Francesco Apreda rappresenta una delle poche e solide certezze gastronomiche del panorama attuale della capitale.
E’ uno chef mai banale, data la sua incredibile curiosità e voglia di ricerca che lo ha portato ad approfondire diverse culture culinarie, soprattutto dell’Estremo e Medio Oriente, con cui ha avuto molti contatti nel suo incessante peregrinare. Le ha approfondite queste culture fino a padroneggiarle completamente, fondendo felicemente queste esperienze con la sua anima fortemente mediterranea in un blend unico di sapori, profumi e consistenze.
Il termine fusion, che può destare facilmente perplessità per un suo ricorrente utilizzo atto a dissimulare idee approssimate e confuse, assume qui un senso compiuto.
La sicurezza dello chef traspare anche dalla messa a punto di tecniche e accorgimenti che danno vitalità e sostanza alla sua cucina originale e davvero stimolante.
Un esempio è un piatto come lo spaghettoro al pomodoro e basilico, quasi spiazzante in una tavola del genere, sintomatico della capacità di dare sfumature diverse a ciò che appare, a prima vista, decisamente scontato. Ma la scelta dello chef è quella di esaltare il concetto di rivisitazione aggiungendo valore all’originale, non sottraendone.
Ecco allora un pomodoro San Marzano, che, frullato con aglio e aceto e successivamente filtrato, fornisce l’acqua in cui viene cotta la pasta che ne assorbe tutta l’acidità. A completare il quadro varie consistenze di diversi tipi di pomodoro che conferiscono notevole vivacità al piatto nonché una concentrazione persistente e significativa.
Sulla stessa linea concettuale si pongono i diversi modi di veicolare l’umami nei tagliolini alla seppia: nelle interiora del cefalopode mantecato col suo fegato, negli spinaci frullati con alga kombu e nell’alga nori di cui è fatta la pasta. Una serie di glutammati naturali che conferiscono sapore e leggerezza al tempo stesso.
Ogni spezia è impiegata con encomiabile accortezza, vero strumento per completare ed esaltare una pietanza, come nello splendido risotto dove una carezza soavemente piccante accompagna l’astice in modo ammirevole.
Più in generale, ogni portata è espressione di una sintesi riuscita tra grande padronanza dei fondamentali e la complementare, cosmopolita passione dello chef per le scuole gastronomiche che hanno forgiato la sua esperienza professionale: in primis il Giappone, con il suo rigore e il suo equilibrio, e l’India con ingredienti e spezie delle sue millanta cucine regionali.
Il tutto in una sala dai cui tavoli vicini alle vetrate si gode una vista spettacolare sulla città eterna e in cui il servizio, adeguato al livello del ristorante e dell’albergo che lo ospita, è piacevolmente privo di quelle ingessature formali che potrebbero facilmente alterarne la scioltezza.
Uova di quaglia in tempura su crema di peperoncino agrodolce, soia e polvere di lime, cannoli di riso con baccalà, polvere di pomodori e capperi e patè di olive nere e crema di maionese, frittelle di fiori di zucca e bianchetti polvere di curry.
Bruschetta di pane di Lariano, guacamole, pomodori, aglio nero, carpaccio di ricciola, olio extravergine liofilizzato, portulaca.
Selezione di pani. In evidenza il croissant al finocchio, i grissini alle noci con sesamo e la burrata con paprika dolce.
Gelatina di alga Kombu, mousse di melone, crumble di taralli, peperoni allo cherry. Felice rivisitazione del prosciutto e melone.
Terrina di foie con pistacchi e ciliegie al maraschino, betel nut (noce gommosa indiana dalle mille virtù) e galgant (spezia acida simile allo zenzero).
Fluida di pomodoro con mozzarella, verdure in ceviche, patata viola peruviana, caviale. Piatto più leggero di quanto lascerebbe presagire la presenza della mozzarella. Caviale superfluo.
Tris di tartare: gobbetti su pane all’olio, scampi con carote, gamberi rossi con taccole e fresella alla soia, rinfrescante cetriolo aromatizzato al lime e pepe a mò di zenzero giapponese tra una tartare e l’altra.
Tagliolini all’umami di seppia alla piastra, semi di finocchio selvatico e purea di spinaci
Spaghetto Verrigni, purea di pomodoro confit di tre pomodori diversi, polvere della buccia, pomini essiccati, parmigiano fluido.
Risotto all’astice cotto in infuso di verbena e blend di spezie Mombay dolcemente piccante.
Ravioli al vapore con coniglio e olive, asparagi e ricotta al rosmarino
Triglia, tartufi di mare, carbone di melanzana, spugne al prezzemolo e purea di ceci.
Vitello in casseruola al fieno, anguria piastrata, finferli e bianchetti.
Secreto (costato) di maiale, mango, miele di eucalipto, parmigianina di patate, pepe verde.
“Ciliegie” con sherry e mollica di pistacchio.
Yogurth con cioccolato bianco, frutti di bosco, crumble e caramello.
Luna (sfera di zucchero soffiato) con spuma di cheesecake al lemongrass, frutti di bosco, cupole di champagne e spumante.
Interno…
Cannoli di mango e albicocca, ghiacciato di cocco, terra chai (ispirata al tè chai fatto con tè darjelling, latte e varie spezie con cardamomo, cannella, zenzero).
Petit fours
Cristal
Dom
Roederer rosé
Interno
Esterno lontananza
Roma…
Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui
Recensione Ristorante
Top of the World! – Metaforicamente parlando si intende. Però dalle vetrate del ristorante Imàgo a Trinità dei Monti si ha proprio l’impressione di essere al centro del mondo. Una vista mozzafiato con il cupolone di San Pietro là rassicurante all’orizzonte.
L’ambiente è sicuramente esclusivo e la clientela, almeno durante la nostra visita, quasi esclusivamente straniera. Siamo accolti dal maitre e per tutta la serata dobbiamo ammettere di essere stai coccolati e riveriti come dei principi. Servizio veramente ai massimi livelli.
Veniamo alla cena. Quasi per un attimo ce n’eravamo scordati incantati dalla magica atmosfera che il luogo ci riserva.
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