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Langhe DOC Nebbiolo di Mascarello Giuseppe e Figlio

Alle origini del Nebbiolo

La nebbia densa e malinconica che pervade le Langhe e lascia intuire le forme dei filari, i castelli, i borghi, in un’atmosfera ovattata che secondo leggenda darà il nome al Nebbiolo, padre dei vini piemontesi, è la medesima che ha ispirato i grandi poeti italiani. La nebbia impenetrabile che cela le istanze cupe del passato, da cui Giosuè Carducci cerca di sfuggire, quando nel 1890, in vacanza, ai piedi del Gran Paradiso, compone la poesia Piemonte. La nebbia a cui Giovanni Pascoli nel 1903 dedica una lirica, ambientata in una località costiera, nella raccolta Canti di Castelvecchio, svelando le sue angosce più intime, cercando un senso nell’ineluttabile esistenza dell’uomo, la nebbia di Palazzeschi, Baganzani, Bettini, Signorini. Quella che si origina in autunno, proprio mentre le uve Nebbiolo raggiungono la loro maturazione tardiva e gli acini piccoli, di colore viola scuro, si ricoprono di una copiosa pruina, che potrebbe essere, secondo un’altra tesi, all’origine del nome Nebbiolo. Uve di pregio che mutano in un vino potente, complesso, elegante, che ha bisogno di tempo per esprimersi al meglio, le cui origini affondano nella storia.

Ce ne parla Columella, nel I° secolo d.C., nel suo trattato miliare sull’agricoltura, il De re rustica: “grappoli di uva nera che danno vino da località fredde”, ma sono della seconda metà del 1200 i più antichi documenti di cui disponiamo, in cui si parla per la prima volta di “nebiolius, neblorii, nibiol, nebiolio, nebiolo”. In un contratto del 1292, tra gli obblighi dell’affittuario c’è quello di piantare nell’albese alcuni filari di uva “Neblorii”; in un lascito del 1295 redatto nell’astigiano, si lasciano in eredità quattro tini: “duos de nebiolo et duos de nostrali”; l’affitto di un terreno a Canale, di proprietà dei Conti Roero, viene regolato con due carrate di vino: una “de bono, puro vino moscatello” e l’altra “de bono, puro vino nebiolio”. E ancora le annotazioni preziose di Pier de’ Crescenzi nel “Trattato della Agricoltura” del 1304; la menzione negli statuti de La Morra nel 1431; e nel volume del 1606 di Giovanni Battista Croce, gioielliere di casa Savoia, dove ritroviamo le descrizioni del Nebbiolo e il successo che incontra nei salotti della nobiltà piemontese: “…generoso, gagliardo e dolce ancora… qual lungamente e bene si conserva”. Tuttavia si dovrà attendere il XIX secolo perché il Nebbiolo, diventi oggetto di studi approfonditi da parte degli ampelografi, mentre è fondamentale l’apporto del Conte Camillo Benso di Cavour, che nel 1830 ricorrerà all’enologo francese Odart, per perfezionarne i processi di produzione, alla base del successo del Nebbiolo e del Barolo. Un vitigno autoctono, con uve di elevatissima qualità e un patrimonio cospicuo di zuccheri, acidità e polifenoli, la cui culla viene indicata nell’area dove viene maggiormente coltivato, tra l’albese e le Langhe, in provincia di Cuneo. Si caratterizza per una adattabilità molto relativa che necessita di un preciso contesto per poter riprodursi, tanto che nella penisola si coltiva solamente in Piemonte e in misura minore in Valtellina, Valle d’Aosta, Franciacorta e Sardegna. Si distingue per uno straordinario equilibrio, prestandosi a vinificazioni in purezza che producono vini di grande fascino e lungo affinamento.

L’azienda

Tutto inizia oltre un secolo e mezzo fa, quando Giuseppe Mascarello, dopo essersi dedicato, insieme alla sua famiglia, alle vigne di Cascina Manescotto, nel Comune di La Morra, per conto della marchesa Giulia Colbert Faletti di Barolo, decide di fondare una sua cantina, rilevando nel 1881, un appezzamento di terreno a Monforte d’Alba. Nei primi anni del ‘900 subentrerà il figlio Maurizio, rilevando cascina Monprivato nel Comune di Castiglione Falletto, dove stabilisce la nuova sede dell’azienda, per poi acquistare nel 1919 un antico edificio del XVIII secolo adibito a ghiacciaia, nel Comune di Monchiero, dove viste le condizioni ideali di temperatura, trasferirà la cantina. Nel 1923, Giuseppe Mascarello, figlio di Maurizio, proseguirà nell’attività di famiglia, inizialmente insieme al fratello Natale e alle sorelle Giuseppina ed Adelaide, per poi continuare senza il fratello, mettendo a punto le tecniche di vinificazione, selezionando cloni, estirpando, reinpiantando, puntando sul rovere di Slavonia per gli affinamenti, dedicandosi alla produzione di un Barolo di eccezionale livello e ampliando la propria presenza sui mercati. Una dedizione al territorio che si conferma oggi con Mauro Mascarello alla guida del brand, insieme alla moglie Maria Teresa e al figlio Giuseppe Mascarello, enotecnico, diplomato all’Istituto Tecnico Agrario ed Enologico di Alba nel 1994. Mauro dopo aver affiancato il lavoro del papà per numerosi anni, ha sperimentato diversi sistemi di vinificazione, follature e rimontaggi, per arrivare a scegliere la vinificazione tradizionale lunga, portando i tempi di macerazione, da 60 a 30 giorni, riuscendo nell’intento di riunificare i possedimenti di famiglia, dopo che nel 1979, è venuto a mancare lo zio Natale.

Una realtà produttiva di riferimento nell’areale del Nebbiolo, con produzioni non superiori a 60/65 quintali per ettaro, che da sempre si è imposta un virtuoso codice di comportamento, ponendo al primo posto il rispetto dell’ecosistema e il livello qualitativo, puntando su interventi integrati, concimazioni minime e organiche, potatura secca invernale molto corta, eliminazione primaverile dei grappoli imperfetti, diradamento estivo dell’uva in esubero, raccolta manuale con cernita effettuata in vigna, acino per acino. La fermentazione avviene in modo tradizionale per 12/14 giorni a temperatura controllata, affinando prima in botti di rovere di Slavonia di medie dimensioni e poi 18 mesi in bottiglia. E il risultato è notevolissimo, espressione di un approccio, che ha portato lo storico brand nei contesti internazionali più prestigiosi.

La degustazione

Langhe DOC Nebbiolo di Mascarello Giuseppe e Figlio

Un Nebbiolo sontuoso, old style, da grandi occasioni, incentrato sulla tradizione, che merita compagni di tavolo che sanno cosa bevono. Al naso colpisce per eleganza, complessità, pulizia, morbidezza e un profilo olfattivo dagli intensi sentori fruttati, terrosi, speziati. Al palato fresco, corposo, energico, armonico, di buona acidità, lungo, dalla raffinata trama tannica, con uno stupefacente potenziale di invecchiamento. Un Nebbiolo che si presenta col profilo di grande Barolo.

Vitigni: Nebbiolo 100%

Suoli: calcareo, argillosi, sabbiosi

Allevamento: Guyot

Zona: Comuni di Monforte d’Alba (CN) e di Castiglione Falletto (CN).

Abbinamento: la Terrina di maialino e vegetali acidulati; la Pasta all’uovo, con ragù di cinghiale e cioccolato fondente; i Rognoni di vitello, con purè, limone e rapa rossa; di Luca Marchini, Chef e patron del ristorante L’Erba del re (Modena).

Prezzo bottiglia: 55€ 

E se vi è piaciuto, ecco tre etichette affini, che ho trovato curiose e interessanti:

Giovanni Rosso Nebbiolo

Davide Fregonese Nebbiolo

Cascina Fontana Nebbiolo

L’Alta Langa Docg Metodo Classico Riserva Pas Dosé Millesimato Riserva 2010 Plutone

Langhe, rilievi bucolici perenne fonte di ispirazione per la letteratura, da Cesare Pavese, a Beppe Fenoglio, da Davide Lajolo, a Giovanni Arpino, nessuno scrittore di questa parte del Piemonte ha potuto resistere da dedicare acute riflessioni, a questa gente e a questi luoghi, dove si snodano itinerari mai scontati, intrisi di cultura e di vino, come la Casa natale di Pavese a Santo Stefano Belbo, il Museo delle Langhe di Grinzane Cavour, quello del vino e dei cavatappi a Barolo, ma anche i percorsi Fenogliani, da scoprire camminando, per capire davvero questo pezzo di Piemonte, così denso di storia e cultura. Atmosfere che ritroviamo nel volume di Pavese La luna e i falò, pubblicato nell’aprile del 1950, in un ritorno alle Langhe, che lo scrittore chiamava “il mio Middle West”, insieme alla dura vita rurale, alle sagre contadine, ai falò, alla luna, alle ragazze del paese, ai riti della vendemmia. Langhe da sempre vocate al vino, grazie a una rete di produttori appassionati che hanno saputo lavorare tutti insieme, pur mantenendo le proprie individualità, facendone un’icona. Come la Enrico Serafino, un brand consolidato, forte di una storia che inizia nel 1878, a Canale (Cuneo), grazie alla caparbietà del ventitreenne Enrico Serafino, giunto dal Canavese per realizzare il suo sogno, produrre vino. La cantina viene costruita nei pressi della ferrovia Torino-Genova, pensando in grande, già intuendo che le produzioni artigianali di Barolo, Barbaresco, Metodo Classico, dovranno arrivare lontano, mentre i sotterranei dell’azienda, assolvono oggi come ieri al compito di completare con l’invecchiamento, il naturale ciclo produttivo, affidandosi all’alleato di sempre, il tempo. Il Metodo Classico piemontese, creato nel 1865, si affina, migliora, evolve, per arrivare sulle tavole più blasonate d’Europa, consolidando una reputazione di alto lignaggio, ma è nel 1990 grazie al Consorzio delle Case Storiche Piemontesi, che vengono individuate nelle colline più elevate dell’Alta Langa, le zone più vocate alla coltivazione di Pinot Nero e Chardonnay. Il disciplinare parla chiaro, i vigneti devono essere dislocati ad altezze non inferiori ai 250 metri s.l.m., riportare in etichetta il millesimo e dichiarare il periodo minimo di affinamento sui lieviti, che non può essere inferiore ai 30 mesi. Un selettivo disciplinare in cui si riconoscono i produttori della Docg Alta Langa, ferreo ordinamento, non assimilabile a nessun’altra denominazione di un Metodo Classico. Norme chiare e un progetto ben definito che ha portato la Enrico Serafino a dedicarsi alla sperimentazione per migliorare ancora, selezionando i migliori cloni e terreni, puntando sui vignaioli più virtuosi, guardando al futuro. Profonde radici di un brand, che ha confermato anche in questi ultimi decenni, di saper ispirarsi al pensiero innovatore del fondatore, tenendo fede ai propri principi e alla consolidata esperienza nella spumantizzazione, puntando sul controllo dei vigneti lieu-dit suddivisi in 56 parcelle dislocate in 16 comuni differenti, contando su una quantità importante di riserve di differenti annate, ponendo attenzione a ridurre il più possibile i dosaggi, evitando l’impiego delle Liqueur d’expédition costituite da distillati. Sfiora quasi il secolo e mezzo, l’esperienza nella spumantizzazione della Enrico Serafino, brand che ha saputo conservare un carattere familiare e un’anima artigianale, consolidando una reputazione internazionale e un notevole palmares di riconoscimenti e primati. Dalle cantine dello storico brand, è uscita infatti la prima cuvèe in assoluto di Alta Langa Pas Dosé Zero Riserva e in seguito agli studi sugli affinamenti estremi, è nato Zero140 Riserva Pas Dosé, affinato oltre 140 mesi sui lieviti.

La degustazione

L’assaggio di una cuvèe così innovativa, capace di sfidare il tempo, nata per brindare alle 140 vendemmie, tradisce nel degustatore una certa emozione. Non ci si può non accorgere che ogni azione profusa nel portare a termine il ciclo produttivo, è stata eseguita con una accuratezza fuori dall’ordinario, che ritroviamo in un sorso di straordinaria eleganza. L’attenzione del maitre de cave verso la corretta esecuzione delle metodologie produttive, è sinonimo di lavoro accurato, a partire dalla viticoltura sostenibile applicata in campagna, alle viti che hanno un’età di circa 28 anni, alla raccolta delle uve interamente manuale, al processo di fermentazione, avvenuto dopo che i grappoli d’uva sono stati selezionati a mano e pressati delicatamente in ambiente inerte con azoto. Fino al mosto, lasciato a fermentare sulle fecce in vasche di acciaio inox per 6 mesi con bâtonnage, a cui seguirà la presa di spuma con il metodo tradizionale in bottiglia, l’affinamento sui lieviti per almeno 140 mesi e la sboccatura tardiva, senza alcuna liqueur d’expédition. Quella che ci troviamo a vivere è un’esperienza assoluta, che già dal naso si rivela completa e appagante, rivelando ampiezza, complessità, profondità, con sentori di cedro, mango, chinotto, miele di acacia, noci pekam e crosta di pane, insieme a nuances speziate e floreali, lievi ed eteree. Al palato nessuna battuta d’arresto, anzi, continuità e armonia, con una bolla finissima, un sorso complesso, evoluto, pieno, burroso, ma anche elegante e intenso, con una mineralità inattesa e un finale entusiasmante che si protrae a lungo. Uno dei migliori esempi di Alta langa che ho assaggiato fino ad oggi, una super bottiglia, da gustare con chi ne capisce davvero (meglio non freddissima).

Vitigni: 85% Pinot Nero – 15% Chardonnay

Suoli: in prevalenza calcareo – argilloso

Allevamento: Guyot

Zona: Mango, Loazzolo, Bubbio

Abbinamento: la zucca di Hokkaido, con trota, tè affumicato e cipolla marinata; il luccio mantecato, con foglie di cappero e intingolo all’aglio dolce; la sbrisolona, come una lemon tarte, con gelato al limoncello e capperi canditi, a cura dell’Executive Chef Alfio Ghezzi e del Resident Chef Akio Fujita, del ristorante Senso – Eala Lake Garda (Limone).

Prezzo: 149€  

E se vi è piaciuto, ecco tre etichette affini, che ho trovato curiose e interessanti:

Franciacorta Cabochon Brut RoséMonterossa

Quinto Passo Brut Cleto Chiarli & Co.

ComitissaLorenz Martini

Il Barolo di generazione in generazione

Quella dell’azienda Elvio Cogno è una bella storia da raccontare, una storia di intraprendenza e valori d’altri tempi, giunta fino a noi attraverso il susseguirsi delle generazioni. Il tutto ha inizio nella pittoresca cittadina di La Morra, nelle Langhe Piemontesi, dove Elvio Cogno, classe 1936, è il titolare del Ristorante dell’Angelo. Quello che viene servito in tavola ai clienti è l’ottimo vino che la famiglia Cogno produce da sempre per passione, un buon mezzo per impiegare il tempo libero e per smussare i costi che la gestione di un locale comporta.

Negli anni ’50 tuttavia, grazie al sostegno di un socio e al crescente plauso che circonda le bottiglie, Elvio Cogno ha la sua personale epifania e decide di lasciare l’industria della ristorazione per occuparsi della produzione di vino, iniziando una collaborazione con la tenuta Marcarini. Il principio che guida ogni suo intento è chiaro fin da subito: valorizzare l’immenso potenziale dei vini delle Langhe. Potenziale che a quel tempo ancora in pochi riescono a vedere. Un primo atto in questo senso si ha nel 1964, quando è tra i primissimi a decidere di etichettare i suoi vini con il nome del vigneto, Vigna Brunate nel caso specifico, così da esaltare il carattere unico del vino e del terroir da cui proviene.

Innamoratosi di Cascina Nuova in località Ravera, un fatiscente casolare posto alle pendici del paese di Novello, Elvio Cogno prende il coraggio a due mani e si mette in proprio, ricominciando di nuovo dall’inizio nonostante i venerandi sessant’anni di età che gli pesano sulle spalle. Al suo fianco la figlia Nadia e il marito di lei, Valter Fissore. Vede così la luce nel 1995 la prima bottiglia di Barolo Ravera, il primo a portare in etichetta una menzione geografica, un’innovazione che sarebbe stata regolamentata ufficialmente soltanto anni più tardi.

La filosofia produttiva di Cogno rimane profondamente radicata nella tradizione, prevedendo lunghe fermentazioni e invecchiamento in grandi botti. L’approccio alla terra, tuttavia, è profondamente innovativo per il tempo. Si indagano le dinamiche che sottendono il rapporto tra la vite, il viticoltore e l’ambiente; si cerca di comprendere a fondo quello che ai giorni nostri, più semplicemente, chiamiamo terroir.

Un approccio che ai giorni nostri viene perpetrato da Nadia, Valter e la figlia Elena, che con due generazioni di sperimentazione ed esperienza alle spalle, continuano a produrre vini profondamente legati al loro territorio, con un crescente impegno per la sostenibilità in ogni fase della produzione.

Con quattro distinte etichette di Barolo prodotte nella denominazione Ravera —Vigna Elena, Bricco Pernice, Cascina Nuova e Barolo “Ravera”—, l’azienda Elvio Cogno oggi detiene con orgoglio la maggiore superficie vitata della sottozona. Una gamma completata dagli altri vini tradizionali del territorio (Barbera, Barbaresco, Dolcetto e Nebbiolo), con una particolare attenzione riservata alla Nas-cëtta, vitigno autoctono di Novello pressoché andato perduto e vero e proprio feticcio di Valter, che ha combattuto una lunga battaglia per legittimarne la coltivazione (battaglia vinta e poi sfociata nella nascita di un consorzio di produttori che oggi ne promuove e tutela l’identità).

Barolo Ravera

Il Barolo Ravera nasce nello storico “cru” di Novello, su quel “Bricco Ravera” che ospita altresì il cascinale di famiglia e gli undici ettari di vigneti di proprietà. L’assaggio di quattro differenti annate si è rivelato il metodo di indagine ideale per coglierne tutte le sfumature gusto-olfattive, che da un lato dimostrano la coerenza gustativa di un vino di fatto proveniente dallo stesso vigneto, e dall’altro l’influenza della particolare annata sul suo carattere complessivo.

Barolo Ravera 2019

Nonostante la giovane età, l’annata 2019 mostra già i primi tratti dell’eleganza e della profondità che contraddistinguono i vini di questa azienda. Se allo stato attuale è tutto un barcamenarsi tra timide note scure di mora e mirtillo, con qualche fugace incursione balsamica e speziata, già si intravede il longevo futuro di questo vino. Aspettate qualche anno e vedrete.

Barolo Ravera 2016

Particolarmente pronta ed espressiva l’annata 2016, una bottiglia che affascina per la sua immediatezza e il suo perfetto equilibrio. Le note olfattive sono nette, con prugna e rosa canina che prevalgono su uno sfondo già molto più complesso della bottiglia precedente. La rotondità aumenta, così come il tannino, la cui trama si infittisce. Una bottiglia di grande eleganza e bevibilità.

Barolo Ravera 2013

La 2013 è la più austera delle annate in degustazione. Col trascorrere dei minuti si apre lentamente, mettendo in mostra fugaci accenni della sua personalità. Anche in questo caso è evidente come questa bottiglia offrirà piacevoli sorprese negli anni a seguire; già adesso, tuttavia, colpisce per i tratti sottili e di estrema finezza. Mora, prugna, tabacco, cuoio e ancora note mentolate e liquirizia. Il tutto delicatamente accennato, con un gusto che si fa via via più rotondo e profondo.

Barolo Ravera 2010

Gli anni che iniziano ad accumularsi sull’annata 2010 la rendono una bevuta di livello superiore. Sia chiaro, l’invecchiamento di cui può godere questo vino è lontano dall’essere concluso. Al palato dimostra una vivacità tale da sembrare ancora imberbe, ad ennesima dimostrazione della sua estrema longevità. Ogni componente è in un equilibrio di grande precisione: il tannino è fittissimo, ma setoso; la rotondità e la dolcezza aumentano, ma sono perfettamente stemperate dalla bella freschezza e da una spiccata sapidità. Il colore è il più concentrato, così come l’intensità degli aromi, che aumentano anche di complessità. Mora, prugna, mirtillo, rosa canina, caffè, tartufo, cacao, mentuccia… un tripudio olfattivo che trattiene il naso nel calice.

* I vini di Elvio Cogno sono distribuiti da Sarzi-Amadè.

Un piccolo gioiello nell’Alta Langa

I posti autentici nelle Langhe si possono contare sulle dita di una mano, nonostante il successo di questa regione dal punto di vista enogastronomico. Infatti, tolta la ristorazione di fascia alta e altissima, sono pochi i locali dove si può trovare una cucina tradizionale autentica e ben eseguita. La Locanda dell’Arco è una delle poche eccezioni: qui è sempre un piacere tornare e vivere a pieno le emozioni che questo fortunato territorio può donare, sia nel piatto che nel bicchiere.

Il locale può ospitare una trentina di coperti e prende il nome Locanda dell’Arco dalle tipiche volte al soffitto. L’atmosfera è quella autentica della trattoria e non è raro trovare tavolate di avventori che si sono spinti fin qua su. La carta è snella e a pranzo c’è la possibilità di scegliere un menù completo con due o tre alternative per ogni portata a un prezzo molto abbordabile. Durante il periodo autunnale è ovviamente presente una selezione di piatti pensati per essere abbinati al tartufo bianco.

Connubio perfetto tra cucina e cantina

Si inizia con antipasti dai sapori schietti come il Peperone ripieno oppure la Battuta di carne, di ottima qualità, con lamelle di tartufo nero. I primi piatti, pur restando nel solco della tradizione, risultano ben pensati e mai banali come le Tagliatelle di farina di castagne con i fegatini oppure il Tagliolino con zucca e porri. Tra i secondi c’è la possibilità di assaggiare un superlativo Coniglio ruspante in umido, tenero e saporito. Di ottima fattura anche i dessert, dal tradizionale Semifreddo alla Crostatina pere, castagne e rosmarino, davvero notevole.

Parte integrante della Locanda è la carta dei vini con una notevolissima profondità di annate sulle etichette piemontesi e con prezzi che invitano a stapparle. Il servizio di sala è molto competente e attento, pur conservando l’informalità che si addice a questa tipologia di locale.

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Una cucina sincera nel cuore delle Langhe

Nel cuore delle Langhe, nel comune di Serravalle, i fratelli Dellaferrera sono gli artefici di questo avamposto gastronomico in cui è sempre un piacere fermarsi. Parliamo di La Coccinella, una trattoria moderna con una proposta di cucina tradizionale ma al tempo stesso ricercata.

Di fianco, infatti, a una classica proposta legata al territorio c’è un’insolita proposta ittica a base di pescato del Mediterraneo, e, durante il periodo autunnale, alcuni piatti a base di tartufo bianco. Il locale ha due salette, riscaldate da un fascinoso camino, a cui si accede dopo aver superato un bancone bar all’ingresso. Si viene accolti da un servizio puntuale ma al tempo stesso non invadente, che mira a comprendere i desideri degli avventori e metterli a proprio agio.

Il tempo vola in fretta alla tavola di questa trattoria assaggiando delle delicate Acciughe marinate oppure una sostanziosa ma elegante Cipolla al sale ripiena con un fondente capocollo di maiale. Meritano il bis di diritto i “Macaron del fret”, ovvero una sorta di fusilli lunghi fatti a mano conditi con un saporitissimo ragù bianco di coniglio. Si potrebbe recriminare una certa fissità al menù, che difatti non varia mai molto, ma il Fritto di scamone, zucca e porcini, per morbidezza e bontà, sarebbe difficile da sostituire.

Bella e intelligente la carta dei vini, con ricarichi corretti e alcune belle opportunità per gli avventori più attenti e curiosi.

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