In spagnolo aspettare si dice “esperar”, perché in fondo aspettare è anche sperare.
Nel caso de El Celler de Can Roca l’attesa può essere davvero lunga, fino ad un anno, per sedersi a tavola.
La speranza, dopo tanto attendere, è quella di non restare delusi.
E delusi, davvero, non si resta.
Miglior ristorante al mondo per la San Pellegrino World’s 50 Best Restaurants 2015 (superato nel 2016 dalla sola Osteria Francescana), il tristellato dei fratelli Roca è un’orchestra magnificamente accordata e magistralmente diretta dai tre maestri Joan, (lo chef), Jordi (il pasticcere) e Josep (il sommelier e direttore di sala). Tre fratelli, affiatati e determinati, che hanno saputo portare la passione e la professionalità trasmessagli dai genitori, sul tetto del mondo.
Era il 1967 quando Josep Roca e Montserrat Fontané aprirono un piccolo bar ristorante, il Can Roca, nella periferia di Girona. Cinquant’anni dopo, migliaia di appassionati gourmet arrivano da ogni parte del globo per gustare la cucina del Celler, la creatura dei Roca brothers.
Al di là dei riconoscimenti e delle classifiche, l’esperienza gastronomica è di quelle da ricordare, per la qualità delle proposte ma non solo. La sensazione, fin dall’ingresso in sala, ed ancor più una volta seduti, è quella di essere accolti in un vero e proprio teatro dell’alta cucina.
C’è grande competenza, passione, garbo, fierezza ed umiltà in ogni singolo membro degli oltre sessanta attori, tra cucina e sala, che ogni giorno mettono in piedi uno dei più “gustosi” spettacoli sulla scena gourmet internazionale. Non si ordina alla carta, solo due menù degustazione, quattordici le portate del Festival, il più completo, provato in questa occasione.
Quella a cui assiste l’avventore è una sorta di danza, ritmata ed armonica, che, senza mai risultare impacciata o affrettata, porta in tavola i quattordici piccoli capolavori e gli altrettanti vini, se si opta per la degustazione (proposta in abbinamento al costo di 90 euro). Il tutto in meno di tre ore, senza tempi morti ma anche senza quella fastidiosa sensazione di oppressione, da parte del servizio, che si prova in alcuni grandi ristoranti. Da sottolineare come il menù sia presentato nella lingua dell’ospite per renderlo pienamente intellegibile nei nomi e nella composizione dei piatti. Persino il personale è “su misura”: maître italiano e cameriera spagnola, ma di lingua italiana.
Perché il diavolo sta nei dettagli e al Celler lo sanno bene.
Teatrali sono anche le presentazioni, di grande impatto e mai fini a loro stesse, per una esperienza davvero multisensoriale. Passando dalla forma alla sostanza, va detto che nessuno dei passaggi proposti, amuse-bouche e predessert inclusi, è stato meno che perfetto quanto ad equilibrio e piacevolezza gustativa, fatta di centrate contrapposizioni. Una tecnica sopraffina che porta all’ennesima potenza il concetto di fusione tra tradizione ed innovazione.
Di una precisione più unica che rara anche gli abbinamenti dei vini selezionati da Josep Roca tra le oltre 3.800 referenze e 50.000 bottiglie stivate in cantina.
Ed è qui che il Celler guadagna ulteriori punti. In barba ad alcune autorevoli voci che vorrebbero l’acqua come miglior abbinamento per l’alta cucina ed il vino come attore non protagonista, qui ci si può rendere conto davvero di quanto un vino centrato possa completare un piatto, restituendo al palato un equilibrio ed una armonia di rara efficacia.
La cantina è costruita certamente sulle grandi etichette, che in un ristorante del genere non possono mancare, ma con un occhio molto attento anche a tante, piccole, interessantissime realtà scovate dal Roca sommelier in giro per il mondo.
Sedere al Celler de Can Roca è un privilegio. Raramente come in questo caso ci si alza da tavola già con un senso di nostalgia per l’esperienza vissuta. E con un misto di gioia e malinconia.
Gioia per quanto esperito, malinconia perché non si sa quando si potrà tornare, vista l’enorme difficoltà nel trovare un tavolo.
Senza esagerare, una delle cose da fare nella vita, almeno nella vita di un gourmet.
La sala, molto accogliente.
Prima di iniziare il già ricco menù da 14 portate, una lunga serie di amuse-bouche gustosi, divertenti e stuzzicanti… tutti magnificamente centrati.
Il Mondo: un omaggio dello chef ai paesi che ha visitato.
Thailandia: salsa thai, pollo, coriandolo, coco, curry rosso e lime.
Giappone: crema di miso con gnignognachi.
Cina: cornetto di riso con verdurine e salsa di soia e prugna.
Perù: “causa limeña”.
Corea: crocchetta con kimchi e pancetta all’olio di sesamo.
Il Bar di Can Roca: sulle ali della memoria ricordando un piccolo bar di periferia nella Girona degli anni ’70.
Bombon al campari, omelette di patate e cipolla, calamari alla romana, croccante di baccalà, rognoni allo sherry.
Olive verdi gelate: la presentazione con le olive appese all’ulivo bonsai è di sicuro impatto mentre la combinazione del freddo e dell’acidità dà una bella scossa al palato.
“Calçot” liofilizzato.
Corallo: ceviche di orata, cozze in salsa “escabeche”.
Brioche al tartufo.
Bombon al tartufo: un’esplosione di tartufo in bocca.
Gli appetizer sono stati accompagnati da un Albert i Noya “Clàssic” El Celler Brut Rva D.O. Penedès
Molto ben assortito il cesto dei pani…
Il menù degustazione inizia con il Consommè autunnale: zucca con tè verde, tofu di nocciole, spinaci, succo di frutta della passione e castagne alla brace. Servito tiepido, incentrato sulle diverse consistenze e sul gioco di sapori che si alternano e tornano persistenti al palato.
Celler Credo Estrany D.O. Penedès 2011.
Triglia marinata con kombu, fico d’india, salicornia, lime e attinia: freschezza, acidità e grande equilibrio.
Sancerrre Domaine Vacheron Le Paradis A.O.C. 2012.
Scampi con salsa di fava di cacao, mole nero con cioccolato e crema di canocchia con cocco e porcini. Sensazioni agrodolci che rimandano ad un che di orientale, equilibrio e persistenza infinita. Uno spettacolo.
Sarnin Berrux 2013 A.O.C. Saint-Romain.
Insalata di pernice con cavolo fermentato, brodo affumicato e spuma di dragoncello. Altro piccolo capolavoro.
Eulogio Pomares 2011 Crianza Oxidativa, Pontevedra.
Piccione con riso fermentato, salsa di bucce di riso, pane di riso con parfait di piccione. Apre sui toni dolciastri riportati poi in equilibrio dalla nota selvatica. Gran piatto.
Loxarel 109 Xarel.lo 2004 D.O. Penedès.
Gambero di Palamos marinato in aceto di riso, vellutata di gambero con una spugna di plancton e alghe, testa e zampe liofilizzate. Consistenze, intensità, persistenza. Lascia un segno indelebile sul palato.
Heymann-Löwenstein Uhlen 2012 VDP Mosel.
Razza confettata con olio di senape, beurre noisette, miele, aceto di chardonnay, bergamotto, senape aromatizzata, capperi confettati e nocciole tostate. Altro ottimo passaggio.
Nelin 2008 D.O. Qa Priorat.
Pagello con mosaico di samfaina di verdure saltate. Il livello si mantiene sempre molto alto, anche questo passaggio non delude.
Carles Andreu 2013 Trepat D.O. Conca de Barberà.
Maialino iberico con corbezzoli e melagrane. Un ottimo inizio per le carni.
Rumbo al Norte 2013 D.O. Vino de la Tierra de Castilla-Léon.
Agnello con purè di melanzane e ceci con zampa di agnello e pomodoro speziato. Ispirato al kebab, è di un equilibrio sconvolgente.
El Ciruelo 2013 Suertes del Marqués D.O. Valle de la Orotava.
“Llata” di vitello, taglio locale della spalla, avocado, tuber aestivum, midollo, tendini. Una degna chiusura prima di passare ai dolci.
Negre dels Aspres Criança 2001 D.O. Empordà.
“Suspiro limeño”: il primo passaggio del percorso affidato a Jordi Roca, con la sua freschezza, è l’ideale per ritemprare il palato e prepararlo ai dessert più complessi che lo seguono…
Weingut Grans-Fassian Trittenheimer 2009 Kabinett VDP Mosel.
Profumo turco: rosa, pesca, zafferano, cumino, cannella e pistacchio.
Ökonomierat Rebholz Albersweiler Latt 2007 Auslese VDP Pfalz.
Cromatismo di tonalità arancioni. Uno gioia per gli occhi e per il palato.
Matias i Torres Malvasia 2012 D.O. La Palma.
Il sontuoso carrello dei cioccolati e della piccola pasticceria…
In cucina la brigata di quaranta persone all’opera…
La cantina merita assolutamente una visita. Molto interessanti le aree tematiche con video esplicativi.
Molto ben fornito anche l’angolo sigari e distillati…
Norcia è un posto che conquista facilmente e che, altrettanto facilmente, resta nel cuore.
Il fascino del suo centro storico, il senso di spiritualità quasi mistica che si respira, i magnifici dintorni che la natura sa colorare come un quadro di Monet e, non ultima, l’alta tradizione gastronomica, ne fanno una meta obbligata per chi si trova a visitare la più verde tra le regioni italiane.
Eccellenze come il Nero pregiato ed i prodotti dell’antica arte norcina sono ben noti ai palati degli appassionati, ben oltre i patri confini.
Quello che molti ancora non sanno è che, in una delle pittoresche vie del centro, si trova una vera e propria perla della ristorazione gourmet: il ristorante Vespasia del Palazzo Seneca, elegante residenza cinquecentesca, affiliata Relais & Châteaux, sapientemente ristrutturata e gestita dalla famiglia Bianconi.
In qualche occasione, nostro malgrado, ci siamo trovati a dover evidenziare come in Umbria l’alta ristorazione, al netto di qualche illuminata eccezione, non stia attraversando un grande momento.
“Eppur si muove” verrebbe da dire, dopo aver seduto alla tavola del Vespasia.
Una cucina tecnicamente convincente e gustativamente appagante quella dello chef Emanuele Mazzella.
Ischitano di nascita e nursino d’adozione, è autore di una proposta solida e ben ragionata, che riesce a coniugare, in maniera armonica, l’anima della tradizione gastronomica locale, con quella, inconfondibile, delle sue origini isolane.
Scorrendo la carta troviamo un’alternanza di materie prime del territorio, oggetto di attenta e continua ricerca, come il piccione umbro, il maialino cinturello, le patate di Pietralunga, lo zafferano di Cascia, le cipolle di Cannara, le lenticchie di Castelluccio oltre, ovviamente, all’immancabile Nero di Norcia e di alcune tipiche prelibatezze più spiccatamente “mediterranee”, come la mozzarella di bufala, le mazzancolle di Santo Spirito o le mandorle di Avola.
Quello che colpisce non è tanto la quantità e la varietà delle materie prime (che pure è un elemento certamente apprezzabile, se confrontato alla poca fantasia ed alla staticità di certe cucine) ma la capacità e la coerenza con cui Mazzella è in grado di tenerle insieme per un risultato tra i più promettenti ed originali tra quelli recentemente esperiti per mano di chef emergenti (e non solo).
In sala, accogliente negli arredi e nei modi del personale, il maître sommelier Mauro Clementi sa consigliare l’avventore con competenza e discrezione tanto nella scelta dei piatti, quanto in quella dei vini, forte di una carta importante per quantità e qualità delle etichette.
Il Vespasia è una di quelle tavole che si lascia con la sensazione di aver davvero mangiato bene, e la cosa è meno banale di quanto non sembri.
Qualche piccola incertezza, qualche sbavatura qua e là, a voler essere pignoli, c’è stata… ma ad averne, di tavole così.
L’aperitivo di benvenuto…
Il cestino dei pani.
Il percorso degustativo inizia con un amuse-bouche centrato: baccalà, friggitelli e patate.
Palamita, anguria e panzanella: piatto fresco ed equilibrato. Un buon inizio.
Ortaggi e verdure, cotte e crude, croccanti, marinate e conservate: bello da vedere, buono da gustare. Presenta un gioco di consistenze e sapori davvero vario pur restando un piatto delicato ed equilibrato. Gran bel passaggio pur nella sua apparente semplicità.
Riso Vialone Nano mantecato alla burrata di bufala, profumo di fieno bruciato e scampi ai fiori di Castelluccio: altro bel piatto, forse non in perfetto equilibrio ma sicuramente gradevole. Ben calibrata la nota fumè e quella acida.
Ravioli ai semi di canapa della Valnerina, funghi, animelle di vitello e mazzancolle di Santo Spirito: i ravioli sono impastati con la farina dei semi della Canapa Sativa coltivata in Valnerina, leggermente amarognola e dalla grana particolare che non lascia indifferente il palato. Il ripieno a base di funghi porcini è liquido, mentre le animelle cotte a vapore e le mazzancolle appena scottate completano il quadro gustativo, consentendo al piatto di raggiungere un equilibrio non scontato.
Ricciola del Mediterraneo cotta e cruda, foie gras d’anatra affumicato, sedano e mela verde: trancio di ricciola cotto sulla pelle servito con un’insalatina di mela verde e pomodoro confit, il tutto su carpaccio di ricciola. Piatto fin troppo delicato con il carpaccio, pure di gran qualità, che quasi scompare nel sedano.
Piccione umbro, topinambur, frutti antichi e campari: piccione cotto sulla carcassa con petto servito al giusto punto di cottura e cosce, ripiene dei fegatini e del cuore, cotte a bassa temperatura, quindi panate e rese croccanti. Un bel passaggio, interessante per gli accostamenti di sapori e per il gioco di consistenze.
Il pre-dessert: passion fruit. L’ideale per ritemprare il palato in attesa del dolce.
Gusti e consistenze di alcune tra le eccellenze gastronomiche del Sud Italia. Lo chef, per sua stessa ammissione, non è un grande amante dei dolci (pur vantando, tra le numerose esperienze in cucine importanti, anche quella di Sous Chef pasticcere presso il ristorante dell’Alpen Royal) per cui si diverte a giocare con dolce e salato utilizzando alcune delle eccellenze del nostro Sud: la ricotta di pecora, i pistacchi di Bronte, le mandorle di Avola, il pomodorino Vesuviano, la mozzarella di bufala ed i limoni di Amalfi. Una buona chiusura anche se non conquista fino in fondo.
La piccola pasticceria.
I vini che hanno accompagnato la degustazione:
Bruno Paillard Brut Assemblage Millésime 1996.
Maso Montalto Pinot Nero 2008 – Azienda Agricola Lunelli.
Il Relais & Châteaux Palazzo Seneca.
La cucina dei fratelli Serva ha qualcosa di alchemico.
Sarà per l’atmosfera quasi incantata che si respira alle fonti di Santa Susanna, piccolo angolo di natura incontaminata in cui è incastonato il loro ristorante.
Sarà forse per l’influenza di quella Porta Ermetica, nel vicino centro di Rivodutri, che da oltre trecento anni appassiona gli studiosi di esoterismo di mezza Italia.
O sarà, molto più semplicemente, per la passione e le indiscusse capacità dei due chef patron del locale, ma è indubbio che qualcosa di “magico” nella cucina de La Trota ci sia.
Così come uno degli obiettivi principali degli antichi alchimisti era quello di trasformare il piombo in oro, la scommessa di Sandro e Maurizio è stata quella di conquistare i palati degli avventori con piatti raffinati, gustosi ed equilibrati partendo da una materia prima considerata tra le più povere ed ostiche della cucina, il pesce d’acqua dolce.
Da sempre desiderosi di proporre alla clientela qualcosa che andasse oltre la pur buona cucina tradizionale, per diverso tempo si sono ritrovati a dover mediare tra il loro modo di sentire ed il palato dell’avventore medio, poco avvezzo alle novità.
Il punto di svolta verso una ristorazione prettamente gourmet c’è stato a metà degli anni novanta. Una scelta coraggiosa che, soprattutto i primi tempi, non è stata indolore.
Di clienti che, abituati alla cucina tipica della provincia laziale, dopo aver letto il menù, si alzavano e lasciavano il locale ne hanno visti tanti.
Però come disse qualcuno: “I tempi duri non durano mai, le persone toste sì”.
E oggi possiamo senza dubbio dire che la loro coraggiosa scommessa è una scommessa vinta.
La Trota è ormai da tempo uno dei ristoranti più apprezzati da clientela e critica. E non solo per il pesce d’acqua dolce. Quella portata in tavola dai fratelli Serva è una grande cucina anche di terra (su tutti, in questa occasione, il piccione, tra i migliori mai assaggiati), come a dire che quando c’è il talento e la determinazione, il limite è dato solo dalla creatività e dalla voglia di mettersi continuamente in gioco. Elementi che da queste parti certamente non difettano.
Alla grande cucina, fatta ora di equilibrate contrapposizioni, ora di attente giustapposizioni, di un uso illuminato di spezie ed aromi volto a valorizzare la difficile materia prima senza mai sovrastarla né stravolgerla, fa da complemento un servizio tra i più affabili, cortesi ed attenti della penisola.
Un servizio che ha in Maurizio Serva un supervisore d’eccezione, e nella brava Hiromi Nacayama una sommelier di grande sensibilità ed esperienza, in grado di consigliare con garbo e cognizione le bottiglie più idonee ad accompagnare la passeggiata gastronomica attingendo dalle oltre mille etichette in carta.
Un’esperienza, quella de La Trota, di cui conoscevamo già la piacevolezza ed il valore ma che in questa occasione ci ha, se possibile, ancor più entusiasmato e convinto.
L’alto livello tanto dei piatti ormai storici, comunque oggetto di un continuo lavoro di perfezionamento che ha un che di orientale per la meticolosità con cui è condotto, quanto delle ultime novità introdotte in carta, la sempre maggior disinvoltura con cui la cucina si muove tra terra ed acqua dolce e non ultimo il grande, immutato, “savoir faire” della proprietà, spostano l’asticella un po’ più in alto e, ammesso che già non lo fosse, fanno di questa tavola una delle più interessanti d’Italia.
Come amuse-bouche un gelato di pomodoro con riso, pomodorino ripieno di patate affumicate, coulis di piselli e menta, spaghetto soffiato alle acciughe: quando si dice l’inizio ideale.
Pane e grissini di ottima fattura…
…e l’immancabile carta musica, che rischia di creare dipendenza.
Gamberi, tuberi, radici, crescione di sorgente e caviale di trota e di coregone: il primo dei nuovi piatti provati in questa occasione. Le verdure e i gamberi sono cotti in un vapore di spezie, erbe e té nero, tutto senza sale. La sapidità è data dai sali minerali delle verdure e dalle uova di pesce. Il piatto, delicato e piacevolmente equilibrato, è reso particolare dal crescione di sorgente (che ricorda molto il rafano), ormai quasi introvabile.
Carpa in crosta di semi di papavero con maionese cotta di patate e rape rosse, sedano d’acqua dolce: uno dei grandi classici dei fratelli Serva ed uno dei piatti che meglio rappresenta la loro cucina.
Crocchette di lumache di vigna su spremuta di erbette in aceto di Reims, gocce di pomodoro e salsa d’aglio con spugna di prezzemolo. Un buon piatto realizzato con lumache di produttori locali ed erbe raccolte nella zona.
L’uovo di carciofo, salsa di topinambur e mentuccia. Ormai un classico.
Bottoni di stracciatella su coulis di strigoli, strigoli croccanti, foie gras ed estrazione di parmigiano. Un piatto dalla notevole complessità gustativa, che al palato si rivela sorprendentemente equilibrato.
A seguire due paste molto diverse tra loro con in comune la tecnica di cottura. Nessuna delle due entra in contatto con l’acqua, vengono arrostite in padella con l’aggiunta dei rispettivi brodi ristretti.
La prima: Cannoli di olive nere con pollo alla lavanda, salse e caramello. Un piatto interessante con la nota di lavanda a caratterizzarlo in positivo.
A seguire: Zita di pasta di gamberi con coregone affumicato, salsa di asparagi, gocce di mais, melanzane affumicate, fragole e zenzero, eucalipto, con carciofi chips. Un classico efficacemente rivisto per la primavera.
Gnocchi soffiati di borragine con burrata e spuma di alici.
Gnocchi di patate eterei serviti in un piatto fatto realizzare appositamente con a fianco la salsa di burrata e a lato la spuma di acciughe. Una bella dimostrazione di tecnica (gli gnocchi soffiati si fanno abbastanza facilmente, molto difficile soffiare quelli impastati con le patate) forse però più un divertissement per il palato che non un piatto vero e proprio.
Luccio in crosta di grano con zucchine alla scapece, guance di luccio mantecate con mandorle tostate, agretti in tempura. Altro gran bel passaggio magistralmente giocato sui contrasti di consistenze e centrati accostamenti di sapori.
Il Piccione e il bosco. Altro piatto nuovo.
Piccione laccato al miele di castagno e spezie, spiedino di interiore, hamburger di ali, finte cortecce, muschio, polvere di datteri e caffè, frutto della passione.
Semplicemente tra le migliori declinazioni di piccione fin qui esperite.
Zuppa di agrumi con cioccolato bianco al sale ripieno di mango, gelato di olive nere e croccante all’anice stellato. Dessert ormai storico, sempre rinfrescante e piacevolmente equilibrato.
Tributo alla zuppa inglese. Un nuovo dessert composto di palline fritte di gelato alla crema, ripiene di cioccolato e panate con pandispagna all’alchermes. Croccanti di crema, meringhette al cioccolato e salsa di zuppa inglese.
Per chiudere con freschezza e leggerezza il pasto, una piccola pasticceria molto particolare.
Tutte preparazioni di verdure da scoprire e riconoscere al tavolo: creme brulée di peperoni arrostiti, ciottolo di melanzane, cilindro di pomodoro e pistacchi, ringo di cavolfiore, terrina di finocchio e cocco, spaghetti di patate con frutto della passione, tartufino di cipolla.
Ed ancora, con il caffè, cioccolatini artigianali.
I vini scelti per accompagnare la degustazione:
Gaja&Rey 2001.
Con il primo dessert Terminum 2004 – Cantina Tramin.
Con il secondo dessert Rosatum 2009 – Cornell.
E per chiudere, come vino da meditazione, una particolarità:
Moscato Chinato “Il MosChin” – La Bruciata.
Nell’alta cucina, così come nella pittura, nella moda, nella musica e in ogni altra forma d’arte, ci sono sempre stati e sempre ci saranno personaggi che fanno discutere per come sono o per le cose che fanno.
A volte perché troppo irriverenti o estremi, altre perché provocatori, altre ancora perché troppo innovatori.
Di quelli che li odi o li ami, ma che di certo non puoi ignorare. Uno di questi è Gianfranco Vissani.
Burbero, esuberante, eclettico, spesso sopra le righe ma indiscusso protagonista della scena gastronomica italiana degli ultimi vent’anni. Mediatica e non.
A prescindere da critiche o elogi, non si può non riconoscere a Vissani il merito di aver sdoganato l’alta cucina presso il grande pubblico, quando ancora la televisione ed il relativo risalto popolare alla cucina non era nemmeno ancora immaginato.
Anzi è proprio Vissani colui che ha iniziato a tracciare il solco, il precursore di una pletora di “chef mediatici” e, attraverso le sue apparizioni televisive, le sue uscite istrioniche ed appassionate, ha contribuito non poco a generare in tanti “profani” quella curiosità gastronomica che ha riempito le tavole di diversi stellati italiani, non solo la sua. E che ha talmente alimentato l’attenzione mediatica da far proliferare tutta una serie di format a tema, più o meno originali.
Questo è un dato di fatto, che gli va riconosciuto.
Suonare al cancello, parcheggiare l’auto nel vialetto alberato, venire accolti dal personale cortese e sorridente regala sempre una bella emozione, anche dopo tante visite, anche dopo tanti ristoranti.
In sala la professionalità e l’affabilità di Luca Vissani sono quelle di sempre, così come la competenza del sommelier Roberto Santi ed il garbo del maître Giuseppe Vicario, personaggi ormai storici della “Casa”.
Una volta a tavola la curiosità (e forse anche un po’ il timore) era quella di capire se qualcosa fosse cambiato dalla nostra ultima visita, una esperienza che ci aveva posto davanti a una grande cucina, sempre tra le migliori del Belpaese, ma tutta imperniata sulle note dominanti di grassezza e dolcezza, pochi contrasti e qualche accostamento non troppo felice.
Ebbene, qualcosa è cambiato, o meglio, sembra stia cambiando.
Il timbro è sempre quello, non ci sono stati grossi stravolgimenti, ma qualche piccolo benché significativo aggiustamento stilistico sì. E funziona.
Meno salse, un tempo onnipresenti, piatti meno ridondanti, più equilibrati. Accostamenti efficaci e finalmente un po’ di acidità. Una cucina meno seduta di quella che avevamo lasciato e da cui traspare evidente la ricerca di quella centralità gustativa che forse, per qualche tempo, si era un po’ persa in favore di piatti, pure buoni, ma eccessivamente ruffiani.
Se sia un guizzo estemporaneo o il frutto di una ponderata scelta dello chef lo vedremo presto. Quello che intanto possiamo dire è che in questa occasione abbiamo piacevolmente riscoperto una delle tavole più famose d’Italia ed abbiamo riprovato alcune di quelle emozioni che sembravano sparite sul fondo del lago che fa da cornice al locale. Una inaspettata e piacevole sorpresa. Da segnalare inoltre che la tanto criticata “tassa” del 15% per i piatti scelti dalla carta, già da qualche anno non c’è più. Da riprovare presto.
Un particolare della sala, con vista sulla cucina.
Diverse tipologie di grissini di ottima fattura.
Prima degli stuzzichini iniziali, un gradevole infuso di abete.
Non banali e decisamente gustosi tutti e tre gli assaggi:
Cappelletti al riccio di mare crudo, sale Maldon e lauro.
Ascè di cicoria al tabacco, riso soffiato e tonno con cappero di Ustica.
Crudo di anatra al curry, mango disidratato e pera.
Gamberi bianchi con insalata di cozze e mango alla salvia e Bruss: forse un po’ azzardato l’accostamento con il bruss ma il piatto risulta comunque molto piacevole, gustoso e fresco con la nota balsamico/acida del mango alla salvia, che lo caratterizza in positivo.
Crudo di carne con farina di ghiande adagiata su letto di foglie di olivo, mousse di provola al thè agrumato e limone candito: altro buon passaggio, equilibrato, in cui il gioco di sapori e consistenze tra tartare, mousse e limone è ben mediato dalla perfetta calibratura della nota acida ed amarognola del thè.
Zuppa di pera kaiser al curry con crudo di tonno asciato ai capperi, sfoglia al cacao e curry: sorprendente per come, nonostante la ricchezza di ingredienti ed una materia prima delicata, il piatto riesca a trovare il suo equilibrio ed una buona piacevolezza gustativa, pur avendo note speziate e balsamiche ben presenti.
Baccalà marinato all’anice stellato, spuma di mirto e wafer di patate e spinaci: cottura da manuale, interessante l’accostamento con la spuma di mirto e piacevole l’elemento croccante legato al wafer di patate.
Quaglia alle noci Pecan, fegato grasso al sale Maldon e tonnetto essiccato, caponata quadrata: eccellente la cottura con la carne ben succulenta e pregevole croccantezza della pelle. Non male anche il cubo di caponata, anche se più un divertissement che di sostanza.
Raschera al coriandolo con ostriche al bacon: il gusto pieno dell’ostrica Regal viene messo a dura prova da raschera, coriandolo, bacon in polvere, pomodori arancioni e zucca spinosa ma alla fine ne esce comunque bene, con la sua inconfondibile nota iodata che resta il sapore più persistente al palato.
Ci si sposta nella sala del caminetto per i dessert…
Un piccolo predessert…
#Cinquantasfumaturedidolce: una serie di mignon differenti con una bella alternanza di sapori e consistenze.
Mango alla resina di pino, cocco, crema di fondente alla salvia, gelatina di Whiskey di torba: un dessert dal gusto complesso che conquista il palato senza affaticarlo.
Con il dessert in questa occasione niente vino ma un simpatico e rinfrescante cocktail offerto dalla casa, un esperimento chiamato Greetz a base di grechetto, mela verde e vodka bio. Non male.
Con il caffè la piccola pasticceria…
I vini scelti per accompagnare la cena:
Capomartino 2012 – Jermann
Crognolo 2007 – Tenuta Sette Ponti
La bella cantina merita senz’altro una visita…
Così come la famosa cucina con batteria di pentole in rame…
E’ proprio vero che, a volte, il destino ha più fantasia di noi.
Avrebbe mai potuto immaginare il giovane Gianfranco Pascucci che il suo futuro (stellato) sarebbe stato proprio quel locale aperto dal nonno come semplice punto di ritrovo dei cosiddetti “fagottari”, in quel dell’Isola Sacra di Fiumicino?
E invece è andata proprio così. Con Gianfranco e la moglie Vanessa che nel 2000 decidono di rilevarlo all’asta, dopo anni di declino dovuto a non fortunate gestioni, ed aprirci il loro ristorante.
Dapprima con l’occhio ai grandi numeri, poi, gradualmente, con sempre maggior attenzione alla qualità della proposta, fino a farlo diventare uno dei più apprezzati ristoranti di pesce del centro Italia.
Non ha fatto grandi esperienze in cucine rinomate Pascucci, è autodidatta, con una grande passione a fargli da mentore. Una passione che gli si legge negli occhi quando passa tra i tavoli.
Già, perché Gianfranco non è uno di quegli chef che restano in cucina o che, se escono, lo fanno solo perché “devono”, per recitare una parte. Lui lo fa perché gli piace. Così come agli avventori piace poter conoscere lo chef, poterci parlare, a lui piace osservare i propri clienti mentre gustano le sue creazioni e raccoglierne le impressioni. Con la modestia di chi, pur consapevole delle proprie capacità, è sempre pronto a ricevere osservazioni e suggerimenti per migliorarsi. Non è da tutti.
La sua carta vincente? Il rispetto assoluto dell’eccellente materia prima (tutta pescata, non allevata). Quasi tutti gli chef ritengono di rispettare le materie prime, ma pochi lo fanno davvero.
D’altronde le tecniche sofisticate si possono apprendere, il palato si può in qualche modo educare ma la sensibilità per la materia prima quella no, quella è innata.
Cotture perfettamente centrate ed un uso oculato degli ingredienti restituiscono piatti ben eseguiti e piacevolmente equilibrati, con il pesce in primo piano. Non nascosto, non ostaggio di spezie e condimenti, ma assoluto protagonista, anche nei piatti concettualmente più complessi e strutturati.
In sala, a fare da contraltare ai virtuosismi dello chef tra i fornelli, la cortesia della moglie Vanessa ed una brigata di sala, giovane e dinamica, che garantisce un servizio di livello senza debordare nel formalismo di maniera.
La carta dei vini offre una apprezzabile varietà di etichette ben distribuite per provenienza e fasce di prezzo.
I ricarichi, salvo forse qualche sporadico caso, sono ragionevoli e consentono, soprattutto ad un occhio attento, bevute interessanti senza spendere un patrimonio.
L’unica cosa di cui si sente la mancanza, a dire il vero, è una bella vista mare, dato che la location non è certo uno dei punti di forza del ristorante. Non è certo una sorpresa per il cliente, ma gustando un pesce di questo livello la voglia di una bella terrazza sul mare aperto si fa sentire più forte che mai, nonostante la sua mancanza sia comunque ben compensata dalla qualità della proposta. Se per il mare aperto occorre chiudere gli occhi ed immaginarlo, per appagare il palato e lo spirito è sufficiente assaggiare quanto arriva in tavola.
Sicuramente tra le più intriganti tavole di mare della penisola. Per chi lo frequenta è sempre un piacere tornare, per chi non lo conosce è una meta improcrastinabile. Perché perfetto? No. Perché troverete una cucina di grande livello, mai banale, mai sopra le righe, interpretata da uno chef schietto, preparato, passionale ed appassionato, affabile, sorprendentemente simpatico e soprattutto modesto. Forse più di quanto non dovrebbe.
In tavola, focaccia e grissini di buona fattura…
Come benvenuto, un piccolo hamburger di mare: panino fritto, al latte e limone, con una battuta a coltello di tonno rosso, maionese al cipollotto e foglie di senape. Un gradevole inizio che sa stuzzicare efficacemente papille e appetito.
Sandwich di rosole e gamberi: un buon antipasto con gamberi rossi e gobbetti in ceviche avvolti nelle rosole brinate di umeboshi. La salsa alla pizzaiola (sotto alle rosole) arricchisce ulteriormente il gusto di un piatto, solo apparentemente semplice. Forse appena eccesiva la quantità di verde che, con la sua pur gradevole nota amarognola, rischia di inglobare sul piano gustativo l’eccellente gambero sottostante. La gradevole spugna di porro completa il piatto.
Il pesce spada e la sua preda (le alici): bocconcini di crudo di pesce spada con pane, burro ed alici su purea di broccoli verdi e cipollina marinata con aceto balsamico. Un piatto esteticamente riuscito e dal buon equilibrio gustativo con la materia prima, eccellente, assoluta protagonista.
Baccala mantecato e glassato nel peperone secco di Senise, pinoli tostati, gel di limone e pepe rosa su base di salsa verde alle acciughe: un passaggio dal gusto deciso con il baccalà totalizzante. Il gel al limone aiuta a riportare in equilibrio il palato con la sua acidità. Peccato sia poco.
Calamari in tempura con composta di cipolle rosse di tropea in agrodolce ed arancio: tempura perfetta, croccante fuori, soffice dentro. Riuscito l’accostamento con la composta di accompagnamento.
Ravioli liquidi di pesce: ravioli verdi ripieni di emulsione di pesce, acqua di pomodoro e mazzancolle appena scottate. Completano il piatto foglie di mizuna rossa, verde, rucola e crescione d’acqua. Altro ottimo passaggio, dal gusto complesso ed equilibrato.
Merluzzo di coffa in foglia di limone, succo di broccoletti, alghe e olive: il merluzzo di grossa taglia, viene avvolto in foglie di limone e cotto poché nel suo brodo. A completare il piatto un succo di broccoletti ed alghe e una cialda all’amaranto. Grande materia prima, grande cottura, bel piatto.
Triglia croccante, foie gras al marsala e lamponi: abbinamento non scontato tra una buona triglia, perfettamente fritta in pastella, ed il foie gras cotto nel marsala. Completano il piatto una pera caramellata, delle nocciole (sia tostate che in emulsione) e dei lamponi ghiacciati. Piatto tutto incentrato sui contrasti. Di consistenze, di temperature e di sapori. Quest’ultimo ovviamente va a favore del foie gras con il pesce che ne esce leggermente sovrastato più che accompagnato.
Gamberi rossi al sale, profumi di erbe bruciate ed agrumi: un classico, sempre piacevole, soprattutto per la calibratissima nota fumè, elegante e non invasiva.
Prima di passare al dessert, Gorgonzola al Porto.
Millefoglie di burrata con granita di frutti rossi e pomodori: un dessert rifrescante e ritemprante con la granita di pomodori e frutti rossi assoluta protagonista.
Bignè allo zabaione con meringa al caffè: un buon dessert, anche se non al livello del precedente.
Per accompagnare il caffè a cura del laboratorio Giamaica caffè’ di Verona, la piccola pasticceria…
I vini scelti per accompagnare il percorso:
Champagne Bruno Paillard Première Cuvée.
Meursault-Balgny – Luis Jadot.