Il piacere dell’inaspettato ha sempre un gusto particolare: una soddisfazione euforizzante, dolce e suadente. Ci vuole un pizzico di audacia e, ovviamente, un pizzico di fortuna: la serendipity trova applicazione anche nei nostri affari di gola. Può capitare, quindi, di passeggiare per una città straniera, di non avere prenotato nessuno dei ristoranti che ti avevano consigliato e di cui avevi preso accurata nota, e di scorgere una lunga fila di autoctoni fuori da un locale del centro, in attesa del loro tavolo. Butti l’occhio dentro: locale semplice ma carino, cucina a vista con piatti che sembrano davvero niente male. E allora prendi posto anche tu nella ordinata fila ed attendi il tuo momento di gloria. La lunga fila raramente inganna: ad esempio, nei nostri viaggi a Tokyo è una lezione di cui abbiamo fatto tesoro. Così può capitare anche che questo diventi il migliore pasto della tua breve vacanza in terra lusitana: si sa, l’inaspettato ha un gusto particolare.
El Rei Dom Frango (tradotto Il Re del Pollo) è un ristorante da segnare e risegnare nella vostra mappa del gusto se decidete di passare qualche giorno a Lisbona. A dispetto del nome, il protagonista del menu è il pesce, di straordinaria qualità, cucinato in modo molto semplice e tradizionale. Molto buono il pesce del giorno alla griglia (per noi una orata) e l’insalata di polpo, straordinario il baccalà, sia per qualità dell’ingrediente che per cottura.
Niente voli pindarici, tanta sostanza; quello che ci è piaciuto di più, rispetto ad altri famosi locali del centro di Lisbona, è la vera autenticità di questa cucina, che non mira a “truccare” la tradizione mettendogli il vestito della festa, ma solo ad alleggerire le preparazioni, lasciando maggiormente la scena all’ingrediente. A questo si aggiunge un servizio giovane e cortese che rende la sosta ancora più piacevole. La carta dei vini è limitata, qualche odore di troppo rimarrà sui vostri vestiti all’uscita, ma il prezzo commovente (sui 20€ per una cena completa) non può che aggiungere valore a questo ottimo locale del Bairro Alto di Lisbona. Il Re è promosso a pieni voti.
Cucina creativa, tradizionale, pizzeria, tapas, cocktails e catering.
Josè Avillez, il più mediatico dei cuochi portoghesi, di cui abbiamo già parlato in un precedente post, si è cimentato con tutti i generi, con un rispettabile successo.
Sulla cucina del suo Cantinho di Lisbona ha scritto anche un libro di ricette. È stato il primo compromesso che ha fatto con il grande pubblico della città prima di creare il suo polo gourmet nel quartiere di Chiado.
Basta scorrere il menu per comprendere la dimensione dello chef e la sua linea di demarcazione con il confine dell’evocativa tradizione. La tecnica dell’alta cucina al servizio di ricette popolari.
Dopo la nostra esperienza, non possiamo considerare il Cantinho do Avillez una tavola di grandi pretese, ma ci sentiamo comunque di consigliarlo in quanto è un posto dove si sta bene, e dove le proposte gastronomiche accontentano un po’ tutte le fasce di età.
Ed è proprio questo che piace ai lisboneti.
Non sarà la cucina più trasversale della città, ma è comunque da apprezzare il tentativo di divulgare l’interessante lavoro sulle preparazioni tradizionali, che vengono ricalcate con tecniche più articolate. Soprattutto se si parla di un’esperienza economicamente più ragionevole rispetto a quella più blasonata (e dispendiosa) del Belcanto.
Scelta imprenditoriale pensata per far quadrare i conti?
Non ne siamo del tutto convinti. Piuttosto la voglia di lasciare un segno popolare della propria cucina nei confronti di una clientela più vasta, ed imporsi in una città che sta attraversando un evidente periodo di crisi.
Il Belcanto non è per tutti, quindi servivano altri modi per sponsorizzare una macchina del marketing già abbastanza agguerrita.
Molti dei frequentatori di tavole gourmet, siano esse raffinate o modaiole, tendono a trovare maggior appagamento nelle cose più semplici: ed è proprio qui che trovano spazio le preparazioni del Cantinho, con buoni ingredienti correttamente assemblati che conferiscono un taglio gourmet a piatti di tutti i giorni.
Latitano tuttavia i colpi d’ala o quei bocconi particolarmente goduriosi che, anche nel contesto tradizionale, sanno regalare un’esperienza memorabile. Qualche ingrediente è soltanto discreto e, soprattutto, c’è un forzata proposizione di preparazioni pleonastiche (come le onnipresenti sferificazioni che, in casi simili, ti fanno odiare la “cucina molecolare”). In una tradizionale ricetta di baccalà ed in un contesto di questo tipo, di simili moderni orpelli ne avremmo fatto volentieri a meno.
Servizio sveglio e affabile. Da apprezzare l’apertura a pranzo e a cena, sette giorni su sette.
Nel coperto sono incluse, oltre al pane, olive, burro ed una golosa crema al pomodoro.
Si colloca tra l’Atlantico e l’Asia il sapore del wrap con tonno marinato e sottaceti, coriandolo ed emulsione di kimchi. Buona la qualità del pesce.
Aggettivo che non può essere invece usato nel caso delle capesante arrostite con pomodori (poco saporiti), asparagi verdi e patate dolci di Alijezur.
Il piatto principale si è rivelato soltanto discreto. Baccalà con pane croccante, uova cotte a bassa temperatura e (ma perché!!) “olive esplosive”, per la serie “come svalutare una geniale tecnica di cucina”.
Chiudiamo con un piatto di terra che, in verità, era elencato tra le entrée: la “farinheira”, una tipica salsiccia affumicata, servita con una crostata al coriandolo. Buona ma, anche in questo caso, poco incisiva.
In compenso i portoghesi sono ottimi vignaioli.
Il trancio di “Serra da Estrela DOP”, tipico formaggio ovino portoghese, servito con olive.
Servito con il notevole Porto Vintage Morgadio Da Calçada 2011.
La cheesecake, con yogurt, lamponi e basilico. Un po’ banale.
Sedute.
Dettagli della sala.
Lo scorcio verso il Tago.
Difficile dire quale sia il miglior ristorante di pesce di Lisbona.
Difficile credere che ce ne sia uno in particolare che svetta su tutti gli altri.
Diversamente da quanto accade in altre capitali europee, escluso il solito paniere di ristoranti acchiappa-turisti le cui tristi insegne illuminano le vie pedonali della Cidade Baixa, è facile imbattersi in un pescato con un sempre costante livello di (alta) qualità.
Se però volete fuggire dalla routine del bacalhau e cercate una tavola in cui poter gustare una varietà di molluschi e crostacei di estrema freschezza, allora la Cervejaria Ramiro potrebbe essere il posto giusto.
Reso celebre anche oltre oceano da Anthony Bourdain che in una puntata del grandioso No Reservation faceva incetta di gamberi, aragoste e percebes, incredulo per l’incredibile rapporto prezzo/felicità, Ramiro è molto più di una semplice “cervejaria”.
Qui servono dei granchi giganti (i cosiddetti spider-crabs) da urlo, nonché uno dei migliori “prego no pao” -il famoso panino con la bistecca all’aglio simbolo del Portogallo- della città.
Bisogna quindi armarsi di pazienza perché una volta superata la coda per entrare (è comunque possibile effettuare prenotazioni ed essere puntuali), dopo aver ordinato, un martello, un paio di pinzette e le bestie che avrete sotto gli occhi saranno i vostri amici più cari per un paio di ore.
E c’è da divertirsi, perché la scelta è vasta e viene voglia di ordinare l’impossibile, ma quello che consigliamo, dopo un piccolo riscaldamento con vongole e percebes, è di buttarsi anima e corpo in uno degli straordinari granchi dell’Atlantico a disposizione (rock crab o, appunto, lo spider-crab).
A voi la scelta della cottura: potrete decidere se mangiarlo bollito, alla plancia, al forno o, come la nostra scelta, crudo.
Il locale è sempre affollatissimo, ma il servizio è uno dei più celeri del mondo, sembra quasi di mangiare in un fast-food; del resto, le preparazioni presentano cotture velocissime o, semplicemente, l’estrazione dei crostacei dal carapace. Anche la coda, di conseguenza, viene smaltita in un men che non si dica.
E poi c’è il capitolo prezzi.
I crostacei vengono venduti al chilo e la spesa, a persona, non supera i 30 euro se si vuole esagerare.
E’ un peccato soltanto che Intendente, il quartiere in cui è ubicato Ramiro, non sia proprio uno dei più belli di Lisbona, ma è comunque facilmente raggiungibile (oltre al solito tram, c’è anche la fermata metro) da diverse zone nevralgiche della città.
Non perdetevi i prodotti di questo simpatico e caratteristico locale il cui rapporto qualità/prezzo ha davvero pochi concorrenti in Europa.
Un nostro consiglio, se siete nella capitale portoghese per il weekend, è quello di andarci a fare il pranzo della domenica, magari sul presto, per evitare la coda e la confusione, di chiudere il pasto con il “prego” per poi prendere il trenino che va a Belém. Lì, prima di sostare fino al tramonto davanti alla suggestiva omonima torre e al bellissimo Monastero dos Jerònimos, vi aspettano le famosissime “pastéis de nata”, i piccoli capolavori di pasta sfoglia riempiti di crema cotta al forno, la cui ricetta originale è custodita segretamente dalla pasticceria-laboratorio Pastéis de Belém che da oltre un secolo continua a sfornare oltre 10.000 pastel al giorno. Anche qui, la coda è parte integrante dell’assaggio. Ma vi assicuriamo, ne vale realmente la pena.
Per la serie: “qui il colesterolo non perdona”, panini caldi con burro…
…e birra locale ghiacciata.
Si scaldano i motori: percebes sbollentati. Per chi non li conoscesse (in italiano si chiamano cirripedi), sono molluschi tipici della Galizia che si estraggono dalla pellicina nera e hanno un sapore a metà strada tra il cannolicchio e la cozza.
Squisite vongole.
Ed ecco il momento clou: sul tavolo arrivano gli attrezzi del mestiere. Martello e pinzette.
E il favoloso granchio che abbiamo gustato crudo. Il sapore di mare è più intenso di un’aragosta. E la testa è una cosa indescrivibile…
Alcuni dei granchi vivi, ammassati in maniera un po’ discutibile. Anche se Ramiro ha adottato un programma di selezione della materia prima a tutela dell’ecosistema.
Si chiude con l’immancabile dessert: il “prego no pao”. Panino con una notevolissima bistecca di manzo battutta con aglio e appena grigliata, da gustarsi con una mostarda al limone.
Il locale è sempre affollatissimo.
E il conto tutt’altro che salato.
Le planche roventi.
Gamberoni.
La fila d’attesa all’uscita dal locale.
E dalle parti di Belém, la fila d’attesa al nostro arrivo al leggendario Pasteis de Belém.
Altri pochi secondi di attesa…
…e ci gustiamo la nostra pastel de nata, ancora calda. Ne potrete assaggiare tante in Portogallo, ma questa in particolare ha qualcosa in più, una crosticina della sfoglia più croccante, una crema più buona. E’ davvero unica. E’ l’originale.
Se dopo aver visto quei due cucchiaini in copertina pensate di addentrarvi nella lettura di un post che abbia come protagonisti i fratelli Adrià o un loro locale, vi sbagliate.
O meglio, quella sfera verde –che è diventata un simbolo di El Bulli- è proprio l’oliva sferica, un involucro esplosivo contenente un concentratissimo sapore di oliva. Piatto creato nel 2005 da Ferran Adrià ma, crediamo, amatissimo da un suo allievo, uno dei pochi a riprodurne fedelmente ed orgogliosamente quel sapore: José Avillez.
Questi è un cuoco non ancora quarantenne, passato anche dalle cucine di Ducasse e del Bristol di Parigi, ma è ai fornelli di Roses nel 2007 che ha subito la sacra folgorazione.
Avillez è un cuoco superstar, autore di libri, personaggio radiofonico e televisivo e produttore di vini, una vera icona in Portogallo.
A Lisbona ha un piccolo impero gastronomico di successo (tanto di cappello per la dote imprenditoriale) comprendente il Belcanto, suo ristorante di punta e fresco di seconda stella Michelin, il Cantinho do Avillez – che vedrete presto su questi schermi – trattoria gourmet con succursale anche a Porto, una pizzeria, il Cafè Lisboa all’interno del teatro São Luiz, una società di catering ed il singolare tapas bar quivi recensito.
Dopo aver provato i succitati locali, tutti agglomerati nella splendida cornice di Chiado, uno dei quartieri più chic di Lisbona, abbiamo avuto conferma della sua grande riverenza verso la cucina praticata a El Bulli.
Del resto, quando Adrià decise di catalogare tutte le ricette create nel suo Taller, mettendole a disposizione di chiunque, aveva anche contemplato il rischio che le stesse potessero essere perfettamente riprodotte da chiunque e ovunque.
Con il Mini Bar Avillez ha voluto rendere spudoratamente omaggio al grande amico Albert Adrià ed al suo Tickets: ambiente trendy, validissimo cocktail bar creativo, personale qualificato, menu suddiviso in atti e tapas che regalano un amarcord culinario per gli orfani della cucina di El Bulli.
Detto ciò, nonostante quanto sopra assuma per noi un certo peso ai fini della valutazione finale, ci sembra giusto riportare le note di merito e i punti di forza di questo tavola.
Iniziamo col dire che il Mini Bar è un locale davvero divertente e a buon mercato, nella nazione è unico nel suo genere e, cosa che ci interessa maggiormente, è possibile mangiare piatti cucinati impeccabilmente e con una materia prima di primissimo ordine.
Ci sono due menu: a 38 e 48 euro. Se si sceglie alla carta, invece, ci si può personalizzare un percorso ad hoc e i prezzi variano dai 2,5 euro per gli snacks, ai 25 euro per “gli atti unici”, preparazioni più consistenti, come hamburger (colpisce ancora!) e bistecche.
Gli ingredienti vengono sapientemente trattati e lavorati con tecniche da manuale ed il risultato è davvero ineccepibile. Soltanto due portate ci sono apparse monocordi (i nuggets di baccalà e il dessert al limone e panna) anche perché proposte in porzione leggermente più abbondante del resto. Assaggi come l’avocado in tempura, polvere di kimchi disidratato, coriandolo, lime e limone e lo sgombro affumicato con mela verde sono invece, a tutti gli effetti, preparazioni di grande livello che meritano una menzione particolare.
Nel complesso, complice anche l’ottima selezione di cocktail e qualche etichetta interessante, una serata al Mini Bar può trascorrere all’insegna del divertimento, senza troppi pensieri, e, soprattutto, avendo la garanzia di mangiar bene.
Se poi preferite diffidare dalle imitazioni, a Lisbona fanno un buon baccalà, magari da gustare in qualche ristorante col Fado. Però poi si rischia di tornare in albergo con la tristezza nel cuore.
Margarita: mela verde marinata nell’omonimo cocktail e polvere di chili.
L’orientalissimo chevice di gamberi dell’Algarve.
Avocado in tempura, kimchi disidratato, coriandolo, lime e limone. Notevole.
Crocchette di carne ed emulsione di mostarda.
Bruschetta con foie gras confit, parmigiano , aceto balsamico e fichi. Abbiamo saputo di una gita a Modena dello chef. Probabilmente questa è un’altra folgorazione, questa volta del “croccantino di foie gras” di Bottura.
Il raffinato sgombro affumicato, insalata di mela, sedano e tartufo.
I notevoli temaki: con tartare di carne ed emulsione di mostarda,
e tartare di tonno con soia piccante, da mangiarne a quintali.
Nuggets di baccalà in escabeche e lamponi.
Si chiude con il JA burger con carne DOP e patate con maionese calda all’aglio.
Concentratissimo il primo dessert: nocciola al cubo. Il frutto viene proposto a spuma, a gelato e sotto forma di spugna.
Cono al cioccolato con sale e pepe rosa. Anche qui c’è un gioco di consistenze e temperature.
Tanto d’effetto quanto deludente è invece il globo al lime con panna al limone: davvero troppo stucchevole.
Interni.
Jose Avilez in Portogallo è una celebrità.
Nell’era dei cuochi mediatici, sui cui eccessi dovremmo aprire un capitolo a parte, il giovane Jose si è creato un suo spazio, sia sul piccolo schermo che sui giornali, non solo di settore.
È considerato l’enfant prodige della ristorazione portoghese, probabilmente, con Dieter Koschina del Villa Joya di Albufeira, il miglior “cozinhar” del Paese.
Le aspettative erano alte, non possiamo negarlo.
Nel centro antico di Lisbona, il Belcanto è locale storico, rilevato di recente da Avilez e rinnovato sia in sala che in cucina.
Ambiente ovattato, un po’ austero, ma piacevole, servizio cordiale e professionale, multilingue. Il commis che parla in italiano (che scopriremo essere una costante nella capitale) è prodigo di consigli e ci predispone al meglio.
Finalmente troviamo anche un menù a la carte, che sembra essere in Portogallo (e non solo, purtroppo), nei ristoranti di alta cucina, quasi un optional.
Ovviamente anche due percorsi guidati, obbligatori per l’intero tavolo.
Il suo Maestro è stato Adrià, che tanti campioni ha visto formarsi nelle sue cucine, ma Avilez probabilmente non sarebbe titolare di un ipotetico dream team by Roses.
La sua proposta scimmiotta le tecniche che il genio catalano ha messo a punto nel corso della sua storia gastronomica, ponendole, senza valore aggiunto, ora al servizio di una portata, ora a supporto di un’altra.
La sferificazione, le spume ed altre amenità potevano far echeggiare gli “ohhh” degli astanti un decennio fa. Ora non più. Ci vuole ben altro, sostanza, non solo forma.
La centralità del gusto è fondamentale, se il piatto è bello e la tecnica è innovativa meglio ancora. Ma l’estetica o l’effetto sorpresa non basta, è bene comprenderlo.
Piatti come il “wave breaking” , vongole, gamberi, cozze, ricci, percebes e spuma di acqua di mare e lime, non lasciano il segno, anzi. Non sembra ci sia un’idea sottostante se non quella di ricreare visivamente un’onda che si infrange su indifesi esserini.
O ancora “vongole con gelatina di aglio e coriandolo e briciole di pane fritto” ci ha regalato sensazioni non propriamente piacevoli, sia per consistenza, sia per temperatura (di frigorifero), sia per sapore (aglio e coriandolo sovrastano incontrastati).
Non tutti i piatti ci hanno deluso, sia chiaro. Alcuni hanno elevato, fortunatamente, le sorti della cena a livelli accettabili.
Interessante il maccarello alla “escabeche” con salsa di barbabietola e cipolla, così come l’uovo cotto a bassa temperatura con terra di pane al nero di seppia, tartufo e funghi, evidente rielaborazione di una celebre creazione di Dacosta. Peccato di gioventù la lamina d’oro, d’effetto, forse, 20 anni or sono.
Avilez probabilmente è costretto dal suo ruolo di ragazzo prodigio a stupire, a dare un significato al viaggio di chi viene a Lisbona da tutto il Portogallo per apprezzare la sua cucina, a spingersi oltre. Essere stati allievi del più grande cuoco dell’era moderna non vuol dire, necessariamente, seguire le sue orme. Siamo sempre più convinti che i giovani talenti (Avilez, a tratti, ha dimostrato di poterlo essere) debbano seguire il loro estro, le loro idee e non restare ingabbiati nelle gesta di chi è, e sempre sarà, più “grande” di loro.
Sala
Oliva verde sferificata, oliva nera in crosta
Interpretazione del Ferrero Rocher. Divertente
Pani e burri
Gelatina all’aglio e al coriandolo con vongole e pane fritto. Non ci siamo.
Wave breaking, vongole, gamberi, cozze, ricci, percebes e spuma di acqua di mare e lime. Sapori piatti. Presenza scenica, nulla più.
Maccarello all’escabeche, salsa di barbabietole e cipolle rosse.
Uovo laminato d’oro cotto a bassa temperatura con terra di pane al nero di seppia, tartufo e funghi.
Triglia con il suo fegato e gnocchi al nero di seppia. Classico abbinamento, ben eseguito.
Maialino cotto a bassa temperatura all’arancia. Lattuga. Purtroppo l’omologazione di questo tipo di cottura dà, a qualsiasi latitudine, stessi gusti e consistenze. Le padelle sono troppo difficili da utilizzare?
Duo di agnello all’escabeche, salsa di zucca. L’eccesso di aceto non rende giustizia ad una preparazione altrimenti convincente.
Variazione di mandarino, piuttosto deludente.
Esterno
Coltelli di qualità