Il Borgia (cognome del giovane Patron, Edoardo) si annuncia già dall’ingresso tutto una sorpresa. Si accede attraverso un classico Cocktail Bar alla Sala Ristorante principale illuminata da morbide luci (un plus) con un unico lungo divano che, nella sua struttura serpeggiante, crea intime anse con tavoli tondi ove desinare rimirando il delizioso giardino Zen allestito in cortile. Dalla cucina si effonde il talento, la passione e la visione coraggiosa del giovane Chef Giacomo Lovato che opera con l’ausilio di un altrettanto giovane squadra.
Possibilità di scegliere tra tre menù: “Psyche” (previa una breve intervista da parte del Sommelier Tiziano Sotgia circa le nostre preferenze gustative attuali) e “À rébours”, uno prettamente vegetale e uno à la carte.
Abbiamo optato per “Psyche”, declinato in 10 proposte.
Indovinato effetto trompe-l’œil evocativo, infatti, più di una tartelletta che di un antipasto, della Crema di zucca al barbecue vestita di un carpaccio di petali del vegetale marinato alla senape, semi di zucca e gocce di limone, che sorprende anche da un punto di vista gustativo con la sua misurata lievità. Stupisce un ben sodo Fungo cardoncello piastrato, la cui consistenza e il metodo di cottura rievoca alle nari e al palato un filetto di carne su un fondo robusto di porro, aglio nero, prezzemolo e cime di rapa. Un opportuno tocco pulente ed esotico guizza nel Sashimi di ricciola, ceviche di crescione d’acqua, sesamo, ravanelli cotti nell’aceto di lampone e nasturzio.
Gradevole il Branzino con cavolo viola sott’aceto, cagliata di mandorla e caviale, cotto dolcemente e leggermente affumicato. Sdilinquisce le fauci la Scaloppa di lingua di manzo al barbecue, fondo di vitello con bottoncini di bagnetto rosso di peperone, salsa verde e cipollotto arrosto dalla tenera texture.
Inizia il percorso dei primi piatti con un finemente iodato Tagliolino di pasta fresca (40 tuorli), brodo di trota affumicata e uova di trota avvolgenti e croccanti. Seguono gli Agnolotti del Plin con farcia di ceci al sugo d’arrosto sempre di estrazione vegetale: un esercizio stilistico privo, tuttavia, di grande slancio. Scoppiettanti, aromatici e “al chiodo” i chicchi di Quasi un riso in cagnone, ovvero un risotto con brunoise di sedano rapa, pino mugo, rosmarino e fondo ristretto di fungo. Irrompe sulla scena il sapore dolce-amaro ben domato del Carciofo al rosmarino, Lapsang e dragoncello. Tutto umami spinto il Baccalà al vapore, limone e fondo di manzo al Madeira. Didattico il Piccione in tre declinazioni, di cui la più riuscita è quella con profumate more, ginepro e ibisco. Come pre-dessert, Cheesecake affumicata e fiori di sambuco al miele mentre termina il pasto il goloso gioco di consistenze del Mascarpone, crumble alle mandorle, pinoli, cialde di topinambur e gelato ai funghi porcini.
Carta dei vini interessante per la proposta di alcune raffinatezze ma prezzi decisamente elevati.
Tra le gustose novità che pullulano sotto l’ombra della Madonnina svetta l’ambizioso quanto affascinante progetto di Horto.
Si trova all’ultimo piano dello storico Palazzo Broggi in Piazza Cordusio, dove è in fase di completamento The Medelan che ospiterà uffici e negozi di lusso; una terrazza-giardino con vista a 360 gradi sulla città. Una location unica nel suo genere, sui tetti di Milano, dove va in scena il concetto di “ora etica” che si basa sulla selezione di una cortissima filiera di piccoli produttori distanti non più di un’ora da Milano.
L’illustre Chef interpellato per l’occasione è il tristellato Norbert Niederkofler il quale svolge il ruolo di direttore strategico del progetto. La cucina che trae spunto dal “Cook the mountain” del St.Hubertus e diventa “Cook the Closest”. A sviluppare questa filosofia ci pensano ben due Chef, Stefano Ferraro e Alberto Toè. Il primo già noto sulla scena cittadina in quanto fondatore di Loste Cafè e con pregresse esperienze nientemeno che al Noma, dove curava il reparto dolciario, il secondo, invece, ha nel suo curriculum trascorsi prestigiosi al fianco dello stesso Niederkofler, ma anche di altri superchef come Massimiliano Alajmo e lo svizzero Andreas Caminada.
Il risultato a pochi mesi dall’apertura è già ampiamente soddisfacente a cominciare dai piatti che escono dalla bellissima cucina a vista, armonici e golosi, con molti punti di riferimento che evocano non solo la filosofia e lo stile del St. Hubertus ma anche la cucina scandinava, definendo uno stile con una chiara personalità, certamente differente da altre cucine d’autore cittadine; il tutto, è bene precisarlo, con la capacità di restare comunque saldamente ancorata sul territorio. Il Risotto con castagne e tartufo nero è semplicemente perfetto ed emblematico in tal senso. Dal menù degustazione, intitolato “Savoring” si coglie a pieno la filosofia di questa tavola in cui il prodotto è lavorato in maniera essenziale ed esaltato anche da temperature di servizio ragionate e cotture tradizionali. La Cagliata di latte vaccino, carpaccio di Varzese e caviale di storione è una partenza delicata, quasi in sordina, che gioca su consistenze quasi evanescenti; i Plin di stachitun, zafferano e lievito hanno un alto tasso di godibilità/golosità nascondendo anche intriganti acidità, in un insieme comunque voluttuoso. La Costata di manzo (sempre di razza varzese), infine, dimostra, nella sua semplicità di servizio e nell’impeccabile cottura, che la cucina è in sapienti mani. A pranzo c’è una carta di vivande ancora più inclusive e dirette.
Il servizio di sala, guidato da Ilario Perrot, è di classe e affabile ed ha ormai completato il rodaggio. La carta dei vini è in divenire ma, quella si, esula dal concetto di “ora etica” spaziando tra etichette francesi importanti ed etichette italiane meno conosciute.
Parlare di Gong come uno dei migliori ristoranti cinesi italiani è, a nostro avviso, riduttivo. Non tanto perché nel ristorante di Giulia Liu – sulla quale cade l’onere di dover stare al passo con il fratello Claudio, che ha innalzato a livelli ormai altissimi l’asticella dei ristoranti etnici in Italia con Iyo e Omakase – non si mangi benissimo, quanto perché quella di Gong è una cucina che trae origine dalla cultura cinese evolvendosi, però, in una proposta creativa e cosmopolita capace di racchiudere al meglio lo spirito gastronomico di una Milano sempre più proiettata al mondo.
Una cucina con “attitudine orientale” e decisivi innesti occidentali che la rendono un unicum nel panorama nazionale. Guglielmo Paolucci, che guida con determinazione la brigata, si cimenta con piatti in cui la Cina è naturalizzata e radicata nella tradizione lombarda, con il lussurioso “Omaggio a Milano“, un dim sum dai connotati meneghini con la sfoglia della pasta allo zafferano ripiena di ossobuco e crema di risotto alla milanese, ma dialoga anche con quella italiana con i Lamian – gli spaghetti cinesi più antichi del mondo – con ragù di astice degno dei migliori ristoranti di pesce per intensità ed esaltazione del prodotto, e ammicca anche alla cucina classica francese con preparazioni transalpine come il beurre blanc o le salse a specchio.
Gli assaggi sono caratterizzati da consistenze, ingredienti, temperature, estetica e, soprattutto, gradevolezza e persistenza gustativa. Potete attingere da una vasta carta delle vivande (ci sono tantissimi piatti come nei ristoranti cinesi) ma così si rischia di perdersi tra assaggi sconnessi e diversi tra loro non riuscendo ad apprezzare appieno le potenzialità della cucina. Per questo motivo consigliamo caldamente di optare per uno dei tre menù degustazione tra i quali troverete il pressoché perfetto “Evoluzione“, più rappresentativo della personalità di questa tavola. Dall’ecumenico Uovo cotto a bassa temperatura, tartare di scampi, panko profumato al kimchi, spuma di cavolfiore affumicato e tartufo nero all’intrigante Carpaccio di capesante, caviale, ravanelli, ed emulsione di umeboshi, piatto senza temperature, che gioca con consistenze e aromaticità, più giapponesi che cinesi, passando per i meravigliosi Ravioli cinesi e giungendo alla classicità delle salse in piatti dall’indole gourmet come il Filetto di sogliola, salsa al beurre blanc con yuzu e latte di soia, panure alle erbe, accento di edamame e capperi essiccati o il Petto di piccione scottato con foie gras, tartufo nero e fondo al pepe di Sichuan preceduto dalla Coscia del volatile ripassata in pastella e profumata con alghe wakame e dal ragù di ali e spalla di piccione in casseruola condito con salsa hoisen, soia chiara e servito in foglia di basilico shiso aromatizzato al kimchi. Piatti, questi appena elencati, imperdibili.
Il servizio di sala, numeroso ma mai invadente, è disponibile e di classe e gestisce con disinvoltura anche una sala gremita di coperti. La cantina, non vastissima ma in continuo divenire, presenta ricarichi non eccessivi sebbene abbiamo riscontrato che qualche bottiglia in carta non fosse disponibile, durante la nostra visita. Non manca una studiata selezione di tè e cocktail d’autore. Quanto all’ambiente, dalle tonalità scure, presenta lineamenti essenziali ma eleganti.
Quello di Federico Sisti è un nome noto a chi segue con attenzione la scena della ristorazione milanese. È stato lui a guidare per qualche anno le cucine dell’Antica Osteria il Ronchettino restituendo nuova vitalità al panorama un po’ asfittico della cucina tradizionale milanese. Cucina antica, quella delle mamme e delle nonne la sua ma, allo stesso tempo, moderna, alleggerita con quel tocco di creatività e di talento che certo non gli fanno difetto. Frangente è la sua prima avventura da solista. È il “suo” ristorante. Un po’ bistrot, un po’ osteria.
Piccolo e accogliente, appena entrati si respira subito un’atmosfera giovane, moderna e dinamica. All’ingresso fa bella mostra di sé lo chef’s table che guarda sulla bella cucina a vista per chi voglia seguire da vicino la creazione di ogni piatto. Per chi già conosce lo Chef non sarà una sorpresa trovare da Frangente un livello eccellente di materia e una grande capacità di reinterpretare la tradizione senza mai stravolgerla. Tre i capisaldi della sua cucina ci sono il territorio, l’innovazione per poter rinnovare le tradizioni gastronomiche esaltandone le qualità e, come si diceva prima, zero compromessi sulla qualità delle materie prime. Classici milanesi, qualche divagazione extra-lombarda e una spruzzata di Romagna, per ricordare le origini di Sisti. Come la Piadina con rucola e stracchino che in carta non manca mai, e che vi farà dimenticare tutte le piadine che avete mangiato fino ad oggi.
Perfetta la reinterpretazione di grandi classici meneghini come i Mondeghili, qui serviti con una strepitosa salsa agrodolce in accompagnamento, o come la Cotoletta alta, che si fa apprezzare per la qualità della materia prima e la precisione della cottura che la rende rosa e succosa al punto giusto. Rispetto alla tradizione dura e pura non c’è l’osso, e latita un po’ la croccantezza della panatura, ma si compensa con il buon purè in accompagnamento. Un passaggio a vuoto il Petto d’anatra con peperoni e gateau di patate, piatto che ci ha lasciato un po’ interdetti per via dell’effetto un po’ “bollito” della carne e l’eccesso di umidità. Passaggio presto riscattato con il dessert: una millefoglie semplicemente perfetta!
In sintesi, Frangente è un progetto davvero interessante: abbiamo grande fiducia in Sisti e nelle sue capacità che, nel tempo, abbiamo avuto modo di conoscere e vedere consolidarsi sempre più. Stavolta la valutazione è un po’ arrotondata in eccesso, ma siamo comunque già di fronte ad una delle migliori “trattorie contemporanee” della città.
Milano e i suoi Navigli poco fuori dal centro città rappresentano un luogo culturalmente e socialmente vivo e dinamico; è qui che da qualche anno Marco Ambrosino, originario di Procida, ha deciso di insediarsi e portare la sua visione di cucina. 28 Posti, con i suoi piccoli spazi, è un luogo dalle mille influenze, sia nel design degli interni che nei gusti e profumi delle pietanze, i quali provengono dai paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Una location con un ambiente semplice, rilassato e dinamico con la possibilità di godere del pasto anche nel dehors quando il tempo e le temperature lo permettono.
Una filosofia di cucina e uno studio, quelli di Ambrosino, che hanno portato lo Chef a fondare il “Collettivo Mediterraneo”, dove porta avanti i suoi studi e le sue ricerche sulle culture e le tradizioni annesse delle popolazioni che vivono questa parte di orbe terracqueo.
Il menu degustazione di 28 Posti è la rappresentazione di un grande studio sulle tecniche, sui prodotti e sulle ricette, che vengono poi trascese e applicate al gusto e ai prodotti al quale lo Chef è affezionato. Un percorso dinamico nel quale si gioca disinvoltamente con sapidità, acidità e leggeri amari, e la cui ricerca finale è la profondità gustativa. Su tutti i piatti del percorso, spiccano, ancora, l’Ostrica alla brace glassata al lievito, aronia, lentisco, succo di insalata del pastore dove il gioco tra la sapidità e grassezza dell’ostrica, la nota lattica del lievito e l’acidità dell’aronia portano lunghezza, dinamicità e profondità, così come la “Pasta e Fagioli” e vino fortificato di pasta servito come dessert; un grande lavoro sul carboidrato, a cui Ambrosino ci ha da sempre abituati, qui in combinazione col legume dove entrambi gli elementi vengono lavorati in modo da aumentarne la profondità gustativa ed estrarne tutte le sfumature possibili. Un piatto che si sviluppa in modo orizzontale e verticale ampliando le nuance e lo spettro dei due ingredienti.
Il risultato è una tavola dinamica, vivace e spaziale che porta a fare un viaggio culturale e di conoscenza dei profumi e sapori del “Collettivo Mediterraneo” scoprendo sfumature e sapori persi o dimenticati; dove forse l’unico appunto è in alcuni casi una sapidità leggermente eccessiva e, nelle Trottole, una salsa che va a coprire e arrotondare, non permettendo al piatto di esprimersi al meglio.
In complesso, si ritrova qui una cucina di alto spessore gustativo e culturale, unica nel panorama meneghino e italiano dove ricerca, studio e personalità vanno di pari passo, cui solo lo spazio di lavoro così ristretto, per lo Chef e la sua brigata, costituisce, in ultima analisi, il limite. Non solo spazio fisico ma anche prospettico di sviluppo.