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El Celler de Can Roca

Il ristorante totale

Il miglior ristorante del mondo”. Quante volte pronunciano queste parole gli appassionati globe-trotter della gastronomia. Quante volte le pronuncerebbero, ma si trattengono, i critici gastronomici più saggi, che hanno maturato la consapevolezza che a trattarla come una gara, come se fosse qualcosa di misurabile con un metro o un cronometro, si pecca di presunzione. E quindi, che il numero uno assoluto non esiste. Eppure chi ha la fortuna di passare da queste parti si trova inevitabilmente a fare confronti con qualsiasi altra esperienza precedente, vicina o lontana nel tempo. Certo, gioca un ruolo fondamentale l’alone di leggenda che circonda i tre fratelli Roca, ma non si può non restare in estatica ammirazione di fronte a un meccanismo dello “star bene” così perfettamente rodato in ogni sua parte come quello che si incontra qui.

Una nota dolente però c’è ed è ben nota: la prenotazione. La parola d’ordine è: “Fully booked. Try another day”. Per almeno 11 o 12 mesi non se ne parla, salvo mettersi a disposizione in lista d’attesa. Un record negativo determinato da freddi numeri: gli “aficionados”, provenienti da ogni parte del mondo, saturano l’intera offerta annuale di coperti.

Una volta risolto il problema e trovato il modo di sedersi al tavolo, però, è impossibile non sentirsi a proprio agio, per l’atmosfera dégagé che rifugge le rigidità formali da grande maison e per l’abilità di una squadra poliglotta nella quale il nostro paese è rappresentato da Davide Nurra, oristanese di nascita e catalano di adozione, da più di 10 anni elemento fondamentale della brigata.

Il menu inizia con una retrospettiva di 15 piatti storici riadattati in piccoli assaggi, da “tutto il gambero” alla strepitosa ostrica con distillato di terra. Poi si passa alle pietanze vere e proprie che rappresentano la cucina attuale di Joan Roca. Una cucina che, oggi come ieri, viaggia a livelli altissimi intersecando tradizioni catalane e classicismo francese con l’utilizzo di un’ampia varietà di tecniche, tenendo però sempre in primo piano la materia e garantendosi così una leggibilità e una limpidezza espressiva esemplari.

Ne sono esempi calzanti un paio di capitoli “veg” del menu, in cui l’indice di difficoltà della preparazione e degli accostamenti si risolve in equilibrio perfetto e immediatezza all’assaggio: la “green salad” – succo di grano verde, taccole, mela verde, lattuga, chartreuse, gelato all’aglio e mandorle verdi sott’aceto – e soprattutto pomodoro e mole che comprende una decina di tipologie di pomodori, ognuno preparato e abbinato in modo diverso con zest di limone, peperone chipotle, cumino, shiso rosso.

Con le carni invece ci si riaggancia alle tradizioni: maialino da latte “sous vide” con terrina “cap i pota” (“testa e piede”, tipica ricetta catalana) e albicocca in diverse preparazioni; o addirittura si fa un tuffo indietro di un paio di secoli con la poularde in pithivier al tartufo, elegantemente scaloppata al tavolo. In chiusura, un nuovo capolavoro di Jordi Roca, il più giovane dei fratelli, il gelato alla foglia di fico con crumble all’anice, gelatina di zafferano, formaggio “maò” stagionato, marmellata di fico e polvere di pino: una sequenza aromatica quasi ipnotica, cadenzata dalle diverse composizioni dei bocconi.

Un paradiso anche per gli amanti dei grandi vini

Ma a cucina e pasticceria si affianca una sommellerie altrettanto straordinaria: 200 mq di cantina, quasi 4.000 referenze, più di 60.000 bottiglie, due pesanti tomi che le catalogano (oggi portati al tavolo con reticenza per i noti motivi igienici e sostituiti dal QR code che permette di consultarli individualmente con lo smartphone). La fruibilità economica? Incomparabile, grazie a un mercato favorevole come quello spagnolo da cui attingere, a una libertà fiscale nell’applicazione dei ricarichi che ogni ristoratore italiano sognerebbe di avere e a una limitata sensibilità di Josep Roca, che del Celler è il maître des lieux, alle speculazioni (uniche, recenti deroghe i vini del Domaine de la Romanée Conti e quelli di Madame Leroy, un tempo convenienti come o più di tutti gli altri, oggi allineati alle quotazioni internazionali).

Un distillato o un sigaro, da consumarsi esclusivamente in giardino (il vecchio salotto con i divani che gli habitué ricorderanno, è recentemente diventato parte della sala da pranzo), ed eccoci al conto: il menu “Festival“, non meno di tre ore di pura gioia spalmata in una trentina di assaggi costa, nel 2021, 230 euro. Se con i nostri alfieri dell’alta cucina la distanza c’è, ma non è abissale e il paragone regge, meglio invece non fare confronti con i grandi locali d’Oltralpe e con i campioni nordici, la gran parte dei quali si spinge senza remore fino a una cifra quasi doppia.

Una chiosa per gli impazienti: perché non considerare la soluzione del secondo locale del gruppo, il Mas Marroch? Una pagoda in aperta campagna, a pochi chilometri da Girona, dove si gustano i piatti storici più rappresentativi di Joan e Jordi a un prezzo ancora più basso, prenotando con non più di due settimane di anticipo. Non è la stessa cosa, ma come passo di avvicinamento può funzionare.

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I fratelli Roca e il racconto di un ristorante perfetto

Girona, già gioiello medievale della Catalogna, è diventata negli ultimi anni una destinazione irrinunciabile per cinefili e gourmet. Approdo imprescindibile per milioni di fans alla ricerca dei luoghi di Games of Thrones, è nelle mappe di migliaia di viaggiatori del gusto che oggi vi arrivano, dopo 365 giorni di attesa, dall’atto della prenotazione, per sedersi alla tavola di quella Mecca enogastronomica che risponde al nome de El Celler De Can Roca.
Un – anzi, per molti “il” – ristorante perfetto.

Perfetto, non solo per la vena creativa ancora viva – e, nel caso di Jordi Roca, vulcanica e inarrestabile – ma per quella sala di raro fascino, che ruota attorno a un giardino con alberi cangianti come il susseguirsi delle stagioni, e per una sterminata cantina, incredibilmente accessibile, ma soprattutto per la perseveranza di tre fratelli geniali, capaci di saper tenere altissima l’asticella dell’eccellenza per più di un decennio. El Celler, ancora oggi, è un ristorante perfetto, prodigo, completo, unico, si potrebbe dire.

Prenotare è davvero difficoltoso, s’è detto, ma una volta arrivati davanti questa leggendaria insegna si viene pervasi da una sorta di sensazione di euforia mista a emozione. Varcata la porta e percorsa la passerella di legno, si entra in una casa dall’accoglienza calorosa con le aspettative già altissime che continuano ad impennarsi una volta fatto il giro della labirintica, ma neanche particolarmente grande, cucina.

Poi, finalmente, ci si siede e si comincia con uno scoppiettante incipit ludico e interattivo, con una batteria di finger food che racchiudono i sapori del mondo e una serie di assaggi che rievocano la storia dei tre fratelli.

Si entra, quindi, nel vivo. Ma a questo punto le emozioni iniziano a cedere il passo alla concentrazione, alle prese con un unicum di tecnica, estetica, gusto e una grande e innegabile piacevolezza complessiva. Tutto perfetto, pure troppo. Ci chiediamo, addentrandoci nel tecnico, poi, se questa può essere considerata, allo stato, avanguardia gastronomica. Probabilmente no o, quantomeno, non del tutto.

L’avanguardia di Jordi, la costanza di Joan e l’immensa accoglienza di Josep: tre anime di un luogo magico

La parte salata dalla cena, ad opera di Joan Roca, tende infatti a virare sulla voluttuosità e sul rassicurante approccio goloso e classico (del resto la Francia è a due passi), per una cucina che, pur nella sua grandezza, viaggia ormai con il pilota automatico, carenate di quell’energia che, a nostro avviso, è possibile reperire in altre tavole spagnole, europee e mondiali, dalle quali siamo usciti con ricordi di molti piatti memorabili che, dopo anni di distanza, sono ancora vivi nella memoria.

Ciononostante, la parte finale, che, a nostro avviso, meriterebbe un palcoscenico più ampio, è pura innovazione: vi si susseguono infatti le più geniali espressioni della pasticceria moderna, a dare loro forma un fenomeno dalla storia affascinate qual è Jordi Roca, il più piccolo dei fratelli, che si diverte a ricreare il sapore di ricordi, situazioni, e angoli più remoti del Pianeta Terra.

E lo fa utilizzando pochi ingredienti dei quali scandaglia l’anima estraendone diverse forme e sfaccettature. Come il petrichor (tecnicamente, l’odore della terra dopo che la pioggia bagna il terreno asciutto) ossia un distillato di terra, gelato al pino, biscotto di carruba, polvere di abete e biscotto di cacao, ad esempio, è probabilmente il dessert più innovativo assaggiato negli ultimi 20 anni. È il ricordo dei fratelli Roca che giocavano nei boschi e questo piatto ne è la rappresentazione gustativa. Incredibile.

È soprattutto grazie all’approccio di Jordi Roca che, a nostro avviso, la cucina de El Celler è ancora uno dei punti di riferimento gastronomici nel panorama mondiale.

Il resto è uno spettacolo di accademia, gentilezza e generosità racchiusi in un emblematico servizio al tavolo, a mostrare l’assoluto valore, che non è aggiunto ma imprescindibile, del personale di sala che si diletta a diliscare e porzionare al momento, davanti ai commensali, uno scorfano, ricavando prefetti filetti e bocconi di guancia.

Se poi aggiungiamo, al bilancio finale dell’esperienza, uno dei rapporto qualità/prezzo migliori di sempre e il magico mondo di Josep Roca, depositario di quella che è una delle più incredibili cantine divise per temperatura e stanze, un abbecedario racchiuso in tre tomi mastodontici nei quali anche una grandissima bottiglia ha un prezzo di mercato, allora, in termini di paragone con altri ristoranti, nel complesso, potrebbe non esserci più partita.

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Uno dei più grandi ristoranti al mondo, con radici catalane ma anima e cuore rivolti al mondo

Fiumi di parole abbiamo scritto su questo ristorante, ma non sono mai troppe ogni volta che varchi la soglia del Celler.

Un luogo magico, un ristorante, anzi il Ristorante con la R maiuscola. Un condensato di grande cucina, quella più moderatamente creativa di Joan e quella più crazy, al limite, estrema, del fratello pasticciere Jordi, ed un fantastico luogo di ospitalità ed accoglienza capitanato da Josep.

E il ricordo corre veloce ad una delle nostre prime esperienze, nell’estate 2005, periodo in cui El Celler aveva ancora due stelle michelin ed era ubicato nella vecchia sede, a pochi metri dall’attuale ristorante. La carica emotiva, il pathos in cucina come in sala, l’attenzione maniacale ai dettagli, il lento scorrere del servizio, senza avere mai l’impressione una volta sola di qualche tensione, di qualche nervosismo. Tutto è rimasto così, uguale e immutabile. Semplicemente il massimo.

Una macchina che si muove, sotto la guida dei tre maestri, come un orologio svizzero. Veloce ma con ritmo misurato, concentrato, mai nervoso. E’ la forza di chi sa quanto vale, di chi non deve dimostrare nulla a nessuno. Di chi vive la propria professione con estrema passione, come una grande immensa famiglia. Perché qui non c’è solo un immaginabile e immenso talento, c’è anche tanta umanità. Che trasuda da tutti i pori, muri compresi.

E’ l’aria magica di una famiglia, di tre fratelli, ancora tanto legati alle proprie tradizioni, alla propria cultura, che non scordano mai le proprie origini e la propria terra ma che riescono, invincibilmente, con la loro grande sensibilità a viaggiare, liberi, con la testa e con il cuore di tre bravi ragazzi di Girona, in giro per il mondo. E quindi leggono, interpretano, rielaborano con fine sensibilità e cultura ciò che scoprono. Proponendo una cucina di grande personalità, con forti influenze francesi, ma posata su solide basi catalane. Una cucina che non è mai stata estrema, nella parte salata, ma che ci ha sempre affascinato ed è riuscita a regalarci momenti unici ed irripetibili con la sua eleganza sussurrata, con i suoi sapori sottili ma al contempo lunghi un’eternità.

Paragoneremmo la cucina di Joan ad un grande vino di Borgogna. A tratti è sottile ma persistente come un grandissimo Puligny Montrachet, si trasforma cangiante in un consistente e spallato Meursault di un tempo, tira fuori la parte animale di un Pommard, e graffia con l’eleganza di uno Chambertin. Il Cipollotto Calcot con anguilla, la variazione di ostrica -che rimanda appunto ai sentori e profumi dello chardonnay- gli scampi con olio di artemisia e vaniglia, la graffiante animalità del piccione in civet o dell’agnello al forno, l’involtino di pelle di rombo e tanto, tanto ancora. Un piatto meglio dell’altro, un viaggio, un incontro continuo con tecniche mai esibite ma che generano un risultato gustativo entusiasmante.

E il comparto dei dolci, curato dal genio di famiglia, Jordi, che è li a dare bella mostra di sè. Elaborazioni di uno tra i migliori pasticcieri al mondo, in alcuni passaggi meno dissacranti di un tempo in cui le sue provocazioni ci portavano a limiti e confini molto superiori.

E poi la sala, la cantina, magistralmente guidata da Josep. Un uomo di una gentilezza e piacevolezza infinita. Un uomo schietto, vero, come i suoi fratelli. E l’estrema sintonia tra i tre si traduce in un centro di piacere inaudito e difficilmente riscontrabile in altri luoghi. Una magia, un’aria che pervade ogni angolo di questo incantevole luogo.