Niko Romito e la maturità. Strano a dirsi per un giovane cuoco come lui.
Anche in autunno, stagione in cui finora non avevamo mai frequentato questo luogo, Casadonna e il Reale mantengono un fascino inalterato, forse anche maggiore rispetto alla stagione estiva. Ed in questo eremo, che sfiora il mistico, il giovane chef saprà incantarvi e regalarvi emozioni uniche.
Niko cresce e non si ferma, continua a modulare la sua cucina, profondamente italiana -forse tra le più italiane di quelle contemporanee- e la spinge inesorabilmente verso continui ed interessanti traguardi gustativi.
Un colpo ed una rasoiata continua. Lungo il solco della precisione e della geometrica evoluzione delle forme e delle proporzioni, quasi architetturali. La minuziosa precisione, unita alla profondità prospettica di Niko, ci ricordano lo Spazialismo di Fontana, che induce l’arte pittorica ad una valutazione, per la prima volta incisiva, sulla prospettiva tridimensionale e sulla geometria.
Un movimento che si avverte nei suoi piatti, che giocano sui volumi e sugli spazi degli ingredienti e dei sapori. Forme pulite, che si raffinano sempre più man mano che il piatto viene messo a punto.
Prendiamo “Lenticchie, nocciola e tartufo bianco”, con quest’ultimo che serve a segnalare come in realtà, con gli altri ingredienti e la costruzione di un piatto in prospettiva, lo Chef sia riuscito ad ottenere il tartufo da tutto quello che tartufo non è. Aglio, una gelatina di acqua di lenticchie e timo, una sorta di bavarese alla nocciola, le lenticchie e… il gioco e fatto! Tartufo, tartufo e poi tartufo… di un’eleganza inarrivabile, con la gelatina che ritorna in una nota affumicata/speziato/acida interessantissima, richiamando lo Xeres che il grande sommelier Gianni ci ha abbinato.
E come non restare inebriati dalla cottura di quel maialino, morbido e fondente con la pelle che pare quasi un craker.
O la pappardella con porri e carota… e infine il magico Carciofo, di una potenza gustativa impensabile. E ancora i tortelli di mandorle ed infuso di bosco, un piatto che entrerà nella storia, ne siamo certi.
Oggi, in questa carrellata fotografica, vedrete anche tanti abbinamenti, frutto del genio di un altro grande personaggio del Reale: a fianco di un grande chef ecco comparire Giovanni Sinesi, che è riuscito nel difficile intento di rendere gli abbinamenti ancor migliori delle perfezioni stilistiche quali sono i piatti di Niko Romito. Difficili da abbinare, perché spesso già completi, gustativamente parlando. Ed invece lui, a volte per assonanza, qualche volta per dissonanza, ha abbinato calici che hanno avuto la capacità di elevare e prolungare ulteriormente il piatto.
Autumn/Winter in Castel di Sangro… oh yeah!
Soffice di pistacchio salato, Ravanello marinato, Pane e ragù, Pomodoro pelato arrosto glassato al miele, Patata sotto la cenere.
Assoluto di sedano, carota e cipolla, olio di oliva e salvia.
Crostatina con olive nere e olio d’oliva.
Il primo abbinamento.
Il fantastico pane in accompagnamento.
Spigola e prezzemolo.
Lenticchie, nocciole e tartufo bianco.
Il fantastico pane.
Acciuga, salvia, caffè e gin: piatto strepitoso, completato da yogurt di bufala. Quando un grande riesce a uscire dagli schemi consueti, per lui, potenziando e aprendo una nuova strada gustativa.
Croccante espressione di lingua.
Un piatto formidabile: tortelli di mandorla ed infuso di bosco. Un brodo ancestrale, connotato dai tortelli ripieni di pasta/crema di mandorle.
Carciofo e rosmarino.
Pappardella con porri e carota.
Tortelli con pollo.
Verza arrosto.
Maialino croccante, patata e caramello d’arancio.
La piccola, per così dire, pasticceria.
Poche indicazioni, una strada stretta e piena di buche. Si sbaglia direzione, si chiede ad un passante che indica con il dito la giusta via da seguire per raggiungere quell’edificio, di cruda austerità ma al contempo affascinante, che è il Casadonna. Dall’alto si domina il paese di Castel di Sangro. Si percepisce qualcosa di intenso, di potente, di profondo. Le vigne che circondano la villa ai piedi del monte sono il primo dei tanti biglietti da visita di un territorio che grazie ad un uomo, Niko Romito, andrà svelandosi di lì a poco.
Il cuoco abruzzese si è preso a cuore una causa, quella del suo territorio, decidendo, attraverso la cucina, di raccontarlo, evidenziandone tutte le spigolature, andando oltre la semplice sensazione impressionale, fino a raggiungere un grado di eleganza e tenerezza che solo una terra ricca di storia descritta da un bravissimo maestro può vantare.
Legno, pietra, ferro. Le grandi vetrate svelano la crudezza di un paesaggio in attesa di una primavera non ancora arrivata, mai tanto attesa, divisa tra il cinguettio dei primi uccellini e la neve che ancora colora le vette delle montagne. Le tovaglie di lino avvolgono in una materna carezza i tavoli che lasciano così intravvedere solo le loro basi, di legno massiccio, splendide. Si ha la netta sensazione di essere in un luogo permeato di storia, in cui frivolezze e superficialità sono state gentilmente lasciate fuori dalla porta.
L’aspettativa si impenna. Il fremito dell’attesa si placa lasciando spazio a quel senso di curiosità timorosa che sopraggiunge ogni volta che ci si trova al cospetto di qualcosa di più grande di noi, di una persona particolarmente colta e sensibile, di un luogo troppo bello per essere profanato.
Il rapporto tra la struttura e lo chef è una sorta di collaborazione volta ad offrire un’esperienza non solo gastronomica ma anche antropologica. Se si dovessero scegliere tre parole chiave per definire la cucina del Reale sarebbero: eleganza, concentrazione, semplicità.
Pochi, pochissimi ingredienti in ogni piatto, esaltati dai loro stessi succhi, resi perfetti nelle loro consistenze, ripuliti da grassi e salse, eppure così persistenti, profondi e profumati. In un attimo si rivaluta molto di quanto si sia appreso nel corso di una vita. Come quando in un particolare momento ci si trova a contatto con una persona già conosciuta ma mai troppo considerata, che però nell’arco di un paio di frasi riesce a stravolgere la nostra opinione su di lei fino a farcela rivalutare, apprezzare, adorare. É la nascita di qualcosa di molto profondo, difficile da spiegare eppure esistente.
Il primo assaggio, il soffice di pistacchio salato, fa sentire la sua presenza con la verticalità di un profumo che una volta in bocca si trasforma in un gioco scioglievole di rara intensità e nettezza. La mente è resettata, torna ad essere vergine, pronta ad essere accompagnata per mano in un menù intrinseco di aneddoti e racconti. I quadri alle pareti con immortalati anziani locali si contestualizzano perfettamente con l’assoluto di cipolle, parmigiano e pistilli di zafferano. La pasta tenace che racchiude il parmigiano viene ingentilita dalla grazia e dall’eleganza dell’assoluto di cipolle che trova la sua energia nei pistilli di zafferano tostati, creando così un piatto sofisticato e didattico.
Ci si trova a pensare, è una cucina che, come un grande vino di annata, può essere definita da meditazione.
Il piccione fondente e pistacchio è il punto più alto del pranzo, in cui l’intuizione di sostituire un grasso, come il foie gras, con un altro, come il pistacchio, regala uno spiraglio di avanguardia ad una cucina dal forte carattere nostalgico. Anche se quest’ultimo è un passaggio già visto dalle parti di Torriana, qualche anno or sono, riteniamo che il cerchio chiuso in questo piatto sia davvero interessante.
Il menù “Ideale”, scelto per l’occasione, ha uno sviluppo cerebrale intenso e rapido, che necessita di essere accompagnato da spiegazioni dettagliate. Sotto questo punto di vista durante la nostra visita abbiamo riscontrato qualche incertezza da parte della sala, per l’occasione poco supportata dalla cucina a causa dell’assenza dello chef. Qualche domanda non ha ottenuto una risposta adeguata, qualche temperatura di servizio avrebbe potuto essere migliore, qualche piatto avrebbe necessitato di maggiori informazioni per essere reso più godibile.
E proprio perchè Niko Romito è interprete e narratore del suo territorio vorremmo trovare forse più indicazioni, più segnali che il suo luogo è raccontato nella sua cucina. Come altri suoi illustri colleghi dovrebbe dare più spazio ai suoi fornitori, regalandoci qualche annotazione in più sui passaggi che compie la sua filiera. E sopratutto la sua cucina dovrebbe risultare forse più costante, più focalizzata, più nitida. Come quel Piccione e come L’assoluto, per intenderci.
Niko Romito, con il suo ristorante Reale, sta svolgendo ed ha svolto un lavoro invidiabile per l’Abruzzo e per la ristorazione italiana tutta. Ci auguriamo che tutto ciò prosegua in in crescendo continuo. La sua cucina elegante, concentrata e semplice è spunto di riflessione per ogni appassionato che al Reale troverà un’oasi di travolgente intimità.
La sala vista dall’alto.
Mise en place
Soffice di pistacchio salato. Strepitoso
Benvenuto. Crostino di ricotta di pecora e pomodorino candito, battuto di salsiccia e arancia candita, polpetta di vitello e patate, crocchella di cime di rapa e pecorino, chips di rapa rossa e patè di fegato di coniglio. Il classico benvenuto di Niko Romito.
Crostatina con olio ed olive nere.
Panino agli scampi. Un colpo da maestro. Panino tiepido, croccante, grasso. Gli scampi, l’insalata e le salse si equilibrano dando vita al panino definitivo.
Cracker di patate, pan grattato e rosmarino.
Grissini al miele di castagno.
Mandorla e misticanza alcolica. Un’altra interpretazione pazzesca. La misticanza croccante alterna i sapori delle varie insalate, legate sempre dalla nota grassa della mandorla. Le gocce di gin verticalizzano il piatto.
Calamaro, pepe e lattuga. Piatto apparentemente semplice ma invece estremamente profondo. I veri protagonisti sono la lattuga con la sua croccantezza e succosità e il pepe che rende persistente l’equilibrio del piatto. Il calamaro si “limita” a dare consistenza al piatto. Geniale.
Il pane. Leggermente poco cotto e servito ad una temperatura tendente al freddo più che al tiepido.
Carciofo e rosmarino. Il carciofo cotto a bassa temperatura e poi glassato con i suoi stessi succhi raggiunge un grado di intensità inimmaginabile. Dopo il primo boccone la bocca è però satura di sapori. Buono ma porzione forse da rivedere.
Animelle, panna, limone e sale. Si torna con i piedi per terra con un passaggio poco riuscito. Animelle decisamente troppo cotte, panna montata fredda e limone per dare acidità.
Assoluto di cipolle, parmigiano e pistilli di zafferano.
Ravioli di spigola e vino bianco. Gusto centrato ed equilibrato ma consistenza di pasta e ripieno assolutamente non all’altezza. Peccato.
Fettuccelle di semola, gamberi rossi e pepe rosa. Piatto meno celebrale ma di assoluta bontà. Cottura della pasta stratosferica, gamberi e il succo della loro testa di assoluta qualità. Il pepe rosa dona grazia e sprint ad un piatto che non dimenticheremo facilmente.
Piccione fondente e pistacchio. Volatile cotto a bassa temperatura all’interno del suo stesso brodo. Sapori netti, decisi e profondi. Il pistacchio è un abbinamento che potrebbe diventare un classico da qui a poco. Anche se già visto altrove.
Gel di vitello, porcini secchi, mandorle e tartufo nero. Piatto elegantissimo. Dolce, affumicato, croccante e morbido ad ogni boccone. In questa occasione ci è stato presentato come pre dessert, forse non la sua collocazione ideale.
Granita di liquirizia e aceto di vino, cioccolato bianco e aceto balsamico. Si conclude alla grandissima. Dolce complesso e goloso, seppur giocato su note non usuali. Il più bel ricordo di un pranzo eccelso.
La piccola pasticceria: bomba al cioccolato, cialdina di caffè, cioccolato e pepe di sichuan, crostatina di pesche panna e rosmarino e gelatina di pompelmo. Qualche errore qua e là (bomba non perfettamente cotta e gelatina troppo dura) non la rendono indimenticabile.
La vista dalla sala.
Il giardino d’inverno dove vengono organizzati eventi ed aperitivi.
Recensione Ristorante
Le tracce lasciate dal terremoto del 2009 nel tessuto della città e nello spirito degli aquilani sono evidenti, profonde e chissà quanto indelebili.
La vista della basilica di Collemaggio, ad esempio, cuore pulsante della locale comunità di credenti è un tuffo al cuore per come cela dietro l’apparente integrità dell’aspetto esteriore le profonde cicatrici del trauma subito.
Il brulichìo, però, delle spensierate flotte di ragazzini che imperversano per le vie e per le poche attività commerciali che fungono da ritrovo nel centro cittadino riscaldano il cuore e, agli occhi di un visitatore come me, rappresentano il viatico in vista di una futura e, si spera, tempestiva rinascita che cancellerà la desolazione che oggi caratterizza queste strade.
Una delle storie aquilane di questo infausto evento riguarda la famiglia Moscardi che, attraverso la mamma Elodia e l’omonimo ristorante, dal lontano 1974 rappresenta uno dei punti di riferimento gastronomici della cittadina.
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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui
Recensione Ristorante
Inevitabile per me, ormai, associare la figura di Niko Romito a quella di un monaco.
Il collegamento è probabilmente dovuto al suo aspetto austero e all’ardente passione che evidentemente lo divora. Passione che lo porta ad immaginare, plasmare, cesellare, arrivando al cuore delle materie prime, dei sapori, estraendo da ogni ingrediente il meglio, il tutto non disgiunto, visto il salto di qualità che ha fatto dalla mia prima visita diversi anni fa, da una ferrea determinazione a migliorarsi.
Determinazione che ha reso ogni volta la sua cucina arricchita da nuove idee, nuovi risvolti, in un continuo fermento che gli permette di vantare a soli trentacinque anni un repertorio di piccoli capolavori che molti grandi chef neanche in una vita riuscirebbero a collezionare.
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