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Trésind Studio

India sublime

Incantevole e seducente. Tutta da scoprire e assaporare. Parliamo di India, ma le medesime parole potremmo proferirle esclusivamente per la cultura gastronomica del sub-continente indiano. Gastronomia culturalmente ed etnicamente variegata e divergente, plasmata nel corso del tempo e culminata, dopo le migrazioni coloniali e postcoloniali e alcune influenze come quelle portoghesi, moghul, persiane e inglesi, nella “banale” locuzione di “cucina indiana”. Himanshu Saini è un cuoco indiano trapiantato a Dubai. Dopo essere entrato nelle grazie del facoltoso imprenditore Bhupendra Nath, ha dato vita ad un ristorante-laboratorio – da qui il nome Studio che si affianca al termine “Tresind” (combinazione del francese très, ossia “molto” e ind, abbreviazione di indiano) – che aspira alle più alte vette del mondo culinario.

L’esperienza da Trésind Studio è, in primis, spettacolare e ostenta una teatralità propedeutica al racconto gastronomico. Un racconto che celebra il 75° anniversario dell’indipendenza dell’India e il suo spirito attraverso un percorso degustazione ad alto tasso di intrattenimento. Il messaggio da comunicare è sul cibo indiano, stratificato a livello regionale, che riflette la diversità di miliardi di persone, centinaia di lingue e decine di religioni. E così il menù “Tasting India mette in mostra la diversità dell’India esplorando – o meglio prendendo spunto, appannaggio della creatività – dalla sua ricca identità gastronomica attraverso ricette e ingredienti tipici delle regioni collocate nei quattro punti cardinali che vengono trasformati in micro-degustazioni: “Alla ricerca dell’Occidente“, “Splendori del Sud“, “La grandezza del Nord,” “Oriente nascente.

Teatralità, divertimento e gusto 

Lo Chef Himanshu Saini non sarà forse  l’esponente più rappresentativo della cucina moderna indiana ma crediamo sia quello con le potenzialità maggiori. Attraverso micro bocconi mette in atto un topos gastronomico che fornisce al commensale una chiave di lettura universale dei sapori autentici dell’India senza snaturarne l’essenza. Potremmo citare ogni singolo assaggio ma ci focalizziamo su tre piatti che, nello specifico, ci hanno letteralmente folgorato: la Banana, cruda e maturata, servita su una tartelletta di miso al peperoncino con peperoni gialli, chutney di pomodoro affumicato e aceto balsamico, servita nella sequenza iniziale di amuse bouches, il Puran poli di gamberi e brodi acidulato di lenticchie, dalla sequenza “Alla ricerca dell’Occidente”, uno strepitoso gioco di temperature ma, ancor prima, di eleganti tonalità dolci e acidule; da “Gli splendori del Sud“: Ananas Sadhya, payasam (sorta di budino di cremoso) al cocco e pepe rosa, mango sottaceto, papadam (cialda croccante, usata come snack) e rasam, piatto assemblato al tavolo da parte di ogni singolo membro del servizio di sala che si sussegue in sequenza, ingrediente dopo ingrediente. Ogni assaggio ha un filo conduttore che si materializza nell’equilibrio tra aromi, speziature, dolcezze e sapidità.

Ma Trèsind Studio, fresco fresco di seconda stella Michelin e posizionatosi tra i cinquanta migliori ristoranti al Mondo della classifica World50Best 2023, si presenta come un’esperienza intima – 20 posti a sedere  – in una sala dall’illuminazione ideale e focus visivo sulla brigata di cucina che si esibisce come in un palco di un teatro e si muove in tandem con un servizio di sala di rara precisione e classe coordinato dal maître VIP-in Panwar. Nota di chiusura doverosa per l’abbinamento delle bevande, ideato dal nostro Dom Carella, al quale va un plauso per aver saputo imprimere tutta la sua conoscenza e creatività in un contesto gastronomico complesso e ricco di sfaccettature. Il risultato, in più di un passaggio, è notevole in quanto il cocktail in abbinamento diventa parte integrante del cibo in un mangia e bevi riuscitissimo.

A questo proposito anche il menù dei cocktail denominato Papadom (nomen omen) del Botanic Bar, annesso al ristorante, è di particolare interesse. 

IL PIATTO MIGLIORE: Banana, cruda e maturata, servita su una tartelletta di miso al peperoncino con peperoni gialli, chutney di pomodoro affumicato e aceto balsamico.

La Galleria Fotografica:

Una delle cose che più colpisce di Londra è la rapidità con cui cambiano i quartieri. Non c’è bisogno di tornare alle memorie dei Clash per pensare a una Brixton caraibica, disordinata, sporca e non proprio sicurissima, ma anche davvero “esotica”; oggi invece il quartiere è in piena gentrification, con i prezzi delle case in salita verticale e ristrutturazioni in ogni dove.
Con i “mali” (hipster e banchieri nelle rispettive tenute d’ordinanza) arrivano anche i vantaggi, tra cui un’offerta gastronomica davvero stimolante, specialmente sul fronte dei “mangiari di strada”, declinati in ogni possibile prospettiva geografica e con qualità decisamente superiore ai vecchi venditori di fried chicken ancora presenti.

Nel cuore del Pop Brixton, ennesimo quartierino di container adibiti alla ristorazione, pieno di proposte di ottimo livello, è nato da circa un anno questo microristorante di difficile definizione. La più indicata è, forse, tapas bar indiano, vista la dimensione dei piatti, il prezzo e l’articolazione della proposta senza suddivisioni tra entrée e piatti principali, tutti comunque ispirati alle varie regioni indiane, anche se con apertura a ingredienti occidentali.
Dietro l’operazione una coppia di ex studenti benestanti, Will Bowlby e Rik Campbell, il primo con esperienze in cucine a Mumbai, il secondo, dopo qualche anno da consulente aziendale, collaboratore di una madre business woman di grande successo. Folgorati da un viaggio in india ma appassionati da sempre di cucina, hanno pensato a una formula che, per strano che possa sembrare, a Londra mancava: cibo indiano di qualità ma in un ambiente molto casual, abbinato a cocktail fatti a regola d’arte.

Parlare di successo è perfino riduttivo: articoli ovunque, segnalazioni dai più influenti siti e blog britannici e, soprattutto, indicazione tra i preferiti da parte di chef prestigiosi come Michel Roux Jr. Unito all’impossibilità di prenotare, la traduzione del tutto è: passateci in orari o giornate non affollati se sperate di sedervi a uno dei circa venti posti disponibili.
Di sicuro non ve ne pentirete, perché, al di là dell’aria trendy che ci si respira, qui si mangia davvero benissimo.
Ci si diverte parecchio con consistenze e abbinamenti inusuali già in quelli che possiamo considerare “antipasti”, come le Samphire Pakoras, ovvero salicornia fritta con chutney di tamarindo e maionese piccante all’aglio o il Bhel Puri, piatto popolare di Mumbai, fatto di riso soffiato con verdure, qui addizionato di yogurth, mango e sev, uno snack fatto di piccoli pezzi di noodle croccanti.
Si dà poi prova di notevole tecnica nei piatti centrali, come il nasello in salsa malai, cotto alla perfezione ed esaltato da una salsa davvero trascinante per varietà e persistenza dei sapori.
E si chiude con dessert dai sapori esotici e impiatti modernissimi, come il formidabile gulab jamun, sorta di frittella di pasta al latte in cui un crumble di semi di carom, dai sentori simili all’origano, è abbinato a pistacchio e gelato alla panna rappresa.

Servizio basic ma cortese e professionale, location naturalmente alquanto elementare ma curata, per un’esperienza che, diciamolo chiaro, dal punto di vista gastronomico è estremamente interessante; se poi si considera che il prezzo da prevedere per una degustazione più che soddisfacente per quantità è inferiore alle 30 sterline, si capisce non solo il successo ma anche perché vi consigliamo caldamente un passaggio da queste parti.

Bhel Puri.
Bhel Puri, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Crab meen moiliee: radicchio, foglie di curry e arachidi ad accompagnare il granchio con nuance dal dolce all’amaro.
Crab meen moiliee, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Samphire Pakoras.
Samphire Pakoras, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Il nasello con salsa malai.
nasello salsa malai, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Melanzane “baby” con cocco e foglie di curry.
melanzane, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Pollo fritto del kerala, con maionese di foglie di curry e mooli (nome indiano per il daikon).
pollo fritto del kerala, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Agnello alla griglia con chutney di aglio selvatico e black stone flower.
agnello alla griglia, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Gulab jamun.
Gulab Jamun, Cricket Restaurant, Chef Will Bowlby, Londra

Francesco Apreda rappresenta una delle poche e solide certezze gastronomiche del panorama attuale della capitale.
E’ uno chef mai banale, data la sua incredibile curiosità e voglia di ricerca che lo ha portato ad approfondire diverse culture culinarie, soprattutto dell’Estremo e Medio Oriente, con cui ha avuto molti contatti nel suo incessante peregrinare. Le ha approfondite queste culture fino a padroneggiarle completamente, fondendo felicemente queste esperienze con la sua anima fortemente mediterranea in un blend unico di sapori, profumi e consistenze.
Il termine fusion, che può destare facilmente perplessità per un suo ricorrente utilizzo atto a dissimulare idee approssimate e confuse, assume qui un senso compiuto.
La sicurezza dello chef traspare anche dalla messa a punto di tecniche e accorgimenti che danno vitalità e sostanza alla sua cucina originale e davvero stimolante.
Un esempio è un piatto come lo spaghettoro al pomodoro e basilico, quasi spiazzante in una tavola del genere, sintomatico della capacità di dare sfumature diverse a ciò che appare, a prima vista, decisamente scontato. Ma la scelta dello chef è quella di esaltare il concetto di rivisitazione aggiungendo valore all’originale, non sottraendone.
Ecco allora un pomodoro San Marzano, che, frullato con aglio e aceto e successivamente filtrato, fornisce l’acqua in cui viene cotta la pasta che ne assorbe tutta l’acidità. A completare il quadro varie consistenze di diversi tipi di pomodoro che conferiscono notevole vivacità al piatto nonché una concentrazione persistente e significativa.
Sulla stessa linea concettuale si pongono i diversi modi di veicolare l’umami nei tagliolini alla seppia: nelle interiora del cefalopode mantecato col suo fegato, negli spinaci frullati con alga kombu e nell’alga nori di cui è fatta la pasta. Una serie di glutammati naturali che conferiscono sapore e leggerezza al tempo stesso.
Ogni spezia è impiegata con encomiabile accortezza, vero strumento per completare ed esaltare una pietanza, come nello splendido risotto dove una carezza soavemente piccante accompagna l’astice in modo ammirevole.
Più in generale, ogni portata è espressione di una sintesi riuscita tra grande padronanza dei fondamentali e la complementare, cosmopolita passione dello chef per le scuole gastronomiche che hanno forgiato la sua esperienza professionale: in primis il Giappone, con il suo rigore e il suo equilibrio, e l’India con ingredienti e spezie delle sue millanta cucine regionali.
Il tutto in una sala dai cui tavoli vicini alle vetrate si gode una vista spettacolare sulla città eterna e in cui il servizio, adeguato al livello del ristorante e dell’albergo che lo ospita, è piacevolmente privo di quelle ingessature formali che potrebbero facilmente alterarne la scioltezza.

Uova di quaglia in tempura su crema di peperoncino agrodolce, soia e polvere di lime, cannoli di riso con baccalà, polvere di pomodori e capperi e patè di olive nere e crema di maionese, frittelle di fiori di zucca e bianchetti polvere di curry.
appetizers, Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Bruschetta di pane di Lariano, guacamole, pomodori, aglio nero, carpaccio di ricciola, olio extravergine liofilizzato, portulaca.
bruschetta di pane, guacamole,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Selezione di pani. In evidenza il croissant al finocchio, i grissini alle noci con sesamo e la burrata con paprika dolce.
pane,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Gelatina di alga Kombu, mousse di melone, crumble di taralli, peperoni allo cherry. Felice rivisitazione del prosciutto e melone.
gelato alga kombu,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Terrina di foie con pistacchi e ciliegie al maraschino, betel nut (noce gommosa indiana dalle mille virtù) e galgant (spezia acida simile allo zenzero).
terrine di foie gras,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Fluida di pomodoro con mozzarella, verdure in ceviche, patata viola peruviana, caviale. Piatto più leggero di quanto lascerebbe presagire la presenza della mozzarella. Caviale superfluo.
fluida di pomdooro,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Tris di tartare: gobbetti su pane all’olio, scampi con carote, gamberi rossi con taccole e fresella alla soia, rinfrescante cetriolo aromatizzato al lime e pepe a mò di zenzero giapponese tra una tartare e l’altra.
tris di tartare,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Tagliolini all’umami di seppia alla piastra, semi di finocchio selvatico e purea di spinaci
tagliolini all'umami,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Spaghetto Verrigni, purea di pomodoro confit di tre pomodori diversi, polvere della buccia, pomini essiccati, parmigiano fluido.
spaghetto verrigini,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Risotto all’astice cotto in infuso di verbena e blend di spezie Mombay dolcemente piccante.
risotto all'astice,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Ravioli al vapore con coniglio e olive, asparagi e ricotta al rosmarino
raviolo di coniglio,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Triglia, tartufi di mare, carbone di melanzana, spugne al prezzemolo e purea di ceci.
triglia,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Vitello in casseruola al fieno, anguria piastrata, finferli e bianchetti.
vitello casseruola al fieno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Secreto (costato) di maiale, mango, miele di eucalipto, parmigianina di patate, pepe verde.
costato di maiale,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
“Ciliegie” con sherry e mollica di pistacchio.
ciliege con sherry,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Yogurth con cioccolato bianco, frutti di bosco, crumble e caramello.
yoghurt con cioccolato,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Luna (sfera di zucchero soffiato) con spuma di cheesecake al lemongrass, frutti di bosco, cupole di champagne e spumante.
sfera di zucchero soffiato,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Interno…
interno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Cannoli di mango e albicocca, ghiacciato di cocco, terra chai (ispirata al tè chai fatto con tè darjelling, latte e varie spezie con cardamomo, cannella, zenzero).
cannoli di mango e albicocca,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Petit fours
petit fours,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Cristal
cristal,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Dom
Dom perignon,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Roederer rosé
roederer,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Interno
 Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Esterno lontananza
esterno,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler
Roma…
Roma,  Imàgo, Chef Francesco Apreda, Roma, Hotel Hassler

Bangkok è una realtà gourmet in grande fermento. Da qualche anno a questa parte si è assistito ad una inarrestabile ascesa di cuochi e ristoranti in cui contaminazioni occidentali – fortunatamente ancora non così influenti come a Singapore e Hong Kong – si scontrano con il grande fascino della cultura alimentare locale, dando vita ad un terreno fertile per nuove proposte gastronomiche.
Gaggan è considerato da molti opinionisti e frequentatori abituali (inclusa la famiglia reale thailandese) il miglior ristorante della città e dopo la nostra esperienza abbiamo la conferma che la cucina di Ferran Adrià ha influenzato i cuochi di tutti i continenti del mondo.
Il bel ristorante dello chef nato a Calcutta Gaggan Anand conserva un certo fascino, per la location in primis (è ospitato in una bellissima casa coloniale in teak bianco), ma anche perché è probabilmente l’unica tavola al mondo a reinterpretare in maniera divertente una cucina – quella indiana – tutt’altro che di moda, dando lustro agli effetti ludico scenici della cucina molecolare.
Sebbene questa, definita “Progressive Indian”, non brilli per originalità a livello di tecnica, è comunque concettualmente valida. Anand è l’unico chef indiano nonché il secondo asiatico ad aver lavorato nel team di ricerca di El Bulli e, sebbene non riesca a fare a meno delle tecniche moderniste, è riuscito comunque nell’apprezzabile intento di pensare ad una visione nuova della antica tradizione culinaria indiana risaltandone le più importanti qualità come il dosaggio al millimetro di spezie e aromi. Alcune (ma non tutte) elaborazioni centrano in pieno l’obiettivo prefissato presentando una ben definita carica gustativa. L’ostentazione del divertimento e dell’effetto scenico accompagna tutto il menù, a partire dagli amuse bouche in cui fanno la loro comparsa sferificazioni e contenitori edibili, per finire con la preparazione – eseguita direttamente davanti al commensale – del dessert finale, tra sifoni e spugne.
Non esiste una carta delle pietanze, ma solo tre percorsi degustazione, tutti abbastanza ampi.
Nel menu India Reinvented, da noi scelto in alternanza ad altre proposte vegetariane, ci sono momenti in cui si riesce a viaggiare con la mente tra profumi e sapori inconfondibili della cucina indiana, sorprendentemente integrati ad ingredienti a più ampio raggio di geolocalizzazione come maiale iberico o capesante norvegesi.
Il dato inconfutabile è che Gaggan Anand, ad oggi, a Bangkok è una star. Vedremo però nell’imminente futuro quali sensazioni potrà suscitare verso una clientela più occidentale e la critica che conta ad Hong Kong, dove sta per aprire una succursale all’interno del Landmark Mandarin Oriental.

L’incipit del nostro percorso si rivelerà già la parte migliore dell’intera cena: “Streets eats from India”: sequenza che parte dallo Yogurt chaat, reinterpretazione sferica del papdi chaat, tipico cibo da strada di Mumbai. Gusto esplosivo, concentrato e definito tra diversi ingredienti,
incipit, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
noccioline alla paprika da mangiare direttamente con la bustina di plastica commestibile,
noccioline, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
la deliziosa variazione di patate: liquide e croccanti,
patate, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
si conclude con un altro classico dello street food indiano: pani puri, ma al cioccolato bianco.
pani puri, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Una prima cocente delusione arriva con il poco esplosivo “Explosion”, differente reinterpretazione del precedente assaggio, conosciuto anche come Golgappa. Ma il sorbetto di lattuga nella siringa e l’involucro di patate piccanti contenente una crema di yogurt sono davvero poco concentrati nei sapori.
explosion, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Si ritorna a riscoprire i sapori indiani con la “Alchemist Cake”. Questa volta ad essere reinterpretata è il Dhokla qui riproposta con farina di lenticchie, foglie di curry, chutney e gelato al cocco.
Alchemist cake, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Il primo passaggio del menu vegetariano è soltanto soddisfacente: verdure in perfetta tempura con maionese vegetale al curry.
tempura vegetale, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Prosegue il nostro India Reinvented con la “Treasure Shells”. Capasanta norvegese, senape, Cognac e panna acida speziata.
capasanta, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Visto che siamo in tema Adrià… Estrella Dam Inedit, birra studiata in collaborazione con lo chef catalano.
Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
“River King”: gambero tigre grigliato in salsa tandoori con infusione di foglie di curry e chutney di mango.
gambero tigre, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Altra incursione vegetariana: “Down to Earth”. Un mix di verdure e funghi estivi: asparagi, morchelle, carciofi con tuorlo cotto a 62° e chili tartufato. Discreta riuscita ma il tubero latita.
tuorlo, asparagi, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Ottimo e gustoso il “Keema Pav”: panino contenente una tartare al curry di agnello, con pomodoro disidratato, a ricreare una sorta di ragout.
Keema Pav, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
L’interlocutorio piatto di verdure saltate con spezie indiane.
spezie indiane, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Di gran livello il “Gunpowder”. Merluzzo fiammeggiato alle spezie thai, polvere di foglie di curry, porridge di riso basmati e zucchero al tamarindo. Gran bella intuizione.
merluzzo, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Delude il “Portuguese Connection”. Pancia di maiale Joselito arrostita con vindaloo e aglio schiacciato.
pancia di maiale, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Il piatto più tradizionale, eseguito impeccabilmente, viene sarcasticamente chiamato “British National Dish”, in quanto è un classico anche nel Regno Unito. Si tratta del pollo tekka masala accompagnato dal naan, tipico pane indiano.
pollo tekka masala, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
pollo masala, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Pre-dessert privo di sussulti. Il “Poor man’s porridge” è una crema di riso e gelsomino, gel di pistacchio e croccante di mandorla; nel momento in cui viene servito i camerieri spruzzano sul tavolo un’essenza di rosa che si rileverà piacevole solo all’olfatto. Eccessivamente stucchevole e poco incisivo.
pre dessert,  Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Al contrario, un grandissimo boccone lo riserva il secondo pre-dessert: “Masala Chai”, ovvero il “tè speziato misto” fatta con tè nero, latte e una miscela di spezie ed erbe indiane, con gelatina alle giuggiole. Ci si ritrova in India.
Masala chai, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Per l’ultima preparazione entrano in sala gli chef pasticceri.
Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Buono ma già visto il dessert: “I Love Chocolate”. 5 tipi di cioccolato in differenti consistenze, mango e sale frizzante.
dessert, salette, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Una delle salette.
salette, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok
Ingresso alla villa.
ingresso, Gaggan, Chef Gaggan Anand, Lumpini, Bangkok

Va preso atto che l’alta cucina nelle grandi città italiane passa sempre di più per l’hotellerie di alta gamma e che, contrariamente al passato, in molti alberghi di Roma e Milano ci sono ristoranti davvero interessanti.
In questa che è una tendenza recente, si distingue il caso di Francesco Apreda e del suo Imàgo, attivo oramai da molti anni all’interno dell’Hotel Hassler ma rarissimamente citato dalle cronache gastronomiche.
La cornice è fantastica: nel cuore di Roma e con vista, dalle sue vetrate, su tutta la città, la sala è in sé motivo di una visita. Questo che sarebbe, a tutti gli effetti, un plus, rischia però di offuscare un aspetto essenziale: all’Imàgo si mangia benissimo.
La cucina di Apreda è l’espressione matura di uno chef di grande personalità e con delle passioni forti: in particolare l’Asia, sia nella sua declinazione nipponica (Apreda ha lavorato a lungo in Giappone) sia in quella indiana (basti vedere come gli si illuminano gli occhi quando parla dei viaggi che fa da quelle parti per consulenze legate al suo lavoro). Asia che Apreda riesce a coniugare, spesso come elemento di sostegno e amplificazione, a una cucina di chiara matrice italiana e mediterranea, rispettata nei suoi dogmi ma resa moderna e stimolante.
Il tutto porta a preparazioni complesse, molto tecniche, di grande impatto visivo e, nel contempo, leggere, pulite, in cui tanti elementi eterogenei si fondono con sorprendente armonia.
Abbiamo spaziato tra classici e novità, nelle preparazioni di carni e pesci e nei dolci, trovando una cucina davvero riconoscibilissima e, che bello, senza una caduta.
Molte, anzi, le vette: splendidi tutti e tre i primi, dal risotto, ai capellini, alla pasta ripiena; molto buoni i piatti di pesce ed eccellenti le preparazioni di carne; dessert di grande tecnica e pieni di suggestioni, visive e di memoria gustativa.
Dovendo proprio scegliere un emblema, pescheremmo quello che è giustamente già un classico della maison: Cappellotti di parmigiano in brodo freddo di tonno, doppio malto e 7 spezie.
Solo a leggere il titolo tremano i polsi e invece si tratta di una preparazione esemplare: tutt’altro che accomodante, l’umami spinto del ripieno di parmigiano si abbina a un brodo di strabiliante complessità gustativa, ma rinfrescante. Sapidità spintissima, ma mai sgradevole e un matrimonio improbabile tra Italia e Giappone si celebra tra gli applausi. Altro che “cucina d’albergo”, intesa come tranquillizzanti preparazioni per ottuagenari benestanti, qui c’è personalità da vendere.

La carta dei vini permette di accompagnare la cena ai prezzi che ci si può aspettare in un locale della categoria (anche se non mancano bottiglie molto sotto le tre cifre). Interessante la selezione di bollicine italiche e francesi. Se dovessimo dare un consiglio (a questi livelli l’obiettivo è il cielo), ci piacerebbe vedere più ricerca di “chicche” e meno soliti nomi (ad esempio, oltralpe, nelle selezioni di Loira e Alsazia, regioni che possono proporre abbinamenti eccellenti con questa cucina).
Il servizio va segnalato per la capacità di dare calore alla professionalità: siete in un posto di lusso ma non ci sono affettazione né rigidità, una sensazione che all’Hassler proverete ovunque (compreso l’ottimo cocktail bar) e che è la cifra impressa dalla straordinaria direzione di Roberto E. Wirth, da oltre trent’anni al comando di questo hotel di culto.
Rapida conclusione: una meta obbligatoria.

In apertura: risotto allo spumante e blend di pepe e sesamo, caciotta e aceto balsamico. Un risotto memorabile.

Ottimi amuse-bouche

Terrina di foie gras con sgombro, miso e spezie. Coefficiente di difficoltà altissimo, abbinamento assai ardito. Risultato finale notevole

Tartare di gobbetti, pane, olio e cedro. Fine e rinfrescante, sarebbe perfetto se la proporzione fra tartare e elementi freschi fosse un po’ più spinta in favore dei secondi

Carpaccio di capesante, bacon, sale alla vaniglia. Più scolastico, ma comunque ben riuscito

Capesante impanate, ripiene di mozzarelle di bufala, foglia di sedano e tartufo. Il piatto più debole, anche se l’idea del sedano tiene tutto insieme

Cappellotti di parmigiano in brodo freddo di tonno, doppio malto e spezie. Già detto, una gran riuscita.

Capellini aglio, olio e peperoncino, anguilla affumicata e polvere di cacao. Un altro piatto di grande scuola. Splendida l’armonia tra i due mondi, impagabile la capacità di unire finezza e gourmandise.

Filetto di spigola alla Marinara fragrante, crescione e tataki di melanzana.

Grigliata di sciabola e gamberi rossi al balsamico, patate e asparagella. Come ingentilire i sapori delle grigliate estive. Tecnica spintissima.

Merluzzo carbonaro glassato al saké, verdurine in campo viola.

Piccione arrostito al tè nero e sherry, zolfini e porri strinati. La foto un po’ scura non rende giustizia a un piatto bello e buono in pari misura

Petto d’anatra in stile tandoori, lattughina e albicocche al vino. Passaggio in India, altro pezzo di bravura.

Agnello da latte alla brace di semi di coriandolo, fave e purea di pomodoro. Una delle vette della cena e un altro abbinamento oriente-occidente da applauso

Scenografica versione del babà, qui anche i dessert sono di livello.

Ricordo di uovo allo zabaione, granita di orzata alla crema di caffé. Piatto della memoria, tra le domeniche campane e le mattinate di vacanza nel salento. Regressivo e tecnico insieme.

Le bottiglie che ci hanno accompagnato durante la serata:


Il cocktail bar al piano terra, per iniziare con un Americano, se amate il genere, di rara bontà.