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Verso

Yin e yang

Arriva un momento nella vita lavorativa in cui la summa delle esperienze passate è tale da rappresentare ideale e quasi obbligatorio trampolino di lancio: un rischio che però permette di mettere a frutto le abilità duramente accumulate nei lunghi e faticosi anni precedenti. Se lo si può fare con l’adorato fratello col quale, come yin e yang, ci si completa e ci si integra caratterialmente in modo perfetto, allora il rischio viene almeno già parzialmente ammortizzato in partenza. I fratelli Capitaneo, da Foggia, Remo Capitaneo e Mario Capitaneo in ordine di età, hanno maturato un curriculum deluxe essendo passati per Berton al Trussardi, Crippa ad Alba, un’esperienza molto formativa di Mario con il Maestro Marchesi e, soprattutto, più di 10 anni in un rapporto da pari a pari a fianco di uno dei massimi Chef italiani contemporanei: Enrico Bartolini. Da gennaio 2023 al secondo piano di piazza Duomo 21 in quella che era una ex enoteca ha preso corpo il loro progetto: Verso, un vero e proprio palcoscenico dominato da onice e marmo, boiserie e acciaio dove in una cucina integralmente a vista i piatti prendono vita letteralmente davanti agli occhi dei clienti seduti a tre banconi disposti intorno ai piani di lavoro dei cuochi.

Una cucina, la loro, che non fa dei contrasti e delle acidità la sua identità e che piuttosto risolve se stessa in composizioni di sapori che, sovrapposti, attraverso sorprendenti verticalità trovano loro ragion d’essere. Una cucina che ha una rotondità di fondo che non è mai stucchevole né monotona ma che si aggiunge a originale vivacità e a una composita risolutezza volta a esaltare le materie prime, accuratamente selezionate a partire dall’amata, e mai dimenticata, Puglia.

Una grande cucina

Una cucina d’autore perché lo stile dei Capitaneo si evidenzia stagliandosi netto attraverso piatti che restano impressi come l’Animella, già diventata signature, accompagnata da una bernese sifonata con burro chiarificato in cui un sapiente chicco di caffè dona una nota tostata amplificata dall’effetto aromatico di poche e opportune gocce di espresso e terminata dalla nota salina del riccio: grasso, speziato e sapido racchiusi in pochi, splendidi bocconi. Squisito, ancora, lo Spaghettone Santoro mantecato con polpa di granchio e brodo di carapace che, per esaltare la dolcezza del crostaceo non aggiunge pomodoro né verdure ma la affianca a una salsa di marasciuoli, pianta spontanea pugliese, che col suo effetto amaricante simile alla senape dona una convincente nuance al piatto completato da una sapiente nota acida del finger-lime. Lo squisito Agnello delle Dolomiti lucane targato Varvara con crema di peperoni di Senise sarà accompagnato da un fagottino di melone “cartucciaru” ripieno dello stesso peperone, però in saor, per una pietanza di convincente compiutezza. Allo stesso modo lo splendido Astice si abbina a una trippa di vitello in un sublime surf and turf corredato da zucca in cartoccio e un eccellente ketchup di ribes certificando che un viaggio comfort non è tale solo per gli ingredienti utilizzati ma anche per le idee e la personalità a essi applicate. Il binomio c’è, la location anche e i fratelli Capitaneo si sono fatti grandi. O forse lo sono sempre stati.

IL PIATTO MIGLIORE: Animella, bernese al caffè, ricci di mare.

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L’evento per far conoscere il Nebbiolo delle Alpi

Il Consorzio di Tutela dei Vini di Valtellina ha presentato lo scorso 15 maggio a MilanoObiettivo Valtellina”, un evento atto a far conoscere l’immensa ricchezza enologica dell’areale lombardo. Masterlab e degustazioni condotte da ospiti d’eccezione, come il Master of Wine Gabriele Gorelli e Danilo Drocco, Presidente del Consorzio, hanno permesso di immergersi in quel territorio ostico e al tempo stesso splendido che è la Valtellina, esplorandone i 50 km di estensione longitudinale sul versante retico per mezzo del vitigno principe dell’areale: il Nebbiolo.

La Chiavennasca, il Nebbiolo di montagna 

Il vitigno, conosciuto per i suoi vini eccellenti in altre regioni e ad altre latitudini, qui prende il nome di Chiavennasca e si configura come vero e proprio – e unico – Nebbiolo delle Alpi. I soli 820 ettari di vigneto che affondano le radici nel sottosuolo ricco di Gneiss, pietra che nasce dal compattamento di porfido e diorite, sono infatti racchiusi all’interno di una valle stretta tra le montagne, le Alpi Retiche a nord e le Prealpi Orobiche a sud, dislocati ad altitudini che vanno dai 300 agli 800 metri sul livello del mare, con pendenze fino all’85%.

Il particolarissimo clima di questa valle, protetta dalle montagne, esposta al sole per 1900 ore ogni anno e termo-regolata dalla presenza del Lago di Como a sud-ovest, fa sì che qui si creino le condizioni pressoché ideali per la coltivazione della vite. E in effetti la qualità dei vini di Valtellina raggiunge vertici altissimi, sia nelle espressioni più immediate, come nel caso del Rosso di Valtellina Doc e della Alpi Retiche Igt, sia nel caso delle denominazioni iconiche del territorio: il Valtellina Superiore Docg e lo Sforzato di Valtellina Docg.

Quest’ultimo in particolare è stato nel 2003 il primo vino rosso passito secco ad aver ottenuto la Docg in Italia. Un nettare il cui nome allude alla tradizione locale di “sforzare” le uve, ottenendo il loro appassimento, processo attuato solo nelle zone più vocate del territorio e dopo un’attenta selezione delle uve, seguito da almeno 20 mesi di affinamento (dei quali 12 in legno).

La tradizione millenaria dei muretti a secco

In aggiunta alle peculiarità naturali di questo areale che sembra essere stato baciato dalla Dea Bendata, va tuttavia sottolineato che il lavoro dell’uomo riveste qui un’importanza fondamentale. È la tradizione millenaria dei terrazzamenti e dei muretti a secco, riconosciuta anche nel Patrimonio Immateriale dell’Unesco, ad aver permesso di domare i ripidi pendii e le asperità di questa valle, altrimenti impraticabile. Una fitta rete di muretti in sasso che si estende per oltre 2500 km tra queste vigne, stabilizzando i versanti montani, aiutando a regimare le acque, tutelando l’equilibrio idrogeologico e impedendo il degrado e lo sviluppo di erbe e arbusti minacciosi per la sostenibilità del paesaggio. Estremamente utile, dunque, oltre che bellissima a vedersi.

Non bisogna poi dimenticare che questi muretti assumono un ruolo fondamentale anche nell’allevamento della vite, che da essi trae il calore incamerato dalle rocce durante l’esposizione al sole. Una condizione che caratterizza il vigore, la vitalità e l’elevata longevità di questo vitigno, riscaldato dal sole, asciugato dalla brezza – la Breva – proveniente dal vicino lago e rinfrescato dall’importante escursione termica che si ha nelle ore notturne.

Il risultato sono vini il cui comune denominatore si rinviene nelle caratteristiche dell’eleganza, della freschezza e della sapidità. Tuttavia, percorrendo le 5 sottozone di produzione del Valtellina Superiore Docg – Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno, Valgella – diviene evidente come ognuna di queste aree trasmetta ai propri vini caratteristiche del tutto peculiari, accentuandone e diversificandone il carattere.

La masterlab Valtellina Superiore: l’autentica unicità del Nebbiolo di montagna

La masterlab, condotta da un eccellente Gabriele Gorelli, primo e unico master of wine italiano e palato capace e raffinato, ha ben delineato, con la sua selezione davvero centrata, il territorio e le varietà di produzione della Valtellina. Stili differenti in cantina, annate differenti ma soprattutto territori e denominazioni differenti ci hanno fornito un panorama davvero interessante. Un primo grande complimento a Gabriele, che ha saputo selezionare attentamente la Masterlab e farci davvero vedere le potenzialità e l’espressività di un territorio così complesso ed articolato.

Valtellina Superiore DOCG Inferno 2020 – Marco Ferrari
100% Chiavennasca, titolo alcolometrico 12,5%, altitudine 460 – 490 m.s.l.m. Un vino di grande eleganza, prodotto da viti di 80 anni di età e poi affinato per 18 mesi in tonneaux. Un vino che apre a note di tamarindo, molto fresco, balsamico e varietale, per poi virare su note di fiori secchi, con una complessità olfattiva e palatale davvero notevole. Un vino ricco di tensione e frutto. 93/100

Valtellina Superiore DOCG Grumello Riserva 2019 – Luca Faccinelli
100% Chiavennasca, titolo alcolometrico 13,5%, altitudine tra 500 – 650 m.s.l.m. Le uve provengono dalla fascia più alta della sottozona Grumello, denominata “Dossi Salati”. L’affinamento viene svolto in tonneaux di rovere francese da 500 litri per 24 mesi, quindi in bottiglia per almeno un anno prima della commercializzazione. Un nebbiolo “piemonteggiante”, con note di fiori secchi che richiamano la Langa. Denso e gessoso, con retro note di caffè, l’abbiamo trovato interessante ma in una fase di leggera chiusura. 89/100

Valtellina Superiore DOCG Sassella Stella Retica 2019 – Arpepe
100% Chiavennasca, titolo alcolometrico 13,5%, altitudine 400 – 600 m.s.l.m. Questo vino di grande finezza è il risultato di una lunga macerazione (oltre 100 giorni) a cui segue un affinamento di 15 mesi in legno e poi ancora un ultimo periodo in cemento e in bottiglia. Carattere riduttivo per questo Nebbiolo lungamente macerato che porta al naso una complessità straordinaria, al palato una texture gessosa e finanche allappante, ma che chiude con un profondo e lungo tratto elegante di frutto e una punta di oliva nera. Un vino che va aspettato ma già molto interessante, con lievi note terziarie già in evidenza. 94/100

Valtellina Superiore DOCG Maroggia 2019 – Agrilu
Nebbiolo con una piccola percentuale di Rossola e Brugnola. Questo vino da viti di 50 anni di età fermenta dapprima in acciaio, per poi maturare in piccole botti fino al momento dell’imbottigliamento. Una sorpresa per questa zona meno conosciuta ma davvero interessante. Un filo più corto in bocca degli altri, ma con un naso mentolato e gessoso che trova poi riscontro al palato col suo tannino morbido, caldo e rotondo. Un vino apparentemente semplice ma davvero originale e sorprendente. 90/100

Valtellina Superiore DOCG Valgella Cà Morei 2019 – Sandro Fay
100% Chiavennasca, titolo alcolometrico 13,5%, altitudine 550 m.s.l.m. Dapprima la fermentazione in vasche di acciaio per due settimane con macerazione di 11 giorni, quindi fermentazione malolattica e maturazione per 12 mesi in botti da 30 hl e tonneaux. Un vino piacevolmente riduttivo, da aspettare. Profumi e sentori di nespola, nocciola, finanche una punta di mallo di noce e frutta secca. Elegante, molto lungo e persistente. 92/100

Valtellina Superiore DOCG Grumello Riserva Vigna Dossi Salati 2018 – Dirupi
100% Chiavennasca, titolo alcolometrico 14,5%, altitudine 530 – 570 m.s.l.m. Le uve provenienti dalla vigna “Dossi Salati”, nella fascia più alta della sottozona Grumello, dapprima macerano per almeno 35 giorni sulle bucce. Segue un lungo affinamento di 24 mesi in botti di rovere Allier da 20 hl. Tannino molto ruvido, a tratti lievemente ancora acerbo, incalzato dalla sapidità che enfatizza le note di gesso accompagnate da frutta rossa, con un ritorno salato quasi iodato. Lo stile ossidativo dona complessità al vino che è davvero lungo e profondo. 90/100

Valtellina Superiore DOCG Nebbiolo 2014 – Marcel Zanolari
100% Chiavennasca, azienda certificata biodinamica. All’iniziale vinificazione in vasche d’acciaio segue una macerazione a freddo della durata di alcuni giorni. Dopo aver svolto la malolattica il vino è messo a invecchiare per almeno 36 mesi in barrique di secondo o terzo passaggio. Sentori di nespola e agrumi, fin citrici, che il leggero appassimento enfatizza di concerto con la ferrosità spiccata e intrigante. Elegante ma non del tutto espressivo, avviluppato com’è in una fase di chiusura che la barrique smorza con le sue note rotonde e morbide di vaniglia. 88/100

Lenta lievitazione, materie prime e padronanza del forno

Gli appassionati di pizza ben sanno cosa voglia dire provenire da Tramonti (SA), ed è proprio questo il paese nativo di Bruno De Rosa, patron della pizzeria Montegrigna di Legnano. A soli 26 anni, nel 1971, apre la prima sede a Legnano, per poi trasferirsi in zona residenziale: un ingresso che non si scorgerebbe quasi se non vi si stesse andando di proposito. Il locale è decisamente essenziale, senza orpelli, ordinato e luminoso. Il bel bancone d’altri tempi dà il benvenuto all’ingresso dove vi è una piccola sala prima dei gradini che porteranno all’ampia sala principale, per un totale di una ottantina di coperti.

Scansionato il QR code che rimanda al menù sul sito, ci troviamo innanzi a una lista molto corposa di pizze. Tutti gli impasti sono a lenta lievitazione, le farine utilizzate sono moltissime, oltre alle aggiunte quali limone, origano, peperoncino a dare un quid in più. Gli ingredienti di qualità spaziano dalle alici del Mar Cantabrico al maiale nero calabrese e, come il menù sottolinea, la composizione di ogni pizza è pensata al meglio per esaltarne l’impasto. Vi sono anche degli antipasti freddi, focacce, bruschette salumi e formaggi oltre a una contenuta offerta dalla cucina in termini di primi e contorni.

Ogni impasto è unico per fragranza, croccantezza, colore

Iniziamo con un Calzone a impasto giallo, ovvero impastato con farina di mais e 00, croccante e profumato. All’interno Scarola appassita, fiordilatte, capperi, alici del Mar Cantabrico, olive taggiasche, pecorino e olio evo. Al taglio, l’olio fuoriesce, la pasta croccante è invitante già alla sola vista, i capperi e le alici del Mar Cantabrico le conferiscono una sapidità delicata, smorzata dagli altri ingredienti. I bordi del calzone, dove la pasta si sovrappone, sono spessi ma dalla consistenza gradevole. Proseguiamo con una scoperta strabiliante, davvero da provare, la Pizza al mais viola con carciofi: fiordilatte, carciofi artigianali, patate sotto cenere, olive Riviera, Parmigiano 30 mesi in cottura, olio evo. Un tripudio di sapori: i carciofi, leggermente piccanti, fanno da chiosa ad ogni boccone, mentre davvero centrata è la delicatezza delle deliziose patate col profumo del mais e l’umami del Parmigiano.

Il climax ascendente per sapidità prosegue con una pizza a base ”Impasto alle erbe e peperoncino dedicato a mio padre”: farro, segale e farina 00. La consistenza soffice dell’impasto, non a caso, è chiamata “sinfonia“, ed è condita con Pomodori passiti, guanciale, alici del Mar Cantabrico, Prosciutto cotto di Parma, Bitto, origano di montagna, olio evo. La cottura degli ingredienti è ottimale, nonché scongiurata la paura di una eccessiva sapidità. Elemento ricorrente, qui, il fatto che tutti gli ingredienti siano distinguibili e ben bilanciati: il peperoncino nell’impasto ben amalgamato, l’alice è imponente e opulenta.

I dolci, artigianali, sono a cura della figlia del patron, Stefania De Rosa. Tra i vini, una selezione consigliata per la pizza – sono tutte proposte di Tramonti – oltre a una più classica e contenuta proposta di rossi bianchi e spumanti. Due birre alla spina e due birre artigianali chiudono l’offerta, insieme a liquori nazionali e artigianali. Il servizio è cordiale, genuino e appassionato, interessato allo scambio con l’avventore.

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La cucina agricola

Avevamo recensito, pochi mesi dopo l’apertura, Grow, il nuovo progetto dei due giovani fratelli, Matteo e Riccardo Vergine; li abbiamo ritrovati, due anni dopo, più maturi e a fuoco sul loro percorso gastronomico e sulla loro identità. Definiscono, ora, la loro cucina come “agricola”, che parte dalla storia e dai sapori ancestrali del territorio brianzolo. Hanno comprato un terreno e la mattina fanno gli agricoltori, con le galline e un orto per l’auto produzione, poi vanno al ristorante, uno in cucina e l’altro in sala. Studiano sulle fermentazioni e sulla frollatura della carne e del pesce, rigorosamente di lago; non hanno una carta e propongono solo menù degustazione, da cinque, sette e nove portate, alla cieca. Grande attenzione alle materie prime, rigorosamente del territorio, ai piccoli produttori e alla sostenibilità: l’anguilla è di una specie particolare, non a rischio di estinzione. C’è attenzione alla circolarità: ad esempio delle lumache, usate all’interno di un salame e una portata (con il loro brodo), i gusci vengono essiccati e macinati, per ottenere una granaglia che viene aggiunta al mangime per le galline, per ottenere più gusto e uova dal guscio più solido.

Keep on growing boys!

All’interno del percorso degustazione sono previsti interessanti pairing, come la linfa di betulla, acqua tonica, vodka, che si accompagna benissimo all’Anguilla in yakitori, laccata al miele. Piatto della serata il Risotto mantecato esclusivamente con una pasta aglio nero, ricoperto con rafano e muffa di formaggio di capra, che avrebbe potuto essere ancora più esplosivo con meno rafano, che andava un po’ a coprire la muffa. Ottima anche l’Anatra in due portate: le carni che vengono frollate per circa 15 giorni, dalle pelli e dal grasso in eccesso vengono raccolti i liquidi e se ne ricava un burro d’anatra con il quale si va a nappare il petto, servito con rosa canina, bruscandoli fermentati, conditi con olio rancido salentino. Molto buona anche la coscia, bollita e servita con una riduzione del suo brodo, con una gustosa salsa con cervello, cuore e fegato.

È poi la volta della “Terra rovesciata“: zuppa di lumache, spuma di piselli e aglio orsino, crumble al cacao sapido e pepato: un piatto interessante dove il gioco dolcezza e “terra” potrebbe essere ancora più sinergico. Anche l’Assoluto di carota potrebbe essere migliorato sia da un punto di vista di fruibilità sia di maggiore integrazione fra le parti solide e liquide. Il dessert, una rivisitazione della sbrisolona, si rivela essere l’anello più debole, sia perché non ricorda la sbrisolona, sia perché non particolarmente incisivo. Ad ogni modo, nel complesso, c’è un racconto, bello, di un percorso gastronomico che parte dall’antico per proiettarsi in avanti; i ragazzi ci credono e ci mettono tanto entusiasmo, passione e studio, tanto da raggiungere la nuova votazione e mettere le basi per una ulteriore crescita.

Keep on growing boys!

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L’oro rosa del Lago di Garda

Il Lago di Garda potrebbe definirsi il locus amoenus per eccellenza. La bellezza sconfinata delle sue coste ha irretito gli avventori di ogni tempo, divenendo persino una tappa obbligata del celebre Grand Tour ottocentesco, che qui richiamava illustri personaggi del calibro di Lord Byron e Goethe. Un’attitudine che perdura ancora oggi, con accenti perlopiù di variegata estrazione nordica che sono andati a sostituire i romantici letterati inglesi, ma dove tutto il resto è rimasto immutato. I bei paesini affacciati sul lago sono sempre più valorizzati e circondati da ordinate colline verdeggianti che promettono riparo nelle torride giornate estive. Anche la proposta gastronomica è in costante crescita qualitativa. A fianco del prevaricante turismo teutonico si è sviluppata infatti una vera e propria nicchia di turisti gourmet, che vengono qui per quelli che sono ormai considerati dei luoghi di culto, come il ristorante Lido 84 di Riccardo Camanini.

Storia del Valtènesi

In particolare spolvero è, poi, il settore enologico sulla sponda lombarda: dalla tradizione antica, ma dal sapore freschissimo. Il vino infatti è lo stesso nettare rosato con cui già Lord Byron e poi D’Annunzio brindavano in calici di cristallo al bien vivre; riproposto oggi in una veste estremamente simile, solo leggermente scolorita per adattarla ai canoni estetici attuali. Si tratta del Valtènesi, sottozona e ideale apice qualitativo della Denominazione di Origine Controllata Riviera del Garda Classico.

Il procedimento produttivo di quel “claretto” diffuso sul territorio fin dal 1500, venne codificato nel 1896 ad opera del senatore veneziano Pompeo Molmenti, che ne amplificò la fama portandolo a diventare una referenza di successo nei salotti e nei locali milanesi del primo ‘900. Il Chiaretto Valtènesi era ottenuto a seguito della vinificazione in rosa del vitigno autoctono più prezioso del territorio, il Groppello, le cui bucce rimanevano a contatto con il mosto per poche ore nel processo di “vinificazione con svinatura per alzata di cappello”.

Nasceva così il “vino di una notte”, nettare dal tradizionale colore rosato intenso che nel tempo è sfumato verso tonalità sempre più tenui ed eleganti, la cui tradizione è oggi tramandata dai 96 soci del Consorzio Valtènesi, attraverso poco più di 800 ettari vitati e circa 2 milioni di bottiglie prodotte annualmente.

Il vitigno e il territorio

Operativa dalla vendemmia 2017, la nuova Doc Riviera del Garda Classico nasce da un patto di territorio sottoscritto dal 90% dei produttori per sostituire le denominazioni precedentemente in vigore. Un accordo finalizzato ad unificare le denominazioni Riviera del Garda Bresciano e Garda Classico (sottozona della Doc Garda) in una nuova, unica denominazione a nome Riviera del Garda Classico, con il riconoscimento della sottozona Valtènesi come ideale apice qualitativo.

Vinificato in rosso o nella sua vocata veste rosata, il Valtènesi si produce in un’area più centrale e prevalentemente collinare della Riviera, tradizionalmente votata alla coltivazione del Groppello, vitigno che si coltiva e vinifica esclusivamente nella sponda occidentale del lago. Questo deve essere presente (nei biotipi Gentile e Mocasina, S. Stefano) per un minimo del 30% e può essere integrato da Marzemino, Barbera e Sangiovese per un massimo del 70% (o ancora da altri vitigni a bacca nera non aromatici per un massimo del 25%).

Nella Valtènesi non si produce solo vino, ma si coltivano anche olivi, agrumi e capperi. A testimonianza della particolare vocazione di questo territorio rivolto al sorgere del sole e del suo particolare quadro microclimatico, che conserva le caratteristiche di un Mediterraneo “slittato” di 1000 chilometri ai piedi delle Alpi. Caratteristiche uniche che, unite ai sottosuoli di matrice eterogenea, danno luogo a vini dalle sfumature variegate, ma di qualità sempre elevata e costante. Il risultato è un vino atto ad appagare i sensi. Prima alla vista, con sfumature che vanno dal petalo di rosa ai riflessi aranciati di un tramonto; poi al naso, con sentori floreali e fruttati sottili ed eleganti; quindi al palato, con la grande freschezza a ravvivare il sorso e una piacevole sapidità a renderlo memorabile.

Alcuni assaggi

Valtènesi Preafète 2021 – Podere dei Folli

Un’azienda giunta oggi alla quarta generazione quella che dà vita a questo vino di grandissima eleganza e piacevolezza. Lo splendido color rosa tenue dai riflessi ramati è un invito all’assaggio. I sentori sono sottili, con fragolina di bosco, pompelmo rosa e fiori di acacia che introducono un sorso setoso e rinfrescante, rinvigorito da un piacevole tono sapido sullo sfondo.

Valtènesi Rosé Doc “Micaela” 2021 – Conti Thun

Color buccia di cipolla alla vista, fruttato e floreale al palato. Petali di rosa e frutti di bosco contraddistinguono il sorso che pervade il palato: fresco, intenso, sapido e persistente. Un vino decisamente gastronomico, ideale da abbinare alle più svariate portate.

Valtènesi “Setamora” 2019 – Turina

Un discorso a parte bisogna fare per questo vino, riserva che affina per circa due mesi in legno e poi altri sei in acciaio prima di essere imbottigliato e immesso sul mercato. Il colore ricorda il rosa pesca, mentre il naso lascia trapelare note decisamente più dolci, come il pompelmo candito e la menta. Al palato è vibrante, fresco e sapido, di piacevolissima beva.