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Taverna Estia

Un atelier di buongusto, classe e grande cucina alle porte di Napoli

Quella degli Sposito è una delle grandi famiglie della ristorazione italiana. E varcare la soglia di Taverna Estia, il loro elegante ristorante alle porte di Napoli, è sempre un po’ come entrare a casa di amici. Ci si sente immediatamente a proprio agio grazie a un padrone di casa inappuntabile come Mario Sposito, che dirige un personale di sala giovane e preparato, oltre a occuparsi con grande professionalità di una cantina che è sempre più ricca e interessante, piena di grandi bottiglie e di vere e proprie chicche provenienti da piccole realtà locali.

La bella cucina a vista è il regno di Francesco, il fratello, autore di una proposta oggi profondamente calata nel territorio e nelle materie prime campane e sempre decisamente imbevuta di classicità. Una grande personalità, la sua, che riesce a restare identitaria pur aprendosi a suggestioni e contaminazioni provenienti da mondi lontani. Del resto Francesco Sposito ha una non comune conoscenza delle tecniche – classiche e contemporanee – unita a un grande amore per la cucina dei Maestri d’Oltralpe. Il risultato è una cucina colta ma mai ideologica che nasce da pensieri e riflessioni sulla tradizione e sul mondo che gli gira intorno. Da qui la maestria nella realizzazione di tutte le salse, la perfezione delle cotture, tutti dettagli – che dettagli non sono – che fanno la differenza, soprattutto in un momento storico come quello attuale in cui l’Alta Cucina per tanti giovani cuochi sembra sempre più un divertente punto di partenza invece che un difficilissimo punto di arrivo. Dovrebbero, questi, fare una salto a Brusciano e assaggiare l’Anguilla, cotta al barbecue, sullo spiedo e quindi laccata con succo di cavolo fermentato accompagnata da porro arrosto e fragole marinate nel vino bianco. Un grande piatto in cui cotture ancestrali e tecniche moderne si sposano alla perfezione.

Una cucina colta ed elegante capace di rinnovare la tradizione ed andare oltre

Interessanti le rielaborazioni dello Chef di alcuni grandi classici della cucina campana estiva come la Caprese che diventa una goduriosa zuppetta realizzata con fior di latte sferificato, olio aromatizzato al basilico ed essenza di pomodori. Ma anche la pasta alla Nerano segue percorsi nuovi sotto forma di Bottoni di pasta fresca che racchiudono un’esplosione di pesto liquido di Parmigiano da Vacche Rosse, Provolone del Monaco, basilico e zucchine. Grandi i dessert – e anche questa qui non è una novità – sia il Tiramisù di bufala, caffè e gelato alla fava Tonka sia il Gelato alla pastiera napoletana servito su un cono di pasta “sfogliatella”.

Tanta Campania, dunque, più di qualche tempo fa. Forse questa è la principale novità che abbiamo trovato in quest’ultima visita. La cucina di Taverna Estia sembra aver deciso di abbracciare con maggiore convinzione il proprio territorio anche attraverso un’opera di rielaborazione di antiche ricette e dei grandi classici della vasta gastronomia regionale e di voler alleggerire alcuni passaggi rendendo l’esperienza un po’ più immediata e “Pop”, per dirla alla Oldani. L’operazione ci sembra riuscita grazie al grande talento di un Francesco Sposito in ottima forma. Chapeau

IL PIATTO MIGLIORE: Anguilla.

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Un presidio della tradizione Partenopea

Una storica insegna partenopea, inaugurata nel lontano 1943 da Emilio Giuliano (detto Mimì, appunto) e da sua moglie Ida nei pressi della Stazione Centrale, un luogo che trasuda storia e tradizione e ai cui tavoli si sono accomodati sia i napoletani più autentici sia personaggi più o meno potenti di passaggio in città. Oggi in cucina c’è il giovane Salvatore Giugliano, pronipote di Don Mimì, che dopo anni di gavetta in giro per alcune blasonate tavole contemporanee italiane ed estere, ha preso in mano le redini della cucina. La maggior parte dei piatti sono fortemente legati alla tradizione ed eseguiti a regola d’arte, non mancano tuttavia alcune creazioni più fantasiose o alleggerite che mantengono pur sempre dei sapori appaganti e piacioni. Il ristorante è disposto su due livelli con un numero non trascurabile di coperti, ma non è scontato accaparrarsi uno dei tavoli. Se con un po’ di pazienza riuscirete ad accomodarvi, sarete accolti da un servizio celere e simpatico, ma anche abile a superare ogni tipo di barriera comunicativa.

Una cucina dai sapori autentici

Tra gli antipasti, non può mancare una gustosa Parmigiana di melanzane o degli squisiti Peperoni ’mbuttunati che a dispetto del nome risultano freschi e leggeri. C’è anche la possibilità di scegliere qualcosa di meno tradizionale come il Taco bao con stracotto di manzo alla Genovese oppure le Alici fritte con zucca alla scapece e un’intensa maionese al wasabi, un filo troppo invasiva. Da Mimì si può mangiare anche dell’ottimo pescato del giorno oppure uno Spaghetto con le vongole da manuale, sapido al punto giusto e macchiato con il pomodorino come da tradizione. Materia prima ittica protagonista anche dei Tortelli di spigola con ragù bianco di seppie. Vero cavallo di battaglia del ristorante sono le paste secche della tradizione come le Candele alla Genovese oppure la Pasta allardiata con pomodoro giallo e rosso, lardo e una spolverata di Provolone del Monaco. Tra i dessert sofficissimo e umido al punto giusto il Babà, fedeli alla tradizione anche le due versioni di torta caprese, sia al cioccolato che al limone.

Inaspettatamente varia la selezione dei vini (benché non tutte le referenze siano riportate in carta), con numerose etichette sia italiane che estere e un’interessante selezione di vini naturali. Mimì alla Ferrovia è sicuramente un indirizzo valido per tutti coloro che volessero assaporare un’autentica cucina partenopea. 

IL PIATTO MIGLIORE: Pasta allardiata.

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Il favoloso mondo di Peppe Guida

Esistono innumerevoli strade per conoscere e apprezzare il lavoro di uno Chef che ha fatto dell’appartenenza una vera bandiera. Presente sui social dove dispensa ricette e consigli in maniera garbata e spontanea, sugli scaffali delle librerie dove il suo sorriso illumina le fotografie, in televisione dove nella sua dimora sulla collina di Montechiaro accoglie a mangiare e invita a riposare o, ancora, in giro, agli eventi dove la beneficenza non è obbligo ma piuttosto privilegio. Voilà il favoloso mondo di Peppe Guida. La parte però più esaustiva e intima di sé è quella che concede tutte le sere ai tavoli della sua Antica Osteria Nonna Rosa, meta consacrata della magica Vico Equense gastronomica. Sì, perché qui si consuma un rito “altro” rispetto ai classici ristoranti gourmet sparsi sul territorio: qui si viene a comprendere come la tradizione, la memoria, la forza naturale degli elementi possano produrre modernità e piacere anche facendo a meno delle tentazioni rivoluzionarie, del design che sembra governare spesso i piatti, delle mode che puntualmente corrompono i menù.

Un percorso di ristorazione nel senso etimologico del termine

Così il miglior piatto potrà essere la Rana pescatrice con la genovese di cipolla e la salsa di pomodoro, di cottura impeccabile e di equilibri ritenuti improbabili. O ancora toccherà stupirsi per la perfezione dei Tubettini allo scoglio al profumo di bergamotto e quel piccolo Calamaro con piselli e Provolone del Monaco. Un percorso di “ristorazione” intesa nel senso etimologico del termine, che si concluderà immancabilmente con la lussuria delle Graffette calde alla cannella.

Infine, segnaliamo una sala sempre più attenta e preparata, che la giovane Rossella ormai sembra sovrintendere con garbo e sicurezza, a cui si aggiunge una carta dei vini che encomiabili e perenni “lavori in corso” rendono sempre più completa. L’unica incertezza dell’Antica Osteria Nonna Rosa resta sulla lunga chiusura estiva, che nega la visita dal primo giorno di giugno all’ultimo di settembre.

IL PIATTO MIGLIORE: Rana pescatrice, cipolla e salsa di pomodoro.

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Un’oasi di gusto e benessere nella turistica Capri

Le Monzù è il ristorante dell’hotel Punta Tragara, un’incantevole struttura che guarda i Faraglioni di Capri, e di cui abbiamo già raccontato molte volte. Da circa dieci anni a capo della cucina c’è lo Chef Luigi Lionetti, che qui sembra aver trovato la chiave giusta per mettere d’accordo le differenti tipologie di visitatori che scelgono di accomodarsi nella splendida terrazza affacciata sulla baia di Marina Piccola. Quella dI Leonetti, caprese di nascita, è una cucina autentica, ricca di prodotti e sapori del territorio che strizza l’occhio alla cucina d’Oltralpe soprattutto nella ricerca della voluttuosità del boccone e nel mirabile uso delle salse. Una cucina che potrebbe sembrare un po’ troppo statica ma invero tende a perfezionare, di anno in anno, i piatti storici e ad aggiungerne di nuovi solo quando raggiungono la quadratura dei sapori e soddisfano pienamente lo Chef.

La cucina Caprese a tutto tondo

La cena si apre con un benvenuto, inno alla cucina tradizionale campana: un Bao da intingere in una salsa di totani e patate ed un bicchierino con varie consistenze di pomodoro, davvero molto intrigante e saporito. Si prosegue con l’immancabile Bon bon di gambero rosso, mandorle e una dolcissima zuppetta di olive Nocellara, a cui segue una pregevole Seppia cotta a bassa temperatura e ridotta in sfoglie che nascondono mela verde e ricci di mare, piatto meno goloso del precedente, giocato sulle note iodate e dalle consistenze perfette. La tradizione caprese torna prepotentemente in tavola con un ottimo Rollè di coniglio affiancato da un raviolo ripieno delle parti più tenaci dell’animale sapientemente “addomesticate”. L’ottima mano nel lavorare le carni viene fuori anche assaggiando l‘Agnello con composta di aglio nero e arancia. Il reparto dolci è ben strutturato anche se in alcuni casi le creazioni non risultano sempre bilanciate, vedi ad esempio il dolce che tenta di combinare il babà con la delizia al limone (Lemon-Zù). La carta dei vini è varia abbastanza per soddisfare le richieste del pubblico internazionale anche se manca di profondità, disponibile oltre che preparato il servizio. Le Monzù si conferma una delle realtà più interessante dell’Isola, e a maggior ragione per i piccoli ma costanti progressi. Un plauso va anche alla brigata di cucina che si occupa di tutta l’offerta ristorativa, dalla colazione al room service, di cui segnaliamo una delle migliori parmigiane mangiate quest’anno.

IL PIATTO MIGLIORE: Seppia, ricci di mare e mela verde.

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Il Sud non piu come perimetro ma base dell’esplorazione

Se per anni le tre lettere Sud, letterarie e suggestive, avevano fornito una precisa identità a questo ristorante e alla sua Chef, quella di una terra opulenta a tavola ma misurata e diffidente nella ricerca delle diversità e quasi obbligata al rimando di una qualche forma di tradizione, ecco che una nuova consapevolezza dell’aver sintetizzato questo DNA consente oggi, unitamente alla voglia di sperimentare, un nuovo viaggio a tratti spiazzante con incursioni nel mondo amaro, acido e bruciato meno confortevole ma di maggiore complessità al palato e grande personalità. Marianna Vitale sembra dunque liberare ulteriormente il suo indiscusso talento, sfidando la difficoltà dell’utilizzo di molti elementi nei piatti, delle divagazioni geografiche e degli abbinamenti poco accademici. Meno pancia più pensiero. Manifesto di queste intenzioni, miglior piatto della cena e non a caso creazione recentissima, è sicuramente la sorprendente alchimia di Uova affumicate di merluzzo selvaggio condite con furikake di stoccafisso e alghe con l’arrosto di peperone spagnolo piquillo a regalare un boccone di forte impatto che si rivela poi suadente e concluso.  

La nuova linfa di Marianna Vitale

Si inizia allora presentando le radici con il gioco del Ragù, con le ore a variarne colori e densità, si prosegue con la “Sabbia di olive nere” a ricordare l’incubo delle vongole, e si sparigliano subito le carte con l’Ostrica, prudentemente lasciata al naturale, qui coraggiosamente adagiata su un fondo di crema di cavolo al tartufo, fava di cacao, noci e pomodoro per un piatto dirompente e certamente divisivo. Ci si riconcilia immediatamente con lo Spaghettone cotto in un consommé di orzo tostato, di grande equilibrio, dove si riesce a dare voce alla lievità del gambero crudo anche in presenza di una voluttuosa crema di zabaione all’angostura e con la ormai classica Minestra di mare, piatto rivisitato continuamente alla ricerca della perfezione nei suoi volumi barocchi. Infine una interpretazione di Risotto, volutamente lontano dall’accademia, che spinge davvero all’estremo, anche per la presenza del curry, l’acidità del limone, tratto distintivo della Chef sin dagli esordi. Dessert, sebbene di buona fattura, ancora poco allineati all’estremo dinamismo delle portate che meriterebbero magari una conclusione più leggera e affilata. Insomma, una cucina che, rispetto alle nostre visite pregresse, sembra aver acquisito una marcia in più e che abbiamo deciso di premiare.

Si beve sempre molto bene e a costi giusti con una offerta marcata sul territorio con qualche bella profondità, sulle bollicine e l’accenno ai vini naturali, sempre con il piacere di trovare cantine piccole e poco conosciute  con le quali stupirsi. Due soli menù degustazione di 7 e 12 portate con possibilità (consigliata) di wine pairing  ma encomiabile la disponibilità di tutta la brigata a derogare in caso di necessità.   

IL PIATTO MIGLIORE: Uova di merluzzo skrei, peperone arrosto del piquillo, aglio fresco e furikake di stoccafisso e alghe.

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