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Mauro Ricciardi alla Locanda dell’Angelo

Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia

“Solo un prodotto eccellente può diventare il miglior piatto del mondo e accedere alla tavola dei commensali”
E’ quasi impossibile arrivare alla Locanda dell’Angelo senza sentire un brivido sulla pelle, senza provare un briciolo di emozione di fronte a quello che fu un tempio della gastronomia internazionale, davanti a questa casa creata e fortissimamente voluta dal grande Angelo Paracucchi, uno degli indiscussi Maestri della cucina italiana moderna.
Paracucchi nacque a Cannara nel 1929 e, dopo gli studi in agraria, iniziò la sua carriera di chef in un ristorante di Assisi, ma arrivò al successo a Sarzana nei primi anni ’70 dove fece diventare il “Motel dell’Agip” un punto di riferimento per i gourmet di tutta Italia.
Nel 1974 inaugurò la sua “Locanda dell’Angelo”, concepita dal grande Vico Magistretti come uno specchio che riflette il bianco delle Alpi Apuane e l’azzurro del Mar Ligure e, da qui, cominciò la scalata alla notorietà nazionale ed internazionale.
Aprì nel 1983 a Parigi “Il Carpaccio”, all’interno dell’hotel “Royal Monceau” e, dopo qualche anno, inaugurò un’altra “Locanda” a Osaka, in Giappone, diventando così chef di fama mondiale, rinnovando in maniera sostanziale i piatti della nostra cucina tradizionale.
Oggi le redini della cucina della Locanda sono saldamente nelle mani di Mauro Ricciardi, per molti anni patron della vicina Locanda delle Tamerici, che mosse i suoi primi passi come cuoco proprio qui, come allievo del Maestro.
La cucina di Ricciardi ha come elemento caratterizzante ed imprescindibile la qualità delle materie prime, dalle quali cerca di far emergere il massimo delle potenzialità senza stravolgerne l’anima: una cucina di stampo classico, legata al territorio anche senza esserne schiava.
La centralità del gusto e la ricerca dell’equilibrio sono gli obbiettivi primari di Ricciardi, ma non sempre l’obbiettivo viene raggiunto. Alcuni piatti mancano di quel cambio di passo che seduce e convince: un tocco acido, una parte croccante, un gioco di temperature che renda il piatto meno scontato e più appagante.
Nella nostra visita, accanto a piatti ben ideati e realizzati, come ad esempio l’ostrica marinata nello yogurt, mango e spezie ed i tagliolini con calamaretti spillo, profumo di basilico e pecorino, ne abbiamo assaggiati altri meno convincenti.
Buone, ma assolutamente troppo salate, le seppioline al nero con insalatine, mentre la pur ottima, per qualità del pescato, orata di grossa pezzatura con maionese alla nocciola presentava, in una delle due porzioni provate, un taglio ed una cottura del tutto inadeguata.
Ottimo il servizio coordinato dalla brava Paola Bacigalupo, maître e sommelier, già con Ricciardi alla Locanda delle Tamerici e molto interessante la carta dei vini, con un ricco assortimento di importanti etichette nazionali ed internazionali, alcune delle quali a prezzi veramente competitivi.

Focaccia, pane e grissini non indimenticabili.
Focaccia, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
pane, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Ostrica, yogurt,mango.
Ostrica, yogurt e mango, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Salmone affumicato in casa, pane nero, burro.
Salmone affumicato, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Seppioline al nero e insalatine.
seppioline al nero di seppia. Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Astice, scampo, gambero a vapore con gelatina di zenzero: buona materia prima, ma appiattita dalla cottura, dalla consistenza monocorde e dalla poca “grinta” della gelatina.
astice scampo e gambero, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Buona e non stopposa, come spesso purtroppo capita, la rana pescatrice lardellata, con granella di pistacchi.
rana pescatrice lardellata, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Tagliolini con calamaretti spillo, profumo di basilico e parmigiano.
tagliolini di calamaretti, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Orata, maionese alla nocciola, quenelle di patate alle acciughe.
orata, maionese, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Cioccolato, granita al Campari, arance candite
cioccolata, granita, campari, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
I due vini in abbinamento.
vino, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia
vino, Locanda dell'Angelo, chef Mauro Ricciardi, Ameglia

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A Cagliari sembra imperversare una sorta di buonumore coinvolgente. Ce ne siamo accorti subito dal tono curiosamente cordiale del tassista che ci conduceva in centro città. Ci ha accolti con un “Benvenuto a Cagliari, signore” che tanto stride con l’asprezza delle imprecazioni (causa traffico e stress) dei suoi colleghi di Milano o Roma. Qui tutto sembra filare liscio, pacato, sereno. Passeggiando nel cuore di Cagliari, attorno al maestoso bastione di Saint Remy e in attesa di cenare nel ristorante omonimo, la gente che incontriamo sorride, scherza, sembra allegra e spensierata. E questa è la sensazione principale che ci accompagnerà per tutta la serata, anche in questo intimo ristorante di Cagliari, città oramai orfana da tempo della sua stella Roberto Petza.
A pochi metri dall’ingresso del ristorante non possiamo non notare la bottega di Bob Marongiu, famoso artista sardo autodidatta: dalla prima volta che ammirammo una sua opera sono passati molti, forse troppi anni, ed eravamo coccolati nella sala multicolore di un certo Igles Corelli in quel di Ostellato.
Varcato l’ingresso ecco un altro sorriso: questa volta è quello di Marino Cogoni, patron del St.Remy. Lunga e luminosa carriera nel mondo dell’alta hotellerie, barman in luoghi di mondanità e lusso, Marino da neppure due anni ha scelto di ritornare nella sua Sardegna e assieme alla moglie Silvana di iniziare una nuova avventura a Cagliari. Il locale è uno storico indirizzo ristorativo fin dagli anni ’70 e le sue mura sono state utilizzate in passato come rifugio antiatomico, convento di suore di clausura e deposito di prodotti farmaceutici. Insomma la storia c’è.
Il presente parla invece di molta semplicità e desiderio di far bene. Silvana è autodidatta ed è entrata per la prima volta in cucina all’apertura del locale. Una bella sfida per lei, ma anche per Marino, che la aiuta con la sua esperienza in abbinamenti e creazioni.
La materia prima è di qualità, la lista “taylor-made” sulle potenzialità della cucina: pochi piatti, ispirati per lo più dal mercato, versante ovviamente mare.
Le ricette migliori arrivano quando la volontà di esagerare non prende il sopravvento, valga su tutti l’esempio poco felice del Dentice sfumato al vermentino, capperi, olive, pomodoro secco, porro e spicchi di limone: come diceva il mio illustre maestro di nome Enzo, il classico piatto in cui se togli a caso due o tre ingredienti il risultato migliora.
Ma nel complesso è giusto guardare al St.Remy con occhio benevolo, arrotondando per eccesso la valutazione di un locale in cui si sta bene a prescindere da qualche piccolo intoppo che, con il tempo e i giusti consigli, sarà facilmente eliminato. Ci hanno insegnato che a un sorriso si risponde sempre con un gesto d’affetto e dopo aver trascorso una serata in questa città meravigliosa, non possiamo certo tirarci indietro.

La sala
sala, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Iniziamo con lo splendido Vermentino Is Argiolas 2012
vino, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Tartare di Gamberi rossi di Mazara del Vallo con fragole.
tartare, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Calamaro al vapore, con emulsione di aceto di mele, salsa di avocado e zenzero.
calamaro, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Fico nero, ricotta affumicata, bottarga e riduzione di aceto balsamico.
fico, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Pani: su tutti ovviamente il Guttiau di cui abusiamo sempre.
pani, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Laganelle al limone, julienne di zucchine, vongole e bottarga.
laganelle, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Macarrones casarecci con fiori di zucca, pomodorini saltati e ricotta mustia.
maccarones,Da Marino al St.Remy, Cagliari
Il sorriso contagioso di Cagliari: alle pareti riproduzioni delle opere di Bob Marongiu.
bob marongiu, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Dentice sfumato al vermentino, capperi, olive, pomodoro secco, porro e spicchi di limone.
dentice, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Mousse di ricotta, pinoli e saba.
mousse, Da Marino al St.Remy, Cagliari
Chiusura: Argiolas Angialis 2009.
vino, Da Marino al St.Remy, Cagliari

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Il Faro Verde potrebbe essere la classica bella scoperta in una calda estate di vacanze. Spesso si vaga nei paesini marinari senza una meta precisa, buttando l’occhio nei menù appesi fuori dai locali, sbirciando nei piatti degli avventori già intenti a cenare, facendo appello a decenni d’esperienza per azzeccare una cena di qualità. Anche quando il critico veste i panni del turista non può prescindere dal suo tirannico animo gourmet.
E se ci fossimo capitati per caso a Porticello avremmo senza dubbio scelto questo locale tipico, proprio di fronte al mare.
Ma al Faro Verde non ci siamo capitati per sbaglio, ci siamo andati appositamente per mantenere una promessa fatta qualche mese prima a Milano. Era passata da poco la mezzanotte in Piazza della Scala, eravamo gli ultimi clienti rimasti estasiati dalla sorpresa di scoprire un Trussardi e un Luigi Taglienti in stato di grazia. Ma non eravamo gli unici. Intenti a gustarci un meritato sigaro un simpatico signore dall’aria affabile si avvicinò presentandosi così: “Sono Francesco Balestrieri, sono un ristoratore siciliano vicino a Palermo. Ho intuito che siete degli appassionati gourmet, vi volevo raccontare del mio locale”. L’entusiasmo e la franchezza con cui Francesco ci ha parlato, raccontandoci la sua vita e le sue esperienze, ci ha colpito e ci ha insegnato una lezione importante. Ha dimostrato in pochi minuti quanto sia fondamentale nella nostra epoca l’etica e l’orgoglio del proprio lavoro, ma anche quello delle proprie passioni. Davanti ad un santuario dell’alta cucina Francesco descriveva una semplice realtà a noi sconosciuta.
Nell’era di internet e della comunicazione globale, l’approccio diretto e sfacciato ha ancora il suo fascino.
Ed eccoci dunque pochi mesi dopo a Porticello, piccolo borgo marinaro che in realtà risulta essere il secondo porto della Sicilia con oltre 400 barche registrate.
L’aria è densa e sapida, sa di mare, di bontà. Il Faro Verde fu fondato nel 1974 dal padre di Francesco, Benito, e l’insegna è ancora lì a ricordarlo. Si cena ovviamente nella bella veranda, ma il locale ha anche ampie sale interne, calde e ben arredate.
Qui una volta si inscatolavano le acciughe, ancora prima addirittura c’era una chiesa. Francesco è in cucina, assieme al giovane fratello Maurizio, in sala gli altri due figli di Benito, Marcello e Stefano. Lasciate il menù ai turisti dall’idioma straniero e chiedete a Francesco & Co. di condurre il gioco (privo di sorprese perché superare i 50€ qui è impresa difficile).
Solo il meglio che i pescherecci hanno da offrire entra nella cucina di Francesco e Maurizio: la loro idea di ristorazione travalica, ma con giudizio, la semplicità e la tradizione. Qualche ricetta si spinge più in là, si avverte la curiosità nel proporre qualche accostamento inusuale, la presentazione è curata, chiaro indice di vivacità, buon senso, desiderio di uscire dagli schemi ferrei della frittura, del sauté, della grigliata. Nel complesso oggi la cucina del Faro Verde si distingue meritatamente per elevarsi dalla macchia indistinta che fagocita i molti locali marinari della penisola, le molte fotocopie di un’offerta banale e poco stimolante. E la prossima volta di sicuro troveremo novità e miglioramenti. Ne siamo certi.

Alici marinate all’aceto, olio e miele d’acacia. Ottima materia prima, buon contrasto agrodolce.
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Primo vino consigliato: un buon Grillo, sapido e minerale.
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Il classico pane che dà dipendenza. Provenienza: forno Valenti a Bagheria.
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Variazione di tonno: Tagliata, prosciutto affumicato e tartare. Eccelsa materia prima, su tutti la tagliata ma anche la tartare ha una buon equilibrio aromatico.
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Gambero rosso di Palermo e Porticello. Anche qui ottima materia prima, centrato il condimento.
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Buone bollicine siciliane.
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Sformatino di pesce spada, salsa di erbe aromatiche. Molto goloso, molto siciliano.
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Calamarata con pescatrice. Cotture perfette, buon piatto in cui spicca il gusto dei ricci dosati con buona mano.
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Ravioli di ricotta al nero di seppia. Piatto dai sapori intensi ma centrati.
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Polipo lesso. Più semplice di così… eppure ecco come far felice un gourmet.
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Chiudiamo la cena con l’acqua di cottura del polipo, che ci assicurano essere uno straordinario digestivo. Confermiamo in pieno.
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L’ampia veranda del Faro Verde.
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Uno dei tanti pescherecci che fanno ritorno al tramonto: un ottimo indizio…
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Il San Pietro è un’istituzione, un simbolo della Costiera Amalfitana, la cui fama si estende ben oltre i confini nazionali.
Basti pensare che, nonostante il costo non propriamente popolare delle camere (in alta stagione dai 620 euro/notte a salire vertiginosamente), c’è il tutto esaurito da maggio ad ottobre.
Un luogo amato da chi vi soggiorna, un angolo di paradiso, eremo di lusso e tranquillità alle porte di Positano.
Tutto iniziò con Carlino Cinque, maestro del bien vivre, il cui culto per l’ospitalità è rimasto immutato nei decenni ed egregiamente ereditato dai suoi discendenti Carlo e Vito.
Ovviamente cotanto albergo, da cui si godono panorami di bellezza struggente, non poteva non puntare sulla ristorazione di qualità per offrire ai facoltosi clienti un giusto premio dopo le “fatiche” della giornata trascorsa a bordo piscina o in riva al mare.
La cucina è affidata da un decennio al belga Alois Vanlangenaeker che le ha saputo dare una chiara impronta mediterranea a dispetto delle sue origini.
Ogni ingrediente parla di questa terra baciata dal sole (salvo, ovviamente, qualche piccola eccezione), ed i profumi sono quelli dell’orto del San Pietro, un autentico gioiello incastonato nella scogliera, che regala prodotti splendidi, dai pomodori alla menta, dal basilico alla verbena.
La proposta ristorativa si divide tra lo Zass, aperto al pubblico esterno, ed il Carlino, giù, vicino al mare e buen retiro per i soli ospiti dell’albergo.
Lo chef fiammingo, approdato in Costa d’Amalfi dopo importanti esperienze professionali alla corte di Ducasse a Monaco e Parigi, al Jean Georges’s di New York, al Don Alfonso 1890 e al Mikuni di Tokyo, ha le doti necessarie per soddisfare i palati più esigenti.
Le basi per far bene ci sono, quindi, e la proposta non delude, sebbene in alcune preparazioni si abbia la netta sensazione che non si affondi sull’acceleratore. Chiaro segnale ai naviganti gourmet: è pur sempre il ristorante di un albergo di lusso, accontentare tutti i palati è d’obbligo.
Nello specifico, i secondi di pesce segnano il passo, preparazioni non convincenti, con abbinamenti a volte poco riusciti e salse non perfette.
Più interessanti gli antipasti con un buon astice al vapore perfettamente accompagnato da una notevole maionese d’uovo, ed il polpo arrosto con melanzane, capperi e piacevole sentore di verbena.
Molto buone le paste, home made. Particolare menzione per i ravioli di polpo e i maccheroncelli all’uovo con noci, acciughe ed astice marinato.
Dolci sottotono, con l’unica eccezione per il morbido tortino alla crema di limoni.
Servizio accorto e gentile, carta dei vini interessante, specie in regione, con ricarichi a 5 stelle.
Nota decisamente negativa, infine, per l’odioso balzello del 15% di servizio, applicato unicamente al conto degli ospiti che non soggiornano in albergo. Trattamento non condivisibile, che divide in due nette categorie chi si siede ai tavoli del ristorante, tanto più se, al momento della prenotazione, nulla viene riferito in proposito.

Appetizer: spigola in pasta fillo spadellata, con salsa tartara.
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Carpaccio di gamberi alle erbe aromatiche e verdure croccanti. Delicato.
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Insalata di mare con verdure, spuma di patate e vongole, piuttosto scolastica.
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Astice al vapore con maionese al bianco d’uovo, senape in grani ed avocado. Buona la qualità dell’astice, interessante la maionese, leggera ma dal sapore intenso.
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Polpo arrosto con caviale di melanzana, capperi e verbena. Molto interessante la freschezza conferita dalla verbena che abbonda sui terrazzamenti dell’albergo.
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Gnocchi di patate ai fiori di zucchina con burrata e tartufo estivo. Piatto naturalmente goloso, ma ben bilanciato nelle sue componenti grasse.
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Ravioli al polpo con olive di Gaeta e limone candito. Davvero ben fatti, sfoglia callosa ma sottile, limone essenziale per la riuscita del piatto.
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Maccheroncelli all’uovo, noci, acciughe e astice marinato allo yogurth e lime. Anche in questo caso notiamo l’intelligente utilizzo del sentore agrumato per dare una spinta di freschezza al piatto.
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Tortelli farciti di ricotta di bufala e maggiorana, pappa al pomodoro. Sfoglia ben tirata, al palato leggermente monocorde.
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San Pietro spadellato, cetrioli profumati all’anice stellato, salsa al rhum agricole. Preparazione che ci ha fatto storcere il naso. I cetrioli declinati in duplice versione sottraggono carica gustativa senza aggiungere finezza. Salsa sottotono, non percettibile il sentore di rhum.
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Filetto di spigola alle olive nere, insalata di fagioli bianchi e scampi. Il flebile sapore di questa spigola è stato fortunatamente compensato dalle olive. Scampo ad impreziosire il piatto, ma interagisce poco con gli altri ingredienti.
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Triglie spadellate, riduzione di zuppa di pesce, finocchi e burrata.
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Tortino di fichi con lamponi e gelato allo yogurt. Se non avessimo visto il fico fresco a far bella mostra di sé in cima al tortino difficilmente ne avremmo inteso il gusto…
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Babà al rum, gelato alla vaniglia, riso al latte. Buona versione del celebre classico napoletano.
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Crema bruciata con mirtilli, sfoglia croccante e gelato al pistacchio. Pistacchio non pervenuto, creme brulée ordinaria.
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Tortino alla crema di limoni del San Pietro. Il migliore del lotto, davvero ben fatto.
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Petit fours
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Tavolo con vista
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Il terrazzo
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Vista sulla piattaforma a mare
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L’orto
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Il mare ed il prato
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La darsena di Oneglia in una splendida giornata di sole di fine inverno ha un fascino tutto particolare.
I tavolini dei dehors di bar e ristoranti sono finalmente pieni, le prime barche cominciano a riaffacciarsi in mare dopo la manutenzione annuale e soprattutto i pescherecci, con il loro prezioso carico, ci riempiono il cuore di gioia.
L’Agrodolce di Andrea Sarri è proprio lì, a due passi dal mare e dal centro cittadino, qualche tavolino all’aperto e due salette interne di bianco vestite.
La sua è una cucina quasi esclusivamente marinara, tradizionale perlopiù, ma proposta in veste moderna. Grande attenzione viene riservata alle presentazioni, sempre curate, ma meno esasperate che in un recente passato.
Oggi lo chef si concentra maggiormente sul gusto, con piatti semplici che esaltano l’ottima materia ittica, ottenendo buoni risultati soprattutto nelle preparazioni più classiche e materiche, mentre in quelle più elaborate abbiamo riscontrato qualche difetto di esecuzione e qualche passaggio poco personale e meno interessante.
Ad esempio i pur buoni calamaretti alla parmigiana farciti di mozzarella scontavano un eccesso di parmigiano, lasciando in bocca una sensazione grassa piuttosto persistente.
Parmigiano in primo piano anche nei tortelli ripieni di pesto (ma perché non ricominciamo ad usare il pesto come salsa?) e vongole, con quest’ultime nel ruolo di attrici non protagoniste e con qualche granello di sabbia di troppo.
Ottimo il dentice, di qualità e freschezza da primato, con accompagnamento di verdure di stagione cotte alla perfezione.
Piacevole la passatina di ceci con gambero viola di qualità straordinaria (vi ricorda qualcosa o qualcuno?) e ben fatto anche il fritto misto, asciutto e fragrante, con menzione speciale per gli scampi veramente da lacrime agli occhi.
Una cucina pensata molto per il cliente “medio” che, al mare in Liguria, cerca un certo tipo di piatti e qui li trova mediamente ben eseguiti.
La sensazione è che Sarri volendo potrebbe fare di più e avvicinarsi ai vertici regionali, ma giustamente preferisca puntare, in un periodo di congiuntura sfavorevole come questo, alla soddisfazione dei gusti della maggior parte della clientela.
La carta dei vini riflette la cucina, discreta la selezione di etichette, anche se piuttosto scontate, proposte a prezzi elevati come spesso accade in Riviera.
Un buon indirizzo per chi ama il mare in tutte le sue declinazioni.

La focaccia ed il pane.


Brandade di baccalà e tegola croccante.

Passatina di ceci con gambero.

Calamaretti ripieni di mozzarella di bufala in parmigiana.

Cappellotti ripieni di ricotta e pesto in guazzetto di vongole veraci.

Palamita arrostita all’origano, su crema di capperi, cipolla alla brace e nocciole piemontesi: grande la qualità del pesce, perfetta la cottura, interessante l’abbinamento capperi e nocciole, piccolo neo qualche cappero non perfettamente dissalato con conseguente troppa sapidità in alcuni punti.

Triglia di scoglio, foie gras, zuppetta di bagna cauda: classico abbinamento a nostro avviso penalizzante per la delicatezza della triglia e qualche riserva riguardo al foie piuttosto molliccio.

Fritto misto.

Lo splendido dentice con le verdure lavorate alla perfezione.

Il vino, ottimo ma veramente troppo giovane.

Cono friabile ai mandarini.

Piccola pasticceria.