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Ristorante Del Lago

Un’isola gourmet sull’Appennino Tosco Romagnolo

Bagno di Romagna è un borgo dell’Appennino Tosco Romagnolo dove, nei pressi del lago di Acquapartita, si trova l’Hotel Del Lago, con annesso l’omonimo ristorante, attivo dagli anni ’70. Recentemente rinnovato, ha un arredamento essenziale con una grossa vetrata nella sala da pranzo che dà direttamente sulla cucina. A capo dei fornelli ci sono Paolo Bravaccini e sua moglie Catia Bartolini, aiutati dal secondogenito Simone. I prodotti locali sono protagonisti indiscussi di questa tavola, proposti in maniera tradizionale e trasformati con un’ottima tecnica. Non manca, tuttavia, la voglia di osare con alcune proposte innovative pur tenendo saldo il rapporto col territorio.

Una grande storia di famiglia

Vi sono tre percorsi degustazione (“Classici“, “Caccia” e “Menù di stagione“) a cui si affianca una proposta alla carta non troppo estesa. Tra gli antipasti del nostro percorso ci ha colpito, nella sua semplicità, il Carpaccio di cervo con frutti rossi, dove il selvatico è stato domato alla perfezione. Opulento, invece, l’Uovo di quaglia fritto su purè di topinambur e nocciole impreziosito, alla fine, con qualche scaglia di tartufo bianco.

Alcuni passaggi sembrano ispirarsi ai grandi classici della moderna cucina italiana, come nel caso dei Tortelli ripieni di carbonara, dalla sfoglia forse un po’ troppo spessa. Eccezionale il Risotto al ragù di colombaccio intenso e dal sapore autentico. Buoni i dolci come la classica Millefoglie scomposta ma interpretata correttamente.

Un capitolo a sé merita il servizio guidato dal primogenito dei proprietari, Andrea Bravaccini, ragazzo dal fare impeccabile che lascia trasparire al tempo stesso tutta la passione per il mondo della sala e relativo culto dell’accoglienza. È sempre lui ad occuparsi della cantina, con una fornitissima carta dei vini che contiene referenze proposte a ricarichi più che onesti.

Benché, tuttavia, il ristorante Del Lago sia una classica insegna dove si sta molto bene e dove si nota il prezioso contributo della nuova generazione e delle sue fresche energie ci è parso che, complice il delicato passaggio tra il passato e futuro, la cucina pecchi ancora di una sua identità ben definita, come se ci si trovasse esattamente a metà strada. Vogliamo tuttavia premiare questi sforzi arrotondando per eccesso la valutazione. 

La Galleria Fotografica:

Cucina molecolare ma non solo… al servizio di un albergo da sogno

Sono trascorsi circa 15 anni da quando Ettore Bocchia, in collaborazione con il fisico Davide Cassi, lanciò il suo menù di cucina molecolare creando sette diverse tecniche di cucina che avrebbero permesso di coniugare al massimo livello risultato gustativo e rispetto assoluto della materia prima. Nacquero così piatti eccellenti come il Rombo assoluto cotto nello zucchero, dei quali giustamente tanto si parlò, e ne parlammo anche noi.

Ad aumentare il fascino della proposta il fatto che questa nuove tecniche di cucina venivano (e vengono) elaborate in una cornice che più classica è difficile immaginare, tra gli sfarzosi saloni, i marmi e le statue dell’Hotel Villa Serbelloni a Bellagio. O, quando la stagione lo permette, sull’elegantissima terrazza adagiata sul lago in uno scenario naturale di struggente bellezza e classicità. Ma il Mistral non era (e non è) solo il menù di cucina molecolare. E’ anche una carta ricca di preparazioni classiche tra cui veri e propri capolavori come i famigerati Tortelli di pavone.

Si sarà capito che per noi, ma non solo, Ettore Bocchia è un Cuoco con la C maiuscola. La sua preparazione, il suo rigore, le sue capacità tecniche non sono in discussione. Il suo menù molecolare resta un gran menù, con piatti eccellenti come i Bocconcini di gamberi rossi con gelato (molecolare) al guacamole, crema di cocco e cialde al nero di seppia. Così come non sono in discussione le materie prime che qui sono di livello eccelso. Senza alcun genere di compromesso. Provare il Vitello cotto a bassa temperatura con zabaione all’inulina per credere!

No, non sono in discussione le capacità del Cuoco, la bellezza del contesto, l’eccellenza delle materie prime, il grande livello del servizio in sala guidato da un fior di professionista come Carlo Pierato né la competenza del giovane sommelier Emanuele Ornaghi nel gestire una carta di grande livello, in grado di soddisfare qualsiasi esigenza.

Però riteniamo sia lecito chiedersi, dopo un po’ di anni, che ne è stato di quel fermento, di quella scintilla creativa che portò nel 2002 alla creazione di quel menu di cucina molecolare che nel tempo non è mai cambiato, non si è mai evoluto. Sette piatti o poco più, eccellenti certo, che almeno una volta nella vita ogni gourmet che si rispetti dovrebbe provare, senza dubbio, ma che da anni ormai è uguale a se stesso. E così anche l’opuscoletto dedicato alla Cucina Molecolare che viene consegnato ai clienti insieme alla Carta ormai lascia il tempo che trova.

E anche la Carta non è molto più dinamica, con i fantastici Tortelli di pavone ancora assoluti protagonisti. Se a distanza di anni anche il cestino del pane, i grissini, l’olio, i pomodorini e le cialde serviti al centro della tavola sono esattamente identici a sè stessi, il dubbio che dietro vi sia una precisa scelta di tipo imprenditoriale non può che farsi strada.
La nostra impressione è che il Grande Albergo, negli anni, abbia assorbito ed “incatenato” il ristorante creativo. D’altra parte non è un caso se in origine il ristorante dell’albergo era “La Terrazza” in cui, in un ambiente estremamente elegante, lo chef proponeva una cucina di ispirazione classica, mentre al Mistral in un ambiente più informale lo chef proponeva il suo menu molecolare ad una clientela più spiccatamente gourmet.
Oggi, “la Terrazza” non c’è più ed il Mistral è diventato a tutti gli effetti il ristorante dell’Hotel Villa Serbelloni, la cui mission è dichiaratamente quella di coccolare e viziare una clientela estremamente facoltosa – e per la quasi totalità straniera – che non di rado, si racconta, la mattina fa pervenire alla cucina i propri desiderata per la cena, prescindendo totalmente dalla Carta.
Noi, che fummo tra quelli colpiti dalla scintilla delle capacità creative di Bocchia, vogliamo pensare che questo, in fondo, sia solo un “periodo sabbatico” e che il Mistral tornerà a soffiare impetuoso tra le eleganti sale dell’Hotel Villa Serbelloni.

 

Una cucina creativa di mare… sul lago

Era il 2004 quando un giovanissimo Fabrizio Ferrari iniziò a prendere in mano le redini del ristorante di famiglia. Al porticciolo 84 (il 1984 è l’anno di nascita del ristorante) era il punto di riferimento in zona per gustare del buon pesce. Ottima materia prima, cucina di impronta tradizionale, una clientela ormai consolidata, tra i piatti simbolo una ricchissima grigliata di pesce.
Il giovane Fabrizio però manifestò da subito la sua intenzione di determinare un cambio di rotta verso una cucina diversa, in cui poter esprimere tutta la sua creatività e le tecniche apprese nelle sue esperienze in importanti cucine in Italia e all’estero (tra cui Uliassi e il Noma di Redzepi).
La rivoluzione non poteva che essere graduale.

Per un non breve periodo i piatti di impostazione moderna e creativa si sono affiancati a quelli che erano i cavalli di battaglia del locale. La necessità di non spiazzare la clientela abituale -in una zona, peraltro, storicamente poco incline ad ogni forma di sperimentazione in cucina- determinò la necessità di far forzatamente convivere due anime nella stessa cucina.
La transazione è ormai ampiamente compiuta ed oggi il Porticciolo 84 è a tutti gli effetti il ristorante di Fabrizio Ferrari e della sua compagna di vita Anna Valsecchi che si occupa in maniera impeccabile del servizio in sala.
La famosa grigliata mista (che era peraltro molto buona) è scomparsa dalla carta e la linea di cucina è oggi quella di Fabrizio, senza più compromessi. Una cucina in cui al centro resta comunque l’Ingrediente: quel pesce marino di cui lo chef è un grande conoscitore.

In carta, a parte i notevoli crudi, dieci piatti. Al centro dei quali dieci diversi ingredienti marini a cui si uniscono una serie di elementi di contorno.
C’è spesso un tocco di oriente, rilevanti le speziature, notevoli le componenti acide, esasperati i contrasti. Una cucina senza dubbio originale, di buona personalità con piatti che riescono quasi sempre a raggiungere un ottimo equilibrio gustativo. Diciamo “quasi” perché a volte il bravo Fabrizio sembra perdersi in qualche ingrediente di troppo, smarrire la strada diretta verso il gusto a vantaggio di una ricerca, che può apparire talvolta forzata, dell’elemento “diverso”, della chiave aromatica spiazzante.
Ma ci può stare, stante il coefficiente di difficoltà e la abbondanza di elementi e di contrasti che caratterizza la gran parte delle preparazioni.
Il piatto della serata, quello con la P maiuscola, si e rivelato senz’altro la Razza servita con salsa olandese, caviale di lampone, olive taggiasche croccanti e finocchio, molto elegante e intenso con la (moderata) acidità del lampone che ben si sposa con la grassezza di una salsa olandese perfettamente eseguita. Una menzione la meritano anche gli assaggi iniziali, anch’essi alquanto compositi come da cifra stilistica dello chef ma molto centrati e ben eseguiti, in particolare la Spugna di arachidi, maionese di cozze, polvere di barbabietola e cetrioli, una vera e propria carezza per il palato e la Crema di melanzane, uova di salmone, olio al peperone grigliato e gelsomino, con le uova che si rompono in bocca rilasciando tutta la loro intensa carica gustativa.

Una cucina coraggiosa, non banale, molto personale, a volte imperfetta, ma in fondo va bene anche così.

«Ci sono momenti nei quali l’arte raggiunge quasi la dignità del lavoro manuale»
Oscar Wilde

Aforisma che introduce ad una riflessione ed un contradditorio che spesso è in uso fare nell’alta cucina. E che a nostro modo di vedere la risolve. Perché può essere benissimo preso come riferimento e definizione del lavoro dell’Artigiano. Colui che si caratterizza per il suo lavoro manuale, che costruisce con la materia che lavora un rapporto di seduzione reciproca, esibendo una confidenza atavica con essa fatta di conoscenze e abilità manuali, ma anche e soprattutto di rispetto per il contesto.
Il fine ultimo dell’artigiano non si esaurisce con la produzione dell’oggetto, da cui trae sussistenza e prestigio, ma si collega indissolubilmente ad una caratteristica fondante della cultura artigiana -la maestria- che incorpora un istinto primordiale elevante dell’animo umano, il desiderio di svolgere al meglio un lavoro per se stesso, la passione e la cura estrema che fa tendere la propria anima verso la trascendenza, verso il divino.

La maestria difatti non è solo frutto di mera manualità, ma richiede conoscenza (oltre che allenamento), doti innate e tanta dedizione. E più la ripetitività di un gesto tende alla perfezione tanto più quel gesto diventa una forma di meditazione in movimento.
Di avvicinamento alla perfezione divina.
“Possedere” una tecnica, una materia, conoscerla nel profondo è un atto sia materiale ma anche e soprattutto immateriale. L’opera dell’artigiano è la trasformazione della materia inerte in un artefatto, utile, bello e dai significati profondi.

Una serie di pensieri e riflessioni che sono scaturite dalla folgorazione di molti di noi, ormai perpetrata da qualche mese a questa parte, durante l’ultimo atto vissuto al ristorante Lido 84.

Riccardo Camanini è ciò che per noi rappresenta la massima espressione dell’artigiano in cucina.
Colui che si annienta nel gesto continuo e ripetitivo, che tende sempre alla perfezione stilistica e analitica, che affonda le mani piene e umide nella materia entrandone in simbiosi.
Conoscendo a fondo la materia e le sue derivazioni gustative, ma anche di forma e consistenza, si entra in possesso della maestria. Che non è altro che la capacità di costruire il palato compositivo, assemblando ingredienti come elementi gustativi che concorrono ad un tutt’uno che non sarebbe stato possibile raggiungere senza queste doti.

Ecco così apparire equilibrio, forme e consistenze perfette laddove nessuno mai avrebbe immaginato ci fossero. Composizioni costruite a volte, e qui la faccenda si fa ancora più divertente, con elementi poveri, quasi a costo zero, privi del valore che un tempo invece aveva decretato il successo della cucina di palazzo filo-francese.
Al bando quasi la totalità delle proteine animali, se non per piccoli passaggi e quasi relegati a mera consistenza, i veri protagonisti gustativi diventano incredibilmente altri. Poveri, bistrattati e umili elementi elevati a protagonisti del gusto. In una fusione che spesso porta ad una elevazione a potenza, e non una semplice somma, gli elementi stessi.

Genio? Può essere.
Talento innato? Anche.
Lavoro continuo e costante di contatto con la materia? Assolutamente si.

Un pizzico di tutto questo forma il vero talento in cucina, che esprime poi una personalità prorompente, una capacità di mettere in sequenza i piatti nel menù, a spasso con il gusto, ed una lucidità e limpidezza gustativa impressionanti.
Tutto questo, e dopo innumerevoli passaggi ci sentiamo di poterlo dire, è per noi Riccardo Camanini.
Il nostro ultimo pranzo, ma potremmo parlarvi con gli stessi toni e la stessa enfasi di tutta la lunga fila di quelli che, nei mesi scorsi, ci ha visto a figure alterne calcare il palcoscenico del Lido 84, è stato un concentrato di stimoli e di sensazioni che difficilmente è possibile provare in un ristorante oggi… se non attraverso la ristretta cerchia dei grandissimi artigiani della cucina italiana.

Cannoli di alga nori ripieni di pesce…
cannoli di alga, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
…cialde di Parmigiano, quinoa soffiata.
cialde di parmigiano, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Il pane, davvero sublime. Difficile far meglio.
pane, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Crema di pastinaca, frutto della passione.
Quando un benvenuto dice tutto: senso del gusto, delle proporzioni e degli abbinamenti. Un rincorrersi di equilibri precari che trovano una inaspettata unione e una notevole profondità gustativa, con la lieve dolcezza della pastinaca allungata dalla persistente nota acida del frutto della passione, dall’elevata concentrazione.
crema di pastinaca, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Pane, pomodoro e basilico. Acqua di pomodoro concentratissima, pane stupefacente, basilico nano profumatissimo.
pane pomodoro e basilico, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
L’ormai signature dish di Camanini: spaghetti, burro e lievito. Anche qui spicca il senso delle proporzioni, per un mix fenomenale.
spaghetti burro e lievito, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Riso all’aglio nero fermentato , frutti rossi e carbone vegetale. Tecnica giapponese di fermentazione e ossidazione dell’aglio che, unita agli altri ingredienti, restituisce un finale da sottobosco. Un risotto ai funghi porcini, senza i funghi porcini. Geniale!
riso all'aglio nero, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Baccalà, limone, pane e ceci. Baccalà cotto alla perfezione e salsa morbida e vellutata, con la lieve nota aspra e lo splendido tocco della mollica di pane, umida e leggera, a spezzare e variare in continuazione la texture del pesce, nonché allungare la persistenza della salsa.
baccalà, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
La “Melanzana alla Parmigiana”, piatto presentato a Le Strade della Mozzarella.
Golosa ma leggera rilettura di un classico, con la melanzana cotta intera a 400°, che si mantiene umida solo grazie ai suoi umori, tagliata e finita direttamente al tavolo con olio, colatura di alici, pomodoro San Marzano e Parmigiano Vacche Rosse 24 mesi.
melanzana alla parmigiana, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
melanzana alla parmigiana, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
melanzana alla parmigiana, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
melanzana alla parmigiana, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
melanzana alla parmigiana, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Coda di bue al cucchiaio con radice di prezzemolo. Tecnica di cottura iperclassica per la coda, cotta con le ginocchia di vitello per apportare collagene. Boccone colloso, compresso, golosissimo, con la radice di prezzemolo, resa morbida e ariosa (ma ancora lievemente croccante) dalla cottura, per rendere masticabile il tutto. Tradizione, tecnica, pensiero.
coda di bue, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
La bottiglia che ci ha accompagnato durante il pranzo, e parte del giardino.
vino, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Capitolo dessert più classicheggiante, ma non per questo meno stimolante, tutt’altro.
Torta bruciata, come una crème brûlée al cioccolato, cioccolato alle arance, cialde di zucchero muscovado, con le cialde che vengono bruciate con un ferro rovente al tavolo. Piacevole ed evocativo, molto goloso ma non ridondante.
dessert, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Torta di rose cotta al momento, con zabaione al Vov e limoni del Garda.
Che dire?
torte di rose, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
zabaione al vov, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Con il caffè niente piccola pasticceria, ma una eccellente torta di nocciole, senza glutine né lattosio, praticamente soltanto nocciole, zucchero e uova.
torta di nocciole, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Il dehors esterno, dove si mangia con la bella stagione…
dehors, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
…e alcuni scatti della sala, in continuo rinnovo. Spiccano le numerose piccole installazioni ed alcuni oggetti d’arte, oltre che i numerosi libri di cucina dalla biblioteca di Riccardo.
interni, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
interni, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
interni, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Tavolo vista lago, dicevate?
tavolo a vista, Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera
Lido 84, Chef Riccardo Camanini, Gardone Riviera

La rentrée di Paolo Lopriore si è senza dubbio rivelata, e non poteva essere che così, uno degli eventi più rilevanti di un 2014 gastronomico che, soprattutto intorno a una Milano in preda alla febbre pre-Expo, sta regalando le maggiori sorprese in dirittura d’arrivo. Lasciatisi indietro Siena e le peripezie ivi affrontate negli ultimi anni, lo chef di Appiano Gentile è ripartito praticamente da casa, da quella Como che non ha sembrato finora portare troppa fortuna ai ristoratori che vi abbiano intrapreso progetti volti all’altissima qualità.

A sei mesi dall’apertura è ora tempo di stilare un primo, positivo bilancio dell’avventura di Lopriore in riva (o quasi, giacché l’hotel che ospita il ristorante si trova appena all’interno del lungolago) al Lario. Fondamentale, nell’inevitabile confronto fra le performance fornite alla Certosa di Maggiano e quelle cui abbiamo assistito a Como, è il considerare l’insieme a partire dall’enorme differenza che corre fra i due territori. Le spigolosità viste a Siena, con l’esclusione della parentesi “rassicurante” del 2013, vengono qui attutite, come assorbite dall’aria di lago che tutto ovatta e smussa, lasciando spazio, anche nei momenti gastronomicamente più audaci, alla discrezione lombarda più che all’estroversa schiettezza toscana.
Questo non vuol dire in alcun modo che la cena si svolga nella noia, anzi! Solo che la scelta espressiva, ci si consenta il paragone, pare andare, con uno chef per sua natura poco incline al titanismo di Beethoven o di Wagner, in direzione del rarefatto simbolismo debussiano più che del pungente sarcasmo à la Satie che era il marchio di fabbrica delle sue creazioni senesi.

L’apertura del menu degustazione, da noi richiesto in questa occasione in versione ampliata rispetto ai 5 passaggi previsti dalla carta, marca già la differenza fra le suggestioni offerte dai due territori (parliamo di sensazioni, non di km 0): distante anni luce dall’ardito gioco iodato-amaro della storica insalata di erbe, alghe e radici vista in toscana è l’insalata di melone bianco, sedano e cetrioli, che gioca sulla dolcezza, su un amaro assai moderato e, soprattutto, su note balsamiche e salmastre.

Da applausi le due incursioni sul terreno, o meglio nel bacino, della cucina lariana: tanto il cavedano, supporto ad un tripudio di mandorle, radici, albicocche ed alloro che vede il seme oleoso tanto caro a Lopriore sotto l’occhio di bue e gli altri a passare la battuta, quanto il riso in cagnoni e persico in veste nipponica, si distinguono in un percorso di livello medio comunque assai elevato.

L’idea è che ci sia ancora un notevole margine di miglioramento per questa cucina. Un’impressione corroborata, oltre che dal ricordo delle migliori cene senesi, anche dalla costante crescita riscontrata lungo le numerose visite di questi mesi.
La scelta o, meglio, l’esigenza espressiva ed autoriale di interpretare il territorio più che limitarsi a descriverlo è d’altronde una strada lunga e tremendamente in salita. Siamo già ad un ottimo punto, ma, malgrado il nostro malcelato affetto per Paolo Lopriore, per questa volta decidiamo di arrotondare il punteggio per difetto, in modo da poter in un prossimo futuro dar conto di quella che ci attendiamo come la naturale evoluzione.

Anche il servizio, tutto al femminile in occasione di un sabato sera di tutto esaurito, sta man mano prendendo forma e trovando sintonia con una cucina che richiede da parte della sala, per le poche possibilità offerte tanto dalla carta delle vivande quanto da quella dei vini, un surplus di complicità e interazione. Forte di un rapporto qualità prezzo estremamente favorevole in relazione alla bellezza del luogo e al valore della cucina, Kitchen si impone comunque già così come una delle migliori tavole rintracciabili in Lombardia.

L’aperitivo secondo Paolo Lopriore: uno sferzante drink al sambuco.
aperitivo, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
…da accompagnare con gli usuali snack, con la polvere di semi di zucca da prendere con le dita.
snack, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
La Valtellina non è distante e così fa la sua comparsa a tavola uno sciàtt, servito su un brodo di abete rosso.
sciatt, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Insalata di sedano, melone bianco e cetrioli.
insalata di sedano, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como

Un colpo di genio venato di ironia: spaghetto alla lombarda, con prezzemolo, limone e parmigiano. La pasta, di popolare marchio commerciale facilmente riconoscibile e praticamente insapore, diventa puro veicolo di una salsa multisfaccettata in cui i semi di prezzemolo, amplificati dal burro, danno un’estrema lunghezza gustativa.
spaghetto alla lombarda, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Cavedano, radici, albicocche, mandorle e alloro.
cavedano, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
L’intingolo dell’anatroccolo (gradito omaggio dalla cucina)
anatroccolo, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
L’aromatico luccio con salsa olandese (strepitosa), cannella e chiodi di garofano.
luccio, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
La ciotola in attesa di uno speziatissimo brodo
brodo speziato, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
in cui preziosi bocconi di capriolo
bocconi di capriolo, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
andranno calati come in uno shabu shabu.
shabu shabu, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
A contorno una sinfonia d’autunno: porcini e zucca
porcini e zucca, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
e in un gagnairiano quadro d’insieme, una crema di castagne di cui avremmo gradito un bis e poi un ter.
Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como

Il Lario visto dal Giappone: riso in cagnoni con persico, col non trascurabile dettaglio di un concentratissimo “wasabi” di salvia.
lario, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Predessert: uovo e frutto della passione.
predessert, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como

Millefoglie di mela, un dessert in cui la mela è un poco scarica rispetto ai contrasti di sapidità dati dalle cialde e dal mascarpone maison.
millefoglie, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Uno dei nostri compagni di viaggio, insieme a Les Murgiers di Francis Boulard.
giulio ferrari, Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como
Kitchen, Chef Paolo Lopriore, Como