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Il dramma del terremoto a Montemonaco

Questo articolo esce in contemporanea con Luciano Pignataro Wineblog.

Troppe speculazioni si sono fatte sulle recenti tragedie. Noi vogliamo solo raccontare una storia, una storia di ristorazione ma anche di imprenditoria. Enrico Mazzarroni, chef di talento in quel di Montemonaco -sui monti sibillini- e il suo braccio destro nonché maître Gian Luigi Silvestri, si sono svegliati i giorni scorsi con una bruttissima sorpresa.

Il loro Tiglio è stato dichiarato inagibile, dopo le recenti scosse del 30 Ottobre. Dopo aver speso decine di migliaia di Euro quest’estate per ristrutturare sala e cucina. Dopo aver creduto e continuato a crederci, a dispetto del terremoto e delle difficoltà vissute in quella zona, già di per sé difficile da raggiungere, perché lontano dalle rotte canoniche.

Un colpo duro al cuore, diretto, che arriva a tutti noi. Si osservano i fatti che stanno succedendo in questi giorni, terremoto e terremotati, spesso con un cortese distacco. Abusando di retorica e falsità diciamo di sentirci vicini alle popolazioni colpite. Ma quando questa brutta bestia arriva così vicino a noi ci si risveglia di colpo.

Un in bocca al lupo, di cuore, a Enrico e Gian Luigi. Che ci auguriamo di rivedere presto in una nuova avventura, a cui non mancheremo di far avere il nostro sostegno e, come sempre, le nostre critiche costruttive.
E un in bocca al lupo a tutti quelli, saranno purtroppo molti, nella loro stessa situazione. Scriveteci! La nostra porta e il nostro sito sono aperti a tutti voi.

Forza ragazzi, che questa disgrazia non vi pieghi!

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L’entroterra piceno è un angolo d’Italia praticato da pochi. Gli appassionati di montagna, certo, hanno da tempo aggiunto i Sibillini ai preferiti per sciate, trekking ed escursioni, anche impegnative, ma tutto sommato neppure gli abitanti delle zone litoranee delle province di Fermo ed Ascoli conoscono a fondo (Pasquetta e Ferragosto non contano) il proprio entroterra, ed è un vero peccato. Qui siamo a Montefortino, nei pressi dell’orrida Gola dell’Infernaccio e del monte Sibilla che tante leggende ha ispirato, da Cibele alla Sibilla Cumana, dalla fata Alcina al wagneriano Tannhauser. Questo ristorante-pizzeria in realtà ha tutti i crismi della trattoria che ci piace, con una mano materna in cucina e tanta cura per i prodotti del territorio, due fattori che fanno dimenticare la location (più che altro l’esterno) non propriamente accattivante e la povertà assoluta della scelta enologica. La bandiera incontrastata del locale è la mela rosa dei Sibillini. Potendo capitare da queste parti solo in agosto, tuttavia, abbiamo ovviamente incrociato l’unica stagione in cui essa non è reperibile, ma quanto assaggiato in quest’occasione non ha fatto che accrescere la curiosità di provare i veri cavalli di battaglia di questa cucina.
Per aprire non si può prescindere da un assaggio di creme ed olive all’ascolana, che preparano il terreno ad un pranzo dai gusti intensi, privo tuttavia di fastidiosi eccessi di sapidità.

Certo in qualche preparazione, come in questa egregia coratella, l’utilizzo dell’olio è generoso a livelli che potrebbero far storcere il naso al più intransigente, ma è sempre giusto a mio parere tarare la “soglia di tolleranza” a seconda del tipo di cucina.

Lonza, pecorini ed un’ottima e vigorosa trippa emergono da questo misto di antipasti “alla Beatrice” (Barelli, la cheffa).

In agosto e sui Sibillini il tartufo nero estivo non può che recitare la parte del leone nei primi piatti. Si comincia con pappardelle con la crema delle prime zucche e burro al tartufo

per andare su un’intensa declinazione dedicata al solo tubero, presente in abbondanza in queste fettuccine

cui qui sono aggiunti anche porcini. Menzione speciale per una pasta semplicemente commovente per gusto e consistenza. L’eccellenza ci pare stia nella qualità delle uova, visto che comunque nelle Marche non si è soliti utilizzarne molte nell’impasto.

Non mancano nei dintorni le risorse idriche (tra l’altro il vicino Lago di Pilato dà asilo a questa singolarissima specie di crostaceo), per cui troviamo rifugio sicuro in una discreta trota al forno, cui non posso tuttavia non rimproverare il limone colpevolmente “obbligato”.

Semplici e gradevoli anche i dolci, dalla mattonella (Oro Saiwa, mascarpone e cacao), diffusissima in queste zone,

ad un discreto e non troppo dolce tiramisu al limone,

passando per l’interessante ed alcolico lonzino dei fichi, realizzato all’interno delle foglie (foto di copertina).
Il Brecciarolo di Velenosi, non assoluto, logicamente, ma dall’ottimo rapporto qualità prezzo. E poi d’altronde scelta ce n’è pochissima.

390

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione Ristorante

A Isola San Biagio non ci passi, ci arrivi e basta. Devi decidere di arrampicarti fin quassù per godere di scorci indimenticabili, di una natura molto selvaggia, di un diradato, lento e profondo incedere che ha un non so che di spirituale. Montemonaco vicino, ma anche lontano, soprattutto d’inverno, quando metri di neve impediscono anche i più piccoli spostamenti. Devi avere grande determinazione per voler vivere in un luogo tanto affascinante quanto sperduto. Ancora di più se decidi di trasformare la giocosa macchina da guerra- trattoria di famiglia, nata e vissuta per macinare coperti, in una bomboniera che propone una cucina territoriale raffinata.

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