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Montiano, parola alle donne Cotarella

Verticale 2017, 2016, 2015

Il vino di punta della Famiglia Cotarella è prodotto in un territorio di origine vulcanica, la Tuscia, situato tra Lazio e Umbria. L’ispirazione che portò alla creazione del Montiano, una particolarissima espressione di Merlot in purezza, fu il viaggio che fecero Riccardo e Renzo Cotarella nel 1988, in Francia, tra Pomerol e Saint-Émilion. Un vino che, già nella sua prima annata, il 1993, suscitò scalpore, poiché la Tuscia era considerata “terra da vini bianchi”, smentito poi puntualmente dall’ottimo giudizio di Robert Parker, che contribuì in modo determinante al successo del Montiano anche oltremare.

Oggi sono Dominga, Enrica e Marta, figlie di Riccardo e Renzo, a condurre la tenuta e, grazie al loro incontenibile entusiasmo, l’attenzione nei confronti del Montiano, che nel frattempo si è affermato anche in Italia, resta alta. Merito della sua identità territoriale nonché della sua evidente personalità mutuata dal suolo vulcanico che, rispetto alla generosità conferita dai suoli argillosi, diventa ideale per la coltivazione del Merlot che dona al Montiano finezza e verticalità e, col tempo, anche una sua personale maturità stilistica.

Dall’evoluzione alla coerenza stilistica

“Con la 2016 si tratta proprio di una evoluzione più che una rivoluzione, su un solco già ben tracciato” dichiara Dominga, e non è un caso che dal 2016 il vino vanti una nuova etichetta, più raffinata; le uve sono vinificate in totale autonomia dal genero di Riccardo, Pierpaolo Chiasso, che in cantina ha introdotto nuovi accorgimenti come l’investimento in una moderna macchina che, dopo la diraspatura, riconoscendo e separando i chicchi imperfetti da quelli perfetti, ha portato a una riduzione della produzione del 30%; una percentuale che va a ridursi ulteriormente in annate complicate come la 2017. Oltre a ciò, alcuni accorgimenti come l’uso di tini troncoconici, atti a diminuire lo stress dell’uva in fermentazione, e la riduzione della temperatura di macerazione, hanno contribuito all’obiettivo di realizzare un vino ancora più fine ed elegante, per cui “se il 2016 era il Montiano dell’evoluzione, il 2017 è il Montiano della coerenza” – afferma Dominga.

E sono proprio l’evoluzione e la coerenza ad emergere in modo chiaro nel corso della nostra recente verticale. Si inizia con un Montiano 2015 che rimane un vino di livello straordinario, morbido, equilibrato, fine e persistente per poi proseguire con un 2016 in cui si nota un perfezionamento di stile nella direzione della precisione, della finezza e dell’eleganza, arrivando al 2017, frutto di un’annata siccitosa, in cui è stato prodotto un vino di grande finezza e bevibilità, in perfetta coerenza stilistica con il 2016.

La gestione di un’annata difficile

Nell’ultimo millesimo prodotto si è raggiunto un livello contrassegnato da un attento lavoro in vigna, marcato dalla presenza di un sufficiente apparato fogliare, in cui si sono ottenute uve mature evitando la sovramaturazione, e riuscendo a raggiungere un sufficiente livello di acidità. Mentre in cantina si è riusciti ad estrarre tannini fini e dolci senza segni di secchezza, calibrando macerazioni in modo da mantenere un perfetto equilibrio tra dolcezza e acidità.

Montiano 2017

Profumo di marasca e lampone, spezie dolci, cacao e tabacco. In bocca l’attacco morbido, senza segni di sovra estrazione, è bilanciato da acidità succosa e sapidità salmastra che rendono il sorso scorrevole e verticale. I tannini sono dolci, a trama fitta e soffici. Il finale è lungo e persistente con un retrogusto pepato. Un vino sorprendente che interpreta in modo magistrale un’annata così complicata. Voto 94

Gialuca Gorini è un predestinato. Ha talento, tanto, sensibilità ed una faccia pulita che è lo specchio del suo carattere. Sereno, schivo, gentile, garbato. Ne farà tanta di strada questo cuoco, cresciuto nell’ombra di un altro grandissimo talento, Paolo Lopriore.

E’ buffo osservare come, nello scambio di opinioni a fine pasto, sia evidente il segno che il suo mentore ha lasciato in lui. Il tono della sua voce, finanche le movenze delle mani, la gestualità sono un susseguirsi di citazioni al suo maestro. E’ questo sinonimo di riverenza, riconoscenza, stima e ammirazione. Gianluca riconosce in Paolo certamente il suo più importante Maestro.

Ma non si può dire lo stesso della sua cucina invece. Che si sta facendo di giorno in giorno più scaltra, sfacciata, irriverente e prorompente. E si sta piano piano smarcando, a passi lievi ma distesi, da quella del Maestro. A nostro avviso ci vorrà ancora molto tempo per vedere il vero Gorini, perché l’anima schiva ed umile che alberga in lui deve ancora trovare la sua piena quadratura e identità in cucina. Sia chiaro, lui non copia affatto. E’ semplicemente molto ispirato, finanche innamorato, dei concetti e delle strade percorse da Lopriore.

Quando comprenderà che è già in grado di camminare completamente con le sue gambe, di tessere tele proprie perché enorme è il talento e la stoffa che dimostra, beh… allora avremo trovato un altro nuovo grandissimo autore della nuova cucina italiana.
Senza esitazioni alcune lo gridiamo a gran voce.
Un esempio? Quel brodo, ancestrale, in cui i cappelletti risultano quasi pleonastici. Un brodo primordiale che sa di carne, concentrato e finissimo, senza essere venuto al ben che minimo contatto con la carne. Un insieme di elementi vegetali e aromatici che, per concentrazione, assurgono ad una essenza-umami sensazionale… questo vogliamo!

Già oggi siamo di fronte ad un grandissimo professionista che con stile ed eleganza propone una cucina tutt’altro che banale e scontata. Ancora un po’ troppe le reiterazioni stilistiche, l’utilizzo degli amari, la scomposizione nei piatti in polvere/concentrato per estrazione/ingrediente, a chiudere il piatto. Ancora una cucina in cui il rapporto ingrediente centrale-contorno è a favore del primo. Quando saprà ricreare una nuova proporzione tra i due elementi, rendendo comprimario il primo, e quando abbandonerà le concentrazioni del secondo sullo schema polvere-salsa, questa cucina avrà un salto qualitativo elevatissimo.
Ma, e ne siamo certi, siamo di fronte ad un futuro prodigio.

La favolosa vista.
Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Il benvenuto dalla cucina: porro essiccato, crema di capra e sesamo nero. Lattuga, bergamotto e polvere di semi di zucca tostati. Tetragonia, aceto affinato in anfora, bottarga di tonno rosso. Nerobitter, arancio, capperi e menta.
Benvenuto, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Lumachine di mare, estratto al pepe, finocchietto selvatico, finocchio marino, crema di patate cotte alla cenere montate all’olio.
Lumachini di mare, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Il pane.
pane, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Scarpette sporche, senape nera, spinacio all’aceto di lamponi, la sua crema e la sua polvere.
Scarpette sporche, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Cavolfiore all’aceto, aringa e le sue uova, chiodi di garofano in polvere e in estratto.
Cavolfiore all'aceto, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Spaghettoni di Gragnano, uva fragola, formaggio di fossa e burro all’acciuga.
Spaghettoni, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Ravioli allo scalogno, cicoria appassita, caprino.
Ravioli allo scalogna, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Immenso e devastante brodo di semi di zucca tostati, foglie verdi, topinambur e soia con gocce di pepe garofanato, limone al sale e cappelletti ripieni di mora romagnola.
cappelletti in brodo, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Animella al burro, erba cipollina, te matcha, capperi sotto sale e bietola.
animella al burro, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Verza, nocciola e mandarino… un lieve incompiuto in cui la marmellata di mandarino non dona abbastanza nerbo acido.
Verza, nocciola, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Colombaccio, salsa all’alloro, cipolla fondente, salsa alla cipolla soffiata.
Colombaccio, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Leprotto, Ginepro, rosa canina e corbezzolo. Grande tecnica nella lavorazione del rotolo, in cui l’involucro -il filetto- è contornato da uno strato fatto con il resto delle carni e del quinto quarto. a riprendere quasi un polpettone e a irridere, al contrario in reverse, la farcitura della lièvre à la royale. Rivisitazione, per una volta, riuscita.
leprotto, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Rognone di coniglio, carciofo e rosmarino.
Rognone di coniglio, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Pera cotogna, foglie essiccate, tartufo nero, the nero fermentato, mandorla.
Pera Cotogna, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Spuma di menta, granita di mela verde e liquerizia.
Spuma di menta, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Lampone, rabarbaro marinato al gin, crema di mandorla amara e gelato al lampone.
Lampone rabarbaro, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montiano, Forlì-Cesena

In una terra di forti e radicate tradizioni gastronomiche come la Romagna, scegliere di allontanarsi dal rassicurante solco tracciato dai capisaldi della cucina territoriale è stato senz’altro un azzardo che il patron delle Giare, Claudio Amadori, ha tentato con ammirevole rischio imprenditoriale.
Una volta rimesso a nuovo -in modo architettonicamente assai felice- il già rinomato ristorante, caratterizzato ora da ampi spazi e da una piacevolissima e ben sviluppata proiezione verso l’esterno, la sensazione che mancasse qualcosa di importante per completare l’opera era profondamente e inequivocabilmente sentita.

Di qui la saggia scelta di chiamare il pesarese Gianluca Gorini a dirigere le cucine di questo bel locale, intuendone la capacità di dare una svolta decisiva alla storia del ristorante.
Un passato da Paolo Teverini e, soprattutto, il successivo lustro passato a Siena alla Certosa di Maggiano, sotto l’egida di Paolo Lopriore, uno dei massimi talenti italiani, sembrano aver forgiato a dovere lo chef.
L’impostazione alquanto classica del primo e, soprattutto, l’imprinting del secondo (votato a una cucina ricca di personalità e potenza, che utilizza l’ingrediente nella propria sovrana essenzialità), con tutto il suo dinamico caleidoscopio di sfaccettature, hanno rappresentato senz’altro la chiave di volta del suo stile.
Gorini ha, infatti, fatto tesoro delle esperienze acquisite, sublimandole in una riuscita sintesi dove la propria sensibilità, unita a profonda conoscenza di tecnica e materie prime, ne permette una riproposizione delle stesse assolutamente originale.

Ogni piatto è composto da due o tre ingredienti, in cui spesso uno di essi viene presentato in duplice consistenza; questo per darne pieno risalto, sviscerando appieno tutte le proprie potenzialità.
Una cucina semplice solo in apparenza ma complessa, non solo perché basata su vari giochi di texture, ma anche per l’attento studio di abbinamenti che completano le pietanze in modo assai convincente.
Il risultato infatti è, per ogni assaggio, la particolare sensazione che tutto, grazie a un equilibrio duramente perseguito, è così come deve essere.
Si potrebbe anche osare l’aggettivo precisa, non fosse altro però che la cucina non è una scienza esatta.

Anche qui non possono mancare piatti classici e facilmente accessibili alla totalità della clientela, ma anche in questi ultimi tutto è estremamente dosato e cesellato, calibrato in modo da non eccedere in scontate ed eccessive rotondità.
Basti pensare agli squisiti ravioli dove scalogno e cicoria integrano in modo eccellente un primo sale caprino, ricomponendo con raffinatezza la forbice tra i vari sapori o alle linguine dove una nota acetica sfumata esalta con sapienza lo iodato del riccio di mare.
Più in generale è grande l’attenzione alla misura delle sensazioni: nessuna nota è lasciata a briglia sciolta ma viene esaltata attraverso una composizione di quadri del tutto conclusi.
Anche un dessert come il caramello bruciato o il fico marinato al calvados, che quantomeno nell’enunciato potrebbero risultare di stucchevole dolcezza, segue questa linea, con la componente glucidica che resta sorprendentemente limitata e quasi sullo sfondo rispetto alla nota amara del cacao e quella acida dell’agrume.

Nulla è banale a questa tavola, ma tutto concorre a garantire un’esperienza niente affatto ordinaria, guidati da un bravissimo chef in un percorso all’insegna di un’insolita e personale concezione del gusto.

Esterno.
esterno, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Mise en place.
mise en place, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Pane.
pane, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Amuse bouche: cremoso di capra e sesamo nero, lattuga con semi di zucca tostati e mousse di mandarino, cicoria con bottarga di tonno rosso, gelatina di bitter nero con cappero, arancio e menta.
amuse bouche, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Conchiglie sulla battigia, gelato ai frutti di mare, guscio con carapace della canocchia e burro di cacao, ricci di mare e vongole. Citrico, amaro, iodato…
conchiglie, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Lumache di mare su crema di patate cotte sotto la cenere, riccio e finocchietto selvatico.
lumache di mare, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Seppioline con nero di seppia, il suo fegato, centrifugato di semi di senape, spinacino selvatico e aceto di lambrusco… tre elementi: seppioline, spinaci e senape con le loro diverse consistenze.
sepioline, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Tè nero Lapsang Souchong a completare.
tè nero, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Insalata d’anguilla cotta al fumo di brace, spremuta di acetosa e misticanza, pinoli, frutta secca, cipolla e capperi. L’insalata è la protagonista assoluta con toni variegati che vanno dall’amaro al tannico al sapido: l’anguilla, inopinatamente, ne costituisce il complemento lipidico. Chapeau.
insalata d'anguilla, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Linguine, ricci di mare e strigoli, cumino e aceto a sfumare…
linguine, ricci di mare, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Ravioli di scalogno, primo sale di capra e cicoria.
ravioli di scalogno, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Animelle, tè matcha, burro all’erba cipollina, capperi di Pantelleria.
Animelle, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Piccione allo spiedo, davvero ottimo, alloro e cipolla fondente con la sua crema…
Piccione allo spiedo, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
…cuore e fegato con ginepro rosso macerato nel gin, radicchio in agrodolce e composta di arancia amara
cuore e fegato, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Rognoni di coniglio alla camomilla (si odono echi pariniani).
Rognoni, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Predessert: Sempreverde a Montiano e cioè granita di mela verde, spuma di menta e polvere di liquirizia. Fresco, molto fresco, freschissimo.
predessert, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Fucsia: zuppa di rabarbaro con infuso di Karkadè e gin, mandorla amara e sorbetto al lampone.
dessert, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Caramello bruciato, fico marinato al calvados, sorbetto al limone, crumble di cacao amaro.
caramello bruciato, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Crema inglese cannella e limone, sorbetto all’alkermes, mousse al cioccolato e rum. Quando la destrutturazione di un dessert ha un senso.
Crema inglese cannella, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Squisiti petit fours.
petit fours, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Un signor passepartout…
champagne, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
…e un gran bel Chenin.
chenin, Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano
Le Giare.
Le Giare, Chef Gianluca Gorini, Montenovo di Montiano

LEPRE AL SANGIOVESE CHINATO E RADICE DI RABARBARO

“Non c’è tensione in un quadro, se non c’è lotta con l’oggetto… Nell’arte astratta invece, non essendoci più il riferimento alla realtà, rimangono solo l’estetica del pittore e le sue povere sensazioni. Non c’è tensione”. Non valgono solo per Francis Bacon, queste considerazioni sul figurativismo. Che in cucina significa aggancio a una ricetta codificata: un rimando alla tradizione che per chi pratica avanguardia può significare un livello espressivo in più, oltre il libero gioco gustativo.
È il caso di Gianluca Gorini, che da due anni si diverte alle Giare di Montiano a gettare guanti della sfida ai nostalgisti. I tortelli burro e salvia come l’agnello con i carciofi e altri classici regionali, icone del comfort food condotte oltre la soglia della disobbedienza. La stessa operazione di questa lepre, che segna il primo approccio da chef alla cacciagione.
La materia è familiare fin dalla trattoria marchigiana, che il papà e lo zio cacciatori rifornivano di tordi da infilare sullo spiedo e lepri da tuffare nel salmì. Approfondita al fianco di Paolo Teverini e Paolo Lopriore, a Montiano viene trattata in modo contemporaneo: appena una leggera frollatura per fare maturare i profumi e un passaggio sottovuoto con una bacca di ginepro, senza quel ricorso alla marinatura che segna la culturalizzazione dell’ingrediente estraneo. “Mi piaceva l’idea di mettere in carta una carne così nobile, che era rimasta un po’ relegata al focolare di casa, forse per ragioni burocratiche. Perché in Italia la caccia è cultura, ma secondo me dopo maestri come Teverini e Pompili si era un po’ perduta. Mi sono messo in cerca di lepri che sapessero di selvatico, dal corredo olfattivo non addomesticato, neppure pulite tanto bene. Le ho trovate a Monzuno, da Zivieri: non più solo ungulati da caccia selettiva dell’Appennino tosco romagnolo, ma da quest’anno beccacce, colombacci, alzavole, pernici e lepri dei nostri boschi, secondo la stagione. Le lavoro come il coniglio: le cosce e le spalle per il ragù; a parte il lombo e le costoline appena spadellate nel burro. Una cottura leggerissima, volta a preservare la carica ferrosa ed ematica”.
A scortarle guarnizioni che evocano la classicità: al posto di jus e fondi, che pure Gorini ha sperimentato, una riduzione del Sangiovese chinato uscito dagli alambicchi di Baldo, carismatico alchimista romagnolo. Il minimo indispensabile per una consistenza lucida e sciropposa, in grado di esaltare le note amare della china e del cacao che l’aromatizzano; più qualche goccia di centrifugato di corteccia di china. Lepre, vino rosso, spezie e cioccolato: mancherebbe solo la frutta, se non ci fosse la purea di rabarbaro, cotto in forno e poi passato al setaccio.
La più classica delle idee sottoposta a svolgimenti moderni, nelle cotture e nella integrità degli ingredienti. Alla ricerca della sua carica disobbediente: quella collisione fra amarezza e acidità che rappresenta un diabolus in bucca, capace di restituire agli abbinamenti tramandati la loro originaria carica di trasgressione

 lepre al sangiovese chinato e radice di rabarbaro, Chef Gianluca Gorini