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Rijks

“Giovani forchette alla riscossa. In questo spazio di PG, raccogliamo dunque testimonianze, racconti, itinerari e segnalazioni di giovani penne dall’attitudine ‘buongustaia’, che autonomamente hanno trovato affinità con il nostro approccio. Non sarà consentito loro, per ora, di esprimere un voto, ma solo commenti e descrizioni della loro esperienza. Il canale ‘Young Forks’: ai giovani parole e forchette, a voi la lettura”

Quando l’arte non si trova solo all’interno del museo

All’interno del Rijks Museum di Amsterdam, il museo nazionale che ospita diverse opere d’arte fiamminga, si trova il Rijks, il ristorante capitanato dagli chef Joris Bijdendijk e Ivan Beusink.

La sua identità è molto chiara: intensità dei sapori nei piatti ed un tocco decisamente orientale. Fenomenale il Gazpacho verde con burrata, avocado e melograno in apertura, con un’acidità che invoglia a svuotare il piatto in un baleno. La Coscia di Poulet Noir al vapore, riso croccante, spuma di yogurt di capra e salsa “butter chicken” conferma la vivacità di sapori ritrovata nel gazpacho, annullata purtroppo con la salsa di accompagnamento di ispirazione indiana al masala. L’unica portata sottotono è un dessert dai toni vegetali: Rapa rossa in crosta di sale, macaron alla mandorla, ibisco e mousse alla rapa rossa. Qui la rapa rossa non riesce a risaltare nel piatto, come avrebbe invece potuto fare con l’aggiunta di un pizzico di sale in più.

In chiusura, il dolce Es Buah è altrettanto esagerato come l’apertura. Crema leggera con frutto della passione, guava, mata-mata e nata de coco, dove leggerezza e intensità si sposano in un matrimonio perfetto. L’unica pecca è la “frenesia” nel servizio dovuta alla vicinanza al museo e all’elevato numero di coperti, che ne possono causare talvolta qualche sbavatura. Ciononostante la cucina è indiscutibilmente ad altissimi livelli.

“Giovani forchette alla riscossa. In questo spazio di PG, raccogliamo dunque testimonianze, racconti, itinerari e segnalazioni di giovani penne dall’attitudine ‘buongustaia’, che autonomamente hanno trovato affinità con il nostro approccio. Non sarà consentito loro, per ora, di esprimere un voto, ma solo commenti e descrizioni della loro esperienza. Il canale ‘Young Forks’: ai giovani parole e forchette, a voi la lettura”

C’è una grande passione per il mondo vegetale al Bolenius, ristorante olandese con giardino e orto annesso.  Lo si capisce subito con l’ottima accoglienza di amuse bouche dal sapore deciso e da un sorprendente uovo di quaglia con una spuma di asparago bianco adornata da foglia d’oro. Il pranzo prosegue fra alti e bassi. Notevole è l’utilizzo di verdure di stagione e il rispetto dei sapori autentici delle materie prime. Sono da rivedere, invece, alcune cotture, soprattutto di halibut e agnello, e il “signature dish” dello chef Luc Kusters, Kitchen Garden from Zuidas (composizione di 17 ingredienti differenti provenienti dal giardino), convincente solamente nelle consistenze. Gli accostamenti nei piatti sono nel complesso ben riusciti. Il dessert in chiusura, Licorice / pear / parnsip / chocolate / coffee, è particolarmente avvolgente, anche se denota una consistenza un po’ troppo “gommosa”; in ogni caso golosità ai massimi livelli.

Consigliamo, comunque, un menu totalmente vegetariano, di sicuro non rimpiangerete questa scelta.

Eugenio Boer, se fosse presente nel bellissimo libro “Giovani & Audaci, cronaca semi-seria della nouvelle vague Italiana in cucina” sarebbe sicuramente catalogato come “duro”.
All’apparenza l’uomo Denim, che non deve chiedere mai. Ma, dietro la scorza possente, nasconde un animo sensibile e tutt’altro che rigido e cazzuto.
Quando poi ti parla, spesso scivola nel suo accento ligure, tramandato dalla madre, che mette in ombra la sua anima da biker maledetto, proveniente direttamente dai sobborghi di Amsterdam, in Olanda, sua seconda patria.

E tu sorridi, perchè la sua cucina è lo specchio di tutto questo. Sembra quello che non è. Ed è ciò che non sembra.

Sembra moderna, à la page, alquanto trendy. Quasi non fosse chiaro che ci troviamo nel suo ristorante a Milano, potremmo essere nei Paesi Bassi, come in Australia o California.
Poi invece la affronti, la sfogli come una cipolla, vai appunto all’essenza e scopri una cucina personale, con una timbrica classica davvero importante. Qui salse, fondi, riduzioni, concentrazioni di sapori passano attraverso il veicolo del più esasperato classicismo d’oltralpe, ma non solo.
Gran classe ed eleganza, uso imperioso di componenti lipidiche, ben addomesticate, sapori maschi e ben distinti, intensi. Una cucina certamente importante, d’altra parte Eugenio è il primo a dirvi che al suo ristorante si mangia, e si mangia davvero!
Ma questo non preclude a questa realtà una sorta di eleganza di fondo, di accuratezza nel senso delle proporzioni, di visione moderna di preparazioni classiche che ci fanno certamente affermare che questo cuoco è sicuramente un personaggio che lascia il segno, la sua impronta, su tutto il suo operato.

Se volessimo fare qualche piccolissimo appunto, potremmo solo dirvi che non è fatta per percorsi chilometrici, ma questo potrebbe essere anche un pregio, e sopratutto potremmo dirvi che, per spiccare decisamente e definitivamente il volo verso l’alto olimpo, si potrebbe risparmiare qualche reiterazione stilistica (la “grattugiata” in molti piatti, seppur di derivazione ed elementi differenti, e lo stile d’impiatto per citare due esempi).

Ma qui, in questo momento, siamo al cospetto di un luogo tra i più interessanti presenti a Milano oggi, certamente nella nostra personale top five. Questo anche grazie ad un servizio, c’è da dirlo, giovane, spigliato, divertente, ma molto preciso e professionale. Forse solo un pochino in affanno, dicono le nostre varie visite, a locale pieno.

Ma questo è un posto da tenere ben presente sul vostro taccuino gourmet, fidatevi!

Il Nostro Benvenuto: il percorso dello chef in cinque piccoli ricordi.
benvenuto, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
benvenuto, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
L’ottimo pane.
pane, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Il primo compagno di viaggio.
vino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Canederli: brodo ristretto di legno di castagno, canederli di spinaci, funghi pioppini e castagne crude.
canederli, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Finferli: bavarese di finferli, aceto di sidro, blu del Moncenisio e semi di zucca.
fingerli, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Quaglie, Prugne: quaglia, umeboshi, nocciole del Piemonte, sedano rapa e foie gras.
quaglie, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Autunno: cappellaccio di pasta fresca alle castagne, zucca alla mantovana, porcini, jus di terra, topinambur e un terriccio di funghi ed erbe.
cappellaccio, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Altro compagno di avventura…
vino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Carpa alla brace: tortelloni di segale, zabaione all’aneto, patate rosse alla panna acida e mele.
carpa, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Lièvre à la Royale: tagliatelle di pasta fresca al civet, ragout di lepre, foie gras e tartufo nero.
lieve, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Fantastico questo pinot grigio di Princic…
vino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Risotto alle lumache: lumache, aglio nero, prezzemolo e ribes.
risotto, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Storione: kefir, spinaci, olivello spinoso e caviale.storione, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Un altro vino in accompagnamento…
vino, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Cassoeula: verze e maiale.
cassoeula, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Cassoeula, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Sud.
sud, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Pollution: liquirizia, sesamo nero e cioccolato fondente affumicato.
pollution, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
pollution, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Qualche scorcio…
Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano
Essenza, Chef Eugenio Boer, Milano


Zwolle è la tipica cittadina olandese, graziosa, tranquilla e, grazie ai suoi canali, piena di scorci pittoreschi, con un ritmo placido da laboriosa provincia. Siamo a un passo dalla Germania e a mezzo passo da tante città dell’Olanda, vero e proprio giardino nel centro dell’Europa.

In un luogo ameno come questo Jonnie e Theresa Boer hanno stabilito la sede del loro piccolo impero gastronomico: nell’ordine c’è il ristorante tristellato fulcro del loro asset, poi un albergo aperto da pochi anni dove, al posto di un vecchio e storico carcere femminile, hanno ricavato una risorsa di lusso con camere, infine il wine bar, diversi punti vendita con le leccornie create dai Boer e il bistrot (stellato anche lui, ma questa volta solo “bi”) De Librije Zusie, ovvero la “sorellina”: qui, in un clima informale, vengono riproposti i vecchi piatti della casa madre. Nei Paesi Bassi Jonnie gode di una notevole popolarità grazie ai suoi molteplici impegni televisivi, ma la sua sovraesposizione mediatica non ha affatto compromesso l’efficacia e l’interesse di una cucina piena di fermento. La sala fa sfoggio di un arredo dallo stile vagamente medievale, con drappi, megalampadari e camini che ci ricordano il luogo in cui ci troviamo: la biblioteca di un vecchio monastero.

Qui Jonnie Boer, tipo gioviale e assai alla mano, prende anche le comande e con appassionato fervore spiega alcuni dettagli dei suoi piatti, fornendo anche interessanti annotazioni, come quella sull’approvvigionamento delle anatre rigorosamente selvatiche. Quelle d’allevamento vengono sì utilizzate, ma solo come richiamo per le anatre selvagge che sorvolano il territorio olandese nel passaggio che dalla Russia le porta (forse) ai paesi caldi. Una volta atterrate nei pressi di uno stagno limitrofo alla città di Zwolle vengono incanalate in uno stretto cunicolo, dove diventano facile preda del cacciatore che rifornisce il ristorante. Alla fine di tanta fatica, nasce, in effetti, uno dei piatti migliori di una cucina che può vantare uno stile che ai più può apparire assolutamente moderno.

I capisaldi di partenza, in verità, sono molto classici come anatra, foie, ostriche, scampi e sogliole, che fungono da solido substrato su cui lo chef applica estrosamente tecniche e associazioni non propriamente o prettamente nordiche.

Siamo di fronte a una modernità “sui generis” che, affondando le sue radici nella storia e nella tradizione, cerca ostentatamente di oltrepassarle, offrendo una propria chiave di lettura attraverso la leggerezza, vero passepartout delle cucine attuali. Sintomatico di questo concetto un piatto semplice come l’appetizer di pesce gatto, il cibo da strada della memoria di Jonnie Boer, oppure l’accompagnamento goloso di funghi ed erbe dello splendido manzo la cui cottura, o scottatura, viene effettuata al tavolo. Il percorso ideato è stato di rara piacevolezza dall’inizio alla fine, ma sono probabilmente mancati quei picchi, quegli stimoli che ti fanno sussultare. Non a caso abbiamo parlato di estro e non di genialità.

La costanza, però, del livello dei piatti lungo tutta la durata del pasto è stata comunque così elevata da far apparire il De Librije come un degno appartenente alle grandi tavole d’Europa.

Ingresso

Mise en place

Servizio del burro e dell’olio.

Pane da cuocere

Pane cotto accompagnato da formaggio di capra all’uva, buono e con una sorprendente nota acida.

Brandade di halibut, arancia, olio di albicocca.

Pesce gatto con pelle di pollo croccante e con alghe e limone, molto basic.

Insalata con erba cipollina, tartare di manzo, crema di ostrica ed erba ostrica, servita in modo naif. La “zampa” in questione è quella di Fabio Fiorillo con me al tavolo.

Pan brioche con formaggio e funghi Maitake.

Foie, carota fermentata (dalla opportuna e piacevole nota agrumata), magnolia e formaggio di capra.

Oyster on the beach: Ostrica, noci, salicornia, foie, barbabietola e schiuma alle erbe.

Scampi versione new Style con succo di cavoli, zucca, cardamomo e granella di pistacchio.

Scampi old style con crema di fagiolini, curry e quinoa, decisamente più asiatico. Entrambe le versioni ottime e ricche di carattere.

Merluzzo, nocciole crude, spratto, infuso dei fiori di topinambur, piatto di eleganza e compiutezza rimarchevoli.

Filetti di capesante alla piastra, essenza di sedano rapa affumicato, aglio nero. La nota affumicata dona un nuovo e interessante significato alla capasanta.

Sogliola, gamberetti, capesante, fumetto con verdure (e panna). Piatto la cui matrice è decisamente spostata 3-400 km più a occidente.

Rana pescatrice, bacon, brodo di aringhe marinate e sottaceto con levistico. Qui si torna immediatamente nel territorio.

Manzo appena scottato su pietra a 140° coperta da polvere di porcini essiccati…

…e adagiata su insalata di funghi, cavolfiore, salsa di erbe di campo (meadowsweet). Efficacemente golosa.

Anatra, olive, mais e cavolo.

Lepre a la royale Jonnie Boer style con salsa di cavolo rosso. Molti grandi ristoranti hanno una versione di questo piatto e questa ne è un buon esempio. La salsa forse alleggerisce e stempera un po’ troppo.

Waffles, foie, formaggio di capra e gelato di barbabietola.

Rognone di coniglio, epoisse e patate.

Torta di mele destrutturata. Divertente, ma non incisiva. Poco più che un gioco, appunto.

Thai “red curry”, mango, ananas e “ginger beer”. Fresca e coerente chiusura speziata.

Ammiccanti petit fours al mango e frutto della passione

Variazione con mandorle salate e cioccolato bianco.

Cioccolatini alla liquirizia e porcini

Liquore all’uovo con pera e cannella.

Una sicurezza.

Sala.

“Spaccio” nel paese.

Il “monastero” dei Boer.

Recensione ristorante.

Tanto tempo fa, agli inizi della mia carriera lavorativa, mi trovai per caso in centro a Roma all’ora di pranzo, con l’allora mio capo e mentore. Lui, di un’altra generazione, era abituato all’utilizzo del passaparola per la scelta del ristorante. D’altra parte internet era allora solo una BBS utilizzata da qualche università americana e non altro. Ci avvicinammo ad un vigile, il mio capo chiese : “Dove si mangia bene qui in zona ?”. “Guardi”, ci rispose, “Vada in quel ristorantino all’angolo, cucina casalinga ma ben fatta”. Mangiammo male, molto male, a tal punto che il mio capo si affrettò a tornare dal vigile e, con tono aspro e risentito, affermò : “La si mangia cucina casalinga, come a casa sua immagino … beh, a casa sua si mangia molto male!”.
Perché questo prologo ? Perché sono stanco di incappare, ma forse un po’ masochisticamente me le cerco, in queste iniziative, più o meno moderne, più o meno casalinghe, più o meno a km 0 (si, anche qui in olanda che se per sbaglio sei su un’isoletta col cavolo che riesci a fare pomodori in idrocoltura!), più o meno “no frills”. Una iniziativa tanto pubblicizzata, in cui si racconta di tanta sostanza, anche se la musa ispiratrice, tal Marije Vogelzang di fuffa ne dispensa parecchia, ad occhio.
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