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La Madernassa

La nuova Madernassa dei fratelli D’Errico

Siamo a Guarene, nel Roero, a sinistra idrografica del fiume Tanaro – è bene sottolinearlo – in un resort di lusso, che con il suo ristorante d’élite ha fatto parlare tanto e continua a farlo. Dalla partenza per altri lidi di Michelangelo Mammoliti che, proprio a La Madernassa, si è guadagnato due stelle Michelin, la proprietà si è trovata a dover ripartire daccapo e, dopo molti mesi, la scelta è ricaduta sui due fratelli D’Errico, Giuseppe e Francesco.

Un duo fatto di mente e pratica: Giuseppe, dopo esperienze internazionali e una preparazione all’ALMA, lavora a Roanne da Marco Viganò e quindi da Troisgros, dove a 25 anni è già sous chef. Quindi approda nelle Langhe, dove il trentacinquenne campano accetta una sfida duplice: da un lato con se stesso – dalla formazione alla guida di una brigata per sviluppare un nuovo e personale progetto – dall’altro quello di mettersi al servizio di una  clientela abituata a una cucina più sofisticata, simile a quella del suo predecessore. Ma il cambiamento, molto spesso, è un’opportunità, e Ivan Delpiano, attuale CEO de La Madernassa, lo ha capito bene. Tre i menù proposti, quello a “Mano Libera“, il “100% Natura” e il “Vegetariano“, con l’opzione di scegliere alla carta.

Quanto al luogo, La Madernassa è un ristorante immerso nella natura, al centro di una collina. Tra le strutture più virtuose se guardiamo alle iniziative messe a segno c’è l’energia elettrica prodotta in proprio, la riduzione della plastica, il contenimento della temperatura e il riscaldamento, fino alla gestione di una vigna, un orto, una serra e un bosco autoctono, con l’obiettivo di abbassare la presenza di CO2 nell’atmosfera e aumentare la produzione di O nonché di coltivare essenze utili per la cucina del ristorante. Il tutto per un totale di 5mila mq.

Una cucina golosa, intensa, rafforzativa dei gusti delle materie prime

Nei piatti c’è senza dubbio una grande tecnica, elemento tra i più caratterizzanti di una cucina che mette al centro sempre un ingrediente specifico, rinforzandone il gusto. Fino ad estremizzarlo ma restando (quasi sempre) in equilibrio. Tra le entrée, oltre a un amuse-gueule leggermente salato all’esterno, per contrastare la zucca al suo interno, una Tartelletta alla carbonara in cui, a nostro avviso, la pasta frolla appariva leggermente appesantita; v’è pure un godurioso Tartufo alle castagne ma a meritarsi il bis è senza dubbio il Carpaccio di fassona affumicata con pane croccante e burro all’acciuga, dal morso netto e morbido, nonché tra i pochi gusti che riportano al territorio in cui lo Chef si trova a operare, e dove ci si aspetta un approfondimento in tal senso.

L’idea di Giuseppe di concentrarsi sui sapori con fermezza è più che vincente ma il Piemonte offre molti ingredienti coi quali poter sperimentare maggiormente una cucina identitaria come quella che già appare. Infatti, nel caso del Dripping di Gamberi – i gamberi di Marzara del Vallo sono di Paolo Giacalone – con arancia, cipolla in agrodolce e pralinato di cipolla, il palato resta fermo sulla sensazione sapida, intensa. Piatto pensato per giocare sulla persistenza di un gusto penetrante, realizzato con grande senso estetico, lo stesso che campeggia nel Re dei Funghi, piatto composto da latte cagliato, duxelle di porcini, panna cotta ai funghi, vinaigrette di champignon e olio alla nocciola. Un concentrato di funghi, accompagnato da un olio che, nell’insieme, addolcisce e amplifica una percezione leggermente amara. In accompagnamento c’è anche una chips al fungo che nulla toglie e nulla, invero, aggiunge. Il piatto più riuscito, per concentrazione e bilanciamento, è il Pomod’oro, preparato con foglia di riso farcita con petali di pomodoro confit, pesto di basilico e acqua di pomodoro condita con semi e olio di basilico. Un tripudio di mediterraneità: fresco e al contempo deflagrante per il suo impatto.

Sui primi c’è Torba mente, golosissimi spaghetti cotti in estrazione di foglie di limone, erba ostrica, aringa affumicata, whiskey torbato, polvere di limone. La pasta arriva da un piccolo pastificio campano, buona la filigrana e la consistenza, per un gusto che diventa affumicato e in equilibrio con la mantecatura. Sui secondi, si parte dal Bouquet d’Estate, una rana pescatrice con crema di zucchine, pasta di limone e acqua di mare al profumo di zafferano: qui si raggiunge il climax del percorso grazie a una esplosiva salsa che, oltre a rappresentare uno dei picchi gustativi, rende il piatto equilibrato, in bilico tra profondità e tensione. Si chiude quindi con il Royal Rabbit, sella di coniglio farcita con melanzana alla brace, petali di pomodori semi confit e acciuga del Cantabrico. Piatto meno concentrato di altri ma delicato e di grande avvolgenza. 

Tra i punti di forza di questa nuova brigata c’è il restyling della sala, bellissima, e una squadra sorridente, giovane e scattante, con un abile sommelier ventitreenne di origine filippine che trasuda passione e attaccamento al suo lavoro e ai vini del Roero. L’autunno è iniziato, non si vede l’ora di tornare.

La Galleria Fotografica:

Da e in tavola

L’Italia, oltre ad avere il primato in termini di quantità prodotta, di uva e di vino poi, vanta anche un numero di cultivar che supera il migliaio. Diventa dunque complessa una classificazione di questo frutto che, nella vita quotidiana, in stagione, vanta una molteplicità di dimensioni, colori e sapori e, soprattutto, destinazioni d’uso. Già, perché l’uva si presta come dessert, a fianco ai formaggi o come ingrediente in cucina. Anche nelle cucine stellate. 

Con Sergio Fessia di Ortobra parliamo delle uve che troviamo, soprattutto in questo periodo, sulle tavole italiane: uve dolci, con o senza semi. Dai grappoli grandi e gli acini turgidi, dorati, bianchi, neri, rossi e rosa.

Colori e forme, l’uva nella storia e nei mercati

Se in Italia l’uva da tavola più commercializzata, e popolare, resta quella denominata, appunto, Italia, c’è da sottolineare come la il suo colore verde-oro sia uno degli aspetti su cui più puntano i consumatori, almeno nel nostro Stivale. La buccia è spessa e croccante, l’uva è dolce e gustosa. Da godere a fine pasto o merenda. A Taranto la si raccoglie anche prima del Natale ma, al suo fianco, e con la paritetica popolarità, prosperano l’uva Vittoria e la Regina.

In tutti i casi si potrebbe dire “nomen omen”: la prima è una bacca più precoce e che infatti si inizia a raccogliere tra luglio e agosto, di colore giallo molto intenso con bacche piuttosto grandi e compatte, mentre la Regina rientra nella classificazione delle uve antiche, dalla buccia secca una carica aromatica importante, è tra le più coltivate nel Mediterraneo, molto diffusa in Puglia e in Sicilia, due regioni in cui si concentra invero la maggior produzione di uve da tavola della nostra penisola. In Puglia, Adelfia (BA) è una vera e propria capitale dell’uva. Sempre al sud, c’è l‘uva Panse, un’uva precoce bianca che si trova sugli scaffali già ai primi di settembre.

Non ultima, tra le varietà bianche italiane che riscuotono un grande successo c’è la Luisa, bacca dai semi più croccanti, gradevoli anche da masticare. Al gusto non infastidiscono affatto, non si percepiscono sensazioni amare o aspre, forse più erbacee e acide. 

Quanto alle bacche rosse, due sono quelle che riscuotono maggior successo: il Moscato d’Amburgo e l’Uva fragola.  La prima, nata dall’incrocio del Moscato d’Alessandria e Schiava grossa, vanta una produttività più che soddisfacente e, nonostante l’aspetto del grappolo, che potrebbe risultare irregolare, grazie alla sua dolcezza e piacevolezza è coltivata con successo anche in Francia, California, Grecia e Gran Bretagna. L’uva fragola, invece, è quanto di più goloso e nobile non ci possa essere per gli amanti delle uve rosse. Assai celebrata in cucina, è una varietà statunitense con un sapore dolce e chicchi di grandezza medio-piccola, che rilasciano un quantitativo di dolcezza e tannicità ineguagliabili. Chicchi che, s’è detto, la rendono particolarmente cara agli chef che la impiegano come ingrediente o come accompagnamento, ad esempio a un plateau di formaggi. In Italia viene coltivata soprattuto al Nord, e da sempre si appezza la sua solidità, anche nei confronti delle malattie. 

A influenzare la domanda, la cromia in primis, che ci si aspetta essere più gialla che pallida, almeno in Italia, ove il mercato predilige uve con un colore giallo acceso a differenza del resto d’Europa, che apprezza bacche più neutre, bianche, con un profilo che riporta alla panna o al bianco carta. Un’uva gialla più gourmet, dunque, saporita in contrapposizione ad altre varietà, nate anche da incroci, che hanno richiesto tempo per la loro materializzazione. Incroci riusciti e ricercati per ottenere bacche senza semi, uno dei più importanti marker, oltre il colore, che più determinano il successo nei consumi dell’uva da tavola. 

Senza semi

Ci sono voluti vent’anni! – spiega Sergio Fessia – Si è partiti da uve con pochi vinaccioli e dopo incroci si è poi arrivati all’ottenimento di uve senza i semi, sebbene questi siano fondamentali per la comprensione del livello di maturazione dell’uva. Non c’è analisi che tenga infatti, l’assaggio del chicco d’uva è una delle pratiche più antiche ancora usate soprattutto dai produttori di vino. Il consumatore di uva da tavola si aspetta chicca grandi e saporiti e, soprattutto, senza semi.”  A ciò si lega anche un altro aspetto merceologico, quello del prezzo, che “si basa sul costo della manodopera e dei tendoni posti sopra i filari. Tendoni che vanno cambiati almeno una volta all’anno e il cui smaltimento è importante. Durante il ciclo vegetativo, prima della vendemmia, sono poi necessarie numerose operazioni manuali per garantire un livello qualitativo ottimale.”

La questione del prezzo

Come detto, il prezzo finale dell’uva non può prescindere da fatto come questi, che chiameremo “umani”. In Puglia, dove il suolo è costituito da rocce d’origine calcarea, si deve innanzitutto “trasformare” il terreno per renderlo coltivabile, operazioni che arrivano a costare anche fino a 14.000€ all’ettaro. Oltre a questo, si aggiunge il costo della realizzazione della struttura del tendone e relativi materiali necessari atti a proteggere le uve da agenti atmosferici o dagli insetti. E senza dimenticare che in un allevamento che separa la zona produttiva da quella vegetativa i grappoli maturano lontano dall’irraggiamento del sole.

L’uva nel piatto

L’uva può fungere da acceleratore del dolce oppure, per contrasto, come punto di rottura, in una salsa in cui a dare l’equilibrio, del tutto nuovo, possono concorrere l’astringenza e la durezza del tannino, sia esso più croccante o più oleoso. Il seme, o vinacciolo, rilascia del resto sensazioni che vanno dall’amaro all’acido, finanche astringente oppure, ancora, di frutta secca. Ecco di seguito quale interpretazione indimenticabile.

La Madernassa

Un piatto tecnico e tannico, ben eseguito, dove la tannicità dell’uva resta un elemento in totale contrasto con l’amido e col garum… 

… e l’edizione precedente

L’Arcade

Un piccolo intermezzo prima del dolce che, cambiando consistenza e temperatura, della frutta autunnale, regala grande soddisfazione e freschezza.

Cucine Nervi

Il tocco finale di un piatto giocato sui contrasti dolci. D’ispirazione francese, il fondo più solido e coprente si alleggerisce con la freschezza dell’uva e delle barbabietole.

Opera (coming soon)

Una materia prima di grande qualità, la cottura millimetrica , precisione millimetrica nella cottura, la salsa all’uva conferisce un tocco di dolcezza e acidità.

St. Hubertus

I peculiarissimi primi piatti di Norbert Niederkofler sono, ciascuno a modo suo, un piccolo calembour: fruttato di uva spina lo spaghetto freddo, gioca con le acidità come solo il maliardo della Val Badia riesce a fare.

Inkiostro

L’arte in cucina di Terry Giacomello e questo piatto iper complesso, che fa dell’uva una marinatura, e dunque la presentificazione dell’assenza.

Zia

La personalità di Antonio Ziantoni è evidente, in questo piatto in cui sapienti tocchi che arricchiscono di sfumature l’ingrediente principale allungando, intensificandola, la persistenza dei piatti.

Trippa

Continua a rieditare la tradizione senza troppi tecnicismi e tanto amore per la materia questo piatto, che riprende un grande classico delle conserve domestiche.

A Guarene brilla un giovane cuoco che ha molto da raccontare

A due passi da Alba, sulle adiacenti colline, un meraviglioso relais è il palcoscenico di un’esperienza gourmet a tutto tondo; un ambiente raffinato e luminoso e una carta vini profonda con una particolare attenzione al biodinamico, si fondono con una proposta gastronomica matura. Il coreografo è Michelangelo Mammoliti che porta sulla tavola de la Madernassa il suo Piemonte, ma non nella più classica delle versioni, piuttosto, aggiungendo note, sapori e consistenze che vanno ad esaltare le materie prime locali creando piccoli singoli gioielli. Si intuisce di essere seduti ad una grand table con l’arrivo degli amouse bouche: non si può non restare affascinati dal susseguirsi di queste dieci miniature di piatti ciascuna con un’identità e una storia da narrare.

Assemblage al tavolo: un leitmotiv studiato e riuscito

La Salamoia marina, dove i gamberi di Sanremo vengono completati al tavolo con l’aiuto di due piccoli tegami: di coulis di teste di gambero uno, di salamoia l’altro, dove il crostaceo lascia protagonista la muria. L’atto di completare al tavolo le portate sarà il filo conduttore del pasto e se ad un occhio poco attento potrebbe sembrare ripetitivo, altro non è che l’elemento signature (come potrebbe essere il menu Tutto Brodo di Andrea Berton) di un cuoco che, così facendo, ci trasporta in un viaggio per il mondo dalla Francia all’Asia fino alle Americhe, mantenendo equilibrio e coerenza nel percorso.

A questo proposito si potrebbero citare La Giardiniera, composta da fagiolini ostrica e mousseline per la dirompente spinta acetica, il Peperone di Capriglio per ricordarci la fortuna di vivere in queste terre oppure il Germano Reale per grazia e leggerezza, il concetto che ne sta alla base è il medesimo: solidità.

Si arriva all’atto finale con un pre-dessert definito Essenziale, che con fava di tonka, cacao e nocciola rimanda all’infanzia mentre gustiamo pane e Nutella e ci prepara il palato per quella che sarà l’ultima nota di questa esperienza, PH3, un sorprendente tributo al citrico dove gli agrumi sprigionano tutta la loro maestosa fragranza e complessità.

Arriva infine una piccola pasticceria che appaga la vista e il palato, per un ultimo sguardo a questa cucina  nei confronti della quale abbiamo solo un rimpianto: non aver visitato l’orto, fucina delle molte erbe aromatiche sempre presenti nei piatti.

La Galleria Fotografica:

Poche regioni italiane acquistano un fascino pari a quello delle Langhe, nella stagione autunnale. Colori, profumi, sapori, atmosfere: la terra parla ad ognuno dei nostri sensi e se i nostri sensi sono quelli di appassionati gourmet è impossibile restarne indifferenti.
Da Alba ci inerpichiamo verso il vicino borgo di Guarene, imboccando una strada di campagna qualche centinaio di metri prima di arrivare nel nucleo storico. Attorno a noi vigneti, orti e piantagioni di frutta, più in lontananza i colli del Roero parzialmente coperti dalla tipica bruma autunnale, che la sera acquistano un fascino del tutto particolare. Raggiungiamo la nostra meta: un casale recentemente ristrutturato in un elegante resort di charme, con elementi di design ma con un caloroso rispetto del passato, completo di piscina, lounge bar, possibilità di pernottamento in strutture poco distanti e, ultimo ma non certo in importanza, un ristorante dalle alte ambizioni gourmet.

Ai suoi fornelli ormai già da un paio di anni un giovanissimo, Michelangelo Mammoliti, 100% piemontese, compaesano di Matteo Baronetto con alle spalle un curriculum su cui, non c’è da dubitarne, chiunque ambisca a questa professione metterebbe la firma: gli esordi con Marchesi, l’incontro con Stefano Baiocco, gli oltre cinque anni trascorsi in Francia, alle corti di Alain Ducasse, Pierre Gagnaire, Yannick Alléno e Marc Meneau. E poi i viaggi in terre e culture lontane, in Libano, in Giappone, alla costante ricerca di nuove conoscenze e nuove suggestioni. Tutti spunti che ritroveremo nella sua cucina: una base di partenza certamente focalizzata sulla tradizione piemontese a tutto tondo, ma ricca di contaminazioni culturali maturate da esperienze e peregrinazioni. Tanta Francia, certo, nella cura maniacale dei piatti, nella gestione delle salse, nella grande passione per il mondo vegetale, di produzione peraltro tendenzialmente propria, inteso non come mero elemento decorativo bensì come parte attiva della costruzione dei piatti, ma anche l’esotismo, le tecniche di preparazione e le fragranze orientali.

Una cucina che già sorprende, per la profondità degli spunti e della gestione estetica, soprattutto in rapporto alla giovane età dello chef. Una cucina che non è ancora perfetta, d’altronde sarebbe ingiusto e scorretto pretendere che già lo fosse. A una tale raffinata complessità di suggestioni e accostamenti e a una tale sicurezza nel gesto estetico non sempre durante la nostra cena è infatti corrisposta quella chiarezza al palato, quella definizione dei piani gustativi, quella personalità che ci aspettavamo, mentre in alcune proposte è mancata la chiusura perfetta del cerchio.
L’impressione complessiva è che comunque Michelangelo non osi ancora spingersi su terreni particolarmente rischiosi, e non ci sentiamo di biasimarlo o di penalizzarlo per questo, gli obiettivi per il momento sono altri ed è giusto che sia così, coerentemente con la massima che torreggia sopra la cucina: «Lascio agli altri la convinzione di essere i migliori, per me tengo la certezza che nella vita si può sempre migliorare».
Confidiamo comunque che, sempre nel segno di questa filosofia, con il tempo egli possa prendere coraggio e spingere di più sull’acceleratore, conferendo maggior forza propulsiva a spunti ed accostamenti che già ora appaiono intriganti e senz’altro meritevoli di essere ulteriormente approfonditi.
L’impressione, al netto di queste piccole critiche che ci permettiamo di esplicitare, è comunque quella di un giovanissimo talento di cui sentiremo parlare e di cui sicuramente parleremo ancora, seguendolo con costanza: andatelo a conoscere, ne vale davvero la pena.

Due parole su servizio e cantina: il primo, salvo qualche piccola lieve defaillance, si dimostra all’altezza del livello attuale del locale mentre alla seconda, ovviamente indirizzata prevalentemente alla produzione della zona, va un plauso per l’onestà dei ricarichi e la possibilità di accesso a partire da prezzi davvero irrisori.

La via di avvicinamento al ristorante.
La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Visione di insieme.
La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
L’accesso.
La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
La piscina.
La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
L’ingresso.
ingresso, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
La sala di accoglienza, per aperitivi o degustazione di vini.
La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
La selezione di distillati e… di guide gastronomiche.
distillati, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Una delle sale.
sala, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
La mise en place.
mise en place, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Le bollicine d’apertura.
alta langa, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
I primi stuzzichini: “Canapè”.
Tubo croccante con besciamelle di funghi porcini.
Barba Juan di pollo.
Bavarese di Parmigiano Reggiano 36 mesi.
stuzzichini, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Tuile al nero di seppia, tartare di gambero di Mazara del Vallo marinato al pepe di Timut e limone alla marocchina, cromesquis di foie gras.
benvenuto, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Amuse bouche.
“Polenta e baccalà”.
amuse -bouche, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Tipologie di pane, sfoglie al sentore di cappero, burro bianco salato.
pane, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Astrattismo omaggio a Kandinsky”.
Lingua fondente, bagnetto rosso e verde, crema di pane della tradizione fermentato.
La lingua fondente viene accompagnata da una crema al peperone rosso, peperone giallo e bagnetto verde tipicamente piemontese. Nella cocotte crema di pane della tradizione che viene fermentato, accompagnato da una cialda di pane ripresa anche sul piatto.
Più accomodante di quanto la denominazione potrebbe lasciar intendere; un’elegante apertura di suggestione pittorica e decisa preponderanza vegetale, uno dei tratti salienti della cucina di Mammoliti. Piatto di bella freschezza, in cui coerentemente con l’ispirazione e con il gesto estetico non avremmo tuttavia disdegnato una maggiore spinta propulsiva sul fronte gustativo, in particolare nella differenziazione delle varie componenti.
lingua, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Un Arneis delle Langhe.
arnesi, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Perla bianca”.
Noce di capasanta arrostita nella sua conchiglia, con burro di tartufo bianco d’Alba e salsa alla bagna cauda.
La capasanta viene arrostita nella sua conchiglia, glassata nella crema di zucca, e accompagnata da un’emulsione alla bagnacauda.
Variazione della capasanta presente in carta, verosimilmente pensata per l’abbinamento con il tartufo bianco che, però, non si mostra con la personalità per la quale è giustamente apprezzato. L’emulsione alla bagna cauda, per quanto pregevole per finezza ed eleganza se considerata come elemento a sé stante, non possiede il carattere necessario ad impedire da sola il raggiungimento del punto di appagamento ben prima della completa fruizione del piatto. Un peccato, in quanto una più accentuata mineralità avrebbe portato ad esiti ben più apprezzabili. Non fraintendeteci: piatto buono ma da rivalutare in presenza di un tartufo di maggior impatto.
perla bianca, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Sottobosco”.
Mousseline di patate della bisalta affumicate, quinoa cotta in un brodo di sottobosco, lumache in fricassea.
Consistenze, profumi e sapori per un bel piatto di intensa mineralità, accentuata dall’utilizzo del carbone vegetale. Un boccone di terra tipicamente langarola, nel senso positivo del termine. Molto buono.
sottobosco, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Un ulteriore bianco di langa.
vino, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“BBQ”.
Spaghetti “Pastificio dei Campi” cotti al barbeque con un brodo di prosciutto crudo di Cuneo.
La pasta viene mantecata in un burro affumicato nel Weber e accompagnata da un crumble e dall’olio di prosciutto crudo di Cuneo, oltre a una spruzzata di polvere di carbone vegetale.
Nonostante la sua giovinezza, già un signature dish e a ben ragione. Piatto goloso, di piacere primitivo e bella caratterizzazione gustativa. Avendo il tartufo in questo caso un ruolo non essenziale, il suo scarso apporto non condiziona la riuscita del piatto, né in positivo né in negativo, ma non importa: davvero ottimo anche così.
bbq, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Si passa a un rosso.
vino, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Cubix”.
Ravioli ripieni di anguilla arrostita allo yakitori, barbabietole cotte in un dashi di Parmigiano Reggiano, emulsione al rafano.
Una grande protagonista della cucina tradizionale piemontese presentata con affascinanti suggestioni italo-nipponiche. Di grande eleganza l’emulsione al rafano, incisiva e al tempo stesso discreta, più misurato invece l’apporto del Parmigiano Reggiano.
cubix, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Il piatto in arrivo, prima del servizio.
rombo, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Mi sono stufato”.
Rombo stufato in olio di chorizo, condimenti iodati, coriandolo.
Piatto in cui è possibile intravvedere quali potenzialità si celino nello chef quando decide di premere un po’ sull’acceleratore gustativo. Iodio (rombo, riccio di mare, emulsione di cappero), terra (porro di Cervere arrostito), suggestioni orientali (coriandolo), tutto contribuisce a un piatto armonioso ma di carattere. Bravo!
rombo, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Si sale con un Nebbiolo di Alba.
nebbiolo, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Natura”.
Petto di piccione arrostito al Weber, rabarbaro impregnato all’ibisco e jus di mais tostato.
Eccessiva deriva su toni tendenzialmente dolci sul piatto principale di carne, non essendo il rabarbaro né la tostatura del mais sufficienti per offrire un proporzionato contrappunto. Comunque un buon piatto.
piccione, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Infusion”.
Infuso di fiori di ibisco, zenzero e verbene.
Reset del palato all’insegna di una pulente acidità, con simpatica continuità dal piatto precedente (ibisco).
infuso, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Un Moscato Passito per la parte dolce.
passito, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Raggio di sole”.
Bocconcini fondenti al mandarino, mousse al moscato, melone giallo impregnato al mango.
Dolce non particolarmente ambizioso, ma di bella freschezza tenuta viva dalle componenti acide.
raggio di sole, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
A chiudere un Barolo chinato.
barolo chinato, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
“Cardasplash”.
Raviolo idrosolubile, ripieno di pralinato di nocciole Gentile delle Langhe, caffè aromatizzato al cardamomo.
Un ricordo del percorso dello chef in Medio Oriente, in particolare del caffè al cardamomo degustato a Beirut e del Narghilè che usava fumare quando beveva il caffè. Il raviolo va immerso con la pinzetta e degustato il prima possibile.
raviolo, La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte
Una sbirciata in cucina a servizio terminato.
cucina,La Madernassa, Chef Michelangelo Mammoliti, Guarente, Cuneo, Piemonte