Passione Gourmet grosseto Archivi - Passione Gourmet

Le Mortelle

“Cantinando” da Antinori a Le Mortelle, fuori dalle grandi denominazioni toscane

Una scala. Un manufatto che riconduce a pura funzione. Nei progetti architettonici di grandi strutture può essere quasi solo un dettaglio dell’insieme. Eppure può divenire uno stilema. Una scultura. Persino una icona nell’immaginario fotografico mondiale.

Ed è esattamente ciò che è accaduto per la rampa elicoidale a scalini all’esterno dell’immenso edificio di cantine Antinori, premio World’s Best Vineyards 2022, primo posto fra le eccellenze dell’enoturismo mondiale. In verità l’immensità del progetto di Archea Associati dell’architetto fiorentino Marco Casamonti – ingegnerizzazione di Hydea- non rivela affatto la sua maestosità all’esterno e i circa 49.000 mq della superficie di intervento, essendo una cantina ipogea annegata dentro alla collina, si scopriranno solo percorrendo l’interno della struttura. Nelle lunghe e alte sale di vinificazione e affinamento si è avvolti in un’atmosfera di luci soffuse e religioso silenzio, sentendosi proprio in una cattedrale del vino. Alla luce del sole emergono solo pochi dettagli: grandi fori circolari, lamine sottili, lunghi e curvi lembi d’acciaio corten sull’unico fronte esistente, con i piani ricoperti di terra e di vigne. Solo appunto la scala padroneggia un prospetto quasi invisibile, riflettendosi nelle grandi vetrate ritagliate fra le parti strutturali.

Le maestose proporzioni di Antinori in località Bargino, San Casciano Val di Pesa (FI) acquisiscono dimensioni diverse a Le Mortelle ad Ampio (GR), non lontano da Castiglione della Pescaia, nota località di mare della Maremma. Dietro rimane però lo stesso criterio progettuale in questo caso curato da Hydea: cantina ipogea qui dalla pianta circolare che si concede solo parzialmente all’esterno sul fronte nord, poi mostrando la sua guglia sopra al tetto ricoperto dal verde e lasciando poche altre feritoie tecniche e passaggi logistici. La collina di questo luogo che spicca nel paesaggio vi è stata ricostruita sopra. Dentro però ritroviamo nuovamente una iconica grande scala elicoidale che buca tutta la struttura scendendo dai piani superiori alle profondità della terra ove il vino sosta in affinamento. Antinori sede centrale, nel cuore del Chianti Classico è simbolo stesso della denominazione DOCG, mentre Le Mortelle rappresenta un futuro forse non così immediato, fuori dalle più prestigiose e blasonate denominazioni toscane. Vivia (Vermentino, Ansonica e Viognier) poi Botrosecco (Cabernet Sauvignon e Carbernet Franc) quindi Poggio alle Nane (Carménère, Cabernet Sauvignon e Carbernet Franc) sono Maremma Toscana Doc mentre Ampio delle Mortelle -stesso staglio del Poggio alla Nane è un Toscana IGT (che fra l’altro in cantina non viene dato in degustazione… dunque resta un mistero, prodotto in piccolissime quantità, acquistabile sul sito di Antinori 26 Generazioni solo su richiesta, seppure probabilmente ambisca a diventare davvero, chissà, un SuperTuscan).

Nella grande famiglia Antinori, la tenuta Le Mortelle sembra apparentemente rimanere in ombra, dietro a nomi fondamentali della vinificazione italiana del passato e del presente, come può essere Guado al Tasso nella denominazione Bolgheri; ovviamente Tignanello; oppure Castello della Sala e così via. Ma il luogo è strategico, certamente influenzato dal mare che è vicino, a sud, con una parte boschiva pedecollinare immediatamente più a nord della cantina che ne protegge i vigneti da ovest a est.

Si leggono delle somiglianze, quanto meno a livello morfologico, con la zona di Bolgheri. Ci potremo aspettare qualcosa di molto interessante in futuro? Probabile. Se la grande famiglia Antinori – che oltre al Marchese Piero, oggi è condotta dalle sorelle Albiera, Allegra e Alessia – dal 1999 fino alla inaugurazione nel 2010, ha investito in questo tenuta di 270 ettari di cui 170 piantati a vigneto, il motivo è certamente da guardarsi in prospettiva. Del resto sono già tanti anni che le più blasonate cantine italiane esauriscono completamente le proprie bottiglie, non solo nelle annate eccellenti. Nel mondo la richiesta di grandi vini è certamente superiore all’offerta e le zone di produzione con rigidi disciplinari, come ben sappiamo non si possono di certo allargare. Ciò significa che Bolgheri, tanto quando le denominazioni di Barolo e Barbaresco, per fare un esempio (ove d’altra parte Antinori possiede Prunotto) si devono relazione con un mercato estero esigente che chiede questi vini italiani. Accade così, per stare in Piemonte, che stiano nascendo sempre più Barbera evolute, complesse e che affinano in legno anche per periodi prolungati. In altre parole stiamo assistendo alla crescita di aree geografiche limitrofe alle denominazioni più iconiche che propongono vini di grande qualità che possano soddisfare la richiesta di un pubblico internazionale rimasto a secco (è proprio il caso di dirlo…), cioè senza le bottiglie più importanti. Sostanzialmente questo fenomeno lo possiamo vedere già anche in Toscana.

La degustazione

Vivia, Maremma Toscana DOC 2022

Fra i bianchi toscani da portare a tavola come accompagnamento a piatti di pesce, questo vino deve il nome sia alla composizione delle tre uve descritte sopra, ma anche all’ultima generazione Antinori, Vivia, figlia di Allegra. 12,5% Vol, è un vino che si gradisce giovane, fresco come le sue note agrumate e di erba della macchia mediterranea che all’olfatto si completano con dettagli di frutta a polpa bianca. Spunti armonici che si riflettono anche al palato per un finale di relativa sapidità. 89/100

Botrosecco, Maremma Toscana DOC 2021 Cabernet

Interessante rivelazione del territorio che esprime bene le due famiglie del Cabernet, Franc e Sauvignon, questo rosso il cui nome si rifà alla limitrofa Riserva Naturale Diaccia Botrona, rimane in macerazione per circa 15 giorni svolgendo poi la fermentazione malolattica in acciaio; 14,5% Vol.  il vino sosta circa 9 mesi in barrique di seconda rotazione e conclude il suo affinamento in bottiglia. Al palato conferma le aspettative di un buquet con piccola frutta a bacca rossa e riverberi speziati, mentre all’olfatto sa coinvolgere coi tannini, a tratti rotondi per il contributo del legno, a tratti ancora vigorosi, concludendo la persistenza su note ancora fruttate e di cioccolato fondente. 90/100

Poggio alle Nane, Maremma Toscana DOC 2021

Nel taglio di questo vino rosso, oltre ai due Cabernet (Franc 70%, Sauvignon 20%) entra un 10% di Carménère coltivato sempre in azienda, proprio sul poggio che da il nome all’etichetta, dove si potevano incontrare le “nane”, nome gergale che in Maremma si da alle anatre che frequentavano il lago nella parte superiore della tenuta. 15% Vol. questo rosso toscano dopo la macerazione svolge la fermentazione malolattica in legno e sosta in barrique di rovere francese nuove e di seconda rotazione fino a 16 mesi. Elengate e complesso, si svela olfattivamente nella frutta rossa matura, ribes e visciola, oltre ai complementi floreali violacei e a spunti balsamici; al palato racconta la forza dei tannini e dell’alcol che può scaldare per una persistenza finale efficace nelle ultime note di tabacco Kentucky e ancora cioccolato fondente. Le Mortelle è una cantina da scoprire, condotta dall’enologa Georgia Dimitriou e dall’agronomo  Onofrio VIscione, in una zona di Toscana, la Maremma vicina al mare che è notoriamente calda a queste quote prossime allo zero sul livello del mare, fino alla vetta di alcuni dei colli in tenuta, poco al di sotto dei 100 m. La vecchia cascina sul poggio ove è stata realizzata la cantina, è un tipico edificio rurale toscano che in estate si apre ad eventi e piacevoli serate, cullati dalla brezza del mare e dal maestrale che talvolta si fa sentire. 91/100

Nessuno tocchi Caino

Questo, in particolare, nascosto com’è nel cuore della miniatura di Montemerano, è forse l’unico ristorante di questo frammento di Maremma che abbia saputo tracciare una strada credibile per emancipare la cucina maremmana dall’egemonia di pappardelle e tagliate di manzo che, e l’autoctono vero questo lo sa, proprio non le appartengono. Per questo è stato anche inviso, Da Caino, presso gli altri ristoranti e ristoratori della zona. Per questo forse il nome, che detiene dal 1971 ovvero da quando Angela e Carisio Menichetti, detto Caino, appunto, aprirono una rivendita di vino dove poter spiluccare, all’occorrenza, anche salumi, formaggi e piccoli piatti freddi, ci sembra quasi una profezia auto-avverante benché oggi, e vivvaddio, legittimamente superata. 

Che poi qui si brilli di propria luce sin da quando Valeria Piccini inizia a lavorare in cucina con la signora Angela, diventata poi sua suocera, è ormai cosa nota. Del resto, è proprio alla seconda generazione, quella del figlio Maurizio, esperto sommelier che comincia con lei a calcare le scene della sala, che Valeria si lega, acquisendo pieni poteri in cucina e istituendo così un sodalizio che verrà consacrato nel 1991 con la prima Stella Michelin e nel 1999 con la seconda, splendente e fulgida ancora oggi. Oggi che, tuttavia, tutto si rinnova: a Maurizio che, per dire, ha cominciato a produrre olio extravergine d’oliva biologico e perfino il proprio vino, si sostituisce in sala il figlio, Andrea Menichetti, che ne ha raccolto l’eredità col medesimo sussiego ma con rinnovata disposizione d’animo. In cucina, invece, è sempre lei a orchestrare una brigata giovane che, sbirciandola, pare quasi tutta al femminile.

Quanto ai piatti, e benché il menù “Idee in Movimento” restituisca una foto precisa del clima, non solo atmosferico ma anche emotivo, che muove oggi “la cheffa” maremmana che parla e anzi solfeggia attorno a tutti gli ingredienti dell’orto in primavera, lumache comprese, è tuttavia quello dedicato ai “Piatti Storici” a restituire con più profondità la cifra stilistica di Valeria Piccini, da sempre incentrata sulla lunghezza del gusto e, al contempo, sulla sua delicatezza, a onta delle materie utilizzate spesso e volentieri agresti e dunque anche compiaciutamente e risolutamente rustiche. È il caso del corroborante Gelato di piselli con Parmigiano e aceto balsamico che della passeggiata  nell’orto sgranocchiando i teneri, virginali legumi è la più perfetta rappresentazione, benché sotto forma di gelato. Splendida poi la consistenza tesa e il sapore terso della pasta, consapevolmente coriacea, dei Ravioli col gustosissimo ripieno di pollo alla cacciatora, brodo e ribes, rispettivamente a dissetare e a sgrassare. Eccellente è poi anche il Piccione (che, ormai è notorio, qui è uno dei cavalli di battaglia) che le mandorle e le prugne conservate nobilitano di familiari esotismi così come la superba, elegantissima Anguilla con riduzione di cipolla e yogurt affumicato

Quanto ai punti deboli, complice la tecnica di cottura ci è sembrato troppo ridondante, sia nella forma che nella sostanza, il Carciofo dritto e fritto, mentre il Gelato al latte di pecora e timo con prugne e cioccolato, tra i dolci, ci è sembrato poco coeso: piuttosto, una giustapposizione di elementi senz’altro più che buoni ma privi di quel disegno d’insieme che distingue le grandi cucine dalle grandi cucine d’assemblaggio. Ma si tratta di piccoli appunti, soprattutto al cospetto della precisione, dell’eleganza e della leggerezza che, lo ribadiamo, caratterizzano il tratto stilistico di Valeria Piccini: un talento, il suo, che le permette di attualizzare una materia sostanzialmente umile grazie alla perizia con cui ne indaga i sapori, le temperature e soprattutto le consistenze, tratteggiando in ultima analisi nient’altro che il profilo di una nuova e grandiosa strada per la cucina classica italiana.

IL PIATTO MIGLIORE: Ravioli di pollo alla cacciatora in brodo e ribes. 

La Galleria Fotografica:

La linea d’ombra toscana

Tra i romanzi più belli di Joseph Conrad vi è di sicuro “La Linea d’Ombra”. Il protagonista, il giovane capitano Ellis dal porto di Singapore fa fronte alle difficoltà che l’equipaggio deve affrontare per riuscire a tornare casa. A sostenere il Capitano vi è l’altra figura cardine del romanzo, il cuoco di bordo Ransome. I due simbioticamente costruiscono la trama del romanzo, affidandosi l’uno all’altro nel riuscire a superare le complessità che si parano loro davanti, andando oltre la famosa linea d’ombra. Vale a dire il superamento della dimensione di ciò che è ben noto e cristallizzato nella nostra conoscenza e di ciò che ci circonda. Spogliarsi dal precostituito di una realtà e immergersi all’interno di questa nuova sconosciuta della quale possiamo scoprirne persino assonanze che non avremmo mai pensato. La cronaca di oggi, aldilà del riferimento letterario usato, ci permette il parallelismo di un cuoco il cui capitano si è affidato per dirigere in una rotta tutta nuova la Trattoria L’Andana, nel cuore della Maremma toscana. Siamo tornati da Bruno de Moura Cossio, dove la nostra precedente visita aveva già delineato il cambio di rotta per un luogo che aveva fatto dell’ancien classicismo rurale il suo punto di forza. Va ammesso che oramai questo sopravvive solo nell’arredamento della sala, a tratti barocca, se non sorpassata. Aldilà di ciò Cossio con verve creativa ma soprattutto con la sua influenza sudamericana ha saputo definire uno spazio di confidenza gastronomico specifico e altamente personale.

Tra Brasile e Maremma

Il fuoco e la brace sono i primi alleati nella prospettiva di questo cuoco, Cossio. Sin dal principio, con un maniacale lavoro sul mondo della panificazione con minuzia di abbinamento grazie alle affinate competenze nell’arte bianca da parte di Elisa Bini si giunge alla complessità dei piatti che scandiscono ambiziosi, l’incessante accoppiata tra Brasile e Maremma. Arduo scendere nel dettaglio di ogni singolo piatto, più facile tratteggiare i caratteri vincenti di alcuni. Sin dal benvenuto della cucina, di quasi gagneriana maniera “il percorso dentro il percorso” in una circolarità di assaggio che lascia intuire il livello tecnico sul quale si stia giocando come nel Pao de queijo ripieno di caprino del vicino caseificio di Angela Saba, oppure negli Agretti con zafferano pinoli e uvetta. Quattro i piatti sui i quali è giusto soffermarsi. I Gigli al ciliegiolo, seppia e olivello spinoso sono un formato di pasta che già nella sua gradevole forma estetica, cotti nella riduzione del vino a tratti quasi caramellati, si prestano morfologicamente nella raccolta della salsa di cipolle e a quella di olivello spinoso nella sua dolce acidità. La seppia con la sua carnosità, duetta con quella della pasta in un raccordo finale di assoluto livello.

Il Risotto alle rape “R”evoluzione, è parafrasi del signature dish del padrone di casa del tristellato MUDEC. Il riso pressoché identico nel suo aspetto differisce completamente nei suoi elementi di composizione, ad eccezione della barbabietola ovviamente. Il bordo del riso è cinto dalla salsa di melanzane arrostite, dove il gorgonzola è sostituito nel suo impiego ma non nel gusto grazie alla salsa di melanzane verdi a descrivere le tipiche note erborinate. La salsa di more è sostituita da quella di ribes. Rimanendo sulla nave del capitano Ellis, uno degli ammutinamenti gastronomici meglio riusciti. La Moqueca di cernia con salsiccia di branzino e calamaro, omaggia le origini brasiliane di Cossio. La tipica zuppa di pesce degli stati di Espirito Santo e di Bahia, è caratterizzata dall’uso del latte di cocco e dal pequi. La finezza della cernia arrostita (ambiziosamente) nel forno a legna, è affiancata da questa salsiccia di pesce, donando intelligente untuosità ad una carne di per sé non grassa. Il volano aromatico della salsa affinata anche dal lemongrass, pomodoro verde, peperone e una leggera bisque di gamberi fanno il resto. Infine sintesi tra costa ed entroterra toscano: il Piccione con salsa di cacciucco, ceci e sesamo nero. La profondità verticale della salsa della celebre zuppa costiera, si innesta sulla carne del volatile. Il legume nella sua setosa consistenza a supporto della salsa dona struttura al piatto, ricordando contemporaneamente un delicato tono di rusticità regionale e rimandando alla brasiliana feijoada.

Ciò che avevamo visto e assaggiato quasi un anno e mezzo fa oggi risulta molto più chiaro. Nitida e precisa è la mano del “Ransome” Cossio, ampia la fiducia del “capitano Ellis”, alias Bartolini. La linea d’ombra è oltrepassata e, sulla Trattoria dell’Andana, sembra splendere più che mai il sole.

IL PIATTO MIGLIORE: Gigli al ciliegiolo, seppia e olivello spinoso.

La Galleria Fotografica:

Sebastiano Cossia Castiglioni e il futuro

La sensibilità nei confronti dell’ambiente è tematica assai presente nelle nostre vite. Pioniere di un approccio biologico ed infine biodinamico e vegano alla viticultura è Sebastiano Cossia Castiglioni di Querciabella, l’azienda nata nel 1974 con l’acquisto da parte del padre – Giuseppe Castiglioni – di una piccola tenuta di un solo ettaro tra le colline di Greve in Chianti. Ma oggi è sotto la guida di Sebastiano, appunto (!), che si delinea un percorso ben mirato verso un’idea di cantina a basso impatto ambientale, che sappia fare da volano per la biodiversità del territorio in cui si trova.

Il grande amore per il vino, tramandato dal padre, unito a un forte impegno per il movimento ambientalista si concretizzarono nell’introduzione della viticoltura biologica in tempi non sospetti: già nel 1988. La sua certificazione e la conversione in biodinamica risalgono poi al 2000 e fino al 2010, anno in cui l’intera produzione diviene completamente vegana mentre nel 2019 si realizzava il progetto della nuova cantina a basso impatto ambientale. Grazie a questi accorgimenti – che sono e furono vere e proprie rivoluzioni – Sebastiano Cossia Castiglioni ha portato la sua Querciabella a rappresentare una delle cantine più innovative del nostro secolo, perseguendo nient’altro che l’intento di produrre vini a immagine e somiglianza del territorio.

Nei 100 ettari totali, 74 nel Chianti Classico (nei comuni di Greve, Radda e Gaiole) e 32 in Maremma, sulla costa meridionale della Toscana, ogni vigneto è considerato un ecosistema costituito da una fitta rete di micro-diversità biologica. L’equilibrio, qui, è l’elemento centrale: l’approccio per ciascuna vigna cambia seguendo i cicli della vite e l’andamento dell’annata, per permetterle di esprimere appieno se stessa e il suo pieno potenziale. Nella zona del Chianti Classico, tra le più votate della denominazione, i vitigni trovano dimora tra i 350 e 550 m s.l.m., con esposizione prevalentemente sud-est e sono circondati da boschi di querce e uliveti, mentre nella zona maremmana, tra le colline di Alberese, a sud di Grosseto – qui la conduzione biodinamica risale al primo innesto, nel 2000 – godono della vicinanza con gli altopiani del Parco Naturale dell’Uccellina, del mare poco distante, e si sviluppano ad un’altitudine di 20-30 m s.l.m., orientati a nord-sud, su suoli di sabbia alluvionale, limo e aree di ciottoli e ghiaia.

Con queste premesse si comprende quanto i vari cultivar possano trovare terreno fertile in un perfetto sistema tra uomo e natura, dove tassativo è il veto nei confronti di prodotti chimici, fertilizzanti o pesticidi. Lo stesso approccio si rivela in cantina dove le uve, lavorate e vinificate in lotti separati per ogni micro-zona di provenienza e di omogenee caratteristiche, si crogiolano in lunghe maturazioni che minimizzano al massimo gli interventi correttivi, in modo che il vino sia l’espressione più diretta della salute della vigna da cui proviene. Per farlo, chiaramente, si ricorre al blend, che permette la rappresentazione sinergica dei migliori lotti.

Ne derivano vini eleganti, che raccontano del territorio da cui provengono e si fanno specchio della sempre crescente biodiversità che lo caratterizza. Identitari ed eloquentissimi sono il bianco Batàr, il Camartina, il 100% Merlot Palafreno e gli omonimi Chianti Classico, Riserva e Gran Selezione, mentre dalla Maremma arrivano Mongrana (Maremma Toscana DOC e Toscana Bianco IGT) e Turpino.

Proprio quest’ultimo, un Supertuscan anzi, un “Supermaremmans“, è figlio un progetto avviato nel 2007 che vede la sua prima concretizzazione in bottiglia nel 2010. Come Palafreno e Mongrana, Turpino trae il nome dal poema epico di Ludovico Ariosto l’Orlando Furioso. La veste grafica che ne contraddistingue l’etichetta riprende i pavimenti cosmateschi medievali (XII-XIII secolo) della Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma, ed è stata disegnata da Sebastiano Cossia Castiglioni, delineandosi tra il carattere tipografico Simona, di Jane Patterson e John Downer per uso esclusivo e di proprietà di Agricola Querciabella.

Nel calice, questo Toscana IGT blend di Cabernet Franc (40%), Syrah (40%) e Merlot (20%), che affina per 16 mesi in barrique francese, si dimostra un vino di grande struttura ma anche eleganza che, nella sua veste rosso rubino, esprime sentori di frutta rossa e scura, dolci note speziate di tabacco e di pepe, terminando con arrembante freschezza e seducente allungo.

*I vini dell’azienda Querciabella sono distribuiti da Sagna Spa.

Un riferimento nella Maremma Toscana

In un angolo posto letteralmente fuori dal mondo, nel cuore della Maremma, a Pescina, frazione di Seggiano, un incrocio nel centro del paese darà l’impressione di essere trasportati da una DeLorean indietro nel tempo.

Da un lato della strada il vero e proprio ristorante, una storica locanda di paese, ristoro per i viandanti del tempo che fu, cresciuta nel corso dei decenni fino a diventare accogliente ritrovo gastronomico, riferimento di una zona dal perimetro sempre maggiore; dall’altro, quasi due ettari di orto con piacevolissimo dehor dove fare aperitivo, degustare un dolce o pranzare nelle giornate che lo permettono.

E proprio l’orto, e in senso lato la terra, sono la linfa vitale dell’ultratrentennale lavoro di Roberto Rossi, chef patron, e di Marinella Seminara, suo braccio destro in cucina, rappresentando la suggestione e il fondamento di una cucina in simbiosi con la feconda natura circostante.

Territorio e materia prima costituiscono l’ossatura di una proposta il cui primo obiettivo è preservare, presentando al meglio possibile, quanto la terra abbia da offrire, senza fronzoli né dispersive elaborazioni. Così, i ricordi di un tempo andato in cui cortili, aie e campagne erano lo sfondo dove venivano eseguite ricette gelosamente e golosamente tramandate, è stata per lo chef la fonte di un’ispirazione in grado di permeare  l’esperienza, mediante un tocco irresistibile di romantica nostalgia.

Una nostalgia impossibile da non evocare quando si assaggia la buonissima scottiglia – la zuppa di carne di origine contadina, vero e proprio distillato della memoria, con gli spaghetti risottati – o il soffice tortello maremmano, farcito di ricotta e spinaci, che nella sua semplice efficacia racchiude un passato quanto mai vivido o, ancora, l’ottimo coniglio accompagnato dal suo delizioso intingolo.

In una sala governata dallo chef che assai piacevolmente saprà descrivere, come un oste d’altri tempi, le pietanze in arrivo, il tempo passa piacevolmente in questo scrigno dell’Italia nascosta, e meno celebre, meritevole di tutta l’attenzione di chiunque si trovi nei paraggi del Monte Amiata, e non solo.

La Galleria Fotografica: