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Takazawa

Un grande connubio tra la concezione occidentale dei piatti con ingredienti e precisione tutte giapponesi.

Una porta di vetro sulla strada, una scalinata da cui si accede a un’unica e raccolta sala, dove tre tavoli, per un totale di soli dieci posti, più un minuscolo guéridon di disimpegno in un angolo e un bancone sullo sfondo, costituiscono lo ieratico e asciutto impianto teatrale dove Yoshiaki Takazawa officia il suo personale culto gastronomico.

Qui scrupoloso rigore e meticolosa manualità, tutte giapponesi, permeano uno stile di cucina chiaramente occidentale, donando al concetto di fusion un’accezione convincente e significativa.

Al bancone che domina la sala, lo chef, utilizzando selezionatissimi ingredienti provenienti da ogni parte del Sol levante, rifinisce e assembla i piatti completando quanto preparato dalla cucina retrostante, fornendo una personale, a tratti eccezionale, visione di una cucina moderna dalla compostezza marcatamente nipponica.

Il menù degustazione (unica opzione contemplata), che si avvale di molti piatti storici rigorosamente contrassegnati con l’anno della loro immissione in carta, offre una panoramica esauriente della versatilità dello chef.

All’interno del percorso alcune presentazioni come il parfait vegetale, la ratatouille di verdure confezionata con certosina attenzione o la tartare di cervo con riccio di mare rappresentano impeccabili cesellature che certificano senza ombra di dubbio la grande abilità di un artigiano che si è saputo creare un’oasi personale all’interno della sterminata offerta ristorativa di Tokyo.

Non è possibile, però, evitare di sottolineare questa volta alcune discontinuità all’interno della sequenza del menù, sia stilistiche, come la reiterazione del tartufo nero in ben tre portate consecutive (tra cui il fin troppo genuino, quasi naif, Breakafast at Takazawa), che riguardanti la vera e propria concezione di un piatto, come nel caso dello spring roll in cui il gambero avvolto in pasta di riso e verdure è pensato per essere intinto in una salsa di arachidi, pistacchio e peperoncino di infelice e stucchevole grassezza.

In tutte le portate traspare però una tecnica impeccabile applicata a un’estetica notevolissima che fanno di Takazawa una valida possibilità per chiunque voglia avere un’idea di come la matrice occidentale, assimilata in varie esperienze che lo chef ha maturato in cucine filo francesi del suo paese, possa abbinarsi a esecuzione e precisione giapponesi, in un contesto di raro fascino.

Impossibile non menzionare a tal proposito la grazia e la gentilezza di miss Akiko Takazawa, moglie dello chef, che, dotata di un ottimo inglese, saprà accompagnarvi per tutta la serata da vera padrona di casa.