Passione Gourmet Gourmet Archivi - Pagina 3 di 305 - Passione Gourmet

Bistrot

La Versilia autentica e vera nel piatto

La storia del bistrot è, come spesso accade in Italia, la storia di una grande famiglia italiana. Piero Vaiani, il capostipite, che è mancato lo scorso novembre, ha lasciato in eredità alla sua famiglia e in particolare ai suoi due figli un vero e proprio impero gastronomico dell’eccellenza, composto da ben 4 locali e una azienda agricola che produce gli elementi fondamentali, oltre al mare, altro grande alleato, per elaborare ciò che viene portato in tavola.

Un impero che spazia dal locale popolare di pesce, da oltre 1000 coperti al giorno in alta stagione, al bistrot raffinato, al sushi-corner in spiaggia per terminare con la punta di diamante, lo stellato Bistrot appunto. Ed in questo gruppo così variegato e strutturato, che sicuramente aiuterà in questi periodi difficili, il Bistrot, oggi guidato da una coppia d’oro è una vera oasi di piacere gastronomico. I due Andrea, Salvadori in sala e Mattei in cucina, sono due autentici fuoriclasse che si completano a vicenda.

Una sala giovane, dinamica, attenta e molto presente dialoga con una cucina classico-innovativa che ha una cifra stilistica davvero interessante. Uso calibrato delle sapidità, mai di troppo e sempre in sottrazione, accompagnata da discrete acidità donano ai piatti una eleganza e una raffinatezza uniche.

L’emblema sicuramente di questa stilistica è sicuramente il risotto, che invita a ordinarne un altro per quanto è goloso, bilanciato, intrigante. Ma ciò che sorprende è l’intensità della razza nei ravioli con ricci di mare, usati come spezia a condurre il gusto. E potremmo continuare così, su tutti gli altri piatti del menù. Anche i dolci, di buona tecnica e fattura, ci hanno pienamente soddisfatto.

Ottimi anche i secondi di carne, come il maialino, e ottime tutte le verdure in accompagnamento, che arrivano integralmente dalla tenuta agricola di proprietà del gruppo situata nella campagna lucchese.

Una valutazione lievemente arrotondata per difetto, quella di oggi, che invita a una visita in questo splendido luogo della Versilia più vera e più autentica.

La galleria fotografica:

Il Tiglio è rinato dalle sue ceneri

Si autodefinisce “cuoco di montagna” e ne ha ben donde, Enrico Mazzaroni. Abbarbicato su pendii scoscesi alle falde del Monte Sibilla, dopo una parentesi di un paio di anni in quel di Porto Recanati, dall’estate 2019 il ristorante ha ripreso a respirare a pieni polmoni aria di casa. Un ritorno a Isola di San Biagio (piccola frazione dell’altrettanto piccolo borgo di Montemonaco) tanto atteso, tanto agognato e forse arrivato nel momento migliore, quando il dolore causato dagli eventi sismici del 2016, lungi dall’essere dimenticato, è stato metabolizzato e stigmatizzato iniettando nelle vene dello chef nuova linfa creativa.

Una transumanza (così è, tra l’altro, chiamato il menù degustazione) dal mare ai monti che porta con sé la consapevolezza che ogni esperienza, anche se nata da eventi sciagurati, può essere foriera di novità e miglioramenti prima di allora neanche lontanamente immaginati.

Il “cuoco di montagna” sempre più “di mare”

Ecco, quindi, che la cucina del nostro “cuoco di montagna“, comunque baricentrata sulla cacciagione, viene arricchita da un uso più frequente rispetto al passato di prodotti ittici; commistioni terra-mare che, rispetto al biennio rivierasco, sono parse più bilanciate e caratterizzate da un’encomiabile distinguibilità dei sapori di tutte le componenti del piatto, ciò che è senza dubbio alcuno evidente riflesso di una ritrovata tranquillità e serenità tra le radure che lo hanno fatto crescere come uomo e come professionista, commistioni particolarmente apprezzate nelle seppie, foie gras e castagne e nel latte fermentato, rognone marinato nella brace, canestrelli e crema del loro corallo.

Nel menù degustazione, che si presenta variegato e mai monocorde, non mancano omaggi a ingredienti tanto cari allo chef, nella specie le cervella di agnello e l’ostrica. Il primo ingrediente, già utilizzato negli anni scorsi in un tanto azzardato quanto apprezzato dessert, viene accostato al tonno per creare un’inusuale sushi marchigiano; il mollusco bivalvo, invece, viene inserito all’interno di un saccottino di pasta friabile che dona al boccone quella croccantezza che, in uno con la freschezza dell’ostrica, sprigiona con veemenza l’energia iodata del mare.

Due chicche del percorso degustativo meritano una menzione particolare ossia burro nocciola, foie gras, limone e caviale e fondo di tordo e cioccolato amaro, cialda fatta con interiora del tordo e frutti rossi, nati come intermezzi defatiganti tra le varie fasi del menù ma caratterizzati da quella nettezza e incisività di gusto che rappresentano la cifra stilistica dello chef.

Infine, non si può parlare compiutamente de Il Tiglio se non si spendono parole di elogio anche per Gianluigi Silvestri, partner in crime in sala di Enrico. Coadiuvato da un giovane e altamente professionale Nicola Coccia, si muove con il savoir-faire tipico di chi conosce perfettamente tutti i segreti del suo lavoro, capace di adattare il proprio atteggiamento agli umori di ciascun tavolo. Perfetto anfitrione.

Il Tiglio si piega ma non si spezza e, anche questa volta come l’Araba Fenice, è rinato dalle sue macerie in un modo tanto convincente che gli appassionati gourmet non potranno che rallegrarsene.

La galleria fotografica:

L’ “agriturismo” ideale dei gourmet e degli influencer

Durante il weekend c’è un tratto di strada con una fila di macchine incolonnate che si protrae per una ventina di minuti alle porte di San Pellegrino Terme, subito dopo Bergamo, prima di raggiungere Lenna, nel cuore della Val Brembana. Poi, parcheggiata l’auto si percorre un piccolo ponticello sul fiume Brembo e, finalmente, si accede nel regno di Ferdy. Agriturismo curatissimo in cui la bellezza del luogo viaggia pari passu con la qualità del cibo proposto.

Un posto che è lì dal 1989 ma è da poco tempo che ha iniziato a far clamore con un tam tam mediatico da fare invidia alle migliori tavole d’Italia. Merito – oltreché dei Ferragnez (al secolo la coppia Chiara Ferragni e Fedez), estimatori del Ferdy – anche del cambio generazionale, Nicolò che è il patron e responsabile di sala, che è stato in grado di valorizzare tutto ciò che ruotava attorno all’agriturismo di famiglia, rendendolo un luogo di semplice e misurata eleganza.

Ferdy oggi è l’espressione più nitida dell’idea di agriturismo “evoluto” in cui il rapporto simbiotico tra natura, animali, montagna, cibo e territorio non prescinde da specifici elementi quali amenità e cucina – che non disdegna passaggi sofisticati atti a salvaguardare il gusto di una ottima materia prima locale – anch’essi ripensati nel loro concetto più comune e calato perfettamente nel contesto bucolico-familiare dell’agriturismo. Non è un caso la lunga lista d’attesa di oltre tre mesi per prenotare un tavolo durante il weekend.

L’autoctono e il kilometro zero autentici …

Qui vengono allevati animali autoctoni come la Bruna Alpina e la Capra Orobica dalle quali vengono autoprodotte prelibatezze gastronomiche a metro zero e basso impatto ambientale. Si predilige un percorso enogastronomico che valorizza in cucina l’ingrediente, innestato tra i sapori stagionali di montagna, nel quale anche le erbe spontanee (trasformate con processi di lavorazione naturali per la tavola – infusi – e per la cosmetica) hanno un ruolo di prim’ordine. E, ancor prima di addentrarsi nella cucina, merita assoluta attenzione menzionare il lavoro fatto per portare a tavola meravigliosi formaggi, salumi di qualità e la ricerca di piccoli vignaioli che svolgono, sperimentando, un interessantissimo lavoro con i vitigni lombardi.

Il retaggio dell’agriturismo viene qui filtrato nella sua essenza: si resta soddisfatti da una cucina di prodotto e territorio in sorprendete evoluzione e al passo coi tempi, avvantaggiata da tutte le attività collaterali che una tavola di montagna ricercata oggi richiede (foraging, su tutte) e che completano il quadro della preziosa materia prima utilizzata nelle preparazioni.

Una partenza rassicurante con “pa, formai e salam” e una fantastica giardiniera e sott’aceti, un meraviglioso burro e qualche assaggio tecnicamente più audace sono il giusto preambolo per introdurre i piatti principali che si concedono tocchi moderni e lavorazioni tecniche volte ad alleggerire le ricette della tradizione.

È un peccato che durante weekend e festivi, a pranzo, venga servito soltanto un menù fisso con piatti più tradizionali rispetto a quelli presenti in carta che abbiamo provato e apprezzato maggiormente in altre visite come La cruda Alpina Original – battuta di Bruna Alpina, essenza di rapa rossa, rais dulcia, primule – o l’evocativo La me Aca, riso al latte, salsa di romice, fondo bruno e cacao in purezza. Piatti di tenore e di levatura differente ma con l’impiego di ingredienti sempre il più possibile autoctoni e di qualità eccelsa.

Suggellano l’esperienza una carta dei vini strutturata e ricercatissima che privilegia, come detto, produttori ed etichette di nicchia e naturali, poche stanze in cui sostare, un piccolo centro benessere, un piccolo maneggio e gli animali, alcuni dei quali a libero pascolo. Un luogo ideale per famiglie e bambini.

La galleria fotografica:

A Lido di Camaiore la cucina classica rinasce

Il ristorante Merlo è a Lido di Camaiore, sul lungomare, anzi proprio sulla spiaggia, negli ex locali dell’Ariston Mare. L’ambiente è luminoso grazie a un’ampia vetrata con vista panoramica sulla spiaggia. C’è anche uno spazio esterno in cui, con il bel tempo, si può mangiare sia a pranzo che a cena. Angelo Torcigliani, chef e patron del locale, dal 2017 propone una cucina fatta degli ingredienti tipici della Versilia, incontro e unione tra i sapori del mare e dell’entroterra, la pasta fresca emiliana, tirata a mano dalla mamma, sfoglina, e salse di origine transalpina: la sua grande passione.

I piatti di pesce variano in base al pescato del giorno. Tra gli antipasti spiccano le ostriche gratinate, lardo di Colonnata e peperoncino, erotico insieme alle crudità di mare, basate su una materia prima freschissima e di grande qualità, oltre a un paté in crosta di oca e il suo fegato grasso, strepitoso. I primi sono caratterizzati dall’impronta emiliana della madre di Angelo, ecco dunque i ravioli di astice in salsa all’americana o i cappelletti di stracotto e burro con nocciole piemontesi tostate grattugiate. La qualità della sfoglia è perfetta: sottile, leggera ma al contempo elastica e lievemente consistente. La bisque di crostacei, base della salsa all’Americana, è eseguita alla perfezione: le paste ripiene esigono il bis!

E per secondo, oltre al pescato del giorno, si può scegliere tra caciucco, mazzancolle croccanti e insalata ai ricci di mare, aragosta intera, e testina e piedini di maialino cotti nella rete di maiale, con salsa di tartufi neri. Ogni giorno viene preparata la millefoglie, dolce simbolo del locale, assolutamente da non perdere.

Scuola classica francese, in salsa versiliese

La passione di Angelo per la cucina è davvero lapalissiana: la sua indole e la sua storia lo portano, decreti permettendo, a girovagare presso le tavole dei grandi ristoranti, soprattutto d’Oltralpe, per assaggiare le prelibatezze della grande scuola classica francese. Inoltre, è da sempre affascinato e quasi rapito da terrine, pâté en croûte e aspic, che al Merlo troverete, a rotazione, sempre impeccabili, variegate e golosissime.

D’altronde il ricordo delle esperienze di alta gastronomia di paese che Angelo ha vissuto e fatto sue lo hanno indelebilmente segnato. Ecco quindi che qui, al Merlo, troverete una cucina dicotomica quasi a tratti disorientante: grande materia prima ittica nel piatto, come ormai un buon gruppo di colleghi riesce a fare in zona, ma anche l’originalità di proposte, prevalentemente di terra ma non solo, che donano un’impronta personale, ancorché di grande valore storico e filologico. Interessante, davvero, anche la riscoperta di salse antiche, quasi dimenticate, che qui ritrovano forza, vigore e dignità.

In sala, una menzione speciale va al giovane sommelier Nicola Busetti, che propone etichette biodinamiche e biologiche, oltre a un’attenta selezione di rossi piemontesi e vini francesi. Da visitare!

La Galleria Fotografica:

Tripudio d’inverno: estratto di un pranzo trimalcionico a La Peca

In una cruda e grigia giornata di inizio febbraio

Seduta al tavolo dell’accogliente e calda sala de La Peca di Lonigo, dopo una sequenza di portate pantagruelica e di alta levatura, mi viene presentato un piatto così declinato: lepre, fegato grasso, nespole al bitter e chips di verza.

La visione d’insieme mi regala immediatamente sensazioni molto piacevoli. Lo sguardo è rapito e attratto da una cromaticità variegata, straordinaria: si va dal rosso rubino della carne alla carrellata di tonalità del verde della verza, passando per l’ ocra – ruggine della composta di nespole al bitter.

Avvicino il viso al piatto per cercare un ritorno olfattivo e un’esplosione di sentori aromatici sale verso di me, esaltandone l’intensità: su tutto, i profumi speziati dati dal bitter di Baldo.

Accosto le mani al piatto e sento che la sua temperatura è calda: il giusto accorgimento per far sprigionare appieno i sapori.

La lepre, a vederla, è soda e compatta; al palato, il sapore è giustamente gustoso, avvolgente, nessuna nota selvatica: ciò che sto assaporando è il frutto di una sapiente frollatura e di una ricercata modalità di cottura, di brevissima durata e a temperatura assai bassa. Adagiata sulla carne, c’è una salsa civet dal timbro sì speziato, ma non invadente e, in bocca, si avverte una consistenza piacevolmente setosa.  Ancora, c’è un gioco serrato tra la componente acida della crema di nespole e quella aromatica del bitter. Di più, ci sono la dolcezza e la grassezza del fegato grasso, resa lieve perchè servito fresco, semplicemente salato, a dare morbidezza al piatto, sposandosi perfettamente alla magrezza della carne.

Su tutto, qua e là, con grande perizia estetica, delle chips di verza, rese croccanti e friabili affinchè pure l’udito abbia la sua felicità, donata dai suoni della masticazione.

Nell’ insieme, il piatto, pur nella sua complessità, presenta un equilibrio di rara fattura e, degustandolo, mi convinco, una volta ancora, che il cibo è gioia, divertimento, allegria, emozione, cultura, storia, soddisfazione. E merito immenso a un ristorante di cui veramente troppo poco si decantano i pregi : La Peca di Lonigo.