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L’Argine a Vencò

L’intima natura di una cucina di campagna e di confine

Non è esattamente in una località di passaggio il “posto” di Antonia Klugmann, questo angolo del cuore in cui la chef ha saputo creare un magnifico ristorante e qualche comoda camera dove regalarsi una fuga dal quotidiano.

Un progetto partito da lontano, accelerato dalla notorietà televisiva che non ha tuttavia deviato la natura della sua più intima ragion d’essere: quella di proporre una cucina personale in cui si dia spazio – nel ruolo di protagonisti – a ingredienti spesso dimenticati, curati quasi sempre dalle mani della stessa chef (la quale, se dormite lì, troverete probabilmente già al mattino, nell’orto, di fronte alla vostra stanza).

I due menù a disposizione, più una piccola offerta alla carta, consentono di scegliere a seconda del proprio appetito, fermo restando la soavità complessiva della proposta che suggerisce di lanciarsi sul più ampio “Territorio: vita in movimento”.

I titoli sono molto sintetici e centrati sull’ingrediente principale (Orata, Fregola, Animella ecc.) che è, in effetti, sempre il fulcro di piatti in cui viene valorizzato tramite l’accompagnamento di altre note, solitamente vegetali, che aggiungono sfumature inedite e ne esaltano e prolungano il gusto.

Il cuore dell’esperienza si coglie in una sequenza davvero strabiliante che parte dalla zucchina alla brace con burro alla camomilla e zafferano, tè verde e acetosa, un capolavoro di eleganza che valorizza un ortaggio solitamente negletto per l’alta cucina, e prosegue con le straordinarie consistenze del raviolo di patate e carciofi con salsa di uovo di lompo e timo al limone per chiudersi con l’ardita animella con ciliegia al vermouth, piantaggine, nasturzio e noce moscata.

Qualche episodio convince meno (il cervo marinato alla lavanda, semi di papavero, bruscandoli e farinello, un po’ slegato) ma si eleva nuovamente sui dolci, dove la mano è quella di un’interprete di sensibilità rara, che a un delizioso pre-dessert, il sorbetto di albicocca e coriandolo, fa seguire il melone ed erbe amare, un semifreddo di ispirazione “classica” e meridionale (la chef è una cittadina del mondo che ha qualche radice anche lì oltre che nella Mitteleuropa) reso modernissimo dall’uso sapiente delle erbe, dosate alla perfezione.

In sala regna sornione Romano De Feo, dall’ironia inconfondibile, che con il suo team saprà proporvi un accompagnamento su e giù per le vigne friulane e slovene pensato con grande amore e competenza.

Non fatevi spaventare dalla distanza e fate un salto da queste parti; difficile che non diventi, poi, un appuntamento fisso.

P.S. Se dormite lì, prenotate anche la fantastica colazione, viatico verso una giornata felice.

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Cracco: lo stile tutto italiano, in galleria

Di boiserie e carta da parati di pregio è già stato scritto e altri ancora ne scriveranno: ebbene, siamo tornati da Cracco per vedere, a un anno dall’apertura in Galleria, a Milano, come questa realtà sia entrata in così poco tempo nel tessuto gastronomico della città meneghina. Il servizio, curato da Alessandro Troccoli, prosegue nella sua puntuale e discreta precisione dove l’atmosfera, quasi onirica e deliziosamente ancién degli ambienti, mostra un servizio di alto livello. Di pari passo anche la cantina, che nella mastodontica, enciclopedica carta dei vini regala una prospettiva fortemente d’Oltralpe con autentiche rarità sia nel prezzo (nella maggioranza dei casi, estremo), sia nella ricercatezza di bottiglie pressoché introvabili. D’altronde, vista l’ubicazione del ristorante, è facilmente intuibile come ciò avvenga e sia possibile.

Nel caso del menù autunnale, notevole la tentazione dell’appendice del tartufo bianco con cui impreziosire,  all’uopo, una ricca selezione di piatti. Quanto a noi, però, ci siamo lasciati condurre, nelle dodici portate, da un ensemble di cracchiana matrice: dal grande classico, intramontabile per golosità, l’insalata russa, che troneggia all’inizio della nostra degustazione come monito e, allo stesso tempo, come monolite della capacità tecnica che questo cuoco ha acquisito e dimostrato negli anni.

Due identità in un unico, solenne contesto

Di fatto, il menù racconta le due facce dell’anima che quest’insegna ha assunto: la prima, sicuramente quella che maggiormente apprezziamo, è la voglia di non accontentarsi. Ciò che ha fatto di Carlo Cracco uno dei pilastri della cucina italiana contemporanea d’autore è stato infatti quel suo modo di provocare con elementi apparentemente semplici, dischiudendone esiti inaspettati: tra questi, i must declinati in nuove versioni come il gambero viola di Santa Margherita, crema di semi di girasole e consommé di Culatello oppure il mais arrosto, polenta abbrustolita e baccalà all’olio d’aringa. Nel primo, la sintesi di un’immaginaria linea gustativa che collega mare e Pianura Padana tra due eccellenze; nel secondo, le origini vicentine del cuoco naturalizzato milanese riemergono con forte vigore regional-patriottico, elaborando un grande piatto con due ingredienti tipici della tradizione contadina veneta: il mais e il baccalà.

L’altra linea su cui la cucina di Cracco oggi sembra orientarsi, anche in virtù della clientela internazionale che bazzica questi deschi, è dettata da un forte classicismo: ne è un esempio il riso mantecato, lumache al vino bianco e aglio nero oppure il germano con mele e ginepro e passando per tutto il capitolo della pasticceria, dove la tortjonata (versione lodigiana della sbrisolona) accompagnata con zabaione al rhum è quasi monastica nella sua apparente semplicità, comunque essendo terribilmente buona.

Cracco in Galleria è, dunque, l’esempio di quanto il genio creativo gastronomico italiano abbia ancora da offrire anche quando si trova in uno degli scorci più affascinanti, e più solenni, della nazione. E proprio all’interno della scuderia della ristorazione gastronomica italiana (e non solo) Cracco ne rappresenta una tale, sapiente manifestazione che sembra naturale, allora, aspettarsi ancora più spinta da un grande talento come il suo. Un plauso, va detto, a Luca Sacchi, instancabile braccio destro e anima condivisa di questa grande cucina italiana contemporanea.

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Antonia Klugmann e il suo Argine, il cui confine è stato superato

Non è improbabile che, solo fino a poco tempo fa, il percorso di questa straordinaria donna – e cuoca – era ancora in divenire. Stavolta invece Antonia Klugmann ci ha davvero stupito e affascinato.

Stupore per il rigore, la tecnica e la pulizia gustativa espressa. Stupore per il livello raggiunto; stupore per la grande personalità di un’idea di cucina che, se non è unica, è davvero molto rara. La timbrica realizzata è in linea con il pensiero più volte espresso dalla chef: utilizzo di erbe spontanee e ricercate che forniscono nerbo e una nota vegetale, e dunque amara, al piatto. A questo si unisce, però, una tendenza onnipresente, lievemente dolce, che ingentilisce e smussa leggermente gli angoli in favore di una profondità non usuale dove anche il dolce, come il salato, fa da veicolo gustativo. Ecco dove risiede la sua originalità:  in quel tocco femminile che va a smussare una cucina decisamente di nerbo e carattere.

Un gioco a rincorrersi di queste due anime, molto ben coese e amalgamate, riscontrabile in quasi tutte le preparazioni. Nel paradisiaco fico al pomodoro, una sorta di polpetta che, per la consistenza e lavorazione del fico, dona note ematiche, tanniche e rudi poi arrotondate dalla dolcezza del pomodoro. O nello splendido scampo, carciofo e susina, in cui il tannico brodo di carciofo acidulato e la susina donano freschezza e acidità a uno scampo che, così lavorato, esprime anche una piacevole e sottile nota rancida. Un piatto assoluto, da fondoscala.

Che dire, poi, degli spaghetti spezzati e risottati con crema di cavolfiore, geranio odoroso e polvere di camomilla? Note dolci si arrotondano con la balsamicità intensa del geranio odoroso, si spigolano con la tostatura e riduzione della polvere di camomilla, quasi pungente, per completarsi con una simil besciamella di cavolfiore, frutto della risottatura e degli amidi riflessi in cottura. Un piatto tecnico e profondo.

Ma ne potremmo citare mille altri, tutti, invero. Un pranzo davvero unico e di grande classe, vigore e profondità gustativa. Sottile ed elegante ma, al contempo, vigoroso e persistente. Una cuoca e una cucina di gran classe, insomma, supportata in sala da un grande uomo d’accoglienza come è Romano de Feo, con il suo stile inconfondibile: ironico, simpatico, attraente. Capace di completare l’opera di una tra le più talentuose chef del panorama culinario nazionale, e non solo.

Prenotate, andate, godete. È una certezza che ciò vi accadrà.

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Masterchef Tonino e la nuova cucina italiana

Tante parole ormai abbiamo speso su Villa Crespi e sulla cucina di Antonino Cannavacciuolo. E dobbiamo dire che abbiamo temuto, per i suoi tanti impegni extra-ristorante, che allentasse lievemente la presa. In realtà qualche piccolo accenno c’è stato, in un recente passato, ma si è trattato di qualche scossa di assestamento, probabilmente necessaria, naturalmente comprensibile.

Ma Antonino è cuoco – e cuoco rimane – e ciò colpisce con evidenza lapalissiana quando meno te lo aspetti. Lui ama la cucina, e difatti ha connaturati un talento e un senso del gusto che davvero pochi hanno. Ha palato, Tonino, ma anche tanta tecnica e tanto mestiere. Ed è un lavoratore instancabile, che vive Villa Crespi quasi come se fosse il suo hobby, un buen ritiro, uno svago. E non dimentichiamoci un aspetto, fondamentale. Ha il ristorante pieno 7 giorni su 7, in tutte le aperture a pranzo e ce. E questo da un lato consolida il ristorante ma dall’altro mette sempre a dura prova il servizio, sia in sala che in cucina, che mai presta il fianco a critiche, mai genera una sbavatura.

E non contento, con apparente facilità, è riuscito a creare due gioielli, i Cannavacciuolo bistrot di Novara e di Torino, che hanno immediatamente ricevuto ambiti e meritati riconoscimenti. Ma è qui, a Villa Crespi, appunto, che si compone la vera rivoluzione della nuova cucina italiana. Con spirito neoclassico, ma effervescente nei sapori e nei contrasti, con uno stile inconfondibile, sincero e schietto. Con gusti precisi, misurati ma potenti e lunghissimi. Con una cucina che ha pochi punti di riferimento ma tanta personalità, la sua, e un senso del gusto prettamente, squisitamente italiano.

Il palato di un grande cuoco neo-classico

Si staglia, in degustazione, la rivisitazione delle tagliatelle ai fagioli, qui ammantate di ulteriore eleganza e finezza, per un risultato antologico. Che dire, poi, degli spaghetti ricci, zafferano e quinoa croccante? Qui, è il lieve tocco del limone sotto sale a donare una freschezza inaudita. E poi la sogliola, magistrale, in cui quell’indivia croccante, ripiena di mille tesori, è di per sé già un piatto, e non un contorno, che vale da solo il viaggio. Ottimo, il dessert, un giro attorno all’oliva, inaspettato quanto piacevole e consistente.

Un luogo che è l’emblema della cucina neoclassica italiana, con un pizzico di tecnica francese, con tanta personalità e tanto gusto. Un ristorante che continua ad essere sulla breccia dell’onda gustativa e continua a stupire sia la critica più severa che il pubblico.

E questo qualcosa vorrà pur dire, no?

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Nel Friuli profondo Antonia Klugmann, vera masterchef, incanta i suoi clienti

Antonia Klugmann, chef de L’Argine a Vencò, è una grande, grandissima cuoca. Ciò che più ci ha stupito è questo suo dualismo caratteriale, che la porta a mostrarsi in tutta la sua purezza, ma con sfumature assai differenti. Esiste la Klugmann autoritaria, decisa, prorompente, sferzante, determinata. Ed esiste una Klugmann timida, introversa, sensibile, acuta, empatica. Quindi, la migliore definizione della sua suprema cucina è un po’ questa: Doctor Jekyll e Mrs. Hide. In accezione positiva, s’intende. Una cucina di una personalità unica, spiazzante, finanche stordente in alcuni passaggi. Ma in quasi ogni piatto, ogni portata, intravedi finezza, sensibilità, amore, gioia, timidezza. Un istante dopo ti arriva un ko tecnico, per la sua sferzante acidità e spigolosità. Si, questo suo dualismo virtuoso ci piace tanto. Ci entusiasma. Le vorticose montagne russe a cui il suo menu ci sottopone ci intrigano come non ci succedeva da tempo. Siamo al cospetto di una grande donna, di una grande cuoca.

Perfetta sintonia tra cucina e servizio in sala

E, parafrasando la nota dicitura, di fianco a una grande donna c’è anche un grande uomo: Romano De Feo. Che si occupa di una sala di soli 16/20 coperti, ma lo fa quasi praticamente da solo. Con maestria e savoir faire. Colpisce la spigolosa apparente aridità e durezza iniziale. Ma a poco a poco, anche qui, fa capolino l’uomo dotato di ironia e attenzione non comuni. Singolare e personale. Servizio perfetto, a locale pieno, e profusione di abbinamenti enologici personali e indovinati. Intriganti come la cucina che rappresenta. Una coppia, nella vita e nel lavoro, che farà tanto parlare di sé in futuro.

Anche per la scelta di rimanere ancorati alle proprie origini e alla propria terra, scelta tutt’altro che facile e scontata. Ma, tornando alla cucina, ci ha impressionato il palato della cuoca che, con due abbinamenti folgoranti – Spinacio e polvere di bergamotto e zucca, cannella e polvere di mandarino – ci ha rivelato quanto il suo palato sia tutt’altro che comune. Colpi stordenti che hanno visto susseguirsi alcune portate davvero interessanti. Tutte a dire il vero contestualmente interessanti, forse contestabili per la posizione il Creme caramel di topinambour e l’Insalata di erbe di bosco, più coerentemente due pre-dessert che invece sono posizionati uno a inizio pasto e l’altro come intermezzo tra primi e secondi. Un altro piccolo appunto lo riserviamo a qualche reiterazione stilistica di troppo, anche se comprendiamo che la cucina di Antonia si esprima meglio, probabilmente, con il rigoglioso esplodere della primavera, quest’anno un po’ in ritardo.

Ma che goduria la Tartare di anatra, eccellente anche come temperatura di servizio, la Rapa rossa e crauti, i Raviolini di grano saraceno, la perfezione stilistica del Risotto midollo, limone, cardamomo e rucola, una rucola da fuori di testa. Insomma, un sontuoso pranzo di una eccellente interprete del carso friulano. Radiosi e lunghi traguardi aspettano l’Argine di Vencò, e noi siamo qui a tifare per loro.

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