Passione Gourmet Luigi Taglienti Archivi - Pagina 2 di 3 - Passione Gourmet

La migliore “Italia”

Cento di queste forchettate

Abbiamo deciso di suggellare la fine di questo anno solare con un’inconsueta classifica, la nostra classifica, dedicata all’italianità a tavola per antonomasia: la pasta. Per risvegliare il senso di appartenenza e, se non proprio l’amor patrio, quantomeno il gusto di essere italiani e così introdurvi, piatto dopo piatto, forchettata dopo forchettata, uno dei nostri progetti più ambiziosi di questo imminente 2020.

ALBERTO CAUZZI

Cappelletti alla genovese, zuppa forte di piccione, yogurt acido, lampone e funghi di Antonino Cannavacciuolo

La pasta ripiena è spesso utilizzata dallo chef partenopeo per perseguire il suo credo legato alle contaminazione tra Nord e Sud, tra la sua terra adottiva e la sua terra d’origine. Una commistione realizzata con classe ed eleganza estrema, come in questa pasta in cui la genovese del ripieno, dolce e sugosa, si amalgama incredibilmente con il dolceforte di piccione. Chiudono il cerchio le acidità di yogurt e cristalli gelati di lampone, la terrosità del brodo di funghi e il piccione, dalla nota ematico-piccante: un piatto tanto classico, tanto italiano, tanto sottile ed elegante, oltre che profondo e contrastato. Un inno alla pasta italiana.  

ANDREA GRIGNAFFINI

Cacio e 7 pepi alla brace di Errico Recanati

Sulla base dello stile narrativo di Errico Recanati che triangola spiedo, griglia e fumo ecco una Cacio e Pepe che parte dalla cottura della pasta alla brace, ovviamente dopo pre-cottura in acqua bollente prima e passiva poi. La brace quindi interviene in ripasso (per 5/6 minuti) con tecnica del cappello. Così si ottiene una sorta di breve affumicatura a caldo.  Il cacio si sdoppia tra la classicità del Parmigiano e il genius loci del Formaggio di Fossa che moltiplica peraltro l’idea di affumicatura. La base casearia è pronta per essere innervata dai 7 pepi mixati ad hoc: Timut, Lungo, Selvatico del Madagascar, Verde naturale della giungla, Bianco, Sichuan, Nero di Sarawak. L’affumicato precede il boccone, l’amido dello Spaghettone Benedetto Cavalieri si diffonde sul cacio, il pepe riverbera e punteggia.

ORAZIO VAGNOZZI

Pasta agli anemoni di mare di Antonio Guida

Il mare nel piatto in un’interpretazione tanto personale – quella di Antonio Guida – quanto universale, nei colori, nei profumi, nei sapori e nelle consistenze. Un piatto dall’equilibrio perfetto.

DAVIDE BERTELLINI

Le tagliatelle di patate con tartufo bianco d’Alba di Matteo Baronetto

Tanto semplice quanto straordinariamente buono: la consistenza incredibile della pasta di patate con cui sono realizzate le tagliatelle e lo spessore perfetto con cui sono tirate ne fanno il piatto di pasta antonomastico dell’anno appena trascorso.  Un mix di sapori, consistenze ed emozioni che rimandano all’ infanzia ma, al tempo stesso, alla contemporaneità e al grande carattere, oltre che alla filosofia, di questo grande chef italiano.

ALESSANDRO PELLEGRI

La Lasagna alla Bolognese di Luigi Taglienti

Un piatto realmente popolare, di cui è difficile – per non voler utilizzare il termine “impossibile” – trovare due versioni uguali in due case diverse. Nella versione proposta da Luigi Taglienti esso viene preso e, senza snaturarne né l’idea, né la forma né tantomeno l’esecuzione, viene sparato nell’iperspazio dell’alta cucina: gusto, finezza, golosità e italianità all’ennesima potenza. Un piatto in grado di posizionarsi, con pari spessore e dignità, tanto in una proposta alla carta quanto in un menù degustazione. Sublime.

Lume, Luigi Taglienti

LEONARDO CASALENO

Il tagliolino al tartufo di Diego Rossi 

Come può un piatto di pasta arginare l’idea di un cibo popolare? Basta mettere molti tuorli e tirare un tagliolino di callosità ed elasticità inappuntabili, unire brodo di pollo con tanto Parmigiano Reggiano e tantissimo burro, mantecare il tutto e, dulcis in fundo, affettarci sopra qualche fetta di tartufo bianco. Solo già la salsa che ne sortisce ha un equilibrio raro, che già parla per sé, ma l’allungo irresistibile del tubero lo rende magico. È la magia di un piatto semplice che si veste d’opulenza, in trattoria, lì dove alta cucina e tradizioni danzano senza soluzione di continuità.

ROBERTO BENTIVEGNA

Garganelli con astice, porcini e tartufo nero di Nicola Portinari

Il piatto “inclusivo”: capace di unire invece che dividere, che mette d’accordo tanto il gourmet quanto il gourmand, il seguace della creatività così come il fedele alla classicità estrema. Perché è semplicemente perfetto, per gusto, tecnica e precisione stilistica. Un grande classico de La Peca, un piatto da grandissimo ristorante.

GIACOMO BULLO…

Penne, burro ai ricci di mare, capesante essiccate, erbe spontanee e seppia ai carboni di Moreno Cedroni

Proprio un piatto di pasta consacra Moreno Cedroni al rango del fuoriclasse: un piatto assoluto dove la carica gustativa della capasanta è amplificata grazie all’uso della liofilizzazione, cui si unisce il vigore delle erbe selvatiche essiccate e poi passate sulla brace e la seppia appena scottata. La nota empireumatica del fuoco impressa sulle erbe si sposa con la dolcezza del riccio regalando sentori e ricordi di una grigliata di pesce sul mare del litorale di Marzocca.

…e FILIPPO BOCCIOLETTI

Più che un piatto di pasta “il” piatto di pasta, tale da rappresentare, iconograficamente, il manifesto del corso nobile del celebre carboidrato italico. Innanzitutto al posto della posata classica è sagacemente imposto all’ospite l’uso di una pinza, che costringe a gustare le penne una ad una: il ritmo “lento” va a nobilitare l’elemento nazional-popolare. Poi, la mano del maestro fa il resto: il burro ai ricci di mare insieme alla polvere di capesante dona sapidità, l’ortica e le seppie ai carboni l’amaricante e una textura da manuale, per un equilibrio d’insieme di ingredienti apparentemente antitetici davvero superlativo. La stellina composta di ricci di mare liofilizzati, da sbriciolare tra le dita sulle penne completa il servizio, confermando una tecnica all’avanguardia ma anche quella componente ludica tanto caratteristica di Moreno Cedroni. Un piatto che, a distanza di mesi, è ancora ben impresso nella memoria.

CLAUDIO PERSICHELLA

Pasta e cipolla di Andrea Leali

Un grande piatto di pasta che con maestria e solo apparente semplicità si anima degli ingredienti che lo compongono, in questo caso differenti tipologie e cotture di cipolla, tirandone fuori un concerto di sapori con gradazioni che si avvicendano in modo sorprendente e definito.

LEILA SALIMBENI

Spaghetto mantecato al burro di genziana, caciotta di capra, scorzetta di bergamotto candito di Gianluca Gorini

Servito alla fine del menù degustazione, una deflagrazione: un ko dei sensi. L’onda d’urto è spaventosa e somiglia alla carica, sia metaforica che letterale, di una capra appena uscita dal bosco: una capra che ha fatto incetta, per la precisione, di radici, cortecce e d’altre forme, tutte boschive, di amarezza. L’amaro purissimo della genziana e quello agrumato del bergamotto proiettano la percezione in una dimensione di gusto praticamente infinita: avanguardia pastorale.   

GIANPIETRO MIOLATO

Spaghetti freddi alla carbonara con uova di salmone e caviale di Massimiliano Alajmo

O di come semplificare la complessità con una profondità di pensiero impressionante. Dissimulazione e reinvenzione; nello specifico: la sapidità delle uova di pesce, in sostituzione del guanciale, e la base all’uovo a garantire quella rotondità capace di legare gli ingredienti, senza nostalgia, in un servizio a bassa temperatura. Una scelta straniante che permette tuttavia alla componente ittica di sprigionare tutta la propria potenza, facendo spiccare un salto vertiginoso, tanto immediato quanto ragionato.

FRANCESCO ZITO

Pasta mista in zuppa di crapiata, bisque di gamberi agli agrumi, crema di foie gras al Cardenal Mendoza, pesto di prezzemolo e tartare di gamberi  di Vitantonio Lombardo 

È un piatto visivamente ed emotivamente di impatto: è l’omaggio più bello e buono a Frank Rizzuti, compianto chef e prima stella Michelin in Basilicata. Gusto deciso, sapori netti, definiti e bilanciati caratterizzano una vecchia ricetta della tradizione materana, arricchita e nobilitata dal foie gras e dalla quenelle di tartarre di gambero. Il risultato è strepitoso… e commovente!

Il granatiere della cucina italiana, a Milano, è in forma smagliante

Su Luigi Taglienti e sul suo Lume abbiamo detto e scritto tanto. E non ne abbiamo parlato per qualche tempo. Qualche periodo di necessario assestamento c’è stato. Ma oggi crediamo che il “granatiere ligure”, come lo ha apostrofato una nostra cara amica, abbia intrapreso serenamente la strada della matura consapevolezza.

Ha trovato il suo luogo Luigi, ha trovato casa. E nella sua casa si esprime sempre con grande vigore, con tantissima originalità gustativa, ma da oggi anche con un pizzico di rotondità borghese che non ci dispiace affatto. Anzi, ha reso i suoi piatti meno taglienti- -perdonateci l’uso dell’epiteto- lasciando il passo a una cesellata e costante modellatura del gusto, arrotondato e aggraziato. È più fine la cucina di Taglienti, ha preservato la sua vena di originalità nei sapori, negli abbinamenti, finanche nei contrasti. limando leggermente, come un grande Puligny invecchiato, i toni spigolosi di gioventù.

Cotture, consistenze e temperature inedite, a tratti spiazzanti

E così, tra piatti ormai classici e qualche spunto di modernità, ecco fare capolino in molte preparazioni l’Ostrica, ingrediente feticcio del cuoco savonese, finanche stavolta apparsa, in forma di dolce, in una stupefacente crostata ai fichi cotti. Passando per il sempre strepitoso Risotto curcuma e alloro, attraverso una imperiosa Lasagna, un Piccione dalla cottura millimetrica, quasi calvinista e spoglio nell’aspetto, ma vibrante di gusto, con il contrasto della salsa al tamarindo. E poi un tripudio con l’Anguilla, il Fegato grasso, la grandiosa Trippa di agnello e così via. Tutto lavorato con cotture, consistenze e temperature perfette, inedite, a tratti spiazzanti. Terminando con un finale di una torta di mele, richiesta a inizio servizio e quindi totalmente improvvisata, da far sobbalzare letteralmente sulla seggiola.

Qui Milano, Lume, la casa di un grande cuoco, che si avvia verso la maturità e la completezza del gusto, il suo, originale e vibrante, come sempre.

La galleria fotografica:

Una rubrica su BBQ & Cocktail, in collaborazione con Bonaventura Maschio

Dopo Michelangelo Mammoliti e Giuseppe Iannotti, siamo giunti al terzo episodio di “Cuochi alla brace”, brevi monografie su grandi Chef italiani che hanno deciso di cucinare (anche) con l’ausilio delle braci, e di un loro piatto attuale preparato utilizzando il bbq.

Lo chef di cui vi parliamo oggi è uno dei più talentuosi della scena gastronomica italiana recente: Luigi Taglienti, Chef di Lume, angolo di eleganza e discrezione aperto da poco più di un anno in via Watt, a due passi dal Naviglio. Ristorante che proprio quest’estate ha inaugurato uno splendido spazio esterno, l’Orto di Lume.
Dopo la formazione classica in Francia, Taglienti lavora a lungo accanto a Ezio Santin nella tristellata Cassinetta di Lugagnano. Poi Chef nella cucina Delle Antiche Contrade prima di trasferirsi, nel 2011, in pianta stabile a Milano: Trussardi alla Scala prima, Palazzo Parigi poi e, dopo una breve pausa per preparare tutto al meglio, l’apertura di Lume.

Luigi Taglienti, Lume, Milano
La sua cucina è un unicum spiazzante: all’interno di uno stesso menù è possibile trovare dei piatti profondamente classici, quasi atavici, contrapposti ad altri estremamente più moderni, nel pensiero e nell’esecuzione, sempre estremamente elegante e minimalista. Pochi ingredienti, controllati e gestiti sapientemente, con un importante utilizzo delle acidità a fare da collante.
In breve, la sua è una delle prime tavole che dovete tenere a mente quando lo scopo principale è divertirsi.

“Ho iniziato ad utilizzare il forno a carbone” ci racconta lo Chef “poiché è l’unica fiamma che possiedo in cucina. Innanzitutto vi è l’aspetto storico, perché mi ricorda le cotture primordiali; ma soprattutto lo utilizzo perché attraverso il carbone e la sua nota fumé aggiunge un tocco di personalità alle vivande che vi cuociono all’interno.”

Il dispositivo scelto da Taglienti è un forno charcoal di tipo josper. “Utilizzo un forno a carbone Kopa, versatile e dinamico allo stesso tempo, perché prestandosi a svariati tipi di cottura mi permette un utilizzo trasversale su numerosi piatti. Inoltre, dato che quella di Lume è una cucina totalmente a vista, cercavo un dispositivo elegante che ben si integrasse nel contesto.”

Parlando del piatto, “ho pensato il “Raviolo di limone alla brace” per dare ulteriore enfasi al picco massimo di acidità all’interno del mio menù degustazione, mantenendo il concetto filologico con l’impostazione dei grandi banchetti di una volta, e quindi inserendo un intermezzo acido a ripulire il palato tra due portate. Una sorta di moderno sorbetto, se vogliamo fare un paragone.”
Raviolo, Lume, Milano
Il cocktail pensato in abbinamento dallo Chef è “West Liguria”, proposto con l’idea di “unire i migliori profumi della riviera ligure di ponente, creando un filo conduttore con la mia tradizione culinaria. Questo insieme di straordinari elementi esprime freschezza, personalità e sentori marini, e ogni ingrediente rappresenta l’unione con il territorio e il profumo della memoria.
Quanto all’aspetto tecnico invece, “il drink viene preparato al tavolo, con l’ausilio di un carrello di servizio, coinvolgendo il cliente raccontando lui le fasi salienti della preparazione. Importantissima la shakerata: l’azione meccanica del ghiaccio sulle foglie di basilico permette l’estrazione degli olii essenziali da queste ultime, olii che vanno a caratterizzare fortemente il cocktail.
Abbiamo scelto Prime Uve Bianche per la sua delicatezza: per questo drink è necessario un distillato non troppo invasivo, perché diversamente rischierebbe di predominare su tutto il resto”

Raviolo di limone alla brace, acqua fredda di chinotto al basilico
Ingredienti per 4 persone

Per la pasta fresca:
150g di farina tipo “00”
6 tuorli d’uovo
1 uovo intero
2g di olio extra vergine monocultivar di oliva taggiasca

Con l’ausilio di un apparecchio cutter lavorare gli elementi sino ad ottenere un impasto asciutto e omogeneo. Lasciar riposare l’impasto per almeno 4 ore ad una temperatura di +6°. Stendere la pasta allo spessore desiderato e, con l’ausilio di un tagliapasta, formare dei dischi del diametro di 7 cm che verranno poi farciti con l’apposito ripieno.

Per il ripieno di limone:
4 Limoni liguri non trattati

Avvolgere i limoni nelle proprie foglie e cucinarli per un’intera notte nel forno a carbone, mano a mano che il calore va spegnendosi. Eliminare quindi eventuali semi che potrebbero esservi all’interno, e frullare il tutto sino ad ottenere una crema liscia.

Per l’acqua fredda di chinotto:
200ml di estrazione di chinotto (ricavata dall’estrazione a freddo dell’infuso di chinotti freschi)

Finitura e presentazione:
Cuocere delicatamente i ravioli in abbondante acqua bollente, salata in ragione di 4g/litro. Scolare e adagiare i ravioli alla base del piatto, aggiungere l’acqua fredda di chinotto e terminare con una foglia di basilico.

Cocktail in abbinamento powered by Bonaventura Maschio: West Liguria
4cl di Prime Uve Bianche
4cl di Base chinotto
1cl di Succo fresco di limone
6 foglie di Basilico

Riempire lo shaker per 3/4 di ghiaccio, quindi inserire tutte le componenti liquide e infine il basilico. Shekerare a fondo, filtrare e servire in un tumbler basso, finendo con una scorza di limone.

Tutto si può dire, meno che a Milano sia mancato il fermento negli ultimi anni nel campo dell’alta gastronomia.

Qualche partenza e qualche separazione, certo, ma anche tanti stimolanti nuovi arrivi e l’inizio di nuove avventure, sull’onda della voglia di mettersi in discussione ripartendo con le proprie sole forze, dopo i giusti anni di gavetta e dei compromessi che essa sempre implica.

Ai cavalli di razza tali compromessi, si sa, a un certo punto possono cominciare a stare stretti, e che Luigi Taglienti fosse un cavallo di razza ci era già apparso chiaro sin dai tempi del Trussardi alla Scala. Dopo la breve parentesi a Palazzo Parigi, mesi di voci che lo volevano in procinto di ripartire, stavolta in un abito fatto completamente su misura.
Dallo scorso giugno, queste voci diventano realtà. Siamo in zona Naviglio Grande, fuori dal cuore della città quasi a ricercare un angolo di tranquillità, ma anche un ampliamento dei confini consueti e una rivalutazione di luoghi poco percorsi, secondo una tendenza che sembra farsi sempre più largo. Probabilmente la prima volta che arriverete qui vi chiederete se il navigatore vi ha indirizzato correttamente, tanta è l’inconsueta discrezione del luogo. La location, peraltro leggermente nascosta, è la vecchia fabbrica Richard Ginori, tirata a lucido e trasformata per mezzo di un imponente lavoro di ammodernamento in un complesso polifunzionale con appartamenti, uffici e spazi multifunzionali modulari all’ultimo grido in fatto di design e modernità.
Una volta varcata la soglia, un ambiente luminoso, moderno, essenziale, calibrato in tutto e per tutto alle esigenze dello chef, a partire dalle scelte cromatiche fino all’altezza dei piani di cottura.

Luminosità, modernità, essenzialità: gli stessi tratti che, coerentemente, ritroveremo anche nella cucina. La Grande Cucina italiana, i luoghi della vita trascorsa e presente: quindi la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, Milano, ma anche la grande cultura classica francese e le tecniche di preparazione più avanzate.
Da tutto questo Taglienti sintetizza il suo stile fortemente personale, di estrema essenzialità estetica e gustativa, di cristallina chiarezza nel segno di un rispetto estremo per la materia prima. Sbalorditivo come anche nelle costruzioni più complesse ogni elemento risulti perfettamente delineato e presentato in quanto tale, senza compiacenti tentativi di amplificazione o riduzione, nel segno di una schiettezza espositiva esemplare. Schiettezza che certo a volte potrebbe anche spiazzare, nella sua -seppur sempre finemente dosata- sfrontatezza: è il caso, per citarne uno, del piccione e rosmarino, dove la nobile materia, cotta solo pochi istanti, cede il ruolo di protagonista a una salsa di potenza e persistenza estreme. Un piatto austero, materico, di impatto immediato ma non facile: tuttavia se lo si guarda come tappa di un percorso -non a caso è un piatto che non si trova in carta- ecco che il tutto assume un significato più chiaro, che merita ammirazione per coerenza e coraggio. Oggi più che mai, la cucina di Taglienti si conferma una delle grandi realtà della nuova scuola gastronomica italiana, e il passo ormai è prossimo per le soglie del Paradiso e dei riconoscimenti su più larga scala.
Servizio dinamico e professionale, visibilmente entusiasta di far parte di questa nuova avventura, gestione dei tempi inappuntabile e cantina di buona profondità.

Abbiamo optato per il percorso di degustazione più complesso, quello che ci sentiamo di consigliare per conoscere al meglio la filosofia dello chef, al quale abbiamo aggiunto i quattro secondi di cacciagione proposti in carta, oltre al dolce finale. Oltre alla carta è disponibile anche un secondo percorso di degustazione, di linea più accomodante ma non per questo non originale, dedicato alla rivisitazione in chiave moderna della cucina tradizionale milanese, di livello indubbio ma tuttavia, a nostro giudizio, lievemente inferiore alla proposta più d’avanguardia.

L’esterno.
lume, chef luigi taglienti, milano
La sala principale, con la cucina a vista.
sala, lume, chef luigi taglienti, milano
Uno scorcio verso l’altra sala.
sala, lume, chef luigi taglienti, milano
Una breve visita in cucina.
cucina, lume, chef luigi taglienti, milano
Il nostro tavolo.
tavolo, lume, chef luigi taglienti, milano
L’aperitivo: un Kyr Royal.
Kyr royal,lume, chef luigi taglienti, milano
Mise en place e aperitivo finito.
mise en place, lume, chef luigi taglienti, milano
I primi benvenuti della cucina.
Potage di verdure di stagione, ottenuto tramite una crioestrazione, servito in foglie di cavoletti di Bruxelles.
Sfoglia di lievito madre.
Tartelletta tipica ligure (frolla) con all’interno un ragù di selvaggina (capriolo e piccione).
benvenuto dalla cucina, lume, chef luigi taglienti, milano
Un ulteriore stuzzichino.
Sfoglia di riso e ceci con castagne, carne cruda, gamberi bianchi appena scottati, crema di nocciole, zucca, mostarda e rum.
L’usuale “cocktail solido” arriva questa volta in forma di un omaggio dello chef alle sue origini. Complesso ma al tempo stesso leggibilissimo, in ogni sua sfaccettatura.
stuzzichino, lume, chef luigi taglienti, milano
Apertura del percorso: “Acqua, olio, limone e liquirizia”.
Olio abbattuto a -40° che si presenta in forma solida in sospensione sull’acqua, arricchita con liquirizia e limone
Apertura di rito per il percorso creativo di Taglienti, costantemente ricalibrata secondo le esigenze di percorso e stagionalità. Una vera e propria formattazione del palato, questa volta con una coda aromatica particolarmente prolungata.
acqua, olio, limone, liquirizia, lume, chef luigi taglienti, milano
Due tipologie di pane (leggermente affumicati), focaccia e sfoglia alle erbe.
pane, lume, chef luigi taglienti, milano
Il primo accompagnamento al calice. Un bianco della Borgogna del nord leggero, minerale, fresco.
vino, borgognam lume, chef luigi taglienti, milano
“Bianco e nero di seppia”.
Alla base una concentrazione citrica (riduzione di agrumi), panna cotta ai ricci di mare, le due sfoglie della seppia bianca e nera trattate come se fossero sfoglie di pasta, spaghetto soffiato, lacrima di olio al peperoncino.
Un ulteriore signature dish, da tempo tappa imprescindibile del percorso di degustazione. A dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, piatto caratterizzato da consistenze accomodanti ed un elegantissimo equilibrio, che tuttavia offre già un’indicazione ben chiara della filosofia culinaria di Taglienti: tutte le componenti, pur senza ambizioni prevaricatrici, sono individuabili con una chiarezza cristallina.
bianco e nero di seppia, lume, chef luigi taglienti, milano
“Mandorla e dragoncello”.
Alla base emulsione di acqua di mandorla, erba di dragoncello al naturale.
Piatto di grande equilibrio e ancora una volta di chiarissima definizione dei suoi piani gustativi.
mandorla al dragoncello, lume, chef luigi taglienti, milano
Il secondo vino.
fiano, vino, lume, chef luigi taglienti, milano
“Ostrica e nocciola”.
Crema di nocciole con ostriche fresche.
Tanto semplice concettualmente quanto complesso nell’esito: la nocciola argina la sfrontatezza iodica dell’ostrica, amplificandone tuttavia nel contempo lo sviluppo che permane, permane, permane…
ostrica e nocciola, lume, chef luigi taglienti, milano
“Anguilla e cima di rapa”.
Anguilla pulita e scottata con salamandra accompagnata con una spremuta di cime di rapa.
Il primo dei piatti nei quali assisteremo a un vero e proprio capovolgimento del ruolo della salsa nella costruzione del piatto. L’anguilla costituisce elemento veicolante alle prevaricanti note amarognolo-piccanti della parte vegetale.
anguilla e cima di rapa, lume, chef luigi taglienti, milano
“Astice blu e potage di lumache bianche”.
Il potage a base di lumache, polpa di tamarindo, basilico e arancio.
Di grande potenza la base di terra, bilanciata e veicolata dalla carnosa dolcezza del crostaceo.
astice blu, lume, chef luigi taglienti, milano
“Funghi e Royale di fegato di vitello”.
Lo sguardo è rivolto alla grande tradizione francese, per un piatto di natura spiccatamente gourmand.
funghi, royale, lume, chef luigi taglienti, milano
Il vino abbinato.
vino, lume, chef luigi taglienti, milano
“Pummarola e mezzanella”.
Pomodoro proveniente dal ceppo originario San Marzano, pelato e scottato, servito con un mezzanello, un po’ di basilico e limone.
Siamo in questo caso al servizio dell’esaltazione della qualità delle materie prime, senza inutili orpelli.
pummarola e mezzanella, lume, chef luigi taglienti, milano
“Pernice rossa al vapore, verza brasata e salsa al fegato grasso”.
Il primo dei fuori programma dedicati alla cacciagione. Le basi sono quelle della grande tradizione classica, trasposte ai giorni nostri coerentemente con la filosofia di estrema chiarezza della cucina.
pernice, lume, chef luigi taglienti, milano
Si sale con un rosso più strutturato.
mimmo, le piane, lume, chef luigi taglienti, milano
“Germano reale arrosto con pappardelle al tartufo nero”.
Anche in questo caso un approccio materico, di estremo rispetto per una grande materia prima presentata senza superflui barocchismi.
germano, lume, chef luigi taglienti, milano
“Piccione e rosmarino”.
La salsa è ottenuta tramite microfermentazione e successivamente evaporizzazione. Il filetto del piccione viene servito crudo, il petto à la coque.
Un ponte tra la parte salata e la parte dolce del percorso ufficiale, nel segno di un’inversione del tradizionale rapporto dei ruoli materia-salsa.
piccione, lume, chef luigi taglienti, milano
“Filetto di sella di capriolo cotto al fuoco della brace, melograno al cassis, sedano di Verona e salsa poivrade”.
Ritorniamo alla cacciagione per il terzo piatto extra. Di nuovo è la salsa ad assumere un ruolo trainante in un piatto in cui la grande tradizione classica costituisce un punto di partenza e non di arrivo.
filetto, capriolo, lume, chef luigi taglienti, milano
“Lepre reale”.
La lepre viene farcita con foie gras, tartufo, rognone e nappata con la sua salsa di cottura legata fuori fuoco; servita con patate noisette e uno spinacino di fiume.
Una chiusura della parte salata nel segno di un’icona della cucina borghese transalpina, presentata in chiave moderna. Sontuosità ai massimi livelli.
lepre, lume, chef luigi taglienti, milano
Il vino.
vino, lume, chef luigi taglienti, milano
“Sanguinaccio di pesce”.
Le carcasse di pesce azzurro vengono lasciate ossigenare fino a rilasciare la loro parte sanguinolenta, in seguito abbattuta, frullata e condita con brandy e rum, crema pasticcera, salsa di cioccolato, agrumi (limoni, chinotto e arancio) e pinoli.
Piatto di grande complessità, frutto di uno studio certosino, per delle sensazioni gustative di grande nitidezza e mutevolezza, con una coda caratterizzata dall’estrema persistenza di toni iodati e ferrosi. Un “dolce non dolce” che per impatto spiazzante riteniamo abbia davvero poco da invidiare al leggendario Camouflage botturiano.
sanguinaccio, pesce, lume, chef luigi taglienti, milano
“Cipolla e oro”.
Quarto di cipolla glassato con frutto della passione, ricoperto con foglia d’oro.
Un reset del palato nel segno di un’acidità molto spinta, con un’estetica che vuole essere un omaggio al soffritto all’italiana in una fase di percorso per esso certo non usuale.
cipolla e oro, lume, chef luigi taglienti, milano
“Latte di scampi con crème caramel all’aneto”.
Di tono specularmente opposto la chiusura, di stampo accomodante ma nella quale c’è ancora spazio per un ultimo finissimo momento spiazzante: il crostaceo non capovolge la direzione del piatto ma, oltre a costituire una piacevole variazione texturale, ne preclude la deriva stucchevole in un modo del tutto inaspettato.
scampi, creme caramel, lume, chef luigi taglienti, milano
“Minestrone di cachi e verdure”.
Verdure di stagione, gelato al latte condensato, quenelle di cachi.
Meno totalizzante di quanto lo ha preceduto, certo non per demeriti propri!
cachi, verdure, lume, chef luigi taglienti, milano
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, lume, chef luigi taglienti, milano
Chiusura in compagnia di una vecchia amica…
vino, lume, chef luigi taglienti, milano
vino, lume, chef luigi taglienti, milano

Avevamo lasciato Luigi Taglienti lì, ad operare in quella che, da quando aveva preso lui le redini della brigata, in breve tempo era divenuta la miglior tavola milanese, al primo piano di una delle piazze più centrali della città, piazza della Scala.
Un vero e proprio luna park per appassionati, una sala giochi gastronomica capace di sorprendere fin da subito e in grado di continuare a farlo, anche dopo l’ennesima visita.
Poi il fulmine a ciel sereno: un divorzio lampo, un comunicato stampa al vetriolo e, da un giorno all’altro, all’apice prestazionale della cucina, si è deciso di mettere fine a una delle poche certezze dei gourmet meneghini e non solo, sedotti e abbandonati.

Avevamo lasciato Palazzo Parigi lì, in corso di Porta Nuova, a due passi dal centro. Una delle aperture più chiacchierate del 2013, un lavoro pazzesco per la realizzazione di un imponente hotel, dalle dimensioni inusuali per una nuova realizzazione in questa zona, estremamente ambizioso nonché oltremodo lussuoso, che porta nel nome la città a cui si ispira.
Non solo “nome” però. Per la progettazione degli interni la proprietaria, l’architetto Paola Giambelli, si è rivolta ad un consulente di assoluto prestigio: Pierre Yves Rochon, famoso per aver firmato un buon numero di Four Seasons (tra cui il George V a Parigi e quello a Firenze) oltre a innumerevoli altri hotel di lusso, come il Peninsula di Shangai od il Savoy a Londra, ed il risultato di quest’opera milanese è indubbiamente allineato alle altre realizzazioni.

L’offerta ristorativa è chiaramente tarata sugli standard di un hotel 5 stelle lusso e comprende, oltre all’ovvio room service h24 ed al ristorante principale, un ampio bistrot interno, con tanto di veranda affacciata sul giardino di proprietà, ed un eccellente cocktail bar, ambedue adiacenti al ristorante e quindi anch’essi immersi nel medesimo lusso dell’hotel. Non delle costole quindi, ma, a tutti gli effetti, parti integranti della struttura, in grado di proporre costantemente qualità, da mattina a notte fonda.

Per quanto riguarda la punta di diamante dell’aspetto gastronomico non si è certo andati per il sottile: una splendida sala, dal tanto stridente quanto mirabile contrasto tra gli arredi moderni e le suppellettili classiche, con una sorta di altare protagonista in sala, proprio di fronte all’ingresso delle cucine, a disposizione dello chef per finiture “in diretta”, appena prima del servizio.
Ristorante fiore all’occhiello della struttura, non solo per la bellissima sala, ma soprattutto per le cucine: all’apertura si era molto parlato del ristorante principale di Palazzo Parigi, “Cracco a Palazzo”, per gli ovvi motivi legati alla popolarità dello chef chiamato a dirigere queste cucine. In realtà questa collaborazione non è mai decollata anzi, si è bruscamente interrotta a pochissimi mesi dal taglio del nastro.

Eccoci qui dunque, per un’apparente chiusura del cerchio: Luigi Taglienti a Palazzo Parigi.
Potranno due inaspettati divorzi formare un matrimonio d’amore? Ce lo siamo più volte chiesti e, dopo aver inanellato svariate visite, per quanto ci riguarda ad oggi, con l’introduzione della nuova carta ma soprattutto dei nuovi menù, la risposta è assolutamente positiva.

Quella che oggi è possibile trovare a Palazzo Parigi è una versione tra le più radicali di sempre della cucina di Taglienti. Da una parte la carta, rivolta principalmente alla clientela business dell’hotel ed alla frangia più moderata degli avventori, con proposte prestigiose, più classiche e pacate.

Poi un travolgente menù degustazione a mano libera, dissacrante ed estremo.
Una cucina dalle radici fortemente tradizionali ma che riesce ad essere al contempo estremamente moderna, fatta di tecnica ma soprattutto sempre costantemente di ingrediente, con una matrice puramente italiana, dall’influenza fortemente ligure, ma a respiro internazionale, che trae molte ispirazioni ed esperienze dalla vicina Francia, geograficamente e gastronomicamente da sempre legata alla lingua di terra compresa tra le Alpi ed il mar Ligure.
Una ricerca maniacale fatta in direzione della semplicità e della pulizia, che restituisce una essenzialità a tratti monastica del piatto, con portate create anche da un solo ingrediente, come “carciofo e carciofo”, ad esempio; piatti che stupiscono non per tecnica, presente ma per nulla dominante, piuttosto per le straordinarie concentrazioni, per gli equilibri inebrianti ma soprattutto per gli azzardati ma centratissimi -e mai casuali- squilibri.
Qui non si improvvisa, non si azzarda, si spinge sull’acceleratore fregandosene di appagare ma con la volontà di stupire, riuscendoci costantemente e presentando una lunga serie di piatti che, quasi come note all’interno di uno spartito, presi da soli non avrebbero forse particolare senso, ma nel percorso del menù degustazione acquisiscono una terza dimensione, andando a comporre una sinfonia inebriante e donando un senso al menù nella sua interezza, senza dubbio uno dei più interessanti e dinamici della scena italiana attuale.
Tecnica, tradizione e materia prima al servizio della creatività del cuoco, come una sorta di ideale unione tra i dettami della nouvelle cuisine nell’idea più pura del movimento originario, e le tendenze gastronomiche attuali, la cucina di sempre con le tecniche di oggi. Una semplice e brillantissima maniera per essere à la page, senza per questo essere modaioli, tutt’altro.

E’ semplicissimo, tutto qui. Ma in pochi, pochissimi riescono a trasformare un’idea tanto semplice in una cucina tanto compiuta e convincente.

Per gli “irriducibili del numeretto” il voto risulta approssimato per difetto, in attesa di constatare se la costanza e la stabilità che ci avevano colpito in piazza della Scala si sono trasferite a Palazzo assieme allo chef, e se continueranno a presentarsi in tavola anche nei vari menù che seguiranno il primo e che noi vi racconteremo: perchè anche Taglienti, come altri che scoprirete di volta in volta, fa parte del ristretto novero di chef che seguiremo costantemente nel 2015, rendendovi partecipi di ogni cambio menù, perché riteniamo che l’eccellenza meriti attenzione costante, più volte durante l’anno.

Piccolo benvenuto che arriva appena seduti a tavola: cialda di ceci e prezzemolo.

Per ingannare l’attesa, un eccellente pinzimonio.

Si parte, con il “solito” ottimo Acqua, olio, limone e liquirizia, in una versione ove prevale la liquirizia sul resto. Un fresco ed intelligente reset per il palato.

Bianco e Nero di seppia.
Il piatto più compiuto tra tutti, oramai vero e proprio signature dish di Taglienti: un battuto sottilissimo di seppia copre una panna cotta ai ricci di mare, finito con olio al peperoncino, nero di seppia e un croccante spaghetto soffiato. Piatto complesso, ghiotto, completo, più rotondo rispetto al resto del menù ma non per questo meno convincente e stimolante, anzi.

Insalata Croccante.
Un altro classico di Taglienti, le “cialdine stagionali”, questa volta in versione cialda di insalata, con gocce di agrumi, marcatamente acide. Divertente portata da affrontare con le mani.
croccante, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Carciofo e carciofo.
Modulazione di carciofo, in perfetto equilibrio tra la tannicità di cuore e gambo e l’aromaticità erbacea del brodo (di carciofo), servito tiepido per aiutare l’estrazione dei profumi. Materia all’ennesima potenza.
Carciofo, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Cardo e cardoncello.
La versione gastronomica del Bartezzaghi, ovvero come prendere due ingredienti e farli stare bene assieme, e non soltanto per l’assonanza linguistica. Lieve acidità per il cardoncello e marcata nota bruciata dalla cottura del cardo, che aiuta ed allunga a dismisura la persistenza del boccone. Claustrale nella concezione e nell’aspetto, molto meno nel risultato.

Ostrica verza e musetto.
Un boccone semplicissimo, dall’equilibrio ardito ed incredibile: molto amara la verza, estremamente sapido-iodata l’ostrica, rotondo e colloso il musetto. Tre ingredienti fortemente caratterizzanti, che insieme trovano un’armonia inaspettata: come fare altissima cucina partendo dall’idea… di una casseoula.
Un nostro autorevole commensale si è alzato ed è sparito a complimentarsi verso le cucine, esclamando “…venti ventesimi! …venti ventesimi!”. Piatto totale.

Fegato e ibisco.
Il piatto meno convincente del lotto, che a questi livelli significa comunque un piatto eccellente. Lodevole l’idea, un po’ meno compiuta la realizzazione, con l’estratto di ibisco che nonostante la notevole concentrazione non ha profondità a sufficienza, e svanisce prima di riuscire a contrastare la grassezza del foie.
fegato, ibisco, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Fusillo oro.
Un piatto simbolico, in grado di rappresentare quello che è questa cucina. Un “piatto di pasta” che in realtà tale non è: la portata ruota attorno al concentratissimo frutto della passione, dall’acidità verticale, che avvolge i fusilli e che li utilizza soltanto come texture, e che grazie a questi ultimi viene smorzata nell’intensità ma amplificata nella persistenza. Mentre si attenua l’acidità, emerge la nota sapida del caviale, allungando ulteriormente la persistenza. Stellare.
fusillo oro, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Spago champagne.
Altro eccezionale piatto di pasta, basato sulla notevole acidità dello champagne nella ricca mantecatura, che s’intreccia alla marcata aromaticità del tartufo nero e che utilizza la pasta come veicolo per trovare armonia in bocca.
spago champagne, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Gamberi e lenticchie
Concentrazioni, dicevamo?

Frattaglie in umido.
Un bignami di quinto quarto, un insieme di frattaglie rese ben più “vispe” da una compressa, dolce ed acida salsa di pomodoro.
frattaglie, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Piccione al caffè e cappuccino.
Altro piatto che gioca in un campionato altissimo. Un piccione di qualità sublime, anch’esso come la pasta relegato a sola base, in maniera forse un po’ irriverente ma coraggiosissima, per un piatto estremamente e volutamente sbilanciato verso l’amaro grazie alla marcata presenza del caffè, che diviene “cappuccino” sul finale grazie alla lieve attenuazione della panna.
Nota fortemente positiva l’idea di voler abbattere il cliché legato al lusso dell’ingrediente, quindi rendere protagonista il caffè e comprimario il piccione. Unico dubbio relativo al fatto di poter forse ottenere il medesimo risultato con un altro ingrediente, senza mortificare una splendida e preziosa materia prima. Al netto di ciò, un piatto sublime.
piccione al caffè, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Lepre royale.
La sesta inserita dopo aver portato a limitatore la quinta: il più classico dei classici, eseguito in maniera impeccabile, denota una grande padronanza ai fornelli ed un ossequioso rispetto del passato. Inserito in un menù del genere (dalla carta) è rigenerante e appagante quanto la fontanella gelata dopo una partita di basket, sotto il sole di luglio.
lepre royale, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Mandarino e cardamomo.
Un perfetto predessert: il mandarino acquista profondità grazie alla lieve gelificazione, ed il cardamomo dona una delicata aromaticità speziata, con l’olio d’oliva a fare da viscoso trait d’union.

Zucca e chinotto.
Ponte tra la Lombardia e la Liguria, un boccone dolce composto da amaretto, zucca e mostarda (di chinotto) che omaggia i tortelli di zucca, in versione dessert.
zucca e chinotto, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Babbà ai profumi di Liguria.
La metà di un piccolo panettone, imbevuto come fosse un babà. Una bonus track natalizia, per nulla scontata.
babà, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Piccola pasticceria: semplice, classica, di gran livello.
piccola pasticceria, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
I vini che ci hanno accompagnato durante il lungo pranzo.
vini, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
La sala, con il mastodontico piano a induzione protagonista in centro, proprio di fronte al tunnel in vetro che conduce alle cucine.
sala, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
L’altra, splendida, metà della sala.
sala, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano
Parte del bistrot ed il bancone del cocktail bar, visti dalla sala del ristorante.
bancone, Palazzo Parigi, Chef Luigi Taglienti, Milano