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I mitili mediterranei: le Cozze

…o delle cozze

Diffuse anche col nome di muscoli, peoci, pedoli e móscioli, le cozze hanno subìto un sensibile indebolimento negli ultimi anni in termini di mercato. Prima causa, la concorrenza da paesi UE (Danimarca e Germania) ed extra UE, come la Cina, che ne è la prima produttrice al mondo; secondo motivo, il calo dei consumi, imputabile alla sempre maggiore differenziazione e varietà dei costumi alimentari incoraggiato, com’è noto, dalla globalizzazione. Come si risponde, dunque, alla spinta unificante e integrante della globalizzazione? Iperlocalizzando. Una  tendenza incalzata anche dai nostri chef, che premiano iniziative “di nicchia” come quella della famiglia Bigi, ad Olbia, o quella di Lorenzo Busetto, classe 1984, acquacoltore da oltre due decenni e fondatore di Mitilla, allevamento che garantisce altissimi e costanti standard qualitativi nello straordinario paesaggio di Pellestrina. Vediamo, ora, come la cozza si declina in cucina.

Alessandro Rapisarda, Casa Rapisarda, Numana (AN)

A proposito di iper-localismi, eccovi servito il mosciolo selvatico di Portonovo, ingrediente feticcio di Rapisarda. Siamo a poche decine di metri dalle spiagge della turistica Numana, nel pieno centro del borgo storico. Qui, l’acqua dei molluschi – che non vengono puliti – viene sottoposta a successive operazioni di spurgatura che danno luogo a un liquido limpido ma, allo stesso tempo, più sporco e gustoso nel sapore. Risultato? Un ottimo guazzetto di cozze!

Matias Perdomo, Contraste, Milano

Un’opera collettiva, quella che Matias Perdomo, Simon Press Thomas Piras perpetuano al Contraste,  dove i tre danno vita a una performance gustativa unica e corale, ricca di bassi e acuti, capace di dosare morbidezze e sferzate improvvise realizzate con consapevolezza e senso del gusto. Una cucina originale, divertente e divertita, come in questa cozze cacio e pepe.

Giulio Terrinoni, Per Me, Roma

Una cucina di mare, dalla materia prima attentamente selezionata, trattata con rispetto, presentata in piatti dai sapori netti, puliti e punteggiati di estrosi elementi: questa è la firma di Giulio Terrinoni, un tributo all’arte dell’essenzialità, come si evince da questo golosissimo, originale boccone che alla cozza combina ’nduja e toma di bianca alpina.

Donato Ascani, Glam, Venezia

I mercati quotidiani di Venezia sono parte integrante della proposta di Donato Ascani, in questo menu che si richiama tanto a Paolo Lopriore quanto al bancone del Kiyota Sushi, di Tokyo. Quanto al piatto in questione, esso è entrato di diritto tra i migliori assaggi dell’anno (2019 n.d.a), cliccare sul link per credere.

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un dialogo interrotto e ripreso alla fine del menù quello di Alberto Gipponi e la cozza. Un elemento importante, perché capace di combinarsi, nella sua grammatica gustativa, con efficacia semantica fino a comporre un ritratto di straordinaria italianità a dispetto dell’orientalissimo dei due condimenti utilizzati: il miso di caffè e lo shiokoji di Michele Valotti de La Madia di Brione.

Antonino Cannavacciuolo e Vincenzo Manicone, Caffè e Bistrot, Novara

Vincenzo Manicone, ragazzo cresciuto e maturato alla corte di Cannavaccioulo, è portatore sano di quell’innato senso del gusto che gli fa elaborare creazioni eleganti e proporzionate. Un grande talento di saucier, il suo, capace di piatti di grande classicismo dove, al netto di una indubbia complessità, non c’è mai un tocco fuori posto, mai un eccesso, come accade in questa sorta di architettura votiva.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Un viaggio che va alla ricerca di  materie prime eccellenti, quello di Alessandro Negrini e Fabio Pisani, nel Luogo per antonomasia. Uno e mille luoghi, invero, perché l’Italia è percorsa in lungo e in largo nel menù, rappresentata una volta dai gamberi viola di Sanremo, dai peperoni di Senise, dal tonno rosso di Sicilia, dalla fassona piemontese, dall’anguilla del Delta del Po, dalle patate di Polignano, dal pomodoro del Pollino, dal maialetto orvietano e dallo zafferano di San Gavino, fino a questa carnosissima cozza dell’Adriatico, a comporre un piatto di grande eloquenza.

Nicola Portinari, La Peca, Lonigo (VI)

Un altro tributo all’Italia quello di Nicola Portinari, per cui la nostra nazione è sia musa che deus (dea) ex machina, ovvero una divinità  onnisciente capace di infiniti giri intorno al mondo, divagazioni e depistaggi, ma che parla sempre di se stessa, e per se stessa, interpolando i confini della verdura e della carne, della frutta e del pesce. Qui la cozza, di straordinaria consistenza croccante, è sdrammatizzata e anzi elevata sin quasi alla sublimazione dal concentrato di cetriolo.

Silvio Salmoiraghi, Acquerello, Fagnano Olona (VA)

Attualizzazione e valorizzazione dei grandi classici della cucina italiana: questa la dichiarazione che si legge all’interno del menù di Silvio Salmoiraghi dove campeggiano in nuce tutti i precetti della Nuova Cucina Italiana, scandita in chiave kaiseki. Un viaggio strepitoso è rappresentato proprio dalla capasanta di Venezia cotta al vapore con acqua alla menta e ricoperta di polvere di felce, accompagnata da yogurt valdostano, cavolo nero, bergamotto e  cozza pelosa pugliese in salsa di acqua dolce.

Valentino Cassanelli, Lux Lucis, Forte dei Marmi

Prendendo proprio spunto dal viaggio che lo ha portato da Modena a Forte dei Marmi, Valentino Cassanelli ha creato il suo menù più completo, “On the road. Via Vandelli”: una strada già percorsa dal Duca Francesco III d’Este per arrivare, da Modena, al mare. Per lo chef, un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca dei sapori delle due terre, Emilia e Toscana, rappresentato da piatti – o più spesso solo assaggi – così evocativi che non necessitano nemmeno della descrizione.

Chang Liu, Serica, Milano

Mauro ed Elisa Yap sono figli d’arte: seconda generazione di una famiglia di ristoratori cinesi che ha dato lustro a molti locali milanesi, decidono di aprire un locale tutto loro che affidano alle cure di Chang Liu, cuoco con tante esperienze alle spalle, qui artefice di una cucina sorprendentemente capace di rileggere i grandi classici italiani studiandone le potenzialità in termini di contaminazione, come già fece Yoji  Tokuyoshi alla corte di Massimo Bottura.

Primi piatti

Rocco Santon e Nicola Cavallin, Noir, Ponzano Veneto (TV)

Nasce ad agosto 2019 grazie alla passione di due giovani chef, Rocco Santon e Nicola Cavallin, e dalle rispettive esperienze che, combinatesi assieme, daranno vita a una realtà nuova e diversa. Ne sortisce un’impostazione non banale né accondiscendente di cui sono vessillo proprio i fusilli, ceci, cozze e bieta amara: un ottovolante tra l’acidità delle cozze alla scapece, la rotondità della purea di ceci a donare struttura e l’amaricante degli elementi vegetali e floreali a garantire lunghezza. Un piatto davvero ben eseguito.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Siamo di nuovo nel Luogo per antonomasia della Nuova Cucina Italiana: qui in un primo piatto  dalla golosità prorompente che nobilita la tradizione popolana della pasta, cozze e patate per farne un risotto alto-borghese, fin nella componente estetica: superba.

Donato Ascani, Glam, Venezia

Di nuovo Ascani (visita del 2020), in un piatto che punta sull’aromaticità del sesamo e del cipollotto marinato forieri di sensazioni amare e acide, anche spigolose, che si combinano con la carnosità del gambero e della cozza, con grande maestria.

Simone Marchelli, Meta, Celle Ligure (SV)

Chef e patron di MetaSimone Marchelli è artefice di una cucina che affonda profondamente le proprie radici nel territorio – Liguria ma anche Piemonte – combinandone anche gli stilemi più rigidi, come accade nei plin con ripieno di tartrà di Parmigiano Reggiano 24 mesi in zuppetta di cozze: un piatto sicuramente assai sapido, reso aromatico dall’aglio dolce.

Creature del Nord

René Redzepi, Noma, Copenaghen

22 portate che esplora le profondità marine del Baltico e dell’Atlantico, portando nel piatto creature abissali che solo dal nome richiamano le gesta del Capitano Nemo. Dalla vongola centenaria servita con panna acida e olio di pino al nobile alla cozza del Baltico servita con caviale e brodo di alghe: una combinazione vincente tra uomo, territorio e clima.

Nicolai Nørregaard, Kadeau, Copenaghen

Un solo menù degustazione dove ogni portata è un’occasione per sviluppare uno studio attorno a un ingrediente.  È quello che accade coi germogli di abete, che donano una felice nota balsamica alla cozza delle Far Øer affumicata, o il succo di ribes bianco e i fuori di sambuco alla più primaverile e virginale cozza artica cruda.

Interpretazioni iberiche…

Joan Bayén, “Juanito”, Pinotxo Bar, Boqueria, Barcellona

Un locale che fa cucina di mercato, nel mercato, aperto settantasei anni fa Joan Bayén, detto Juanito, iconico oste sorridente del Pinotxo Bar della Boqueria di Barcellona. Non c’è un menu. Si lascia fare a loro e ci si imbatte in semplici ma indimenticabili tapas: come la cozze ripiena di verdure in agrodolce.

…e d’Oltralpe

Sven Chartier, Saturne, Parigi

All’interno delle due sale in cui si sviluppa il ristorante, lo chef, affiancato in sala da Ewen Le Moigne, manda in scena una rappresentazione il cui credo è il rispetto per la natura in ogni sua forma. Sven Chartier dimostra di possedere una maturità sorprendente, che applica a ogni piatto, dando vita a una cucina vivace, inappuntabile dal punto di vista tecnico, vivace nei cromatismi e soprattutto nelle studiatissime temperature di servizio.

Carni e cozze

Nikita Sergeev, L’Arcade, Porto San Giorgio (MC)

Lo chef moscovita ha smussato gli angoli e trovato un suo centro di gravità gustativa “permanente” che non teme, se è il caso, commistioni audaci, e ormai distintive, come quelle tra terra e mare.  Accade nel cervo e la sua salsa – una salsa da manuale, in stile bouillabaisse catapultata lungo la costa marchigiana  – che allunga in maniera esponenziale il gusto.

Alex e Vittorio Manzoni, Osteria degli Assonica, Sorisole (BG)

Una degustazione “vit.ale”, così come il nome del menù, dove si familiarizza con le due anime della cucina dell’Osteria. Frequenti i giochi di acidità in piatti dai contrasti decisi, ma ben pensati, come nel caso dell’agnello dove la dolcezza della carne viene ottimamente valorizzata dalla nota iodata delle cozze: un abbinamento insolito ma molto ben eseguito.

Enrico Mazzaroni, Il Tiglio in Vita, Porto Recanati (MC)

Nel corso dell’ampio menu degustazione Mazzaroni alterna due pulsioni: quella di sedurre l’ospite con un’avvolgente golosità e quella (come in questo caso) in cui la mano si fa più tranchant, e dunque piacevolmente spigolosa. In questa combinazione di terra e mare, a persuadere è la consistenza e, in particolare, la carnosità della cozza per interpolazione della carne.

Alberto Faccani, Magnolia, Cesenatico 

Una cucina composta e borghese, nel senso migliore del termine, e neoclassica, ovvero elegante, perché centrata mediante intelligenti contrasti, studiati col bilancino, questa di Alberto Faccani. Una cucina che non teme di abbinare in un sol boccone carne e pesce, come accade in questa paradigmatica piadina, tanto sostanziosa quanto vorrebbe, appunto, il palato romagnolo.

Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli, Abocar, Rimini

Sapori nitidi e persistenti, ben contrastati da ingredienti molto ben combinati e, di conseguenza, ben valorizzanti. Come in questo caso, dove il secondo e ultimo servizio della faraona la fa convivere con la dolcezza delle carote, con la maionese, la salicornia e, ultima ma non ultima, con un’impeccabile cozza in scapece.

Dulcis in fundo

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un colpo ben assestato alla morale comune: questo rappresenta questo piccolo, grande piatto, che racchiude in toto il pensiero, e il palato, di Alberto Gipponi.

Il Luogo della Cucina Italiana

Il luogo di Aimo e Nadia è decisamente il luogo della cucina italiana, delle eccellenze delle diverse regioni, della calorosa accoglienza. Insieme alla figlia della storica coppia, due chef che, entrati in questa cucina nel 2005, hanno colto una eredità, anche pesante, e sono stati in grado di gestirla al meglio, sia da un punto di vista culinario, che imprenditoriale. Alessandro Negrini e Fabio Pisani, il primo valtellinese e il secondo barese, conosciutisi in un altro tempio della ristorazione italiana, Dal Pescatore, sono una coppia che, sicuramente, si “scontra”  sulle visioni dei piatti ma, dal confronto e grazie a un grande affiatamento, si alimenta in un fervido percorso creativo. Non aspettatevi una cucina con slanci su acidità, amaro, fermentazioni, destrutturazioni, arie varie, perché questo è il luogo della ricerca su piatti della tradizione culinaria italiana, rivisitati con estro creativo, atto a renderli decisamente contemporanei, leggeri e molto belli da vedere.

L’interpretazione dell’autunno

Al Luogo ogni stagione è un’occasione unica e irripetibile per ripensare daccapo un ingrediente, una produzione speciale, un territorio” recita l’introduzione al nuovo menù dedicato all’autunno e ben esprime la filosofia dei due cuochi.

Un viaggio che va alla ricerca di  materie prime assolutamente eccellenti, percorrendo l’Italia in tutta la sua lunghezza, coniugandole in modo intelligente. Troverete cozze dell’Adriatico voluttuosamente carnose, i gamberi viola di Sanremo, i peperoni di Senise, il tonno rosso di Sicilia, la fassona piemontese, l’anguilla del Delta del Po, la patate di Polignano, i pomodori del Pollino, il maialetto Orvietano, lo zafferano di San Gavino e così via, tutte materie prime rigorosamente citate e valorizzate nella costruzione di piatti di grande gusto ed eleganza.

I garusoli in coccio con fagiolina del Trasimeno, rapa bianca al miele di rosmarino, bagnetto verde e peperoni cruschi sono un piatto emblematico della riuscita architettura delle diverse componenti con equilibrio e profondità di gusto davvero interessanti. Il patè di anatra al profumo di tartufo bianco e finferli in agrodolce è squisito e vola leggiadro nel palato. Il maialetto orvietano in tre cotture parte dolce con la testina con mela cotogna, vira su una decisa sapidità con il cosciotto con panatura alla camomilla e chiude egregiamente, di nuovo sul dolce, con una tartelletta con il sanguinaccio.

Ci sono dei piatti che sono forse ancora da affinare, un po’ sottotono o per creatività o per gusto: la rivisitazione al contrario del vitello tonnato con le due salse di accompagnamento, la bernese e quella di vitello, non è un piatto particolarmente originale e le salse un po’ troppo coprenti il superlativo tonno rosso siciliano. L’anguilla steccata con lardo di Colonnata dovrebbe in realtà essere più caramellata per dare più personalità al piatto:  su questo aspetto uno dei due chef ha ammesso di essere stato lui a volerla così, andando contro il volere del socio, quindi vedremo come sarà in futuro.

Ad ogni modo si tratta di un’esperienza decisamente positiva: un’occasione di affondo nella cultura gastronomica italiana, rispettata e rivisitata, e valorizzata ulteriormente dall’affiatamento che alberga non solo fra i due chef ma fra cucina e sala, dove officia un’altra bravissima coppia.

Un luogo, insomma, di grande piacevolezza e piacere.

La Galleria Fotografica:

Tutta l’eccellenza italiana in un Luogo, quello di Aimo e Nadia

Non è, e lo sappiamo bene, un discorso di pura attualità. Tuttavia, ad ogni incursione in via Montecuccoli, il nostro pensiero ritorna, come un riflesso condizionato.  Per dare un seguito alla storia felice del proprio locale, Aimo e Nadia Moroni non avrebbero potuto scegliere eredi migliori. Se di fronte alla Storia, che in questo caso non può essere citata con l’iniziale minuscola, i modi e i tempi dell’uscita di scena contano quasi quanto le vette raggiunte. L’inossidabile coppia della ristorazione meneghina ha confermato una volta di più di meritare un posto di rilievo negli almanacchi gastronomici della Penisola.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, pressoché complementari per cultura e retroterra palatale, in un’ideale sintesi gustativa dello Stivale, sono andati ben oltre lo stanco trascinamento di una realtà che avrebbe potuto tranquillamente, come altre in Italia o specialmente Oltralpe, accettare il ruolo di vecchia gloria della ristorazione. Senza stravolgimenti, in punta di piedi, ma con inesorabile continuità, i due hanno conservato, a volte limato e, in generale, riplasmato nella forma il pensiero culinario di Aimo. Un’idea di cucina che, a 56 anni dall’apertura del Luogo di Aimo e Nadia, non mostra la corda in un mondo gastronomico in cui la centralità dell’ingrediente, l’importanza dei produttori e le risorse gustative che il regno vegetale, quando non banalizzato a comprimario, è in grado di offrire sono valori tuttora ribaditi in molti dei manifesti più all’avanguardia.

La purezza dei colori primari, gli ingredienti perfetti, una cucina costruita intorno al prodotto

Ha ancora senso, quindi, rinunciare per una sera alle vetrine del centro, agli interni sfarzosi delle sue migliori tavole e investire la stessa cifra per una gita in questa periferia diversamente affascinante e vivere l’esperienza di Renato Pozzetto in toilette stile residence da “Il ragazzo di campagna”? Sì. Ha ancora moltissimo senso. Ci sentiamo, anzi, di dire che di Aimo e Nadia sentiamo sempre più il bisogno. Non certo perché sazi e stanchi di accostamenti più arditi, di tecniche funamboliche e schiaffi sulle gengive, ma perché qui, come da tanti anni, anche il palato più educato riscopre la purezza dei colori primari, degli ingredienti perfetti, di una cucina costruita intorno al prodotto.

Del cadre non indimenticabile abbiamo più volte scritto e, del resto, tanti ne avevano già parlato prima di noi. È un dato oggettivo, quasi indossato con orgoglio, ormai. Il contesto non è però solo costituito da muri e suppellettili, ma anche, e qui ancor più che altrove, la faccenda non è dettaglio di poco conto, da persone. Ad accompagnarci attraverso i sottili giochi di amaro, acido, salmastro, tracce e stimoli sparsi come allegorie medievali lungo il nostro percorso, sono stati, come ormai da tempo accade, Nicola Dell’Agnolo e Alberto Piras, anime anch’esse complementari, Ulisse e Diomede di una sala sorniona, ma complice allo stesso tempo. Assai intriganti, in particolare, le selezioni al calice del giovane sommelier, con etichette non banali, prestigiose ma scelte con personalità e proposte con l’entusiasmo di un amico competente che, per una sera, si diverta a vedere, neppure troppo di nascosto, l’effetto che fa.

La galleria fotografica:

Quanti sono i ristoranti che possono vantare una grande tradizione familiare e che da mezzo secolo sono in grado di lasciare ricordi indelebili nei cuori delle persone? Beh, pochi. Molto pochi. Ma in Italia ce n’è uno. Forse il più storico e longevo di tutti. E’ il luogo di Aimo e Nadia Moroni che l’anno prossimo compie cinquant’anni tondi tondi; cinquant’anni che non si fanno affatto sentire, dato che il livello di questa cucina nel corso di mezzo secolo di onoratissima attività è stato un crescendo. Non occorrono tante parole per descrivere l’intensa esperienza gastronomica che si prova a questa tavola in cui si percepiscono sapori cristallini ed incisivi, frutto di uno studio totale del territorio e dei suoi prodotti, che ripercorrono l’essenza di tutte le regioni italiche rielaborate con tecnica ed estro, per un risultato apparentemente nuovo al palato, ma che stimola i più cari ricordi.

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Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Da via Montecuccoli passa un pezzo di storia della cucina italiana.
Ma tra queste mura non aleggia solo il ricordo. L’energia è ancora pulsante, il battito è forte. Questo è ancora un ristorante vivo, dinamico.

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