Prenotare in un grande ristorante di Tokyo, si sa, è impresa ardua. Se poi l’ambizione è di trovare posto in uno dei più ambiti come Sushi Saito che, oltre a offrire (pare) una qualità straordinaria, richiede anche una spesa decisamente inferiore alla media, è indispensabile dotarsi di un “piano B”.
Ci abbiamo provato anche questa volta senza successo, da Saito, nonostante il prodigarsi del nostro referente in loco, ma mai scelta di un’exit strategy fu più felice, perché la serata da Sushi Yoshitake è stata formidabile.
Non avevamo dubbi che considerarlo un ripiego fosse un’esagerazione, vista la nostra visita precedente, ma dobbiamo dire che a fine serata l’impressione è quella di essere stati davvero in una tavola straordinaria. Per la grande perizia di Masahiro Yoshitake, un maestro con le lame; per la cordiale accoglienza sua e del suo team, capace ora anche di descrivere i piatti in un inglese comprensibile; per la qualità formidabile della materia utilizzata, selezionata con cura infinita nel meglio della produzione del paese intero.
Aggiungeremmo anche per la formula: da Sushi Yoshitake, infatti, oltre a poter gustare una serie di sushi tra i migliori della capitale nipponica (ergo, del pianeta), si ha la fortuna di godere, prima del sushi stesso, di alcuni magnifici piatti degni di un grande kaiseki, bocconi divini che giustificano in pieno riconoscimenti di pubblico e critica e conto conseguente.
Difficile trovare lo zenit, in una sequenza memorabile, ma si fa fatica a non citare il formidabile abalone con salsa del suo fegato: un inno allo iodio che fa letteralmente impazzire papille e cervello di chi ama i frutti di mare e che si completa in una “scarpetta” tutta nipponica con aggiunta di riso, offerto dal maestro, da intingere nella salsa rimasta. Sperando che non si crei a breve un movimento per la tutela dell’abalone, possiamo dire che ci siamo fatti un’idea di quale sia il fegato che preferiamo a tutti gli altri (che pure non disdegniamo).
La sequenza dei sushi è inappuntabile, esaustiva di ogni possibile preferenza (da un otoro opulento, alla delicatissima seppia, all’esplosivo riccio in doppio strato) e fedele all’impronta edomae segnata dalla presenza nel riso di aceto rosso, senza zucchero. Ogni assaggio è ricco e fine insieme, impossibile trovare non diciamo difetti , non previsti da queste parti, ma cose migliorabili. Il mancato voto top è solo per rispetto del benchmark assoluto del genere, il riverito Jiro-san.
Per non ingenerare equivoci: anche da queste parti, una prenotazione con largo anticipo è indispensabile per aggiudicarsi uno dei sette posti a sedere, così com’è più che opportuno prevedere un po’ di tempo alla ricerca del locale, al terzo piano di uno dei tre palazzi contrassegnati dallo stesso “indirizzo”, nell’accezione giapponese del termine (per praticità, lo abbiamo fotografato).
Vongola (praticamente un mostro marino, di inaudita bontà).
Scorfano leggermente affumicato.
Abalone. Il piatto col suo fegato lo abbiamo praticamente ingurgitato intero.
Seppia ripiena
Maccarello reale affumicato con salsa allo zenzero.
Il meraviglioso granchio con la sua gelatina.
Finalmente (per modo di dire) si parte con i sushi: seppia.
Sardina.
Ark shell.
Riccio di Hokkaido (sotto) e Miyake, un doppio strato di piacere puro.
Gamberone lievemente scottato.
Anguilla.
Inevitabile conclusione…
Il palazzo, non potete sbagliarvi.
Una volta saliti sull’Olimpo ed aver adorato gli Dei, è molto più difficile guardare con animo disincantato gli uomini.
Un viaggio in Giappone sconvolge per sempre l’approccio di un gourmet alla cucina nipponica.
Tornare nel Bel Paese ed avere nostalgia di quegli odori e sapori è traumatico, e lo è ancor di più quando, presi da un incontrollabile desiderio di sushi, ci si ritrova a fare i conti con la triste, italica realtà.
Abbiamo avuto la fortuna (sì, ci vuole anche fortuna a trovar posto su questi sgabelli) di sederci ai banchi di alcuni dei sushi bar migliori di Tokyo, e quindi del mondo, e la nostra idea di quali livelli sublimi possa raggiungere una polpetta di riso e aceto con il pesce adesso è molto più nitida.
Masahiro Yoshitake è uno dei master più acclamati della capitale e come molti suoi colleghi è nascosto in un minuscolo, anonimo appartamento di Ginza.
L’insegna solo in caratteri giapponesi ci induce più volte all’errore su quale possa essere l’edificio giusto. Peraltro il fatto che sia al terzo piano rende il tutto molto più difficile.
In più, essere giunti con 15 minuti di anticipo rispetto all’orario di prenotazione ci ha costretto, seppur gentilmente invitati, a sostare in piedi sul pianerottolo all’ingresso, minuscolo anch’esso.
Sei posti sei al bancone. Stop. Un paio di turni, non di più.
La danza di Yoshitake che cadenza, ritmandoli, i suoi movimenti è quasi ipnotica. Di fianco a lui un paio di apprendisti ai quali è concesso solo lavare e deliscare il prodotto o tutt’al più servire il tè. Il taglio e la manipolazione sono di sua esclusiva competenza.
Sebbene parli solo l’idioma autoctono, Yoshitake, anche con un semplice sorriso, riesce a far sentire a suo agio noi gaijin, gli unici, invero, quella sera.
L’omakase si svolge piacevolmente ed è leggermente più diluito nel tempo rispetto ad altre esperienze. Circa 1 ora e mezza ci hanno consentito di goderci appieno la cena senza subire la pressione da “rush” finale.
A questo bar abbiamo degustato alcuni dei bocconi più prelibati della nostra esistenza, un o-toro fantascientifico ed il fegato di abalone da lacrime hanno segnato il nostro percorso indelebilmente.
Il riso da Yoshitake è abbastanza acido, preparato con l’aceto rosso secondo i dettami “Edomae”, tiepido il giusto, ed il pesce è quanto di meglio Tsukiji possa offrire.
Il wasabi, quello vero, grattugiato al momento, è essenziale per un’ottima riuscita del prodotto finale: un attimo, attraversa il palato, si inerpica nelle narici e svanisce, lasciando l’eredità di un leggero aroma piccante vegetale che acuisce le caratteristiche del riso e pervade dolcemente le papille.
Lo chef compra in prima persona quasi tutta la materia prima e non si avvale di distributori. I suoi ricci provengono esclusivamente da Karatsu, il polpo ed il sea bream da Akashi, Hyogoken and Hagi.
Difficile descrivere le sensazioni provate, in un crescendo di odori e sapori: dal polpo carnoso, tenace e saporito, alle molteplici varianti del tonno, dal calamaro traslucido ai gamberi imperiali leggermente fumè di intensità e persistenza chilometriche.
Questa volta la Michelin ha visto giusto, le 3 stelle ed il conto… stellare, sono strameritati.
Mise en place… nipponica.
Si prepara il wasabi.
Uni pudding: mais, ricci e wasabi.
Tako: Polpo e sale.
Master at work.
Red snapper.
Abalone (che spettacolo)…
…e il suo fegato, salsa celestiale.
…dove intingere il riso tiepido.
Bonito affumicato sui carboni con rafano, porro, zenzero e soia.
Gamberi, alga di mare, cetrioli, melanzane ed aceto.
Ika: Calamaro.
Snapper.
Ay fish.
Chu toro.
O-toro, il migliore mangiato nella nostra vita. Grasso, carnoso, saporito. Boccondivino.
Kohada: gizzard shad.
Chub mackarel.
Baby scallop: capasanta.
Uni: ricci di mare.
Kuruma ebi: Imperial prawn leggermente affumicato..prima….
..e dopo.
Unagi: anguilla.
Tamago: frittata dolce.
Tè Matcha.
Brodo di verdure e pesce.
Ingresso.
Shinji Kanesaka è, probabilmente, il Sushi Master più giovane di Tokyo.
Ciò nonostante, nel corso della nostra cena, con il suo secondo Sanpei san, ha dimostrato non solo una grandissima maturità e manualità nello sfilettare e servire una meravigliosa materia prima, ma anche di essere affabile e partecipativo (a differenza di alcuni suoi colleghi di fama mondiale) con noi, unici gaijin seduti al bancone.
Qui, come in tutti i migliori sushi bar, non avrete la possibilità di selezionare ciò che più vi aggrada (non esiste un menu), ma semplicemente, all’atto della prenotazione, comunicare per quale dei due omakase (20.000 e 30.000 yen) optate.
Nessuna paura, state pur certi che Shinji san comprerà quanto di meglio lo Tsukiji avrà da offrire la mattina della vostra visita.
Il percorso inizia con alcune preparazioni di sashimi e di pesce cucinato, di straordinaria qualità.
Il tonno in Giappone ha un’aura di sacralità, i migliori esemplari vengono acquistati per decine di migliaia di euro, ed ogni sua parte viene utilizzata, dando vita a molteplici preparazioni.
L’essenza della cucina di pesce giapponese è data dalla semplicità delle ricette e dalla perfezione del gesto. Pochissimi ingredienti, a volte solo un paio, sublimano talvolta in divini bocconi. Esempio fulgido è la guancia di tonno leggermente cotta nella soia, consistenza e sapore da andar fuori di testa.
La gioia può essere anche un semplice pesce amabilmente grigliato, o dei gamberetti crudi di eterea consistenza.
Poi c’è il sushi.
Dopo aver visitato alcuni tra i massimi esponenti del genere è davvero difficile dire, con assoluta certezza, quale sia il migliore.
Tutti si contraddistinguono per l’utilizzo di una materia prima stratosferica; le differenze principali risiedono nel taglio (la manualità è tutto) del pesce e nella qualità e condimento del riso.
Kanesaka ama servire il riso tiepido, per esaltare i profumi, e ben sgranato, così da distinguere ogni singolo chicco, seppur mirabilmente reso compatto in un armonico insieme. Il riso è condito, ma non troppo, l’aceto si sente, ma anche no.
Non avrete bisogno di intingere il boccone nella soia, il master prima di servirlo lo avrà già lucidato con un paio di pennellate.
Anche il wasabi, lontano anni luce da quanto ci propinano i “giappo” nostrani, grattugiato al momento, fa bella mostra di sé tra il riso ed il pesce, gentilmente dosato. Si incunea nelle narici per poi svanire in un attimo. Fa parte del gioco.
Impugnate le bacchette, cingete la polpettina e portatela alla bocca. Chiudete gli occhi ed assaporate. Tante le sensazioni che si susseguono al palato. Ciò che meraviglia è l’armonia tra i vari elementi.
È anche questione di proporzioni, ed allora la copertura ittica è ben bilanciata e non sovrasta il riso, e viceversa.
Sedete al bancone, mi raccomando, godere della gestualità di chi prepara dinanzi a voi vale il costo del biglietto.
È come una danza, la cura della sfilettatura, l’abilità con cui il riso viene maneggiato strabilia.
L’anguilla di mare laccata unagi e tamago a completare un pasto di grande spessore.
Conto di conseguenza, con il solo totale scritto a matita su un mini foglietto. Non aspettatevi la ricevuta, perché qui in Giappone è la prassi.
Mise en place
Gamberetti e ricci di mare
Bonito marinato nella soia con insalatina
Guancia di tonno nella soia. Spaziale
Zuppa di vongole
Particolare
Soto fish
Yellowtail
Tonno (Akami maguro)
Tonno (O-toro). Burroso ed intenso. Difficile da descrivere la bontà della parte più pregiata del tonno
Horse mackarel
Capasanta
Tekamaki. Roll di alga nori ripieno di riso e tonno (chu-toro). Alga croccante, da gustare come un panino, con le mani. Di grande bontà
Sea eel (Unagi) e tamago
Ingresso del palazzo
Sottoscala
Sala e bancone