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Manna

La bistronomia di periferia di Matteo Fronduti

“Aldo Fabbrizzi”, “Banalissimo”, “Uè”, “testina”, “Riassunto di bollito”, “Ha vinto la tartaruga”, eccetera. Il primo sentimento che regalava il menù del Manna nel momento in cui si sfogliavano le pagine era un sorriso. Di quelli spontanei e divertiti dopo il quale si rischiava di non prendere sul serio la cucina di Matteo Fronduti. Ebbene, dietro questi nomi altisonanti si nascondeva una cucina ad alto tasso di personalità, a tratti molto golosa ma, soprattutto, bilanciata al millimetro tra contrasti di vario tipo, mai reiterati tra un piatto e l’altro.

Quest’anno, dopo una piccola ma necessaria pausa in cui il locale si è praticamente trasformato da ristorantino di quartiere con interni anonimi e spartani in un elegante spazio con ampie vetrate, studiati giochi di illuminazione ed una cucina, finalmente, degna dell’estro del suo cuoco, i divertenti nomi dei piatti sono – ahinoi – scomparsi. A differenza dei piatti del cuocone milanese, quelli ci sono sempre e si sono consolidati tra le creazioni più accattivanti, con quella centralità gustativa e la giusta sostanza da non poter passare inosservato.

Deliziose “Porcherie”

Il menù “Porcherie” – il più audace rispetto agli altri due presenti in carta – è l’evoluzione di una degustazione a tiratura limitata servita qualche anno fa dal titolo “Ignoranza Ovvero Della Cucina Volgare” – in goliardico onore (leggasi sprezzo) per l’ascesa al governo del Movimento 5 Stelle – dove si affacciavano alcuni notevoli assaggi quali Grasso di manzo, sgombro, Leche de tigre e arachidi, i Gelato di tè Hojicha, Bottarga di tonno e pepe di Sichuan, il Rognone, ricci di mare, prezzemolo e gin e, in chiusura, il dessert: Pasta in bianco e milza. Quello era un esperimento per capire fino a dove si riusciva a spingere il cliente abituale del Manna.

Oggi invece, questo percorso più audace vuole diventare la normalità espressiva di Fronduti. Tra i nuovi assaggi, c’è l’intrigante gioco di consistenze molli della Seppia cruda, limone bruciato, midollo e melissa dove il midollo, a differenza di quanto si ci aspetti, è l’elemento che dona sapidità ad una purea di seppia, in proporzione predominate, che mantiene una costante nota iodata del piatto riequilibrata dall’amaro del limone; l’Animella con spinaci e ostriche in cui il bilanciamento dei tre ingredienti si gioca su note grasse – erbacee – amare (per via dell’ostrica arrosto), a tratti disturbante al palato ma, alla fine, compiuto nell’insieme. Lo Spaghetto in bianco (grana, aceto invecchiato e salsa Worchester) chiude, nella sua inaspettata veste di dessert salato con predominati noti acide, il percorso prima di un assaggio di selezionata frutta che anche se non tutta di stagione, vivaddio, è buona.

Alla carta, oltre a molte certezze – Zuppa di cipolle, Fegato grasso e pasta sfoglia, Pacchero, conserva di pomodoro affumicato, peperoncino e limone – troviamo qualche azzardo come Riso, mortadella di milza, marsala, caciocavallo e pane tostato, per palati allenati.

La nuova veste del Manna vede anche l’introduzione di un cocktail bar – concepito per operare autonomamente rispetto al ristorante – che può rivolgersi anche a un pubblico diverso, consapevole della possibilità di recarsi dal tardo pomeriggio a tarda sera, per un’opzione spesso non disponibile nei dintorni. Per un aperitivo ogni drink viene accompagnato da un assortimento di stuzzichini. In tutto ciò registriamo qualche disattenzione nel servizio – il ritmo di sala comunque è serrato – e qualche posata e stoviglia non sempre adeguate alla corretta fruizione del piatto. Ora che Fronduti ha alzato il tiro – anche in termini di offerta economica – i dettagli devono essere parte integrante dell’esperienza e, per questo, ci aspettiamo che tutto giri senza intoppi, come succedeva al Manna nella sua versione più spartana.

IL PIATTO MIGLIORE: Seppia cruda, limone bruciato, midollo e melissa.

La Galleria Fotografica:

Una Manna dal cielo

Siamo nella prima periferia milanese, in Piazza del Governo Provvisorio, così battezzata a seguito dell’insurrezione passata alla storia come le Cinque Giornate di Milano. Qui, quando Matteo Fronduti ha aperto il suo ristorante, non c’erano neanche le magnolie; piuttosto, una struttura sosteneva l’edificio di fronte, pericolante e, alla sera, lo chef, che ha le physique du rôle per farlo, accompagnava i clienti alle rispettive automobili. Oggi, a onta del covid, la piazza sembra vivere la sua prima primavera e, ci piace pensare, ciò sia anche, e soprattutto, per questa “manna” che, appunto, è di nome e di fatto il suo locale.

Non la leggendaria panacea che Dio dispensò agli ebrei rifugiati nel deserto ma una sostanza concreta fatta di “fuoco, furore e mal di schiena”, così come si legge sulla sua spassosa pagina Instagram. Quanto alla realtà non virtuale, si consuma qui una cucina libera dai vincoli e dai pregiudizi, capace di esercitare sulla materia una tecnica che non disdegna, se necessario, di esasperarne grassezze, gravità, ruvidezze o umori, soprattutto se si tratta di ingredienti proverbialmente disforici come la testina di vitello, il piedino o la casseola e, così facendo, trasformarli in puro deliquio. Ciò è possibile, chiaramente, non solo attraverso questa caratteristica della cucina di Fronduti che, s’è detto, si esalta esasperando i suoi stessi limiti, ma anche attraverso la capacità di elaborare contrasti intelligenti e concreti, capaci di miscidare con disinvoltura l’alto col basso, il nobile col volgare, il ricco col povero. A beneficio di entrambi.

L’alto col basso

Più o meno pacificamente, s’intende, ciò accade nel suo riassunto di cassoela, un’antologia in cui trovare tutti i tagli rinverditi dalla verza, sottaceto e in crema, e rinvigoriti da cotture sagaci, o nella testina di vitello, che inaugura le danze, croccantissima, coi cannolicchi e il loro brodo e la mela verde a polverizzare qualunque riferimento e proiettare il boccone in una dimensione alpina, straniante ma credibilissima.

Inaspettatamente filologica la soupe à l’oignon dedicata a Valéry Giscard d’Estaing – ci siamo dimenticati di chiedere a Fronduti perché mai – filologica, si diceva, perché dalle cipolle viene ricavato, tramite aggiunta costante di acqua, un fondo concentratissimo, quasi caramellato, cui fa da contraltare il morso croccante e quasi nodoso del groviera gratinato. Molto ben congegnati i ravioli di gallina, col brodo affumicato e le alghe, come a mimare un lapsang, mentre grandissima consapevolezza, e non senza un legittimo intento encomiastico, viene dimostrata nel risotto Quasi Milano – con pistilli di zafferano e midollo crudo – di cui Fronduti rappresenta uno dei massimi esponenti in città.

Ritmato e vivace, come tutto, del resto, qui dentro, il servizio di sala.

La Galleria Fotografica:

Al Manna di Milano, tra le stravaganze di Matteo Fronduti

Oltre a essere un ottimo cuoco Matteo Fronduti del ristorante Manna di Milano è anche un ragazzo dotato di un sense of humor fuori dal comune. Per i suoi modi talvolta burberi può forse non piacere, ma se non ci si ferma all’apparenza si noteranno anche intelligenza e acutezza tali da trasfigurare proprio quei modi in uno spirito sensibile e profondo, che non viene compreso da tutti e che, forse per questo, non si concede a tutti.

Ecco quindi che, nel momento in cui – e ce ne parlava da tempo – ha deciso di presentare un menù degustazione esclusivamente su prenotazione, dal titolo “Ignoranza ovvero, della Cucina Volgare” beh, ci siamo precipitati subito.

Profondità di pensiero, e di palato

E così ci siamo imbattuti in una carrellata di piatti autoriali, uno più interessante e intrigante dell’altro. L’irriverenza di accostare il diaframma crudo di cavallo con il principesco e nobile foie gras in cui lo schiaffo è dato dalla composta di pere alla senape, per esempio, o il fegato di rana pescatrice con rafano fresco e limone dolce bruciato. Ancora, impossibile non citare l’imperioso scarto delle bistecche di controfiletto, il grasso di manzo con tartare di sgombro e riduzione di leche de tigre, un piatto in cui le ossidazioni e le note di rancido lasciano contrappunti alla materia ittica e rimandi continui.

E poi il gran finale, costituito da una cacio e pepe con milza servito per dolce e, se non proprio per dolce, comunque un dessert per palati forti, o il rognone e ricci di mare, di cracchiana memoria che, ammantato di gin e prezzemolo, ha davvero poco bisogno di presentazioni.

Un menù e una cucina che mostra tutta la caratura, questa, e che oltre all’irriverenza e alla sfacciataggine, non ci stancheremo mai di ripeterlo, sfodera una cifra stilistica e valoriale ben superiore a quella del ristorante che rappresenta.

La galleria fotografica:

Mai aspettarsi che la manna arrivi dal cielo.
Meglio rimboccarsi le maniche: gli aiuti, più o meno divini, giungono sempre inattesi.
E così in cerca di degno ristoro tra le millanta insegne di Milano ecco che -non tanto all’improvviso, ma con una certa, piacevole, sorpresa ed un passo avanti rispetto alla nostra scorsa visita- si arriva a Manna.

L’ambiente è raccolto e sobriamente minimal: pochi tavoli, arredi misurati e pannelli che si affacciano dal soffitto per un’acustica sostenibile, ma qualche dettaglio, come le tinte pastello delle sedie e i bicchieri dell’acqua colorati, lo rendono accogliente quanto basta.
Una boccata d’aria fresca, questo luogo della tavola che va dritta al sodo, che punta al gusto, che ama i sapori schietti e decisi, ma che sa anche il fatto suo in quanto a tecnica -sviluppatasi negli anni- e crea dunque le condizioni affinché i piatti alla fine risultino apparentemente massivi eppure assolutamente leggeri. Una cucina sostanzialmente italiana e meneghina nel cuore, giocata sulla combinazione ragionata di pochi ingredienti, che rispecchia in pieno il cuoco(ne) che la propone: Matteo Fronduti, sguardo e fisico da biker e sorriso, sotto il baffo, sornione.

Una cucina senza fronzoli ma curata, che diverte e si diverte. A cominciare dai nomi delle proposte in carta, degni di un titolista d’eccezione. Evocativi, enigmatici, ironici, allusivi (da “Uè, testina” passando per “Contro il logorio della vita moderna”), racchiudono ciascuno l’essenza di ciò che verrà presentato, anticipando alla lettura un quid di buonumore. Che non ci abbandona, ma che anzi viene rinforzato ogni volta che si è chiamati alla prova, assaggio dopo assaggio: insomma la cucina fa sul serio, e l’ospite si diverte. Il sorriso si allarga proporzionalmente alla soddisfazione delle papille e al conforto che si produce quando tra aspettativa e realtà effettiva il gap è prossimo allo zero.
E si mangia anche con gli occhi: presentazioni pulite, con volumi studiati, colori calibrati e brillanti. A tal proposito emblematici sono “Libero e privo di impedimenti” (puntarelle, sgombro marinato e datteri, con lucidissima livrea azzurro metallizzato del pesce, in evidenza tra il verde croccante della cicoria cimata e il nocciola soft dei datteri, bilanciato poker di agro-dolce-amaro-iodato) e “Merenda hardcore V.M.18” (vedere e gustare per credere! Sogno-incubo golosamente proibito post-Moretti), portate in ogni caso pensate anche quando volutamente provocatorie.

Est modus in rebus, e Manna ha trovato il proprio.

Libero e privo di impedimenti. Puntarelle, sgombro marinato e datteri.
sgombro, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Uè, testina. Bollito di testina di vitello, salsa verde e giardiniera.
Uè testina, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Grunt. “Prosciutto” di cinghiale fatto Qui, erbe amare invernali e mela verde.
Grunt, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Contro il logorio della vita moderna. Maccheroni, carciofi, gambero rosso, lardo e timo.
Maccheroni carciofi, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Autarchia. Pasta fresca all’uovo, ragù e parmigiano vecchio.
Autarchia, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Tutto fumo. Spaghetti, cime di rapa, aringa affumicata e rafano.
Spaghetti, cime di rapa, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Quasi Milano. Riso, pistilli di zafferano e midollo di bue crudo.
Riso, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Kunta Kinte. Insalata di radici arrosto, maionese di cavolfiore e senape.
Kunta Kinte, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Riassunto di cassoela. Costina, verzino, crocchetta di piedino, musetto, verza e cotenne.
Cassoela, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
De sera e de matina. Baccalà mantecato, polenta taragna e chutney di arancia e spezie.
Baccalà, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Bistecchina?!?! Reloaded. Pannicolo di manzo, radicchio affumicato e miele di castagno
bistecchina, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Vai via dottore. Tarte tatin, gelato alla vaniglia.
Tarte tatin, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Nocciola più. Nocciola soffice, nocciola croccante, sorbetto di cacao e caffè.
Nocciola più, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Virgin colada. Ananas al naturale, lime e cocco.
Virgin Colada, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Merenda hardcore V.M.18. Cioccolato fondente, tabacco cubano, whisky torbato e frollini.
merenda hardcore, Ristorante Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano

Gli interni e un risotto.
Partiremo da qui per parlare del Manna, questa volta. E cominceremo tributando un giusto applauso a uno chef/imprenditore che, pur lavorando in una zona non indimenticabile della città, ha investito sul decòr in un momento economicamente privo di certezze. Il piccolo grande ristorante del quartiere Turro ha così dismesso quel disordine cromatico che lo caratterizzava per un costume dalle tinte meno carnascialesche, senza per ciò piombare in seriosi cliché. Toni di grigio e volumi più dinamici vanno così a comporre il look con cui la creatura di Matteo Fronduti si avvicina alla maturità.
Un risotto, poi, dicevamo. E che risotto! Perché Quasi Milano, in cui l’evidenza più netta di quel “quasi” risiede nel midollo crudo, si pone direttamente e senza passare dal via ai vertici della categoria, volteggiando in mirabile equilibrio fra opulenza gustativa e finezza esecutiva e restituendo allo stesso tempo quelle sensazioni profondamente autentiche che sono la vera ragion d’essere della rivisitazione di un classico con un beat d’oggi.
I tratti caratteristici del Manna per il resto si sono mantenuti sostanzialmente immutati. La carta delle vivande gioca con le parole (anche se il calembour involontariamente più azzeccato rimane l’indirizzo del locale, vero manifesto programmatico della politica nostrana) e con elementi generalmente tratti dal repertorio “basso”. La cucina si concede un’unica, e misurata, gita nei quartieri alti con un crudo di gamberi rossi utilizzato in un primo piatto, ma il resto del programma gastronomico è un tripudio di quinto quarto, pesce povero e umili vegetali, evidente frutto di una scelta programmatica e dell’importante esperienza vissuta da Matteo Fronduti a Cornaredo presso il D’O di Davide Oldani. E proprio dal mondo vegetale arriva quello che, fra i secondi piatti, si è rivelato il più convincente: Kunta kinte è una riuscita insalata di radici arrosto che, accostata a maionese di cavolfiore e senape, regala sensazioni intense fra piccante, amaro e terroso. Il resto del comparto principale invece si rivela leggermente inferiore alle attese create dagli antipasti e soprattutto dagli eccellenti primi, non consentendoci di sbilanciarci verso la valutazione superiore a quella fin qui assegnata, che consideriamo il limite a tendere di questa cucina (non dello chef, che a nostro modo di vedere potrebbe, con un progetto più ambizioso, permettersi obiettivi assai più prestigiosi).
Con sedici alternative equamente divise sui vari passaggi del pasto e quattro commensali al tavolo, e nessun percorso di degustazione previsto, l’occasione era troppo ghiotta. Ecco perciò TUTTA LA CARTA del Manna collezione Inverno 2014/2015:
Frico??? Uovo in camicia, patate e Montasio: un piatto ghiotto e assai ben bilanciato.
uovo in camicia, patate e montasio, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Libero e privo d’impedimenti. Sgombro, puntarelle e datteri, in lieve difetto d’acidità.
sgombro puntarelle e datteri, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Uè, testina! Bollito di testina di vitello, salsa verde e giardiniera. Davvero eccellente.
bollito di testina,Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Grunt: Prosciutto di cinghiale maison con erbe amare invernali e mela verde.
grunt, prosciutto di cinghiale, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Basterebbe nulla a far diventare greve Esaù (Zuppa di lenticchie, cotechino e pane croccante). L’insieme è invece assemblato con classe e senso della misura, salvaguardando tanto il gusto quanto il desiderio di proseguire la cena con altre pietanze.
zuppa di lenticchie e cotechino, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Tutto fumo: spaghetti, cime di rapa e aringa affumicata resi personali con un tocco di rafano.
spaghetti cimii di rapa e aringa affumicata, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
L’eccellente Quasi Milano.
risotto, quasi milano, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Contro il logorio della vita moderna: fusilloni, ragout crudo di gamberi rossi, carciofi, timo e lardo.
fusilloni ragout di crudo, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Riassunto di Cassoela: costine, verzino, crocchetta di piedino, muso, verze e cotenne. C’è tutto. Dell’originale mancano però l’insieme e un po’ d’umidità. E non è poco.
Cassoelua, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Uffa: guancia di manzo stufata al vino rosso, carote e cipolle. Didascalico ma piuttosto inespressivo.
Guancia di manzo stufata, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
De sera e de matina: baccalà mantecato, polenta taragna e chutney d’arancia. Buono, ma l’impressione è di un antipasto rinforzato per secondo. Stiracchiato.
baccalà mantecato, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Il sorprendente Kunta kinte.
kunta kinte, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
L’asticella torna su per i dolci. Si parte con il classicissimo Vai via dottore: tarte tatin con gelato alla vaniglia.
Tarte tatin con gelato alla vaniglia, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Nocciola più: Nocciola morbida e croccante, sorbetto di cacao e caffè. Ottimo.
Nocciola più, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Virgin colada: Ananas, lime e cocco, ovviamente assai rinfrescante.
virgin colada, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Merenda Hardcore VM18. Cioccolato, tabacco cubano, whiskey torbato e frollini. D’impatto piuttosto forte. Non per tutti, nemmeno se maggiorenni, ma sicuramente riuscito.
merenda, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
Dettagli della nuova sala.
nuova sala, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano
sala, Manna, Chef Matteo Fronduti, Milano