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StreetXO – London

“Street Fusion o Muerte. Match di sapori contaminati tra Spagna, Asia e Sud America nella Metropoli di Londra”.

“No pain no gain”. Non c’è guadagno senza sofferenza. Fisica e mentale, aggiungiamo noi.
David Muñoz è orgoglioso di trasmettere, con questo motto, l’idea della sua cucina vincente. Una crasi figurativa tra la fatica plateale e la frenesia che contraddistingue la sua vita lavorativa, tra successi raggiunti bruciando le tappe e ossessione nel mantenere a livelli costanti tutto quanto creato.
L’olimpo dei cuochi l’ha raggiunto a 33 primavere, con una impressionante velocità: da zero a tre stelle in tre anni. Come lui ben pochi nella storia.

Sarebbe stato un insulto per un cuoco madrileno non mettere la sua firma su una città come Londra, l’ombelico d’Europa, sua seconda casa dopo ben cinque anni trascorsi a bruciare wok in una cucina cinese di grande richiamo come quella di Hakkasan o, ancor prima, in quello che fu il miglior Nobu d’Europa.
Muñoz descrive quella di StreetXO come un’esperienza gastronomica selvaggia e brutale, di “haute cuisine”. Una commistione di sapori che parte dalla grande tradizione spagnola, per poi inebriarsi di sentori asiatici e sudamericani assemblati in piatti dal gusto vivace e colorati.
Questo spin-off dell’originale StreetXO di Madrid è il frutto di un ingente investimento, con apertura prevista nel 2014, che ha visto la luce nel cuore di Londra, a Mayfair, solo lo scorso anno.
Ma l’attesa sembra ampiamente ripagata: il luogo è molto affascinante, con ampio bar e bancone per mangiare direttamente a ridosso della cucina, più una sala che arriva a servire oltre cento coperti.
La cucina si appresta a diventare uno dei posti caldi della capitale inglese. Merito della personalità della cucina “fusion” di Muñoz, che si fa carico di rischi non banali nel servire ingredienti provenienti da tutto il mondo, utilizzare tecniche che alternano avanguardia a schiette cotture da cibo da strada, miriade di salse che fanno a pugni ma, alla fine, vengono dosate con perizia. Muñoz è un perfezionista ben oltre i limiti del maniacale, tutto è dosato col misurino. Un grande cuoco si vede anche da come forma la sua squadra. Nessuno tra i ragazzi in cucina dello StreetXo di Londra aveva mai lavorato con Muñoz, eppure ogni elemento si muove a memoria tra una postazione e l’altra, svolgendo un lavoro che erge il servizio ad un livello decisamente alto per il numero di coperti.
Da StreetXo vi aspetta un’esperienza divertente e per certi versi dissacrante. Appagante, ma non banale. Come la complessità dei sapori racchiusi nello Steamed Club sandwich, in cui le tante componenti grasse (ricotta, maialino, uovo e maionese), dopo ogni boccone, vengono riequilibrate semplicemente dalla menta, o come la cottura dell’eccellente piccione il cui sapore spicca nitido tra una serie toni spezziati.
La carta dei dessert è ancora in progress, ma in alternativa troverete straordinari cocktail “mangia e bevi”, studiati anche per chiudere il pasto. Non tutte le preparazioni sono immediate, ma in un solo caso (con i ravioli di gamberi) il nostro palato si è saturato con celerità; del resto a questo cuoco piace rischiare, sempre.
Il personale numeroso vi inviterà a ordinare non più di 4 piatti a coppia: in realtà le porzioni sono contenute (a differenza del prezzo) e l’ampia scelta, dopo i primi assaggi, vi porterà ad ordinarne all’atto pratico almeno il doppio.

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Mise en place al bancone.
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Alcuni cuochi all’opera.

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“Steamed Club sandwich”.
Si tratta di un bun al vapore farcito con maialino da latte, ricotta fresca, menta, uova di quaglia fritte e maionese al chili. Il consiglio è di capovolgere l’uovo rompendo il tuorlo sul panino. Attenzione: può creare dipendenza!
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Carpaccio di gamberoni imperiali “upside-down fried”.
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Un piatto completato davanti al commensale. Si tratta di un battuto di gamberi con una consistenza da raviolo sui quali viene adagiata una maionese calda…
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…e yuzu. Si chiude il tutto come un raviolo e si mangia in un boccone (un piatto un po’ complesso nei sapori, ma alla fine sempre e comunque gustoso).
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Uno dei bocconi migliori: petto e coscia di piccione cotto sul robata (uno spiedo verticale sui carboni, sorta di barbecue giapponese) macerato nell’achiote (una pianta sudamericana) “migas manchegas” con chorizo e lily bulbs.
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Uno dei signature di Munoz: “La Pedroche”, dedicato alla sua compagna (attrice spagnola).
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Croquettes liquide con kimchi, latte di pecora, ventresca di tonno, bottarga e Lapsang Souchong.
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“Peckinese dumpling”: dumpling farciti con orecchio di maiale croccante, salsa hoisin alle fragole, salsa aioli e sottaceti.
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La rivisitazione della carbonara. “Almost a carbonara Xo style??”. Salsa civet di cinghiale e cocco. Udon saltati nel wok, bacon affumicato, uova fritte e olive nere. Complesso ma intrigante. In una forchettata si va dall’Asia all’Europa con disinvoltura.
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Black Rossejat Paella. Paella di fideua con Ama Ebi (gamberetti boreali) e seppia saltata con kimchi e salsa aioli alle erbe. Una paella in stile catalano, con fideua al nero di seppia, ricci di Hokkaido, seppia cruda e gamberetti fritti.
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L’unico dessert, definibile tale, chiude il nostro pranzo.
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Un signature del DiverXo: la Coda della Pantera Rosa (rabarbaro, pepe rosa, latte di pecora e caramelle Peta Zeta).
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Uno dei fantastici cocktail provati: Ananas cotto lentamente sulla carbonella, rum invecchiato, lime e infusione di fava tonka.
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Passion red!!!!! Ossia gin, Campari, rabarbaro e aria di pomodoro piccante.
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Il counter.
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L’ingresso.
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Crediamo senza dubbio che Londra sia una delle realtà gastronomiche più importanti al mondo. Ovviamente tutto ha il suo prezzo e nella capitale inglese, se si vuole mangiare ad un certo livello, si deve necessariamente essere disposti a spendere.

Fra i ristoranti italiani c’è uno zoccolo duro di locali, che hanno fatto la storia della ristorazione in terra anglosassone. Strutture che sono sulla cresta dell’onda da decenni, a volte rimaste incastrate nel ricordo dei propri fasti. Fra questi non possiamo non menzionare Zafferano, situato nell’elegante quartiere di Belgravia proprio dietro ad Harrods, a pochi passi da Hyde Park. Una posizione invidiabile, che attira inevitabilmente una clientela prestigiosa ed esigente che chiede di assaggiare i piatti della tradizione culinaria italiana, realizzati con una materia prima di grande qualità.

Il confronto, una volta usciti dalla terra natia, tra la stessa tipologia di ristoranti ubicati su suoli diversi, è inevitabile quanto divertente. Nell’approcciarsi a ristoranti di stampo tricolore ci troviamo spesso a riscontrare un legame affettivo con il ricordo di una ristorazione in stile anni ’80, felicemente dimenticata nelle nostre città, che viene però non solo riproposta ma addirittura reclamizzata oltre confine. Ecco quindi che diviene naturale rimanere interdetti alla scoperta che tali realtà, anche in una città come Londra, stravagante ed avvezza ad una ristorazione di stampo contemporaneo, vengano ancora premiate dalle maggiori guide, in un rapporto di giudizio a dir poco impari e poco gratificante per i ristoranti italiani “originali”, ovvero quelli che non hanno avuto l’ardire di emigrare alla ricerca di lidi più fortunati.

Da Zafferano troverete una cucina che è la brutta copia, ingiallita, della cucina italiana. Contaminata male (Halibut??), con preparazioni che utilizzano l’italian sounding e poco più. Il menù di Zafferano propone piatti semplici: Burrata, bresaola, uova al tegamino con asparagi, vitello tonnato, per citare gli antipasti. Fra i primi pasta fresca e ripiena fatta in casa e pasta secca di grande qualità (Cav. Cocco e Verrigni su tutti) e i secondi che si dividono equamente fra carne e pesce. Preparazioni che giustamente strizzano l’occhio alla caratteristica peculiare della nostra gastronomia, quella semplicità di lavorazione volta all’esaltazione della materia prima. Ma che ne escono in maniera scomposta, rozza e poco identitaria.

L’evoluzione del menù rispecchia in maniera del tutto coerente l’approccio del ristorante al mondo della ristorazione, e di conseguenza ad un flusso non troppo ben definito caratterizzato da licenze poetiche buttate qua e là. Dopo un abbondante antipasto di benvenuto a base di pecorino sardo ed affettati, ecco arrivare un piatto di linguine con l’astice, seguite da un poco patriottico trancio di halibut in crosta nera, appunto. Per completare il tuffo in atmosfere retrò, un tris di dessert con tiramisù, cheesecake e tortino di cioccolato dal cuore caldo.

Abbandonando il cinico punto di vista del critico incallito, ci si riscopre a prendere atto di quanto stia accadendo attorno a noi. Il ristorante, con il suo ambiente di grande charme, è pieno di un pubblico cosciente e colto. E qui i molti credono di trovare la vera cucina italiana. Credono…

Il bel tavolo con focacce e formaggi.

formaggi, focacce, Zafferano Restaurant, Londra
La sala.
sala, Zafferano Restaurant, Londra
La mise en place.
mise en place, Zafferano Restaurant, Londra
Il nostro antipasto con pecorino sardo e affettati.
antipasto, Zafferano Restaurant, Londra
Linguine all’astice e peperoncino.
linguine all'astice, Zafferano Restaurant, Londra
Trancio di halibut in crosta nera con bietola, limone e salsa “Bellino”.
halibut, Zafferano Restaurant, Londra
Tris di dessert con tiramisù, cheesecake e tortino di cioccolato dal cuore caldo.
dessert, Zafferano Restaurant, Londra
La piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Zafferano Restaurant, Londra
Il nostro compagno di viaggio.
vino, Zafferano Restaurant, Londra

Al Dinner i londoners più autentici si recano per placare i più disparati istinti conoscitivi.
In primis perché la cucina è quella di Heston Blumenthal, del tristellato The Fat Duck, e una lacuna simile, per un londinese, sarebbe certo inappropriata. Ma ivi si va anche, più edonisticamente, per godere di un’esperienza esclusiva all’interno di una location elegantissima: il Mandarin Oriental Hotel di Hyde Park, nel cuore pulsante del ricchissimo quartiere di Knightsbridge.

Tutto vero, certo, se non fosse che al Dinner si va anche, più prosaicamente, per sopire esigenze diciamo più accademiche, certamente filologiche se comprendiamo l’accademismo che permea il concept di un ristorante che lo stesso sito di Mandarin Oriental non esita a definire di tipo historic-inspired British.
Cosa significa? Semplicemente che quel cervellone di Blumenthal ha edificato una cucina che è come una macchina del tempo orientata, stavolta, verso il passato che scruta con approccio storicistico e ispeziona mediante le spesse lenti della filologia e dell’antropologia. Del resto, solo in questo angolo di old city poteva albergare cotanto accademismo il quale, tuttavia, ha restituito un pasto certamente impegnato ma anche impegnativo, e le cui virtù non sono risiedute propriamente in quella leggerezza che, in ogni epoca e a ogni latitudine, ovunque e sempre, ricerchiamo.

E così, dopo anni di equazioni sulle ricette tradizionali e decadi di proporzioni atte a svelare le possibili ottimizzazioni ricorrendo a espedienti di natura fisica e chimica, Blumenthal approda qui a un personalissimo porto esistenziale, che trova i suoi prodromi nel romanticismo tedesco e nell’avvenirismo tecnico della cucina professionale inglese delle origini.
Ecco l’incipit, l’inalienabile introduzione che contestualizza e ci dice dove siamo giacché, in un pasto come questo, il punto di partenza è importante: un cocktail a base di té al Mandarin bar tanto necessario, si diceva, quanto stordente. Quindi via, si parte dietro alle evoluzioni tecniche orchestrate dallo chef Ashley Palmer-Watts, originario del Dorset, con Blumenthal dal 1999. Per cominciare una Meat Fruit, ovvero un parfait di fegatini di pollo, gelatina al mandarino e pane tostato la cui prima attestazione si fa risalire, secondo il menu, nientemeno che al 1500.
Quindi, appena centodieci anni prima, il rinascimentale Rice&Flash composto da un cortigianissimo riso allo zafferano con coda di vitello e vino rosso, datato 1390.
Un salto di cinquecento anni in avanti, anche per via dei più agili commerci via mare, è quello rappresentato dal Roast Iberico Chop, ovvero un maialino iberico arrostito che si fa risalire all’anno 1820. Un boccone più avanti e siamo nel bel mezzo dell’entusiasmo di metà Secolo breve col Cod in Cider del 1940. È quindi la volta di un piatto della tradizione professionale tanto British quanto lo sono pipa e impermeabile grigio: le patatine fritte in quella tripla cottura che restituisce un morso eccezionale, che da’ dipendenza.
A chiudere la Tipsy Cake, ovvero una brioche calda bagnata con brandy e Sauternes servita con ananas arrosto caramellato la cui prima attestazione risale al 1810. Come chiusura, stavolta, un richiamo all’incipit: il cioccolato al tè Earl Grey.

Note: Per vivere un’esperienza a 360° con la cucina di Blumenthal, c’è anche la possibilità di prenotare il tavolo dello chef, per 4 persone, con un menù su misura al costo di 200£ a persona (150 a pranzo).

Aperitivo a base di té con effetti speciali al bar del Mandarin.
Heston Blumenthal, London
Mise en place senza tovaglia.
Mise en place, Heston Blumenthal, London
Dettaglio del menù.
Menù, Heston Blumenthal, London
Il pane di ottima qualità.
pane, Heston Blumenthal, London
Meat Fruit: parfait di fegato di pollo, gelatina al mandarino e pane tostato (signature dish).
meat fruit, Heston Blumenthal, London
Rice&Flesh: riso allo zafferano, coda di vitello e vino rosso.
Rice&flesh, Heston Blumenthal, London
Roast Iberico Chop: maialino iberico arrosto.
Roast Iberico chop, Heston Blumenthal, London
Cod in Cider: merluzzo.
Cod in Cider, Heston Blumenthal, London
Le famose patatine fritte, le migliori mai mangiate.
patatine fritte, Heston Blumenthal, London
Tipsy Cake: un dessert che metterà a dura prova la vostra resistenza; buonissimo ma impegnativo!
Tipsy Cake, Heston Blumenthal, London
Post-dessert: cioccolato al té Earl Grey.
Post dessert, Heston Blumenthal, London
La bella cantina a vista all’ingresso del ristorante.
Cantina, Heston Blumenthal, London
Un dettaglio della cantina.
cantina, Heston Blumenthal, London
L’imponente ingresso del Mandarin Oriental.
Heston Blumenthal, London
L’insegna del ristorante.
l'insegna del ristorante, Heston Blumenthal, London

Location, location, location.
Questa massima, in auge da sempre nel settore immobiliare, è valida senza dubbio anche per il mondo dell’hotellerie, ed è sicuramente la più appropriata per definire la posizione dell’hotel Café Royal, situato proprio nel cuore di Londra, su Regent Street all’angolo di Piccadilly Circus.

Il Café Royal fa parte della prestigiosa catena The Leading Hotels of the World, storica associazione che raggruppa alcuni fra i migliori hotel di lusso al mondo. La struttura originale risale al 1860, e ha subito in tempi recenti una profonda ristrutturazione, a cura di David Chipperfield, con risultati veramente eccezionali.
Nel passato questo luogo è sempre stato uno dei ritrovi preferiti di importanti artisti e celebrità (il sito riporta, tra gli storici frequentatori abituali, Oscar Wilde, George Bernard Shaw, Virginia Woolf, Cary Grant, Elizabeth Taylor, Winston Churchill e Muhammad Ali) ma, rispetto agli altri grandi hotel di Londra, qui si respira un’aria più rilassata e meno formale; il lusso c’è, abbondante, ma non è mai ostentato, e lo si coglie soprattutto nei dettagli che circondano l’ospite, dal momento del suo arrivo fino alla partenza.
Da non perdere assolutamente (anche se non siete ospiti dell’hotel) è la famosissima Grill Room, datata 1865 e ora ribattezzata Oscar Wilde Bar, anch’essa completamente restaurata e portata agli antichi splendori, mantenendo lo stile Luigi XVI originale. Qui il té delle 5 è una vera a propria istituzione, da prenotare sempre per tempo in quanto costantemente fully booked.

La struttura conta 160 tra camere e suites; noi abbiamo soggiornato in una splendida junior suite ricca di amenities e di comfort, che hanno reso indimenticabile il nostro soggiorno.
A cominciare dal fornitissimo angolo bar, dotato non solo di frigo ma di una vera e propria cantinetta personale, con vini di ottimo livello; a disposizione dell’ospite anche una macchina Nespresso, free of charge.
La zona living comprende una lunga scrivania, dove poter lavorare in tranquillità e senza problemi, grazie anche ad un media-center con tutti i tipi di prese e connessioni possibili e immaginabili. Anche l’impianto di illuminazione è studiato per offrire all’ospite la quantità di luce desiderata. Una splendida TV 40 pollici Bang&Olufsen, con base motorizzata orientabile, è un’ulteriore carta a favore dell’ampio lato high-tech.
La sala da bagno è interamente in marmo con pavimento riscaldato, con doccia e vasca separate. Ulteriore chicca, un televisore inserito nella specchiera del bagno.

Completano l’offerta globale dell’hotel uno splendido centro benessere con piscina, idromassaggio, sauna e bagno turco (in ristrutturazione nel periodo del nostro soggiorno), una pasticceria affacciata su Regent Street e un ristorante, con annessa Club House, al primo piano, il cui accesso è riservato agli ospiti vip dell’hotel e ai soci esterni.

Un servizio attento, discreto ma sempre presente caratterizzano l’hotel Café Royal, nel cuore pulsante di Londra. Un hotel per chi vuole essere senza per forza apparire a tutti i costi.

La camera.
camera, Hotel Café Royal, London
Camera, Hotel Café Royal, London
Il bagno e le amenities.
bagno, Hotel Café Royal, London
Bagno, Hotel Café Royal, London
bagno, Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Angolo caffé e bar.
angolo caffè bar, Hotel Café Royal, London
vino, Hotel Café Royal, London
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Il board multimediale.
Hotel Café Royal, London
La colazione.
colazione, Hotel Café Royal, London
Alcuni spazi dell’hotel.
piscina, Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Hotel Café Royal, London
Una vista globale del ristorante…
Hotel Café Royal, London
…e di hamburger e patatine serviti all’interno dello stesso.
hamburger, Hotel Café Royal, London

Il nome completo di questo ristorante, immerso nella quiete dello splendido quartiere residenziale di Belgravia, è un lunghissimo “Ametsa with Arzak Instructions”, che non cela, anzi mette in chiaro, in maniera inequivocabile, la situazione. Le -molto british- “instructions” che fanno capolino nell’insegna sono quelle nientemento che di Juan Mari ed Elena Arzak, tristellata storica famiglia di ristoratori di San Sebastian, nei Paesi Baschi.

Ametsa è situato all’interno dello scintillante hotel Halkin, confinato tra le mura che precedentemente ospitavano Nahm, il primo e finora unico stellato di cucina Thai della città; evidentemente il 5 di Halkin Street è un indirizzo fortunato per i locali etnici, dato che Ametsa è, ad oggi, l’unico portabandiera della cucina spagnola stellato a Londra.
Ma nonostante la -fuori e dentro- onnipresente costante lussuosa, i toni del locale sono distesi ed informali. Numerosi i camerieri, giovani, sempre sorridenti e ben disposti al dialogo, che si avvicendano tra sala e cucina con passo deciso, in jeans e camicia. I piatti vengono spiegati con dovizia di particolari, e non viene posto alcun problema nello scegliere due menù diversi, anzi ci viene addirittura consigliata come “scelta più divertente”, in modo da poter provare più piatti. E tutto ciò nonostante la sala fosse ben altro che vuota.

Oltre queste accortezze, anche l’ambiente, luminoso, spazioso, moderno ma dai toni caldi, predispone bene l’avventore e fin da subito lo mette a proprio agio. La particolarità più curiosa, sicuramente quella che per prima attirerà il vostro sguardo, è nel soffitto, composto da oltre 7000 provette più o meno piene di diverse spezie in polvere, per un colpo d’occhio senz’altro inusuale, ma al contempo di riuscito impatto estetico.

Fatta la doverosa premessa, veniamo ora alla cucina: vi siete fatti l’idea che sia possibile cenare da Arzak tanto a San Sebastian quanto, indistintamente, nel cuore di Londra?
Nulla di più distante dal vero.
Quella di Ametsa non vuole essere un enclave degli Arzak, bensì una cucina in primis mediterranea, poi spagnola e quindi solo successivamente basca. Ma sempre molto, molto distante dallo stile della casa madre, epurata interamente della componente emotivo/cerebrale e basata principalmente sulla sostanza, con ottime materie al servizio di una cucina “di pancia”, gustosa, semplice, schietta e appagante, tecnica ma mai complessa e sempre leggibile, capace di stupire il cliente occasionale ma al contempo non scontentare il gourmet, portando nel centro di Londra sapori e profumi di latitudini ben più meridionali, come una sorta di depliant gastronomico del bacino del mediterraneo.

Viste le remote possibilità di controllo di una vera e propria succursale ad oltre mille chilometri dalla base, aumentando l’azzardo lievitano esponenzialmente le probabilità di flop. All’atto pratico dunque è forse questa la scelta più oculata e, vista anche l’eterogeneità della clientela, la maniera più sicura per appagare il più alto numero di palati possibili, più o meno avvezzi alle grandi tavole.
Ma è proprio per questo stesso motivo che il giudizio, risentendo chiaramente di questa tendenza alla semplificazione delle portate (non nella composizione, bensì come generale e costante assenza di rischi), è approssimato verso il basso.

Un approdo sicuro, divertente e goloso, dall’ottimo rapporto qualità/prezzo a pranzo, un po’ meno al calar del sole. Ma se la vostra idea è di provare Juan-Mari ed Elena in terra d’Albione, insomma, sappiate che qui degli Arzak troverete soltanto le… instructions.

Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Il sopracitato soffitto…
Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
…in dettaglio.
Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Il pane, fortunatamente in una sola buona versione. Servito in stile italiano con il piattino dell’olio.
pane, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Piccolo benvenuto.
benvenuto, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Gli antipasti del menù degustazione:
Roccia di cipolla con acciughe marinate…
appetizer, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
…capasanta a casa…
capasanta, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
… e cracker di semi di girasole con anatra.
cracker, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Gli antipasti del menù tapas:
Chipirones nel loro inchiostro.
tapas, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Pannocchia di foie.
pannocchia di foie gras, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Jamón Ibérico su un cuscino di pane e pomodoro.
Jamòn Iberico, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Uovo con Chistorra e briciole (menù degustazione). Piatto oltraggiosamente goloso, con la marcata nota fumé della salsiccia attenuata ed allungata dalla grassezza dell’uovo, con il crumble salato a impegnare un po’ la masticazione.
uovo, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Terrina di maiale infangato (menù tapas). Piatto semplice ma anch’esso altrettanto goloso, dall’impiatto curatissimo.
terrina di maiale, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Branzino con… sedano? (menù degustazione). Ottimo e semplice il branzino, curioso e riuscito il trompe l’oeil in accompagnamento: della mela, formata minuziosamente ed aromatizzata a ricreare del sedano.
Branzino, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Filetto di manzo superiore con peperoncini rossi. Altro piatto basilare ma estremamente piacevole. Molto buona la carne, sapientemente cotta in maniera da rimanere succosa ma al contempo acquistare una pronunciata nota grigliata. La piccantezza dei peperoncini è mitigata dalla salsa.
filetto di manzo, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Predessert.
predessert, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Il dessert, comune ai due menù: Tortilla di latte con gelato all’ananas.
Indovinate un po’? Semplice, fin troppo.
dessert, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
Gelatine di frutta aromatizzate.
gelatine di frutta, Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra
L’ingresso del ristorante, dalla hall dell’Hotel.
Ametsa, Chef Sergi Sanz, Londra