Passione Gourmet Heinz Beck Archivi - Passione Gourmet

Il miglior abbinamento del 2022

Così come per il miglior piatto del 2022, abbiamo tentato di risalire al miglior abbinamento esperito in questo anno solare. Perché se un piatto, da solo, può spalancare mondi, un abbinamento ben riuscito è un virtuosismo, oltre che un raffinatissimo affondo nelle dinamiche della percezione. Ultimo ma non ultimo, l’abbinamento accende i riflettori sulla sala: un sodalizio dal quale nessun cuoco, nemmeno il più creativo, può prescindere.

Ribolla di Josko Gravner e l’Animella ai fiori d’arancio di Alberto Gipponi e Alessandro Lollo da Dina

Non è proprio una novità, ma l’abbinamento proposto da Dina e assaggiato nell’anno corrente, con colpevole ritardo, si è rivelato qualcosa di straordinario per la sensazione che la combinazione cibo-vino crea al gusto e all’olfatto del commensale. Si mangia e si beve in successione. Piatto e bicchiere vengono di proposito serviti l’uno dopo l’altro, evitando di alternare assaggi a sorsi. C’è una infinità di nuance aromatiche che sopraggiungono soltanto dopo aver mangiato l’animella, dal momento in cui si inizia a sorseggiare la Ribolla di Josko Gravner e, in qualche modo, il piatto si completa nel commensale che metabolizza l’ensemble in un continuo allungo tra fiori d’arancio e sentori dolci e balsamici. Una persistenza che è ancora un vivido ricordo. (Leonardo Casaleno)

Viña Gravonia di Lopez de Heredia e Tagliatelle di Fagioli, cozze e trippa di baccalà di Massimo Raugi e Antonino Cannavaccuolo a Villa Crespi

Antonino Cannavacciuolo è anche un grande interprete delle paste. Questa sua, che rivisita molto intensamente la pasta fagioli e cozze di Napoletana memoria, trova un abbinamento splendido con questo intenso e persistente vino spagnolo, Viña Gravonia, ottenuto da uve Viura provenienti da viti impiantate 50 anni lungo il fiume Ebro, a 200 metri di altitudine e su terreni poveri. Il vino viene invecchiato per 48 mesi in botti di rovere usate per non conferirgli un carattere troppo marcato. Vino dal tannino marcato, al naso si scoprono frutti bianchi maturi e una leggera nota di vaniglia, una bocca elegante seppur intensa infine si sposa perfettamente con la pasta di fagioli e la componente ittica e cremosa del piatto. (Alberto Cauzzi)

Kabinett Bernkasteler Badstube 2020 di J.J.Prüm e Melanzana arrosto e caramello di pesca di Gianni Sinesi e Niko Romito al Reale

Un accostamento per assonanza, di precisione millimetrica! (Orazio Vagnozzi)

Barolo Cappellano Piè Rupestris 2014 e Agnello con salsa al mirto e carote di Polignano di Heinz Beck e Marco Reitano

Un abbinamento anche fin troppo classico ma mai così azzeccato, nato casualmente sfogliando una monumentale carta dei vini e benedetto da Marco Reitano, un grandissimo uomo di sala e profondo conoscitore di vino. Il Barolo di Cappellano 2014, annata fresca e ingiustamente sottovalutato, abbinato ad uno dei migliori piatti d’agnello degli ultimi tempi, opera dello chef Heinz Beck, con carote di Polignano e una leggerissima salsa al mirto. (Antonio Sgobba)

Roses de Jeanne La Bolorée e Fetta di pompelmo, una goccia di tabasco, foglia di shiso rosso di Carlo Cracco e Luca Sacchi da Cracco

Esattamente al centro del menù degustazione, passaggio neppure in carta, invenzione dove si vede il valore del cuoco nello scandire, in spirito e gusto, la transizione tra i due atti dell’opera. Cosa si beve con questo? Difficile dirlo. Ma avevo davanti un Roses de Jeanne La Bolorée (Cedric Bouchard ne fa un migliaio di bottiglie all’anno, 100% Pinot Blanc, vigne di oltre 50 anni, radicate su terreno ricco di calcare, un quattro anni d’affinamento su lieviti indigeni). Che si beve su quel semplice brillante intermezzo? …vado… Le vedete le scintille? (Gianni Revello)

Lepre à la Royale di Enrico Crippa e il Barolo Bussia 2017 di Ceretto del Maître Davide Franco e dell’head sommelier Jacopo Dosio

Un grande piatto della tradizione francese sapientemente interpretato da Enrico Crippa abbinato ad un grande vino del territorio ancora giovane, con un tannino moderato ma molto elegante che si sposa alla perfezione con il piatto. (Davide Bertellini)

La Marinara del pescatore di Filippo Venturi e il Palome di Luca Nuzzoli

Un giovane talento dell’arte bianca (Filippo Venturi) che sta muovendo gli interessi di larga parte della critica, un barman di grande abilità (Luca Nuzzoli) che sperimenta miscelati da abbinare alle pizze. Nella Marinara del pescatore il profumo intenso ed elegante dell’aglio di Voghiera si mischia con la salinità delle acciughe del Cantabrico e la dolcezza del San Marzano e dei datterini rossi. In abbinamento, “Palome”, Tequila, lime e bergamotto, bitter al sedano, agrumata Baladin: acidità e freschezza a mitigare la sapidità della pizza e prolungarne il gusto. (Roberto Bentivegna)

Mosnel Riserva 2008 e Agnello e melanzane sotto cenere di Cristian Torsiello all’Osteria Arbustico

A opera di Cristian Torsiello, sommelier dell’Osteria Arbustico, un abbinamento magistrale: provare per credere. Non facile, preparazione ricca di nuance affumicate e di una certa grassezza, il tutto risolto brillantemente con una bollicina italiana di gran classe che pulisce e sferza il palato allungando incredibilmente in bocca i sapori del piatto (Giovanni Gagliardi)

Empreinte 2021 di Alain Robert e Petto d’anatra, arancia, finocchio e aneto di Gianmarco Dell’Armi e Davide Coletta da Materia Prima

La mineralità del vitigno e la sua peculiare territorialità non si limita ad accompagnare il petto d’anatra. L’abbinamento rappresenta un valore aggiunto al piatto; il binomio che il vino crea con l’arancia di guarnizione esalta la carne, amplificandone e trasformandone il gusto. (Valerio De Cristofaro)

Chambolle Musigny Laurent Roumier 2017 e Spaghetti affumicati con aragosta e limone d’Amalfi di Domenico Magistri e Valentina Bertini alla Langosteria

La Langosteria, in tutte e sei le sue declinazioni (Cucina, bistrot, café…), è un caposaldo quando si parla di pesce. La materia prima è di qualità suprema e le preparazioni sono pressoché perfette. Piatti per lo più semplici, appartenenti alla tradizione marinara, che, tuttavia, sono riattualizzati con sapienza e senza eccessi. Iconici in questo senso gli Spaghetti affumicati con aragosta e limone d’Amalfi, rotondi e confortanti, ma con quel guizzo in più donato dal sentore fumé. Ideale, poi, l’abbinamento con il 100% Pinot Nero di Laurent Roumier, che con la sua struttura agile non sovrasta mai il crostaceo. (Adriana Blanc)

Meursault AOC 1995 di Robert Ampeau et Fils e Passatello, brodo ghiacciato di carciofo, menta, limone e parmigiano di Alessandro Lollo da Dina

L’apice di una serie di abbinamenti straordinari concepiti da Alessandro Lollo per il menù “I’M PASTA” di Aberto Gipponi. Un piatto che, di primo acchito, potrebbe sembrare impossibile da affiancare ad un vino (una nota amara molto importante, l’astringenza, la menta ad aumentare la difficoltà…): invece, il Meursault di Robert Ampeau & Fils riesce nell’impresa, grazie alle note di menta e a quella componente burrosa dei borgogna del passato, capace di smussare l’amaricante. Memorabile. (Claudio Marin)

Il vino della Volta de La Stoppa e il Diaframma e nocciola di Antonio Ziantoni

Confesso che ho peccato. E lo confesso nel senso che non si tratta di un abbinamento concepito a monte, ma immaginato solo successivamente dalla sottoscritta. Il Diaframma e nocciola di Antonio Ziantoni, qui in asilo al Cavallino, di Modena: un piatto tutto all’insegna di una succulenza ematica molto fondente e torrefatta, a cui il vino passito de La Stoppa – arrivato solo in seconda battuta, ahinoi, col dolce – restituiva tutta la bellezza carnale e istintuale. Una ulteriore conferma della versatilità dei vini dolci, quando non si limitano a esser solo dolci, appunto, ma si aprono a tutto l’universo delle provvidenziali durezze. (Leila Salimbeni)

Vin Jaune 2000 di Rolet Père et Fils e Torta di carciofi, parmigiano e tartufo con salsa perigourdine di Mauro Colagreco e Benoît Huguenin al Mirazur

Lo Chef Mauro Cologreco conclude la parte salata del menù degustazione, a tema floreale, con una splendida torta di carciofi, parmigiano e tartufo nero. Il piatto, decisamente gourmand, è sorretto ed arricchito da una concentratissima salsa perigourdine, al tempo stesso smorzato da una più fresca al limone nonché accompagnato da un calice di Vin Jaune, con le sue classiche note fortemente ossidative che donano un sorso complesso, strutturato ed intenso perfettamente complementare alla portata per un risultato che non può non rimanere a lungo impresso nella memoria gustativa del commensale. (Gherardo Averoldi)

Gattinara 2018 di Cantine Nervi e lo Spaghetto freddo con gazpacho di pomodori verde, scampi e plancton di Massimiliano Musso al Ca’ Vittoria

Un abbinamento azzardato, ed è estate tutto l’anno, con un nebbiolo prodotto in Alto Piemonte nel 2018 da Cantine Nervi anzi prima annata come Conterno, il Gattinara, con i suoi tannini fibrosi e più ampi spingono lo Spaghetto freddo con gazpacho di pomodori verde, scampi e plancton di Massimiliano Musso, Chef di Ca’ Vittoria nella Villa settecentesca a Tigliole d’Asti. L’alchimia non è data da un impeto creativo ma da una consapevole ricerca di freschezza e potenza dei gusti che, con un effetto venturi, arrivano con grande piglio. (Erika Mantovan)

Buttafuoco Bricco Riva Bianca Picchioni e la Pecora di Anguillara in tre servizi di Andrea Rossetti e Filippo Pojana all’Osteria V

Andrea Rossetti dell’Osteria V va in scena con i tre passaggi sulla Coscia di pecora di Anguillara. La tartare accompagnata dal chawanmushi emulsionato con l’acqua di fasolari. Il secondo servizio  con lo stinco sfilacciato e reso in croccanti chips, adagiate su purè al cui interno vi è, come il più classico tra dipping, il fondo di pecora vibrante e potente. Infine, lo Shabu-shabu in brodo di formaggio Vezzena schiude le porte alla masticazione, lubrificata dalla leggerezza del brodo, in temperatura sapientemente tiepida. L’abbinamento enoico scelto dai Pojana bros’ è il Buttafuoco Bricco Riva Bianca di Picchioni. Nulla di anticonvenzionale o fuori dal coro, bensì un’etichetta che che nel suo blend di croatina, barbera e unghetta di Solinga sa spaziare dalla freschezza del frutto rosso fino al solco di orme torrefatte. La costante? La nota balsamica presente, salda ma mai stonata ad accompagnare questa piccola gemma dell’Oltrepò Pavese. (Giacomo Bullo)

Tokaji Aszú 6 puttonyos 2013 di Szepsy e la Tarte tatin con gelato di Norbert Niederkofler e Lukas Gerges al St. Hubertus

Raramente mi affido all’abbinamento sia perché amo scegliere da me le bottiglie che mi accompagneranno durante il pasto, sia perché spesse volte il pairing non viaggia allo stesso livello della cucina (e ciò accade purtroppo anche in locale con molti blasoni…). Ovvio, le lodevoli eccezioni ci sono, Enoteca Pinchiorri in primis, con Alessandro Tomberli che si conferma fra i maestri di riferimento. Altro luogo ove sempre mi affido alle mani del sommelier è il St. Hubertus (hotel Rosa Alpina, San Cassiano, Badia, Bz), il ristorante della famiglia Pizzinini ove officia l’eccelso Norbert Niederkofler. Qui il poco più che trentenne Lukas Gerges si dimostra capace, ogni volta di più, di pianificare un grandioso percorso fra grandi etichette: una marcia che passa dall’Italia alla Francia, dalla Germania all’Austria, dalla Spagna al Nuovo mondo. Segnalo, fra i tanti sponsali proposti, quello fra la celebre (e per me irrinunciabile) Tarte tatin con gelato del cuoco altoatesino e un grande Tokaji Aszú 6 puttonyos, prodotto da Szepsy (annata 2013). Con la sua glicerica avvolgenza, la bella acidità (spalleggiata da una sostenuta mineralità), l’enorme spettro aromatico questo Tokaji accompagna, sostiene e avviluppa in modo magistrale il boccone ove predominano l’acidità della mela, la dolce amarezza dello zucchero caramellato e l’escursione termica acido-dolce del gelato. (Gianluca Montinaro)

Riesling Mosel 1994 e i Tortelli con crema pasticcera salata, riduzione di vermouth e artemisia di Federico Pettenuzzo a La Favellina

Un primo piatto travestito da dolce, o viceversa. Assai goloso nell’abbraccio tra la crema e il Parmigiano, a cui la nota amaricante della riduzione al vermouth ha donato una lunghezza rilanciata dal Riesling in grado, al netto dell’età, di manifestare una freschezza impressionante. (Gianpietro Miolato)

Chenin La Roche Bezigon di Jean Christophe Garnier e Ostrica, olio di levistico e granita all’acetosella di Atsushi Tanaka

Se nei piatti che vengono serviti, c’è un intero universo di sapori ed aromatiche intense ma mai predominanti come nel caso del menù di A.T. di Atsushi Tanaka, a Parigi, il compito del sommelier non è di certo dei più semplici. Ostrica, olio di levistico e granita all’acetosella, è un piatto con un intenso profumo di piselli freschi e prato appena tagliato, il gioco di caldo freddo aumenta il piacere della sensazione citrica e vegetale che in bocca si è sposata a perfezione con un Chenin Blanc La Roche Bezigon di Jean Christophe Garnier. (Marco Bovio)

Matos Nonet Venezia Giulia IGT Bianco Selezione Limitata 2016 Parovel e il Risotto al Plancton all’Aqua Crua

Presente nel menù degustazione “Iniziazione 1” è fra i piatti che di più hanno contribuito a portarlo al traguardo della stella Michelin parecchi anni or sono, un piatto che dimostra la fantasia e vitalità della Chef. L’abbinamento prima si gioca sulla struttura, il risotto mette in campo una struttura densa e compatta, quasi grassa accentuata dalla tendenza dolce del riso, il vino tiene testa al piatto e dopo la deglutizione ritornano assieme in un altalena dove sembrano giocare assieme. Ma la parte più interessante viene qualche secondo dopo, quando la parte aromatica del risotto, zenzero, plancton alga tostata giocano con quella del vino quasi a ricordare un tuffo nel mare, un gioco di iodo e salsedine bellissimo, inusuale. (Angelo Sabbadin)

Lambrusco di Sorbara Rosé 2017 di Cantina della Volta e Risotto ai crostacei, corallo di gamberi e katsuobushi di Salvatore Morello all’Inkiostro 

Un’esplosione di piacere. L’acidità del sorbara, agrumata e perentoria, incrocia qui le sue pulsioni con un piatto che tende più all’avvolgenza, alla rotondità, alla ‘lentezza’, scatenandone la vivezza e innescando accensioni prima agrumate, poi fruttate, infine, salino-iodate. Imperdibile. (Vania Valentini)

I Pici con clorofilla mantecati al ragout di agnello della Val di Funes e il Petruccino 2017 di Podere Forte

Il piatto più coinvolgente con il quale abbia avuto la fortuna di abbinare un vino. La scelta è andata per l’abbinamento con il Petruccino 2017 prodotto da Podere Forte in Val d’Orcia. Sangiovese in purezza da un vigneto giardino curato in regime biodinamico e lavorato da un giovane francese ed i suoi cavalli. Stupisce l’aroma mediterraneo di timo, maggiorana e lavanda per poi avvolgere il palato con una setosità inaudita, una frutta nera piccola, matura ma croccante, e un finale di una leggera nota muschiata. Menzione speciale per Marika, maître sommelier del Tyrol Hotel di Selva Gardena, al Suinsom da più di cinque anni. Nasce in un piccolo paese della provincia di Verona e diventa sommelier a Londra attraverso bellissime esperienze in ristoranti stellati quali l’Orrery, Murano e Tamarind a Londra per più di dieci anni attraverso il percorso WSET. Il suo libro dei vini racconta la sua passione per lo Champagne, la grande amicizia con i piccoli produttori dell’Alto Adige, la dinamicità della Toscana di oggi e di ieri e la bellezza del patrimonio ampelografico italiano e straniero con più di mille storie di vino da ascoltare. (Eros Teboni)

Un luogo fiabesco sui tetti di Roma

La Pergola è un posto magico, quasi fiabesco, dove in un luogo unico, sulla cima di Monte Mario con un’impareggiabile vista sulla Città Eterna, si trova una cucina ricercata, elegante ma, soprattutto, leggera e digeribile. Il successo di questo posto, monumento della ristorazione italica, va equamente ripartito tra cucina, sala e location, con lo Chef Heinz Back che gioca il ruolo di direttore d’orchestra. Di nazionalità tedesca, profondo conoscitore del Bel Paese e di tutti i suoi sapori, a ogni servizio mette in scena un Gran Tour della Penisola Italica, con un’attenzione maniacale alle materie prime, alla loro provenienza e alla digeribilità delle portate, frutto di lunghe sperimentazioni.

Una cucina elegante e digeribile affiancata con un servizio impareggiabile

Si nota fina da subito un rispetto assoluto della stagionalità che permette l’utilizzo di parecchi vegetali in grado di tenere testa a ben più pregiati prodotti di carne e pesce. Ne sono un esempio lo Scampo intiepidito e profumato nella cera d’api e abbinato a tuberi e radici in varie consistenze ma dal gusto deciso e intenso. Ruolo di co-protagonista svolto anche dalla Carota di Polignano che, sotto forma di ragù, ben si abbina a un agnello dalla millimetrica cottura. Una citazione la meritano, poi, le paste ripiene dalla sfoglia eterea e dal gusto inteso come i Fagottelli ripieni di carbonara, piatto simbolo del ristorante e i Tortellini ripieni di genovese e conditi con carciofi e tartufo. La terza componente del successo di questo ristorante è il servizio, diretto dal maître Simone Pinoli e dal sommelier Marco Reitano, due veterani, bravissimi a mettere a fuoco le esigenze della variegata clientela e farla sentire a proprio agio con una accoglienza cucita su misura. Qualità trasmesse a tutto il personale che, seppur giovane, è spigliato e reattivo a qualsiasi richiesta. La carta dei vini è monumentale con ricarichi degni di un tristellato, ma con un po’ di tempo e qualche chiacchiera col sommelier ci si può divertire e scoprire anche interessanti produttori.

Purtroppo questa realtà, a differenza delle fiabe, ha un prezzo, non popolare, che tuttavia vale la pena pagare almeno una volta nella vita di ogni gourmet che si rispetti.

La Galleria Fotografica:

La Galleria Fotografica:

A Paestum il nuovo ambizioso rilancio del Tre Olivi

Chi viene al Tre Olivi non viene semplicemente a cena ma per vivere un’esperienza a tutto tondo intensa e totale” in queste parole dello chef del Tre Olivi è racchiusa tutta la filosofia che anima il nuovo corso del ristorante gourmet del lussuoso Hotel Savoy Beach a Paestum.

 La famiglia Pagano che è titolare di un vero e proprio impero del gusto in zona – con l’azienda San Salvatore che è caseificio ma anche – e forse soprattutto – casa vinicola tra le più importanti e accreditate dell’intero Cilento – ha deciso di investire in maniera importante sul Tre Olivi, a dirigere il quale da poco più di un anno un anno è stato chiamato Giovanni Solofra, fresco di stella Michelin al St. George by Heinz Beck a Taormina.

Solofra, esperienze da Quique dacosta e Ciccio Sultano e poi una lunga collaborazione con Heinz Beck – insieme alla moglie Roberta Merolli, chef patissier che lo ha seguito in questa nuova avventura – ha la responsabilità oltre che, ovviamente, della cucina del Tre Olivi anche della ristorazione “ordinaria” dell’albergo, fatta eccezione per i numerosi eventi (leggi matrimoni ecc.) ospitati dal Savoy Beach la cui cucina è stata voluta nettamente separata da quella del ristorante.

Scelta importante che testimonia la volontà della proprietà di puntare con forza sul ristorante gourmet alla carta, facendo le cose “in grande”. E qui torniamo all’incipit, all’esperienza a tutto tondo che non vuole essere una semplice cena. Ed in effetti al tre Olivi non manca niente.

Dalla carta delle acque con più di qualche etichetta, al vassoio dal quale si può scegliere il sale da abbinare alla degustazione dell’olio, dal carrello dei torroni a quello molto strutturato – ed anche di eccellente livello per la verità – dei pani curato dalla bravissima Roberta Merolli con sole farine macinate a pietra da grani autoctoni cilentani, dal carrello dei confetti al fatto che ciascuno dei numerosi amuse bouche ha un simpatico nome di fantasia quasi a rimarcare come qui ogni cosa sia pensata, studiata per il piacere della clientela.

Un’esperienza ricca di racconti, suggestioni e stimoli in cui il lato scenografico è molto curato

E poi una serie di racconti sul territorio, di spiegazioni, di stimoli forniti nel corso della cena dal personale di sala e dallo stesso chef. Insomma, c’è tanto. Forse troppo potrebbe obiettare qualcuno. Questione di gusti e di punti di vista nei quali non entriamo anche se, almeno a parere di chi scrive, il futuro della ristorazione, soprattutto di quella che vuole essere “alta”, non potrà che essere caratterizzato da un ritorno all’essenzialità, alla sostanza. Comunque la si pensi, non può negarsi che c’è il rischio che ci si distragga da quello che dovrebbe restare centrale: il percorso di degustazione che al Tre Olivi è perfettamente calibrato su toni rassicuranti e “inclusivi”. La cucina rischia poco. Non c’è il colpo del KO, il piatto che ti resta.

Sembra quasi distratta dal contorno, dalla forma, troppo concentrata a sembrare indimenticabile per esserlo davvero. Come se avesse paura di rubare la scena al contesto presentando una eccessiva concentrazione gustativa. Emblematico, a nostro giudizio, il piatto Fontana o Pomodoro in cui c’è il concetto – il tributo a due grandi artisti Lucio Fontana e Arnaldo Pomodoro – l’estetica e la tecnica; il tonno è buono, il piatto è fresco ma dominato com’è dalla estrema dolcezza dei pomodori non può che risultare un po’ monocorde.

Una cucina tecnicamente ineccepibile – sia chiaro – ma che deve, a nostro giudizio, crescere in personalità, prendersi qualche rischio in più – nulla di necessariamente esagerato per carità – e soprattutto riconquistare centralità nel nome di una maggiore concentrazione di sapori.

Perché si può emozionare gli ospiti e regalare loro un’esperienza totalizzante anche solo facendo parlare dei grandi piatti.

La Galleria Fotografica:

Il fascino di quella vetrata, con una vista mozzafiato sulla città eterna, con le luci che illuminano la cupola di San Pietro. Cominciamo da qui: è una delle ragioni per cui è emozionante cenare alla Pergola. E poi una sala, al suo interno, arredata finemente, con grande eleganza e fascino. Ed un servizio che ha pochi eguali al mondo, non solo prendendo come punto di riferimento l’Italia.

Tutto ciò non è collocabile in uno spazio temporale definito. E’ come un grande dipinto di Botticelli, è senza tempo. Ed è giusto e rispettoso obbligare i signori ad indossare la giacca in questo luogo di culto. Rispetto, di fronte a questo affascinante tempio dell’alta cucina, ricco di eleganza borghese.
Heinz Beck in ultimo, ma non per importanza (tutt’altro), ci mette tanto del suo. Con una cucina che fa della ricerca quasi ossessiva della leggerezza e della salubrità il suo must. Ma non a discapito della presentazione e della bellezza, a tratti però del gusto, che subisce l’intento nobile dell’arduo ed interessante lavoro che si svolge in queste cucine.

Concentrazioni di sapori, quindi, lavorate ma sempre in modo elegante, tenue, a tratti sussurrato e mai gridato. Come se la cucina, ed è giusto che sia così, debba essere uno degli aspetti dell’esperienza di una cena alla Pergola. C’è molto altro, di sostanza e di consistenza, per far provare una emozione davvero importante.
E non dimentichiamo poi che, trovandoci nella città eterna ed in uno degli alberghi più importanti e amati dalla clientela internazionale, molti di questi ultimi si recano qui per conoscere ed assaporare l’Italia e i suoi profumi, le sue primordiali essenze. Si consideri poi che la soddisfazione di palati tra i più disparati, e magari non così ossessivamente esigenti come i più accaniti appassionati, obbliga alla costruzione di piatti e di una cucina più in generale molto “orizzontale”, che incontri i gusti e le sensibilità di un pubblico vasto ed eterogeneo.
Sommando tutte queste considerazioni possiamo comprendere come la produzione culinaria di questo tempio della gastronomia italiana sia attentamente, meticolosamente e scrupolosamente pensata, ripensata ed elaborata fino allo sfinimento. Non dimenticando che, il cuoco ormai Italiano d’adozione, ha origini teutoniche e, quindi, applicazione, pragmatismo e finanche sano realismo sono alla base della sua cultura, non solo culinaria.

È però evidente, a tratti, la seconda anima di Heinz Beck nei suoi piatti e nelle sue preparazioni: l’Italia, con i suoi sentori ed i suoi sapori l’ha davvero conquistato. Lo si percepisce quasi ad ogni passaggio. È altrettanto vero, però, che le esigenze di un luogo come la Pergola, e dei suoi ospiti, sono altrettanto importanti, forse di più.
Ecco, forse siamo veramente al cospetto di un cuoco che pensa e vuole decisamente con tenacia e convinzione perseguire il progetto che l’ha portato ai vertici delle classifiche nazionali ed internazionali. Creare e modellare un luogo che sia amato da molti.
Una cena alla Pergola è sempre una grandissima esperienza. Forse per gli appassionati più incalliti, coloro che girano molte tavole alla ricerca di forti emozioni, di colpi d’ala, di originali ed intriganti proposte, non è l’esperienza più entusiasmante. Forse a tratti si può rimanere freddi di fronte a cotanta perfezione tecnica, infarcita di sapori lievi e mai prepotenti, di contrasti mai più che lievemente espressi, di sapori non eccessivamente concentrati.

Sembra quasi che il combattimento tra la necessità di osservare tanti punti di vista e quella di rendere attuale questa tavola non porti al risultato sperato. La ricerca importante sul tema della leggerezza e della salubrità, ormai cavallo di battaglia di Heinz Beck da molto tempo, cede il passo alla concentrazione del gusto, ma non ottiene, a nostro avviso, un risultato così eclatante sul versante che si è prefisso.
Anche il gioco e il rimando, spesso pleonastico, sul contrasto caldo-freddo può lasciare perplessi in alcuni passaggi, e l’eccessiva morbidezza del gusto in ogni portata accentua questa sorta di sensazione di incompiuto finale.

Una cena alla Pergola è una esperienza che nella vita di ogni appassionato deve essere compiuta, anche per aver impresso davanti ai propri occhi ciò che deve essere un grande ristorante, in cui la cucina è un aspetto importante ma non l’unico. E non a caso il tutto esaurito è sempre garantito in questo fantastico terrazzo che si tuffa sulla città eterna.
Roma possiede un fascino straordinario, ed un grande ristorante degno del suo blasone.

Per iniziare: polvere di olive e terra ghiacciata di baccalà.
benvenuto, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Tartare di ricciola con tofu alle mandorle e olive disidratate. Ricciola che soccombe e non si esalta all’interno della preparazione, con abbinamenti che non riescono a valorizzarla.
tartare di ricciola, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Carpaccio di tonno con crema al wasabi, gelatina di cumino e barbabietola. Anche in questo caso un po’ di confusione tra i vari elementi che compongono la preparazione, che non allungano ma si coprono a vicenda.
carpaccio di tonno, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Sfoglie di capesante e tartufo. Buon piatto.
sfoglie di capesante, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Giardino d’acqua. Preparazione intrigante, con la tapioca aromatizzata alle erbe che dona un buon contrasto al resto degli elementi del piatto. Forse il progetto più interessante.
giardino d'acqua, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Tortellini verdi ai frutti di mare. Bene il sapore e la concentrazione.
tortellini verdi, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Fagottelli la Pergola, i famosi e giustamente rinomati fagottelli con un cuore di caldo tuorlo. La carbonara del 2100, molto riuscita.
fagottelli la pergola, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Merluzzo con broccolo e neve di baccalà. Intrigante la cottura pochè del merluzzo, di consistenza perfetta. Rifinito con polvere di nduja e completato dalla ottima salsa di broccoli. Forse la neve un compendio pleonastico.
merluzzo con broccolo, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Filetto di capriolo su radici invernali e salsa al pepe. Preparazione classica e ben riuscita.
filetto di capriolo, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Il degno accompagnamento alla serata.
richebourg, vino, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
L’ottima piccola pasticceria, con sorprese e piacevolezze davvero notevoli.
piccola pasticceria, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
Il grand dessert, un tripudio di preparazioni, solo in parte riportate nella foto, con ottima tecnica.
grand dessert, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma
La famosa sfera di lamponi e cioccolato.
sfera di lamponi e cioccolato, La Pergola, Chef Heinz Beck, Roma

All’atto della prenotazione vi diranno che la giacca è d’obbligo, un dettaglio che è assolutamente indicativo dello stile che caratterizza questo luogo.
Nell’epoca in cui la globalizzazione tende a livellare ogni particolare e l’informalità a tutti i costi è sempre più dominante, c’è ancora chi si prende il lusso di imporre un “dress code”. Qui si arriva per vivere una vera “esperienza”, per godere un panorama mozzafiato e per assaggiare una cucina d’eccellenza. Il cliente è coccolato e assecondato in ogni momento, ma deve essere abbigliato in maniera decorosa e adeguata al contesto.
Qualche teorico della “deregulation” forse storcerà il naso, ma a me sembra una scelta legittima. Perché La Pergola è un ristorante di vera eleganza, come ormai non ce ne sono più molti in Italia. Raffinato negli arredi, nel servizio, in ogni minima rifinitura, dai fiori al cambio di apparecchiatura durante la cena, dalle porcellane di Sèvres agli altri incredibili pezzi di antiquariato che adornano le bellissime sale da pranzo e anche l’elegantissima sala fumatori. Scarsa modernità? No, classe senza tempo.
E allora indossate la giacca (alle signore inutile dare consigli sull’abito, normalmente ci insegnano stile e ricercatezza) e venite all’ultimo piano del Rome Cavalieri per vivere qualche ora di cui difficilmente vi pentirete.
Qui ogni sera grazie al piccolo grande cuoco tedesco e alla sua eccezionale brigata va in onda uno spettacolo in cui nulla è lasciato al caso. Lo straordinario pane, gli oli, la selezione dei sali, la carta delle acque, tutto è curato e studiato con perizia assoluta.
Per non parlare della stupefacente cantina e che vi sarà illustrata da Marco Reitano, uno dei sommelier più bravi che abbiamo mai incontrato.
Infine la cucina di Heinz Beck, classica, equilibrata, sempre molto ragionata e assolutamente leggera. L’attenzione alla salubrità dei cibi è da sempre uno dei pallini dello chef teutonico: piatti, ormai classici come gli spaghetti “cacio e pepe” con gamberi marinati al lime o i fagottelli “La Pergola” (con la carbonara all’interno) sono l’esempio perfetto di come possano coniugarsi, secondo il verbo dell’alta cucina, territorio e tradizione. Preparazioni leggerissime ma al contempo dotate di un’enorme concentrazione di sapore, ma in genere ogni piatto che assaggerete si farà apprezzare per il grande rigore tecnico e stilistico. Su tutti l’eccellente capriolo in crosta di pistacchi con purè di castagne e confettura di cachi: alta scuola, senza ombra di dubbio.
Certo, il gourmet più esigente potrebbe obiettare che quella di Beck non è una cucina che brilla per originalità e probabilmente avrebbe più di una ragione a pensarlo visti i molti “cloni” evidenti che spesso appaiono per ispirare le preparazioni di alcuni piatti. Forse il classico rivisitato, puro e duro, rappresenta il vero e più efficace stile di cucina di Beck, ma eventuali “digressioni” rispondono probabilmente ad un rigido precetto che tende a privilegiare, innanzitutto, un’esperienza di estrema piacevolezza da offrire ad una clientela per sua stessa natura varia ed eterogenea. Senza dimenticare che mantenersi negli anni a questi livelli senza mai sedersi sugli allori è tutt’altro che impresa facile, perché è il frutto del grande lavoro, dello studio continuo e delle indubbie capacità di una squadra di estremo talento, capitanata, da sempre, da quel Piccolo Grande Cuoco venuto da lontano.
Ad Majora

Mise en place

Interni

Purea di ceci, cozze, pane croccante e spuma al pecorino.

Crema di castagne con tartare di gamberi rossi e infuso di funghi porcini: elegante…corroborante…intensa.

Risotto all’olio d’oliva e grana padano con verdure e scampi in pinzimonio.

Terra…

Dopo l’omaggio allo iodio di Mare.. Heinz Beck ci presenta Terra, un omaggio al sottobosco. Piatto eccellente anche se non originalissimo per noi che giriamo tanto. Fin qui il gourmet di lungo corso. Il cronista rileva che nei tavoli vicini abbiamo sentito grida di stupore e grandi complimenti al Cuoco per l’originalità della composizione.

Spaghetti “cacio e pepe” con gamberi bianchi marinati al lime.

Fagottelli “La Pergola”.

Cacio e pepe e carbonara secondo Beck. Due classici senza tempo. Come rendere eleganti e leggeri due piatti normalmente impegnativi e alquanto pastorali. Omaggio dell’alta cucina alle tradizioni del territorio in cui opera. Chapeau!

Capriolo in crosta di pistacchi con purè di castagne e confettura di cachi.


Piatto sublime, tecnicamente perfetto e buonissimo, con la nota selvatica ingentilita ma non spenta.

Filetto di spigola su fondo di verbena e zafferano, con asparagi.

Altro piatto grande nella sua essenzialità e come un gran vino ti fa godere prima di tutto con l’olfatto.

Sorbetto alle pere in crosta di gorgonzola con cremoso alle noci.

Cheese cake molto contemporanea, più cheese che cake.

Sfera ghiacciata di melograno su crema alla gianduia e cannelloni ai pinoli salati.

Piccola pasticceria.

I formaggi.

La hall.