen Ryori
Crema di mais e caviale. Dolce e iodato. Piacevolissimo.
Capasanta cruda con salsa chalaca (tipica salsa di Lima con mais marinato al lime).
Tofu di avocado con ricci di mare, yuzu e wasabi. Viene servito un cucchiaio di legno asettico, per non intaccare il sapore definito degli elementi. Tipici sapori giapponesi.
Melanzana al carbone con kimizu (sorta di maionese con dashi e aceto di riso).
“Olluco” (patata) alla “huancaína”. Piatto tipico della cucina criolla peruviana. La salsa è fatta con latte, peperoncini e formaggio. E’ la preparazione che chiude (in dolcezza) il ryori.
Nikkei Chilcano. Tofu fritto con carote e un intenso brodo di pesce. Il tofu si scioglie in bocca.
Vongole crude con salsa “tozazu”, alghe wakeme e umibudo (detta anche uva di mare, tipica di Okinawa).
Ecco il signature dish di Albert Adrià: il fantastico Ceviche di ricciola con kumquats “leche de tigre” (latte e succo di arancia), arachidi e cipolla. Una combinazione dalle tonalità sudamericane, fresco ed intrigante.
Inizia il secondo atto: The causas.
Due assaggi, l’eccellente boccone di piovra con olive nere sferificate e quinoa fritta…
…e il goloso pollo fritto con “ocopa sauce”, salsa a base di formaggio e huacatay (erba aromatica peruviana).
Te-maki di tonno con alga nori croccante e shichimi. L’alga è croccante e viene utilizzata come un crostino per il tonno.
Atto terzo: i Nigiri.
Tonno con wasabi fresco grattugiato al momento (tutta un’altra storia), seppia con sale allo huacatay, Mahi-mahi (lampugna) con salsa umeboshi. Semplicemente perfetta la temperatura del riso e grande qualità del pescato. Si chiude con una gelatina allo yuzu per rinfrescare il palato.
Soba con una salsa di ponzu, pomodoro e olio all’huacatay.
Piatto condito.
La fantastica tempura di funghi e purea di patate e funghi. Il fungo è praticamente integro all’interno della pastella.
I gyoza grigliati ripieni di maialino iberico.
Per finire: il gambero rosso al fumo di pino è magistrale per qualità del crostaceo ed equilibrio di sapori. Viene presentato in un cartoccio di bamboo e viene servito una polvere di gamberi e lime.
Dettaglio..
Ecco il gambero nascosto, appena cotto.
E questo è il risultato finale nel piatto.
Tecnicamente ineccepibile la triglia con salsa al tamarillo “escabeche” che il commensale sfiletta direttamente con il cucchiaio.
Pregevolissimo.
Si passa alla carne con il filetto di Wagyu grigliato con salsa al miso. Si tratta della famosa razza giapponese cresciuta in territorio spagnolo. Ottimo.
“Arroz con pato”: ennesima rivisitazione di una ricetta della tradizione peruviana, il riso all’anatra. Qui presentata in un cannolo contenente un risotto alle erbe. Buono, anche se forse è il piatto che satura con più velocità le papille gustive.
Chiudiamo con il nigiri al foie gras fiammato.
Per i dessert si ricomincia da dove avevamo iniziato: Honzen Ryori.
Picarones di patate dolci con miele e cannella, bombon di banana con gelatina di umeshu (liquore giapponese), mango ghiacciato con verbena.
“Shikwasa Suri”: fantastici marshmallow di limone e cioccolato.
Fichi con zuppa allo zenzero e tofu di mandorle.
Meringhe al frutto della passione con gelato al “dulce de leche”…
…e Pisco (liquore peruviano).
Post dessert: cioccolato bianco e the verde con sakura e caramella gommosa allo yuzu.
Banco sushi con chef all’opera.
La cucina.
Le corde colorate.
Ingresso.