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Spazio Rivisondoli

Un luogo evocativo tra passione, concretezza e gusto

Spazio Rivisondoli è un format a sé e differisce dagli indirizzi ubicati a Milano e a Roma. L’insegna richiama il luogo dove tutto ebbe inizio, dapprima come pasticceria, aperta dai genitori di Niko e Cristiana Romito, riconvertita in trattoria nel ’96 e poi sede originaria del Reale, dove è rimasto sino al 2011. Oggi è un laboratorio, parte fondamentale della formazione professionale e aperto solo in alcuni periodi dell’anno, concomitanti con il calendario didattico della Scuola di Formazione. Agli allievi viene demandato tutto. La creazione e la gestione del menù, la preparazione dei piatti (food cost compreso), il servizio, finanche la cura della carta dei vini. Noi abbiamo degustato il menù del ventesimo Corso Professionale. Parole d’ordine: semplicità e concretezza unite a cura, creatività ed esaltazione della materia prima, esclusivamente da fornitori locali.

Il format

Si può iniziare con gli antipasti in condivisione, formula di intuito che assume a tratti caratteristiche di autorevolezza, tra estetica e gusto e consente di avere una panoramica sulle varie preparazioni. Su tutti gli assaggi, colpiscono la Trota salmonata al pepe rosa, la Polenta integrale con cime di rapa e ricotta salata o quella con ragù di capocollo. Ricotta salata proposta anche infornata con spinaci e arancia. Le linee in cucina si equiparano in qualità e centralità dell’ingrediente sfoderando un apparente classico “alla romana” ma con formaggio abruzzese a condimento di un formato di pasta campano: Sigarette ziti con pecorino, pepe e limone; l’utilizzo e la freschezza dell’agrume, senza dubbio, le distinguono dal paradigma dell’immaginario collettivo. I sapori e la complessità si distaccano in crescendo nel Baccalà al latte con tortino croccante di verza assai buono, delicato, quasi cremoso, di ottima esecuzione. Stesso dicasi della parte dessert dove la Crostatina con pere (nashi), crema e caffè è pervasa da equilibrio. Tanto golosa quanto leggera e bilanciata in percezione zuccherina. Un susseguirsi ponderato di buone espressioni di gusto, descritte con non poca quanto comprensibile emozione, una cucina dove traspare passione ma si può anche sbagliare, anzi. Consci che la complessità diverrà pian piano più semplice, tra un impaccio vissuto in allegria e un piatto che un domani, forse, sarà armonia.

Questa tavola va un po’ oltre la semplice appendice naturale della scuola. Una sosta piacevole, moderna, attenuata nei grassi e che in sintesi, consigliamo. Peccato che l’apertura si limiti solo a qualche settimana dell’anno, motivo che però non ci esime dall’attribuire un voto all’esperienza, assolutamente degna di nota. Dalla teoria alla pratica ve n’è tanta di strada. Ma si parte da qui, dove tutto ebbe inizio.

IL PIATTO MIGLIORE: Baccalà al latte con tortino croccante di verza.

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Una voce distintiva nel palcoscenico della cucina moderna

Nell’Olimpo dei grandi cuochi moderni, Niko Romito spicca come uno degli Chef pensatori con una personalità ben definita e uno stile incisivo talmente evidenti da rendere il ristorante Reale una voce distintiva nella scena culinaria contemporanea. La sua cucina è diventata un fenomeno didattico capace di esercitare un’influenza fortissima su ristoratori, cuochi o aspiranti tali, capace di plasmare un’intera generazione (fenomeno in atto già da qualche anno). Gli iconici piatti – cominciano ad essere tanti – ideati dal cuoco abruzzese e dal suo collettivo ubicato in quel meraviglioso luogo che è Casadonna sono espressione di uno stile unico e inconfondibile, orgoglio italiano ormai acclamato anche oltre i confini nazionali.

Niko Romito, l’assoluto e i vegetali: un’esegesi culinaria

Nel corso del tempo, l’approccio di Romito alla cucina si è trasformato in una vera e propria esegesi culinaria. Si tratta di un’analisi costante, approfondita e critica degli elementi gastronomici, degli ingredienti e delle relative tecniche di preparazione. Si parla di immergersi nei dettagli della composizione, delle caratteristiche organolettiche e sensoriali, nonché delle interazioni degli ingredienti, con l’obiettivo di migliorare la comprensione e la resa del piatto. 

Al Reale il processo creativo percorre una strada complessa, c’è un quid pluris che fa di ogni piatto un’invenzione e un’intuizione geniale che parte dalle radici della terra con un prodotto lavorato per essere potenziato (o riabilitato), tracciando un cerchio che si chiude, sempre, con compiutezza assoluta, in nome della purezza. È il concetto di “assoluto”, applicato fondamentalmente ai vegetali, inteso come un ingrediente che non incontra limitazioni, restrizioni o condizioni relativamente a se stesso, che diventa, con un minuzioso lavoro di scandagliamento somministrato nel corso del tempo, sempre più potente. C’è una meticolosa esplorazione di tutte le sfumature possibili al fine di rivelare il massimo potenziale della loro armoniosa combinazione. Il minimalismo delle presentazioni nasconde sapientemente la complessità dei gusti in gioco. Dietro creazioni come Scarola arrosto, Foglia di broccolo e anice, Zuppa di patate e così via si cela un microcosmo ricco di significati che va ben al di là di nomi di piatti sommessi e sequenziali. La cipolla viene sublimata toccando tutte le corde gustative e le consistenze dell’ortaggio diventano una filigrana; tanto affascinante quanto unica la scarola: un contenitore di umami impregnato del profumo inebriante di una teglia sfrigolante di patate; il cavolo un canovaccio di consistenze con un vorticoso gioco di acidità e sapidità. In realtà, la tecnica è strumentale all’esperienza gustativa che rimane, sempre, in primo piano.

Il menù, (quasi) completamente vegetale, per complessità e profondità di pensiero potrebbe risultare un paradigma assoluto di genere, nonché testimonianza del processo creativo del ristorante Reale che continua nel suo irrefrenabile viaggio di evoluzione perpetua mediante uno studio particolareggiato e un’identità personale resiliente che persiste nel suo sviluppo incessante. E chi critica il cuoco per la sua apparente mancanza di prolificità nel proporre un menù completamente nuovo tra una stagione e l’altra, a nostro avviso perde di vista un concetto importante, strettamente legato al processo iterativo che viene implementato in queste cucine, finalizzato a raggiungere una perfezione praticamente inarrivabile. I piatti del Reale subiscono una drastica trasformazione ogni anno, mantenendo sostanzialmente la stessa forma ma migliorando notevolmente in termini di gusto, consistenza e persistenza, con l’ingrediente che assume un ruolo di protagonista assoluto (un assaggio, oggi, dello strepitoso Lenticchie, nocciola e aglio non sarà la stessa cosa dello stesso piatto assaggiato qualche anno fa). Quello che conta è che qui troverete una cucina prodigiosa permeata anche attraverso l’eccezionale lavoro di ospitalità guidato da Cristiana Romito, Gianni Sinesi e dallo staff di sala, sempre pervaso da grande entusiasmo.

Ogni anno, una visita a questa destinazione incantevole è imprescindibile per comprendere lo stato (di grazia!) della cucina d’avanguardia, non solo nazionale.

IL PIATTO MIGLIORE: Scarola arrosto.

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Se pernottate a Casadonna, dulcis in fundo, godrete di una delle ormai arcinote ed acclamate colazioni che si possano fare in Italia.

Non si tratta di greenwashing, e anche se lo fosse sarebbe nient’altro che un modo per rendere ancora più capillare e perpetua l’urgenza che sia appunto etica ogni scelta della nostra vita quotidiana, finalmente semantizzata di un senso che, appunto, è anche una direzione. Quotidiane sono, del resto, le nostre scelte alimentari. Scelte individuali, certo, ma che, se sommate le une alle altre, diventano scelte collettive in grado di determinare una differenza reale sulla filiera e, con essa, a poco a poco, sulle sorti del mondo che viviamo. Ecco quindi che, nel nostro piccolo, ci sembrava doveroso tirare le somme di questo 2023 con una rosa di scelte etiche che si sono dimostrate, non a caso, anche estetiche e che hanno coinciso, ça va sans dire, con epiche mangiate.

Leonardo Casaleno

Non bisogna mai dare nulla per scontato. Ma la degustazione Reale, trasposizione in tavola di un lavoro meticoloso che ha raggiunto la massima espressione di pensiero, profondità e gusto della cucina vegetale, mi induce ad essere decisamente banale nell’individuare la scelta etica illuminante dell’anno. Un risultato così elevato da non apparire scontato nemmeno di fronte alla prestigiosa reputazione del suo artefice. 

Antonello Sgobba

A La Taverna del Capitano c’è uno Chef, Alfonso Caputo, poco mediatico. Il suo rapporto viscerale col territorio, una brigata giovanissima, il pescato delle piccole barche locali, le verdure che provengono dagli orti eroici della Costiera e, non ultimo, il primordiale e autentico piacere di mangiare a pochi passi dal mare, rende il percorso “L’orto e la riva” tra le esperienze eticamente più autentiche e illuminanti del mio 2023. 

Orazio Vagnozzi

Stadera porta la cucina partenopea su un palcoscenico internazionale esaltando al contempo le diversità di Milano. L’autenticità dello Chef Aldo Ritrovato e della sua creatura si manifestano nell’approccio flessibile e inclusivo, simboleggiato dal sous chef di origine egiziana Fam Keliny. Non un “super ristorante” ma una gastronomia, per far vivere un’esperienza autentica e umana. Sono banditi gli eccessi in questo spazio intimo e familiare che naturalmente incoraggia la comunicazione tra i commensali.   

Luca Turner

Cook more Plants! Manifesto di nuova cucina vegetale. Davide Guidara. Un’esperienza a tutto tondo vegetale, vibrazioni che partono dalla terra dell’isola eoliana di Vulcano. Un episodio festivo all’insegna di uno studio ed una ricerca sul vegetale che ha pochi eguali.

Davide Bertellini

Il progetto dell’orto del ristorante Volta del Fuenti a Vietri sul Mare di Michele De Blasio dove vengono coltivate piante alofite come portulaca, salicornia, finocchio di mare con le quali viene preparato la prima parte dell’aperitivo italiano composto da una finta mandorla (glassata con polvere di salicornia)  e un’oliva sferica che un oliva non è (ottenuta con la sferificazione della portulaca).

Gianpietro Miolato

Cucina a km 0 da Natiia – Osteriia sotto l’egida dello Chef Andrea Vitali e buona in tutti i sensi: ci si appoggia a produttori locali per eventuali ammanchi stagionali. E poi ancora circolare, dall’orto adiacente la tenuta al piatto, con attenzione alla componente vegetale, valorizzata in ogni portata. 

Giovanni Gagliardi

La Valle Aurina, i torrenti, il profumo del bosco e del sottobosco, l’odore delle stalle, la valorizzazione di una rete di piccolissimi produttori di eccellenza. Cucina etica come poche quella di Matthias Kirchler al Lunaris 1964. Per chi ama la natura e vuole prenderla a morsi!  

Claudio Marin

I prodotti dell’orto di Monte Carmelo, carni ed il pesce di lago illuminati da cotture sovrumane, l’incontro felice tra la gente di Appiano ed appassionati in cerca di rivelazioni o risvegli nonché la fiducia di un cuoco nei confronti degli avventori: il tutto a prezzi più che popolari. Paolo Lopriore attraverso una cucina etica sta compiendo una rivoluzione.

Gianluca Montinaro

Che cos’è l’«etica» se non la dedizione al proprio lavoro? Se non il rispetto di ciò che si è e si compie, nel riguardo di chi e di cosa lo si compie? Non serve scomodare la seconda Critica di Immanuel Kant per comprendere che ‘etica’ è appunto molto di più di ciò che comunemente si pensa che sia (i triti discorsi sul green). L’esperienza etica, in questo 2023 che ci lascia, l’ho avuta a casa dei fratelli Bracali (Francesco in cucina, Luca in sala), a Massa Marittima. Qui non ho solo mangiato in modo grandioso, ma ho visto passione e dedizione. Ho visto attenzione e cura. Ho visto umanità e professionalità. Perché per essere bravi cuochi, per essere bravi ristoratori, si deve necessariamente essere prima bravi uomini. Spiritualmente forti tanto nei successi, quanto negli ostacoli. Perché etica è, innanzi tutto, ‘etica dell’uomo’.

Giacomo Bullo

Che i Martucci’s fossero già al vertice dell’eccellenza nel mondo della pizza, è già ben cosa nota. Ebbene nel credo di questa storica famiglia casertana si cela anche uno delle manifestazioni più virtuose (e tangibili!) d’impatto circolare, motivo ancor più d’orgoglio. Sasà Martucci, nella sua pizzeria, sposa maestranza gastronomica ma anche attuale consapevolezza. Nel caso dell’evocativa pizza “Mangiafoglia” omaggio alla tradizione napoletana in millimetrico utilizzo gustativo dell’elemento vegetale sia per tipologia che tecnica, si ha pure il risvolto semplice e concreto nel processo di riforestazione grazie alla piantumazione di un nuovo albero, legato al cliente, per ogni pizza realizzata. I Masanielli di Sasà Martucci, sono fulgido esempio di piacevole schieramento pratico a favore di un orizzonte temporale imperniato anche sulla neutralità carbonica. Sustainable Warriors from Caserta!

Fiorello Bianchi

Contrada Bricconi, sostenibile a 360°, partendo dall’approvvigionamento delle materie prime (quasi esclusivamente autoprodotte), al no waste, fino alla attenzione al capitale umano (riduzione dei giorni di lavoro).

Claudio Persichella

Nel menù “Orizzonti” del Lux Lucis c’è tutto: eleganza, delicatezza e versatilità. Valentino Cassanelli è uno Chef di grandissima sensibilità che, nella sua interezza, soddisfa pienamente l’occhio, la gola e la mente. Anche questa è una forma di etica.

Giampiero Prozzo

Una storia da raccontare quella di Giulio Gigli, faccia da eterno ragazzo, 34 inverni quasi la metà dei quali già spesi in cucina. Valigia in mano approda infatti giovanissimo nei grandi ristoranti dove oltre alla tecnica affina passo dopo passo la consapevolezza di ciò che vuole fare da grande. Une, il suo ristorante nelle pieghe di Foligno, oggi è appunto tutto questo, il figlio dal lungo travaglio partorito in tempi di pandemia, la materia dei suoi sogni. Qui, il difficile sarà solo andarselo a cercare, nel verde, fuori dalla città e fuori da tutto un progetto etico a tutto tondo, a cominciare dal nome, che in dialetto è acqua, fino al recupero della struttura con il culto della memoria; e ancora un orto in divenire fino alle stoviglie, passione di un’artigiana del posto, passando per un menù denso di suggestioni anche grazie all’aiuto di piccoli produttori in luoghi dimenticati. La tecnica è raffinata, e arriva dai suoi grandi maestri, Anthony Genovese e il trio magico del Disfrutar, dove in quella cucina affollata è emerso prepotente il piacere di ritagliarsi un luogo della dimensione giusta. La sua.          

Gherardo Averoldi

Un gruppo giovane ed affiatato quello di Contrada Bricconi, guidato in cucina da Michele Lazzarini, ha ridato vita con passione e dedizione ad un antico borgo del XV secolo. Qui il legame con la montagna si manifesta in ogni aspetto dell’esperienza dall’eccellente produzione di formaggi, ortaggi e salumi fino ad una cucina fatta di equilibrate fermentazioni e lievi affumicature.

Leila Salimbeni

Perché ci si può – anzi si deve – anche divertire. Un principio edonistico quanto volete, eppure essenziale quando si parla di cibo tra uomini e donne di mondo. Ecco dunque che non posso non pensare Al Gatto Verde e al Cotechino Sangue di Drago di quel gran genio di Jessica Rosval che qui spadella per interposta persona del cuciniere nazionale per antonomasia, Massimo Bottura. E lo fa divertendosi appunto, e vivaddio, tanto eticamente quanto delicatamente ma senza celare nemmeno un certo gusto per la violenza, quantomeno nei sapori. Ecco quindi che non cammina ma anzi danza sulle braci ardenti del barbecue e su affumicature roventi, proiettando il cotechino, e dunque l’Emilia, nella terra del dragone, ma limitando a zero ogni spreco e servendosi della filiera più locale e artigianale che esista.  

Alessandra Vittoria Pegrassi

A pochi passi da Brera, sito in Via della Moscova e avviato nell’ottobre 2022, Horteria è germogliato dalla passione di Giorgia Codato per la buona cucina e il rispetto rigoroso verso la stagionalità dei vegetali che giungono nel piatto dall’orto di famiglia.

Erika Mantovan

Siamo con il padre della cucina vegetale in Italia, lo possiamo definire tranquillamente così. Pietro Leemann entusiasma sempre con le sue preparazioni colorate, briose e mai parche di sapori tanto quanto di contrasti. Parliamo di un’esperienza che ti porti a casa per davvero, essendoci nel menù cartaceo dei semi da piantare nel proprio orto. Un invito a guardare alla bellezza della natura in prima persona.

Marco Bovio

Mentre il granchio blu indossa il kilt e come William Wallace/Mel Gibson sfida i “poteri forti”, un istmo di terra lambito da brezza marina e acque salmastre, mette in relazione il sapere dei biologi della Laguna di Nora e la cucina di Francesco Stara a Fradis Minoris.

Davide Scapin Giordani

Come si dirà foraging in dialetto veneto? La risposta è nei piatti di Andrea Rossetti da Osteria V in cui creatività, tecnica e studio hanno pari obiettivo: dar valore ai viticoltori dei Colli Euganei, ai pescatori del Sile, agli allevatori della bassa padovana.

Alfonso Isinelli

A Mazzorbo, Chiara Pavan e Francesco Brutto, hanno deciso di non utilizzare carne ma solo vegetali autoprodotti nell’orto di Venissa e, riguardo le specie ittiche, solo quelle invasive che depauperano l’Adriatico, come la Rapana Venosa (in foto). Una scelta non ideologica, che non va mai a discapito del gusto.

Giancarlo Saran

Un’ideale sintesi della civiltà serenissima, tra prodotti di terra e di mare. L’esofago di manzo razza fassona by Franco Cazzamali è una frattaglia recuperata dalle proprietà molto simili a quelle della lingua. Qui fa le veci dell’acciuga, tagliato a rondelle e marinato con cipolla e uvetta passita. In soldoni, la tradizione salvaguardata, la materia riciclata. Siamo da Ponte Peron, a Pagnano d’Asolo.

Andrea Mucci

Questo risotto targato 2023 mi ha fatto pensare a una “primavera nel piatto”, una portata che ricorda idealmente la riproduzione del naturale ciclo della terra. Dal silene, pianta rustica, spontanea e perenne, alle altre erbe e fiori del periodo, sino al kefir posto in superficie, lavorato in modo da dissolversi in bocca, paragonabile allo sciogliersi delle nevi sul finire dell’inverno. Una nota acidula che arricchisce il fresco assaggio di un risotto vegetale originale, equilibrato e gustoso, perfetta esplicitazione dell’ora etica. Da Alberto Toè di Horto.

Un grande ristorante travestito da bistrot

Spazio è l’antitesi del bistrot “griffato” dei cuochi stellati. Anzi, forse è più corretto qualificarlo come un grande ristorante travestito da “bistrot”. Contiene moltitudini partendo dalla triade ambiente-sala-cucina che si stagliano tutti su un livello di elevato standard qualitativo. Niko Romito ha lasciato spazio creativo alla bravissima Gaia Giordano, alla quale va il merito di aver plasmato una cucina affine allo stile del suo mentore, ma connotata di una propria personalità. Un microcosmo tanto riconoscibile quanto unico. Essenzialità e profondità gustativa restano il fil rouge di preparazioni in cui ogni ingrediente si percepisce con nitidezza al gusto ma, ancor prima, all’olfatto.

Condivisione vegetale

Pulizia di sapori, questa, che raggiunge l’apoteosi nel nuovo percorso di degustazione chiamato “Spazio in Condivisione“, attraverso il quale si esplora esclusivamente la cucina di Gaia Giordano qui “votata al vegetale”. È il menù che somiglia di più al pensiero di Romito, che parla del lavoro fatto nel corso degli anni, anche con la consapevolezza che possa risultare ostico per alcuni palati. Gli equilibri, dominanti sulle sapidità, sono retti da un’equazione gustativa in cui amaro dolce e acido si susseguono e si rincorrono ma sempre all’interno di un recinto gustativo armonico. Piatti come Indivia e arachidi, i Capellini, limone, zafferano, lo strepitosa Verza e mela o l’Assoluto di agrumi sono tra le migliori espressioni vegetali in cui ci siamo imbattuti quest’anno.

Non è una cucina per tutti, diciamolo, ma i rischi qui vengono assunti con consapevolezza e autorità, anche con il fine di trasmettere sapori più stimolanti rivolgendosi a una variegata clientela, locale e straniera. La proteina animale è ancora presente in carta dove, invece, sfilano piatti più rassicuranti ma dal medesimo costrutto tecnico e autoriale. Del resto l’ubicazione del ristorante aiuta, e tanto, anche a predisporre al meglio l’ospite, qui capace di approcciarsi a una cucina tutt’altro che turistica, benché a vista sulla Madonnina. La regia del servizio di sala è affidata, con rassicuranti risultati, al bravissimo Francesco Spina, uno della vecchia guardia del Reale.

IL PIATTO MIGLIORE: Verza e mela.

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Curiosità e folklore a proposito del feticcio elvetico: il formaggio

Quando si parla di Svizzera, l’immaginario collettivo impone immediatamente i verdi pascoli erbosi abitati da centinaia di mucche felici e l’ottimo formaggio “con i buchi” che si produce con il loro latte. Tutto vero, ma da quando ho iniziato a frequentare questo meraviglioso Paese, ho capito che la realtà supera di parecchio l’immaginazione.

Il culto del latticino tra mongolfiere e legge marziale

Il formaggio, in Svizzera, rappresenta una vera e propria religione. Il latticino non solo piace, ma è idolatrato. Basti pensare che gli svizzeri ogni anno ne mangiano oltre 20 kg a testa (la media europea si attesta attorno ai 17 kg pro-capite) e che l’amata fondue è il piatto festivo per antonomasia del periodo autunno-invernale, regina delle cene tra amici e del banchetto di Capodanno. Un tale successo quello della fondue, che dopo essere stata adottata pressoché in ogni cantone, ha visto svilupparsi in tempi recenti la tendenza del posto-più-strano in cui mangiarla, pranzi in mongolfiera e cene in scenografici igloo incluse.

 Gli elvetici sono talmente ossessionati dal formaggio che, se alle nostre latitudini è tutto un fiorire di sushi all-you-can-eat, qui di pari passo vanno i ristoranti che propongono raclette “a volontà”. Un piatto tanto amato che perfino al supermercato è possibile trovare una moltitudine di varietà di formaggi già tagliati e pronti per preparare questa prelibatezza a casa propria. Sì, perché per non incorrere nello stigma sociale, uno svizzero che si rispetti in casa deve avere due arnesi fondamentali: il caquelon per la fondue e il fornetto (nelle sue svariate forme) per la raclette. E sfoderarli almeno un paio di volte all’anno. Minimo.

Se non vi avessi ancora convinti dell’importanza che il formaggio ricopre all’interno di questo paese, pensate che negli anni ’90 la Nazionale Svizzera di sci alpino decise addirittura di farlo indossare ai propri atleti sotto forma di allegra tutina attillata.

Ma il mio dato folkloristico preferito ha origini ben più antiche, risalenti addirittura al XVI sec., quando tra i pastori nacque l’usanza di richiamare il bestiame attraverso un canto simile al celebre jodel, il “Ranz des vaches” (o “Kühreihen”, canto dei vaccai) tipico della regione della Gruyère. Ebbene, se già non fosse abbastanza l’invenzione del poetico e melodioso richiamo con cui le mucche, una per una, nome per nome, erano chiamate a tornare in stalla, a colpire è il fatto riportato da Jean Jacques Rousseau nel suo Dictionnaire de la musique del 1768: “[…] il famoso Rans-des-Vaches, quell’Aria tanto amata dagli Svizzeri che era proibito sotto pena di morte suonarla nelle loro truppe, perché quella faceva disertare o morire coloro che lo udivano” perché, riporta l’autore, suscitava in loro “l’ardente desiderio di rivedere la loro patria.”

Italia e Svizzera, un matrimonio che s’ha da fare

A tutelare e promuovere questo bendidìo, oggi articolato in più di 700 specialità casearie e una produzione globale di circa 210.000 tonnellate, è Formaggi dalla Svizzera, che con il recentissimo lancio della campagna “+ che Svizzeri” punta a dare ulteriore valore ai suoi prodotti d’eccellenza e a farli conoscere in giro per il mondo.

L’evento di apertura tenutosi lo scorso 13 marzo a Milano, ha visto assegnare i sei più famosi formaggi svizzeri – Emmentaler DOP, Le Gruyère DOP, Appenzeller, Tête de Moine DOP, Raclette Suisse e Sbrinz DOP – ad altrettanti grandi nomi della cucina italiana – Niko Romito, Gianluca Gorini, Davide Caranchini, Stefano Vola, Antonio Guida e Luigi Taglienti – chiamati a creare un piatto con uno di questi formaggi.

Lo stress-test definitivo – e ampiamente superato – del latticino, che ha saputo abbinarsi magistralmente anche negli accostamenti più ostici, come quello di Antonio Guida e la sua Triglia avvolta in foglia di bieta e tartare di calamari all’Appenzeller.

Tutto quello che avreste voluto sapere sul… formaggio

Formaggi dalla Svizzera mette poi a disposizione degli utenti un sito web veramente nutrito di contenuti. Dalla ricetta per realizzare una perfetta fondue moitié-moitié, ai luoghi più strani in cui mangiarla, passando per l’elenco delle tipologie di formaggio suddivise per le loro caratteristiche… se avete una domanda sul formaggio, questo è il posto in cui troverete una risposta.

Alcune curiosità

La maggior parte dei formaggi svizzeri non contiene lattosio
I formaggi a pasta extradura e dura non contengono lattosio, poiché la maggior parte viene rilasciata nel siero durante il processo di caseificazione e la restante è eliminata attraverso il processo di stagionatura. Al novero è possibile aggiungere anche i formaggi a pasta semidura e alcune tipologie di formaggio molle, che, pur contenendo qualche traccia di lattosio, sono ben tollerati dall’organismo.

L’autentico formaggio svizzero “con i buchi” è soltanto l’Emmentaler DOP
Non l’Emmental, non il Groviera, che possono essere prodotti in altri paesi. Dal 2000 il solo e unico formaggio con i buchi svizzero è l’Emmentaler DOP. Emmentaler si traduce letteralmente come “proveniente dalla valle dell’Emme”, l’area di produzione storica di questo iconico formaggio.

La produzione è interamente biologica e attenta al benessere degli animali, immersa in scenari da favola
In un Paese che ha chiamato il suo popolo a votare circa l’opportunità o meno di tagliare le corna delle vacche adducendo che ciò provocasse una sofferenza inutile dei bovini, superfluo dire che il benessere degli animali è sempre tenuto in grandissima considerazione. Io stessa in occasione di una passeggiata in montagna ho assistito all’inusuale scena di un branco di maiali che saltellavano, letteralmente, liberi per i prati, sprizzando gioia da tutti i pori. Sul tema gli elvetici sono avanti, c’è poco da dire.

Nel 2002 i produttori di formaggio hanno poi volontariamente deciso di attenersi a norme ancora più stringenti di quelle dettate a livello europeo, rinunciando all’impiego di coloranti artificiali e conservanti ad azione antibiotica. I casari svizzeri ne hanno fatto un vero e proprio dogma: non utilizzerai altro all’infuori di latte, batteri lattici e caglio.
Il risultato è un prodotto completamente naturale e di altissima qualità. Qualità che deriva dal fatto che i due terzi dei formaggi provengono da piccole realtà artigianali, saldamente legate al territorio e solitamente immerse in scenari da favola, dove le mucche brucano l’erbetta fresca di montagna e scorrazzano felici nei pascoli dalle tonalità verde smeraldo.

Alla scoperta dell’oro bianco svizzero

Un utile – e dilettevole – modo di scoprire l’ingente ricchezza casearia di questa nazione, è sicuramente quello di partire e mettersi in viaggio. Spesso dimentichiamo che la Svizzera non è poi così lontana. Il Ticino è giusto al di là del Lago di Como, e già qui è possibile trovare un infinito numero di caseifici e alpeggi, magari approfittando dell’occasione per concedersi una piacevole escursione.

Numerosi sono anche gli eventi legati al mondo del formaggio: i più famosi sono gli Swiss Cheese Awards, una sorta di Premio Oscar del formaggio che si tiene in autunno, ma non mancano le iniziative locali, come il Cheese-Festival che andrà in scena a Lugano il 1° aprile. Numerose iniziative saranno presentate anche sul territorio italiano a cura del distaccamento nostrano di Formaggi dalla Svizzera, che nelle prossime settimane sarà presente in numerosi punti vendita e attraverso punti di contatto diretto con il consumatore, tramite l’utilizzo di immagini, QR code, concorsi e molto altro.

Tutte ottime occasioni per scoprire quant’è effettivamente buona l’erba del vicino.