Casa Perbellini è un grande ristorante italiano. Il suo cuoco Giancarlo Perbellini ha raggiunto una maturità straordinaria, nella sua nuova Casa si sente decisamente a suo agio e questo permea da ogni aspetto del locale. Una cucina che è notevolmente cresciuta dai nostri ricordi di Isola Rizza, raffinandosi e mettendo a punto una tecnica davvero invidiabile.
Un concerto, una sinfonia vedere all’opera la brigata nella cucina a vista, che sforna preparazioni interessanti e gustativamente emozionanti. Un plauso al benvenuto, in cui la fine tecnica pasticcera si piega al servizio del salato in maniera pressoché perfetta, nonché difficilmente migliorabile. Non troverete facilmente dei benvenuti di tale personalità e raffinatezza altrove. Continuando poi attraverso il menù con un vero colpo da maestro, un pane burro e acciughe evocativo quanto gustoso, ma al contempo ricco di tecnica e contenuti. Un pane al vapore spugnoso e intrigante sormontato da cavolfiore croccante, crema di pistacchio e acciughe. Un fine prodotto di pasticceria prestato al salato per un istante. E che dire di quei risini al brodo di pesce e lumachine, ricordi d’infanzia mai tramontati, che in stile Antoine Ego ci catapultano in una girandola di ricordi, rimandi e di gusto formidabile. Altro colpo ben assestato quello degli spaghetti freddi alle vongole e prezzemolo, in cui l’omaggio al maestro Marchesi si eleva a grande sfoggio di personalità e tecnica, nonché, anche in questo caso, di profondità di gusto.
L’intramontabile wafer di branzino, qui forse ancora meglio del solito, fa da contraltare ad alcuni passaggi forse poco rifiniti (pensiamo ai pomodorini dei gamberi in entrata e alle capesante del riso) e ad una stupefacente non levatura della componente dolce, qui troppo banale ed anonima rispetto alla caratura del cuoco.
Ma non abbiamo dubbi ad affermare che qui a Verona ci troviamo al cospetto di una tra le tavole più interessanti dello stivale, con stimoli gustativi e ariosi richiami pasticceri davvero unici ed importanti.
Giancarlo Perbellini è uno degli alfieri della nuova cucina italiana.
Di lui abbiamo -e si è, più in generale- scritto tanto, tantissimo, ed i nostri elogi li merita tutti.
Professionista di rara serietà, legatissimo al suo territorio, di recente trasferitosi nella sua “Casa” ai margini di Piazza San Zeno, una delle più caratteristiche di Verona, officia a vista per i pochi fortunati (poco più di 20) che possono sedersi a questi tavoli.
Nessuno schermo tra sala e fornelli, sì da creare una simbiosi perfetta con l’ospite, che è lì, come a teatro, a godersi lo spettacolo a due passi dal palco.
Il servizio, di grande scuola, è in perfetta simbiosi con la cucina, ed è pronto a soddisfare ogni richiesta della clientela; la mano del Maestro è, da sempre, riconoscibile nelle sue creazioni.
Tecnica sopraffina, ma più assonanze che dissonanze. Si prediligono abbinamenti che conferiscono continuità gustativa, senza sferzanti contrasti. Dolcezza e note suadenti non vengono annullate da lievi acidità, presenti maggiormente che in passato.
Chi è consapevole dei suoi grandi mezzi non si concede così facilmente alle accattivanti sirene della modernità, o meglio della novità a tutti i costi. Anno dopo anno questa cucina si evolve, ma non crea mai un distacco netto col passato, neanche lontano.
Perbellini crea, ma non distrugge.
Una creatività davvero inesauribile: a Casa Perbellini il menù viene cambiato al massimo ogni due mesi, caso più unico che raro nel panorama dell’alta ristorazione italiana. Questa grande prolificità non viene però sempre accompagnata da una costanza qualitativa: nelle nostre visite abbiamo potuto constatare risultati altalenanti, non sempre al livello a cui ci ha abituato negli anni lo chef.
Alcune volte i piatti si sono rilevati confusionari, privi di quella eleganza e finezza neoclassica che sono il marchio di fabbrica Perbellini.
Beninteso, qui si gode comunque. Non una sola cottura sbagliata, non un solo abbinamento fuori posto.
Mai banali gli appetizer, molto interessanti gli spaghetti affumicati con fasolari e gamberi, rasenta la perfezione la cottura delle carni, manifesto della sua classe il sandwich di spigola e mazzancolle. Grandi, come sempre, i dolci; non possono tradirsi natali così illustri.
Nota stonata per la carta dei vini che, sebbene profonda e con etichette molto interessanti, presenta dei ricarichi davvero “monstre”, da far tremare i polsi.
Noi, come abbiamo fatto negli ultimi 20 anni, prima ad Isola Rizza ed ora a Verona, continueremo a tornare in questo piccolo antro di gusto e bien vivre, consapevoli che mai verranno tradite le elevate attese. Mille di questi cuochi!
Focaccia con pomodorini e olio al basilico.
Bignè farcito di ricotta affumicata, caramello di pomodoro.
Pomme soufflè al gusto pizza.
Cialda croccante di acciuga con burro e acciuga; Meringa di mais, crema di nocciola e gorgonzola.
Caviale affumicato e zabaione ghiacciato.
Ostrica in tempura, spuma di zafferano, pesto di lattuga di mare.
Sandwich di sogliola e mazzancolle, bavarese di asparagi, mandarino, cerfoglio.
Spaghetti alla chitarra affumicati, battuto di gamberi rossi, macedonia di fasolari.
Uova strapazzate, polpo, porro, tartufo e ristretto di dashi.
Quaglia affumicata, pomodori confit, carciofi, pistacchi e crema di Grana Padano.
Controfiletto di agnello, foie gras, coulis di asparagi e bacon.
Predessert.
Cremè brulée al limone, cialda di ananas croccante, sorbetto al mandarino e guazzetto di sciroppo ai fiori di sambuco e basilico.
Millefoglie strachin.
Succo d’arancia e gelsomino, Latte di mandorla e fragola, Pera e frutto della passione, Biscotto morbido al pistacchio, crema all’olio e mirtilli, Tartelletta dolce salata farcita di cioccolato caramellato e caviale di caffè.
I vini.
Il Perbellini è un ristorante di gran classe, uno degli ultimi rimasti in Italia, influenzata dalle Madonie alla Cozie dalle tendenze bistronomiche senza fronzoli e dal minimal radical chic.
Immergersi per qualche ora in un ambiente lussuoso e confortevole, seppur saltuariamente, ci fa ancora sentire bene, sospesi tra onirico e reale.
Curato nei minimi particolari l’arredamento, improntato alla grandeur francese, in stile Luigi XV, servizio coordinato dalla Signora Paola pressoché perfetto e cliente coccolato a tutto tondo, dal suo arrivo al congedo. Sommelier e cantina di pari passo.
Poi c’è la cucina, la ragione primaria del nostro viaggio ad Isola Rizza.
A Giancarlo Perbellini va riconosciuto il grande merito di essere stato il capofila, insieme al troppo spesso dimenticato Elia Rizzo, dell’alta cucina veneta.
Da venticinque anni nelle sue cucine vedono la luce creazioni che hanno fatto la storia della ristorazione italiana: il sontuoso “colori e sapori del mare” a cui oggi è dedicato un intero menu degustazione, “skampandoooooo”, viaggio didattico intorno allo scampo, il “wafer di branzino” ed in ultimo la riscoperta dello spiedo.
Non dimenticando la millefoglie strachin, senza tema di smentita la migliore in Italia.
In queste sale si è scritta la storia della ristorazione nazionale e di questo il bravo Giancarlo deve andare fiero.
Negli ultimi tempi, però, abbiamo notato una lieve stanchezza, poca incisività ed una deriva dolce, da sempre la cifra stilistica di questa cucina, ancor più accentuata.
Ci è apparsa una proposta meno in linea con i tempi, sebbene mantenga fermi i suoi capisaldi.
Lo stampo classico, di chiara ispirazione francese, è sempre lo stesso, le salse sono splendide, le cotture anche, ciò che è mancato è il collegamento tra “vecchio” e “nuovo”, non sempre allo stesso livello.
Gli gnocchi alla romana ad esempio, dolci ed allappanti, privi di consistenza, quasi monocorde, non facilitano l’ accesso palatale alle carni.
Dalla sopa coada di grancevola ci saremmo aspettati maggiore incisività, ma scivola via senza graffiare.
O l’anatra in cui, per il gioco di texture, avremmo preferito qualcosa di diverso (ed in quantità minore) dalla mollica di pane croccante.
Per altro verso, le vette ci sono state, altroché.
Scampo, piselli e agrumi è un antipasto di impatto estetico meraviglioso oltre che di finissima classe, reso vibrante dai lievi toni acidi.
Il foie gras allo spiedo, con sale Maldon, bruscandoli e asparagi selvatici è degno delle grandi tavole, giocato com’è sull’equilibrio sottile dell’amaro, invero una rarità tra questi fornelli.
Finale dolce pirotecnico con decine di piccole creazioni di pasticceria sopraffina, ma il carrello ci manca, eccome se ci manca…
Da Perbellini torneremo spesso, come sempre, ed il piacere sarà grande, nonostante le incertezze riscontrate.
Uova, asparagi e shiso.
Acciuga del Mar Cantabrico caramellata, menta. La materia prima è paradigmatica, con buona pace della “mia” Cetara.
Il wafer al sesamo, con branzino e liquirizia. Il mito non necessita commenti.
Scampo, agrumi e piselli. Un quadro, bello e buono.
“Come la sopa coada” di granceola. Crema di pomodoro calda, spuma di spinaci, grancevola e crostino.
“Sushi di maccheroni” e gamberi rossi al pesto di alga nori. Un’insalata di pasta fredda orientaleggiante.
“Gnocchi alla romana”. Spuma. Allappante.
Petto rosa d’anatra su gratin al prezzemolo, polvere di lamponi e olive disidratati. Non abbiamo amato il pane, ridondante.
Foie gras allo spiedo con bruscandoli, asparagi selvatici e sale maldon. Ce lo sogniamo di notte.
I formaggi.
La “piccola” pasticceria. Trionfo glicemico.
Gelato alla vaniglia.
Ancora piccola pasticceria. Giocare diverte, anche da grandi.
Esotico: mango, passion fruti, yogurth, cocco. Acido e rinfrescante.
Nocciole, cioccolato salato, gelatina di cognac.
LA Millefoglie Stachin. Orgoglio della casa.
I vini che ci hanno fatto compagnia.
Il protagonista occulto di questa pizzeria a due passi da Piazza Bra è Giancarlo Perbellini.
Il famoso chef veronese è proprietario di diverse insegne del centro cittadino: il Du de Cope è quella che da subito ha registrato il maggior successo.
Merito di un ambiente allegro e curato, di una pizza fatta come si deve, della possibilità di scegliere dalla carta dei dessert alcuni dei gioielli di famiglia.
Lo stile della pizza è quello classico napoletano ed anche gli abbinamenti si muovono nell’ambito della tradizione.
Un bel cornicione alto, pasta ben lievitata e poi tutti i grandi prodotti del panorama nazionale.
Ottima la pizza con la burrata e pomodorini, cosi come la bufala con i pomodorini confit e olive (anche se nelle nostre precedenti visite il confit era stato decisamente più convincente).
Ma anche la “cartina di tornasole” Margherita passa l’esame in agilità.
Sui dessert c’è l’imbarazzo della scelta: Millefoglie Strachin, un classico irrinunciabile, ma anche una ottima macedonia con gelato per chiudere in freschezza.
La buona selezione di birre artigianali chiude il cerchio per una tappa più che raccomandabile per chi si trovasse a visitare lo splendido centro storico scaligero.
Margherita
Burrata pomodorini tiepida
(pomodoro, burrata, pomodorini, basilico, olive, parmigiano)
Pomodoro confit e olive
(bufala, pomodoro confit, olive, basilico, grana)
Sempre buone le birre Manis, bella realtà di Montebelluna (TV). La 5.5 è una Pilsner a bassa fermentazione.
Millefoglie Strachin
Macedonia con gelato
Pizzaiolo in azione
Tapas, Pintxos, Cicchetti, Rubitt: chiamiamoli come vogliamo, le differenze indubbiamente ci sono ma la sostanza non cambia molto.
Un modo semplice e veloce per mangiare qualcosa di sfizioso, in maniera molto versatile: non c’è ora per una tapas e una birra fresca, non bisogna avere necessariamente fame… o anche sì. Si può fare un aperitivo, uno spuntino pomeridiano o anche una cena completa.
Ecco un locale veronese di fresca apertura dove trovare delle tapas fatte come si deve.
TapaSotto, un gioco di parole legato alla collocazione, nella Galleria Pellicciai a fianco della Pizzeria Du De Cope e a pochi passi dalla Arena di Verona.
Il Deus ex machina è sempre lui: Giancarlo Perbellini, all’ennesima avventura dopo l’apertura della Locanda Quattro Cuochi.
La città si presta alla ristorazione veloce e informale: per un classico pre o post-teatro questo locale è perfetto. Qualche tavolo all’esterno e poi dentro un tavolone alto con sgabelli e dei tavolini dove mangiare con più calma. C’è la birra di 32 Via dei Birrai, ci sono i vini al calice, anche qualche bottiglia importante per chi avesse voglia di stappare pesante.
Un piatto del giorno di cucina espressa e poi tanti piattini da ordinare fino a sazietà.
Grande qualità: notevoli la battuta di cavallo, le polpette al sugo, il gazpacho ma tutto veleggia piuttosto alto. Ovviamente i dessert non mancano: c’è anche la celebre millefoglie Strachin.
Solo le tartine non ci sono piaciute, forse più indicate per un aperitivo in piedi, ma in ogni caso non al livello del resto.
Servizio giovane, preparato e allegro: quello che ci vuole per un locale così.
Chissà se il pubblico italiano accoglierà la proposta come merita: il target di riferimento è ancora piuttosto giovane, ci sarà da lavorare per allargarlo a una clientela più adulta. Nei Paesi baschi ad esempio questi locali sono frequentati da tutti, giovani e meno giovani, famiglie o gruppi di amici. Una bella scommessa da giocarsi sul campo.
Vista la caratura dello chef proprietario, sarebbe ottimo un ampliamento della quota dei piatti espressi. Chissà, magari anche tapas di pasta. O secondi in miniatura della tradizione italiana.
Abbiamo ancora impresso nella memoria un Pintxo straordinario mangiato nel centro di San Sebastian, una guancia brasata con il purè: conosciamo un altro chef famoso proprio per lo stesso piatto…
Una partita a carte nell’attesa?
La carta
Tartine…
…e birra!
Carne di cavallo (davvero morbida e gustosa)…
…e carne di manzo
Catalana di burrata: buonissime le verdure, meno saporita la burrata
Gazpacho: molto buono, essendo sifonato risulta pieno d’aria e leggero
Polpette al sugo: da scarpetta
Millefoglie Strachin
Sfogliatina, zabaione e frutti di bosco
Panna cotta con fragole
Meringata, yogurt e pesche