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Il miglior piatto del 2022

Chiudiamo l’anno con una carrellata di piatti memorabili. Non stupitevi se alcuni di questi piatti saranno solo frugali, altri regali, alcuni cerebrali, altri solo rassicuranti. Come ogni scelta, anche questa parla più di chi l’ha compiuta che dell’oggetto scelto. Al lettore lasciamo pertanto il compito di sbizzarrirsi con le più disparate supposizioni circa lo stato in cui versa non solo la cucina ma anche la critica contemporanea che noi, di Passione Gourmet, pretendiamo, e piuttosto orgogliosamente, lo ammettiamo, di rappresentare.

Leonardo Casaleno e la Pasta al tonno di Mauro Uliassi

In perfetto e affascinante equilibrio tra tradizione e tradimento, Uliassi rievoca uno dei piatti di pasta più banali e amati, reinterpretato con espedienti tecnici che rendono ogni forchettata un lampo di golosità ed eleganza. La mantecatura degli spaghetti viene fatta in un brodo di katsuobushi di tonno, poi un “dado” ghiacciato di sugo tradizionale di tonno, aglio, olio, peperoncino, capperi e prezzemolo viene grattugiato sulla pasta come una bottarga, insieme ad un trittico di ingredienti essiccati: uvetta sultanina, olive verdi, cucunci e capperi essiccati.

Alberto Cauzzi e il Broccolo e anice di Niko Romito

L’approccio al mondo vegetale, e conseguentemente sostenibile, è la nuova moda del decennio. Sembra che ormai non si possa parlare d’altro, della sostenibilità, della sconvenienza della proteina animale o ittica che sia, tanto che molti cuochi affrontano questo tema proprio perché attuale; perché la gente e tutto il movimento della comunicazione enogastronomica spinge in tal senso. E sebbene ci sia chi utilizza questo veicolo come semplice pretesto, c’è anche chi ne fa un punto di partenza: una leva per esplorare in maniera ancora più pervasiva e intensa il proprio talento e la propria ideologia di cucina, come Niko Romito. Non è un mistero, a questo proposito, che lo Chef del Reale affronti l’ingrediente da un punto di vista risolutamente inedito e personale. Da tempo immemore la sua concentrazione, la sua capacità di sviscerare tutte le peculiarità e le spigolature della materia, è il paradigma del suo stile culinario. Pensiamo all’Assoluto di cipolla, al Carciofo, alla Melanzana. Pensiamo alle laccature, alle concentrazioni di fondi vegetali, a lavorazioni che sono in pista, per il cuoco abruzzese, da molto più di un decennio. Questo piatto, in particolare, è l’elevazione di tutti gli studi compiuti sino ad ora, un binomio intenso e persistente quanto povero ed elementare. Cosa si può ottenere con una foglia di broccolo e anice? Una meraviglia!

Antonio Sgobba e le Lumache, peperone friggitello, origano, erbe soffiate di Mauro Uliassi

Lumache e friggitello un abbinamento azzeccatissimo di quel genio di Mauro Uliassi, un piatto giocato sui toni aciduli del vegetale che tiene a bada la terrosità della lumaca e al tempo stesso ne valorizza il sapore, senza ricorrere a un eccessivo aiuto dei grassi. Il sentore di origano e la consistenza delle verdure soffiate completano la sensazione di piacevolezza. Un piatto da applausi a scena aperta.

Orazio Vagnozzi e il Risotto al gorgonzola, ostriche e liquirizia di mare di Riccardo Monco alll’Enoteca Pinchiorri

Sobrio nella presentazione, concentrato ed equilibrato nel gusto. Squisito!

Fiorello Bianchi e la Verza, verza, verza di Michele Valotti a La Madia

Verza cotta nel grasso di pollo, emulsione, shiro koji e shiro miso sempre di verza con whisky torbato e burro affumicato, cavolo cappuccio fermentato per un piatto davvero emozionante per la complessità, originalità e intensità di gusto.

Giovanni Gagliardi e l’Indivia belga di Gaia Giordano da Spazio Milano

Indivia belga, mandarino tardivo e arachidi:  piatto di cottura impeccabile, in cui a rubare la scena è una crema di arachidi di eccellente equilibrio, accompagnata dal contrappunto agrumato del mandarino. Piatto superlativo che conferma la mano eccelsa della Chef nel trattare gli ingredienti di origine vegetale.   

Gianni Revello e lo Spaghetto al caffè, limoni di mare di Stefano Baiocco a Villa Feltrinelli

Perfetta crasi d’italianità: la pasta, il caffè, i frutti di mare.

Roberto Bentivegna e la Volaille de Bresse cotta intera in crosta di sale di Georges Blanc

È per piatti come questo che possiamo macinare centinaia di km, che spendiamo fortune alla ricerca dell’emozione più profonda. Cultura, storia, racconto: in questa preparazione c’è tutto. Da prenotare in anticipo e da provare almeno una volta nella vita. 

Leila Salimbeni e il Coniglio al mascarpone con spinacino e mele di Carlo Cracco e Luca Sacchi

Coniglio disossato, pressato e cotto a bassissima temperatura, impreziosito di cristalli di sale dolce, mascarpone, pinoli e spinacino e servito, da Carlo Cracco e Luca Sacchi, in Galleria, a una temperatura perfetta, fisiologica, a enfatizzare tutto il repertorio delle morbidezze. Un piatto che è manifesto dell’italianità più colta e più elegante a tavola, anche quando si serve degli ingredienti più agresti e frugali, serviti in una maniera quasi monastica.

Gianluca Montinaro e le Lumache di Cherasco ai porri di Cervere, mele renette e radici di Gian Piero Vivalda all’Antica Corona Reale

La cucina, oltre a parlare al palato, ha la capacità di parlare allo spirito. E quando in un piatto si intrecciano storie di luoghi e di persone, di affetti e di famiglia, di tradizione e di prospettiva, allora l’animo – almeno il mio – muove a trasporto. Il piacere di quella pietanza non si ferma alle quattro sensazioni, ma diventa poesia e trascende a quella «calma grandezza» di cui scriveva Johann J. Winckelmann. Ebbene, in questo 2022, il piatto che più mi ha commosso sono state le Lumache di Cherasco ai porri di Cervere, mele renette e radici, opera di Gian Piero Vivalda (ristorante Antica Corona Reale, Cervere). Una piccola ‘opera d’arte’ che un figlio ha dedicato a un padre che non c’è più. Che un uomo di cuore ha immaginato per raccontare la storia della propria famiglia. Che un grande cuoco ha ‘costruito’ con i prodotti della propria terra. Vera emozione!

Davide Bertellini e la Cassœula Oggi del Trussardi by Giancarlo Perbellini di Milano

Perché lo Chef ha saputo rivisitare in chiave contemporanea un piatto della tradizione milanese mantenendo intatto il gusto e la  concentrazione dei sapori ed elevando l’estetica.

Claudio Marin e gli Gnocchi di patate in brodo di buccia di patata e bergamotto, schie essiccate e fritte, timo e limone di Antonia Klugmann a L’Argine a Vencò

Un piatto di rara precisione ed eleganza, in cui colpiscono l’utilizzo inconsueto dello gnocco, la concentrazione e complessità del brodo – un esempio di come il no waste (spesso ridotto ad etichetta) possa tradursi in concretezza a servizio della preparazione – e la valorizzazione magistrale delle note sapide che compaiono a fine assaggio, a coronarne la perfezione. 

Adriana Blanc e il Colombaccio, salsa di artemisia, fave alla brace, liquirizia di Alex e Vittorio Manzoni all’Osteria degli Assonica

I fratelli Manzoni propongono una cucina che interpreta magistralmente il territorio. Una valorizzazione della materia prima a tutto tondo che, attraverso l’uso di lavorazioni rispettose del prodotto e di accostamenti audaci, porta in tavola piatti dai sapori sorprendentemente intensi e ben bilanciati. La carne del colombaccio è appena scottata, intrisa dei suoi succhi, ferrosa e potente. A fare da contrappunto vi è una balsamica salsa di artemisia, che unita alla dolcezza delle fave smussa ogni spigolatura e rivela un connubio di grande equilibrio e piacevolezza. 

Valerio De Cristofaro e la Trota fario, scaglie di ravanelli e mandorla fermentata di Giulio Gigli da UNE

Molto interessante l’accostamento fra la trota ed il fondo di ravanelli. Le mandorle fermentate incuriosiscono; la vera chicca è, però, la chips di pelle con lattume, tartufo nero e soprattutto acetosella. Quest’erba, perfettamente dosata trasforma il piatto. La sua nota rinfrescante la ricordiamo ancora con piacere… catartica. 

Erika Mantovan e il Risotto nascosto di Luigi Taglienti

Il Risotto nascosto di Luigi Taglienti copre il capriolo alla forchetta, e si completa con una salsa bianca e una polvere di caffè. La delicatezza non nasconde un’accelerazione dei gusti che appaiono come l’espressione di una manualità e di una tecnica al servizio degli ingredienti. Si raccontano i gusti primitivi e si rendono essenziali. Non importa il dove ma il come. La salsa resta lo strumento, la migliore connessione nei piatti, di questo Chef oggi all’IORistorante di Piacenza

Giacomo Bullo e i Tubetti al cavolo nero, stracciatella di canocchie e olive affumicate di Gianluca Gorini

In principio fu l’estrazione loprioriana, sintesi ed essenza estrapolabile dal singolo ingrediente. Poi, da San Piero in Bagno ad oggi, Gianluca Gorini con un singolo piatto a coniugare insieme il più bel mari e monti di questo 2022. Il profondo brodo di cavolo nero, nella sua austerità vegetale incontra il dolce stil gusto della canocchia, in polpa e nella sua proteica coagulazione dell’albumina in essa contenuta. Una stracciatella che non ha tradito la sua anima popolare: rifocillare nella sua (neo) golosa interpretazione. Stupire con una minestra? Con Gorini è possibile!  

Gianpietro Miolato e il Salmone e caffè di Alberto Basso

Ai Tre Quarti va in scena un piatto complesso, non certo accomodante ma assai intelligente. Acido, sapido, persistente, armonioso, un connubio capace di unire istanze non semplici in una forma accessibile e riconoscibile anche al commensale meno esperto. Chapeau.

Gherardo Averoldi e la Chimera di agnello e piccione, salsa alle olive nere di Kalamata di Alain Passard a l’Arpege

Alain Passard ha costruito la sua fama leggendaria soprattutto per la rivoluzione vegetale che ha coinvolto il suo ristorante, l’Arpege, dal 2001. Tuttavia non va dimenticata la sua maestria come rôetisseur, che trova uno dei suoi apici assoluti nelle così dette “chimere”, l’unione in un unico piatto e in un’unica cottura della carne di due differenti animali, i quali non sono solo giustapposti ma fisicamente uniti per creare una nuova e mitica creatura. La cottura è magistrale, la sensazione è quella di mangiare realmente un animale che non è più né piccione né agnello ma qualcosa di completamente nuovo, trasfigurato, il tutto accompagnato da un’eterea salsa alle olive nere di Kalamata e dalle splendide verdure dell’orto di Alain. Un piatto da pelle d’oca.

Marco Bovio e i Fagioli e Melone di Michele Vallotti a La Madia

Se la consapevolezza è rappresentata dai sapori acido e amaro, sono stato assolutamente consapevole di aver assaggiato il piatto più buono di quest’anno alla Trattoria la Madia dello Chef Michele Valotti. Il suo Fagioli e melone ti stende con un uppercut, il piacevole “fastidio” di un piatto della memoria, come una pasta e fagioli che si evolve in bocca grazie all’acidità del melone fermentato e la grassezza dell’olio al prezzemolo.

Giancarlo Saran e gli Gnocchi di patate con trippette di baccalà e ricotta affumicata di Mattia Barni da Alajmo Cortina

Mattia Barni è l’ennesimo talento valorizzato dalla premiata ditta Alajmo. Comasco di nascita ha fatto tutto un percorso all’interno della Maison. Calandre, Quadri, Marrakech. Ora hanno affidato a lui Alajmo Cortina. Intriganti gli gnocchi di patate al grano arso con trippette e gola di baccalà, salsa di ricotta affumicata. Ma il tocco malandrino è di un ingrediente non indicato nel menù, le lamelle fritte di porro che ti accompagnano nel girone dei golosi, ma ne vale la pena.

Vania Valentini e la Storia d’Amore di Fabio Vandelli all’Erbavoglio 

Trattasi di tortellini di pasta chiusa all’uovo dalle sfogline, con ripieno di orzo fermentato italiano biologico, anacardi, crema di Parmigiano Reggiano 24 mesi con certificazione di qualità. Semplicemente meravigliosi, saporiti, gustosissimi, forse più buoni degli originali. Parola di emiliana.

Bistrot e grande tavola, vista Duomo

È indubbiamente un grande lavoro quello che sta portando avanti Gaia Giordano a Spazio Milano. Un grande lavoro che non conosce cedimenti, per un luogo che è sempre più unico, nell’affollato panorama della ristorazione milanese. Un’oasi di cucina giovane, colta, per nulla “fighetta“, il tutto con vista sul Duomo.

In più, sebbene la cucina sia grande, il conto è assolutamente sostenibile, il ché ne fa un unicum al centro di Milano, dove Spazio si sta affermando, tra le altre cose, come una vera e propria macchina da guerra in grado di macinare numeri importanti, e registrando assai spesso il tutto esaurito, senza che questo impatti in alcun modo sulla cucina che mantiene una qualità media sempre molto alta.

Per questo possiamo dire che Niko Romito sia riuscito là dove molti altri hanno fallito, visto che è tutt’altro che scontato il successo di bistrot che nascono come emanazione di grandi tavole. Qui il discorso è, chiaramente, molto diverso, e non ce ne meravigliamo conoscendo il livello della scuola di formazione del grande Chef abruzzese, imprenditore illuminato oltre che grandissimo cuoco. Bravissima, poi, s’è già detto, Gaia Giordano, una Chef capace di elaborare una cucina ad altissimo indice di piacevolezza – senza però, si badi, mai scadere in inutili piacionerie – requisito indispensabile per una tavola che deve essere in grado di suggellare business lunch, di far felice il gran numero di turisti che affolla il centro di Milano e, allo stesso tempo, di restare un punto di riferimento in città per i palati più spiccatamente gourmet.

La perfetta quadratura del cerchio

La nostra ultima visita ha confermato lo stato di grazia di Gaia Giordano la cui cucina continua a progredire nel segno dell’eleganza e della leggerezza. Su tutti, una superlativa Indivia belga, mandarino tardivo e arachidi, piatto di cottura impeccabile, in cui a rubare la scena è una crema di arachidi di eccellente equilibrio, accompagnata dal contrappunto agrumato del mandarino. Piatto erudito, questo, che conferma la mano eccelsa della Chef nel trattare gli ingredienti di origine vegetale.

Di alto livello anche la Trota, pomodoro fermentato e portulaca, emblematico della cucina della Giordano: pochi ingredienti, grande armonia gustativa e sapiente tocco vegetale senza dimenticare, però, il Baccalà, cipolle, polvere di capperi: un omaggio alla tradizione dei sapori “ancestrali”, riproposti in un gioco di forme e consistenze nuove.

Come dessert la freschezza e l’eleganza di Fragole e limone, per un fine pasto da manuale.

A tutto questo non possono non aggiungersi, poi, i complimenti per un servizio di sala sempre gentile e preciso che svolge con enorme capacità un compito assai impegnativo. Capire immediatamente  le aspettative e le esigenze dell’ospite, far fronte a qualsiasi richiesta, in maniera sartoriale vista l’assoluta eterogeneità della clientela.

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Niko Romito e lo studio sul vegetale

L’approccio al mondo vegetale, e conseguentemente sostenibile, è la nuova moda del decennio. Sembra che ormai non si possa parlare d’altro, della sostenibilità, della sconvenienza della proteina animale o ittica che sia, tanto che molti cuochi affrontano questo tema proprio perché attuale, perché la gente e tutto il movimento della comunicazione enogastronomica spinge in tal senso. E sebbene ci sia chi utilizza questo veicolo come semplice pretesto, c’è anche chi ne fa un punto di partenza: una leva per esplorare in maniera ancora più pervasiva e intensa il proprio talento e la propria ideologia di cucina, come Niko Romito.

Non è un mistero, a questo proposito, che lo Chef del Reale affronti l’ingrediente da un punto di vista risolutamente inedito e personale. Da tempo immemore la sua concentrazione, la sua capacità di sviscerare tutte le peculiarità e le spigolature della materia, è il paradigma del suo stile culinario. Pensiamo all’Assoluto di cipolla, al Carciofo, alla Melanzana. Pensiamo alle laccature, alle concentrazioni di fondi vegetali, a lavorazioni che sono in pista, per il cuoco abruzzese, da molto più di un decennio.

Il Carciofo, paradigmatico, è il risultato di un lavoro di concentrazione e di spinta amaro-dolce-sapida che non ha veramente eguali al tempo in cui è stato pensato. E ha aperto strade, terreni inesplorati a flotte di cuochi che hanno preso questo piatto come simbolo di una nuova cucina fondata sulla concentrazione e sullo studio sull’elemento. Sempre il Carciofo ha iniziato ad esplorare la strada della textura, altro aspetto che Romito ha esaltato e decisamente ridefinito. Non che la textura, dalla grande rivoluzione della nouvelle cuisine sino ad Adrià, non sia stata presa in considerazione, si badi bene. È anche qui l’uso che ne fa Romito, la profondità con cui l’analizza, che fa la differenza, tanto che la utilizza come un ulteriore sapore, il sesto o settimo, come vogliamo contarli, che produce una energia e una sensazione gustativa differente tanto quanto l’uso, più o meno accentuato, del sale, del limone, dell’aceto, di una essenza di genziana. Deforma il gusto, lo stravolge, lo plasma e, soprattutto, lo produce.

Sempre il Carciofo è forse uno dei primi e timidi esperimenti di esplorazione degli amari per il cuoco abruzzese. Amaro è maturità, amaro è gusto difficile, scorbutico da maneggiare, rischioso per la platea di clienti. Amaro è, però, una sfida, importante e unica, di essere veicolo di profondità gustativa e di riverbero degli altri gusti. È conduttore formidabile, l’amaro, se ben armonizzato, integrato, dosato.

Ebbene, tutte queste aree e tratti distintivi della cucina di Niko Romito sono letteralmente esplosi, portati all’apice, concentrati e deflagrati, in questo menù vegetale. Un menù che è un pretesto, lo ripetiamo, per spostare ancora più in alto l’asticella del gusto, la profondità dell’analisi, la spinta avanguardistica. Una valutazione che, continuando così, potrà crescere facilmente – e a breve – ancora di più rispetto all’attuale.

Amaro, concentrato, elegante, masticabile intenso in trasformazione, traslazione del gusto. Non serve aggiungere altro, se non chiedere a tutti voi di leggere i semplici titoli dei piatti, guardare le foto, e immaginarsi, crediamo con discreta facilità, cosa sta dietro a questo percorso e, allora, prenotare immediatamente un tavolo a Castel di Sangro.

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Amaro (della cicoria) e iodato (dell’ostrica), uguale: dolce

Altro abbinamento insolito, altra possibilità interpretativa. Ci troviamo, del resto, presso uno dei luoghi più fecondi della Nuova Cucina Italiana: il Reale di Niko Romito. Lo Chef, che ha lungamente insistito sulle possibilità della materia prima intesa nella sua purezza e nel suo massimo nitore espressivo, ci consegna qui un piatto solo apparentemente quintessenziale, “Ostrica e cicoria“, tutto giocato sulle possibilità dell’amaricante in versione iodata e finanche lievemente grassa. L’associazione tra i due elementi, piatto e vino, allunga la percezione di entrambi, in un connubio che la dolcezza dello Zibibbo, come vedremo, eleva in potenza .

Il piatto vanta, del resto, diverse tonalità: in bocca ha passo lieve ma ben cadenzato, strutturato e deciso, dritto e strutturato. Ad arrotondarlo nelle asperità di iodato e amaro puro, per contrasto, la dolcezza profumata dello Zibibbo passito della cantina Martinez. Ma che il produttore sia devoto all’esercizio del vino Marsala si evince senza troppi sforzi di fantasia: la struggente dolcezza delle uve aromatiche passite è infatti contenuta, inspessita, contrastata e, infine, anche bilanciata da un’austerità inaspettata, salata, che parla, e molto eloquentemente, peraltro, delle indiscutibili potenzialità in materia di abbinamento di questo vino, come di molti altri sortiti dalla cantina di Marsala, fondata nel 1866 da Carlo Martinez.

Il perfetto bistrot milanese

Bistrot di nome e di fatto, anzi, meglio, “bistronomia”, questo bar à vin è la precisa materializzazione di ciò che accade quando un locale informale incontra una grande cucina. Dismesse le posate d’argento, il servizio – curato da Carlo Maldotti e Noemi Sala – è quello di un grande ristorante, come si evince dalla scelta – acuta – di sostituire i calici dopo la portata a base di uova. Qui Tommaso Sorgentone, dalla cucina parzialmente a vista al piano superiore, ordisce una una proposta molto nitida, tecnicamente ed esteticamente impeccabile, vessillo degli anni trascorsi dietro al pass di Spazio Niko Romito Milano, da cui arriva anche Moldotti, benché in sala. Un’impostazione di sicura urbanità e carisma, che fa de La Sala Bistrot il luogo adatto tanto per un brindisi amicale quanto per un pranzo di lavoro, ma che si rivela vincente anche nel caso di una cena intima.

Qui i piatti, pur nella loro solo apparente semplicità, sono scrupolosamente ragionati e ottimamente bilanciati a livello organolettico: già dalla lettura del menù si evince la scelta di Sorgentone di avvitarsi attorno a un unico ingrediente protagonista attinto di preferenza dal paniere della cucina nordica, francese e longobarda – uovo, capocollo di maiale, paté, rafano, verze – concepita sia nelle porzioni che nell’estetica di ogni impiattamento con cura certosina e amorevole. Così l’uovo e la maionese, riadattamento del celebre Oeuf Mayonnaise, antipasto signature dei bistrot parigini già censito da Henri-Paul Pellaprat nel 1936, è squisito oltre che plastico nella consistenza mentre il tagliolino con alici e cime di rapa (in polvere) si smarca dall’immaginario del Sud con l’amalgama del burro acido, omaggio a Gualtiero Marchesi e, dunque, a Milano tutta. Restando, poi, in tema di accenti nobiliari, le nocciole piemontesi impreziosiscono la già vincente, ancorché ecumenica, equazione tra capocollo di maiale mangalitza! – e verza, leggermente acidulata.

La carta dei vini è acuta e occhieggia al mondo del vini naturali senza, vivaddio, alcun fanatismo.

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