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Restaurant Passerini

Giovanni Passerini: un cuoco italiano a Parigi

Il Restaurant Passerini non è un ristorante italiano a Parigi quanto, piuttosto, il ristorante di un cuoco italiano in terra francese: non si tratta di una differenza meramente lessicale, bensì sostanziale. Gli stereotipi che spesso sporcano la nostra cultura gastronomica sono banditi, così quest’ultima viene evocata attraverso la convivialità, materie prime frutto di un’attenta selezione – un plauso merita la valorizzazione di alcuni Presidi (il fagiolo di Controne e il radicchio di Treviso) -, una costante generosità di sapori e la memoria nostalgica di un cuciniere distante dalle proprie origini romane (le puntarelle e il broccolo romanesco ne sono una spia). In un certo senso, l’italianità viene estratta dal proprio contesto e, così, rivelata nella sua essenza, consentendo al cuciniere una maggiore libertà, tanto nell’impiego di ingredienti provenienti dal luoghi altri, quanto nel dialogo con la tradizione ospitante (risulta così evidente la naturale convergenza con ciò che è rimasto – la parte migliore e meno narrativa – della bistronomie). Il reparto di cucina è affiancato da un’ospitalità puntuale e calorosa nonché da una carta dei vini coerente e di ricerca.

L’essenza dell’italianità liberata dal contesto

Il risultato dell’approccio di cui si è detto si manifesta con immediatezza in Tortellini di anguilla, brodo di carciofo, foie gras fresco e dragoncello: un’istituzione nostrana (la pasta era leggermente spessa) in cui fa capolino un ripieno “non canonico” ed in cui colpisce il contrappunto tra la grassezza del foie gras – ecco il dialogo con un’icona d’Oltralpe – e la pulizia palatale data dal brodo di carciofo (la chiave intorno a cui ruota il piatto, notevole la concentrazione di sapore). Nella stessa direzione si collocano Linguina Mancini, langoustine, pico de gallo, piquillo, pane e bisque – in cui la golosità di una classica linguina con gli scampi si evolve in una maggiore complessità – e Rognone di agnello, radicchio di Treviso, rapa rossa affumicata e bottarga: il quinto quarto cucinato alla perfezione, la croccantezza e dolcezza del radicchio, le note di terra e fumo della rapa rossa e la sapidità e le note di iodio della bottarga. L’apice del percorso è Baccalà basco, fagioli di Controne, ricci galleghi e bieta: davvero azzeccato il dialogo tra le note feniche dei ricci di mare (di qualità eccelsa, i migliori del tour parigino), la dolcezza e morbidezza dei fagioli di Controne – un presidio campano – e l’erbacea amarezza della bieta (un piatto in cui il baccalà basco, anch’esso di qualità notevole, sembra quasi superfluo). Giovanni Passerini è sicuramente uno dei cuochi che meglio hanno saputo veicolare l’essenza della nostra cultura gastronomica fuori confine, grazie ad una cucina immediata e sincera, lontana da scorciatoie e costruita intorno a materia prima d’eccezione.

IL PIATTO MIGLIORE: Baccalà basco, fagioli di Controne, ricci galleghi e bieta.

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Un trait union tra la bistronomia francese e la trattoria romana


Giovanni Passerini è uno degli ambasciatori più autentici della cucina italiana, d’autore e moderna, in Europa. È stato in grado di ricevere fiducia e rispetto a Parigi, dove l’offerta gastronomica gioca in un campionato prestigiosissimo, con pochi eguali.

Il suo attuale avamposto è in Rue Traversière, nei pressi della Bastiglia. È qui che si celebra il trait d’union tra la bistronomia francese e la trattoria romana. Dove una insalata di porcini ha una veste elegante e chic grazie allo zabaione salato e al carpaccio di pesche e pomodori, e la schiettezza di quella trippa, da sempre in carta, con quella mentuccia e l’immancabile pecorino che sono come due mani che ti prendono la faccia e ti dicono che il cuore in cucina batte all’ombra del Cupolone.

Da Passerini ti senti a casa in tutto e per tutto.  Già in tempi non sospetti, quando Rino – la sua prima insegna da solista – faceva drizzare le orecchie ai foodies, Passerini sfoggiava piatti complessi ma al contempo appaganti frutto di gomito e padella ma anche di cervello. Oggi poco è cambiato, se non l’aver conferito un imprinting tricolore ancora più marcato (sono formidabili i piatti di pasta, semplici ma appaganti in maniera disarmante) al quale ha accostato rituali conviviali tipici del grande ristorante francese, con “Les plats à partager” – animali cucinati interi, da condividere per tutto il tavolo – presenti in carta (durante la nostra visita venivano serviti il piccione in più servizi e l’homard, due ingredienti feticcio dei cuochi transalpini).

L’ambiente, un po’ rumoroso, ha un’atmosfera da bistrot parigino (grandi vetrate e cucina a vista), ma è con i sapori di alcuni piatti che ci si ritrova in un angolo di Roma. 

L’alleanza italico-transalpina è sapientemente celebrata con alcuni piatti di estrema eleganza tra ingredienti da urlo e temperature e tagli che fanno letteralmente divorare tutto ciò che arriva sotto gli occhi del commensale: dalla passardiana tartare di barbabietola e melanzana affumicata con lamponi e ricotta salata, alle golose linguine alla puttanesca di anguilla affumicata, passando per una (sempre presente in carta) trippa alla romana memorabile, così come la “scrocchiarella“, che crea dipendenza, non soltanto per il commensale ma anche in cucina (ci dicono); ma sono due i piatti che lasciano il segno: l’insalata di porcini, pomodori, pesche, zabaione al miso e portulaca estiva, meravigliosa, e l’eccellente coda di rospo, ostriche, panna fresca, vinaigrette di alghe , cipolla dolce e spinaci, che ti porta con la mente in Normandia.

Si chiude con quello che ci dicono essere un cult della cucina: semifreddo al pistacchio di Bronte con fichi e spuma di formaggio bianco, ricchissimo e goloso. Tutto eseguito alla perfezione anche grazie a una collaudatissima e giovanissima brigata (prevalentemente italiana), guidata dal l’altrettanto giovane e talentuoso braccio destro (e sinistro) di Passerini, Stefano De Carli.

Anche la selezione enoica è accuratissima, con immancabili vini naturali, bollicine di tutti i tipi, eccellenti etichette italiane e qualche blasonato. Da Passerini ci si diverte, in tutto e per tutto.

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L’alta cucina classica francese rifiorisce ad Ivrea

“Hai un nuovo messaggio Instagram da Giovanni Passerini”

“Alberto, ti scrivo per segnalarti un matto che ha lavorato da me per un anno e mezzo e che ora ha ripreso le cucine di un locale di Ivrea. È un fuori di testa che serve germano e lumache di mare in vineria, un ossessionato di tecnica francese. Non lo conosce nessuno e so che su queste cose tu ti esalti. Un abbraccio a presto!”

Già, Giovanni mi conosce bene. E per una volta abbandoniamo lo stile classico della recensione per introdurre un ragionamento che ci sta molto a cuore. Perché in questa semplice frase c’è la quintessenza della nostra professione, fatta di immensa, sconfinata passione. Passione nello scovare sempre una novità che stimoli noi e che stimoli il nostro lettore, fare chilometri per una liévre à la royale, per un timballo, per un nuovo piatto avanguardista; insomma, per scovare un talento che non si era ancora svelato.

Siamo noi che, mossi dalla passione, abbiamo la responsabilità di raccontare queste meravigliose storie e veicolarle affinché luoghi e persone vengano visti, visitati, celebrati. È il nostro compito, ancor più in momenti difficili, come questo. E dovremmo tornare a farlo con tanta intensità e frequenza ancor più a breve, perché ciò sarà il motore di una ripresa ci auguriamo essere rapinosa perché, ecco, questo settore non è solo la nostra passione ma, non dimentichiamolo, è anche una delle più importanti e straordinarie risorse di cui dispone il nostro Paese: il comparto agroalimentare e tutta la straordinaria filiera che vi ruota attorno.

Nel regno di Roberto Bordone e Alessandro Esposito

Eccoci quindi effettuare una prenotazione fulminea alle Cantine Morbelli e intraprendere un viaggio che, di questi tempi, tanto scontato non è. Arriviamo e subito rimaniamo colpiti dalla varietà di bottiglie e di produttori non scontati che scorgiamo sugli scaffali. Merito di Roberto Bordone, titolare di questa splendida realtà che, con grande passione e capacità, vi saprà regalare abbinamenti forieri del suo talento, della sua personalità e della sua sensibilità. È lui che ha preso in mano il tutto, 6 anni fa dalla famiglia Morbelli, lanciandosi letteralmente nell’ignoto.

Oltre che le sue grandi doti di sommelier e di wine-scout, Roberto ha anche il ruolo fondamentale di mecenate di Alessandro Esposito, giovane poco più che trentenne eporediese che ha trascorso qualche anno a Parigi facendo esperienze in cucina che lo hanno segnato indelebilmente. Da Christophe Pelé a Le Clarence, con il grande Giuliano Sperandio come co-partner in crime, ha attinto la grande passione per il classicismo francese rivisitato e una quasi-ossessione per l’abbinamento ittico-cacciagione. E poi il passaggio dalle cucine di quel cavallo di razza dal talento jazz e un filo punk di Giovanni Passerini, che gli ha consentito di approfondire ancor più l’irriverente manipolazione dei classici con un tocco di folle ma lucida, eretica pazzia.

Il risultato? Beh, pur nella sua verde e ancora lievemente acerba elaborazione, siamo al cospetto di una delle cucine più interessanti che abbiamo avuto modo di trovare in questo periodo girovagando l’Italia. Le ingenuità non mancano, la tecnica è ancora sporca, l’errore è dietro l’angolo, ma quanta personalità e quanta passione! E ancora quanto rigore, quanta voglia di crescere, migliorarsi, emergere! Un progetto ambizioso quello di Alessandro e Roberto, ambizioso e qualitativamente elevato, al pari del rispettivo talento.

La grande scuola francese al servizio di una cucina di mercato

L’intento qui è quello di portare una grande cucina di mercato tutti i giorni, frutto di improvvisazione e tecnica, tanta tecnica, contaminando i grandi classici con spunti creativi. Il legame tra il regno del mare e quello della caccia è una costante ereditata dall’esperienza a Le Clarence, la grande passione per la pasticceria classica e la voglia di cimentarsi con ricette tanto importanti quanto complicate completa il cerchio di questo luogo davvero magico.

E nel nostro pranzo un tripudio tra liévre à la Royale, tourte de pigeon, le turbot en vessie, mille feuilles e via di seguito, non disdegnando nemmeno un risotto e dei tortelli, anch’essi francesizzanti, forieri di storia, tecnica e un condensato di passione davvero elevatissimi.

Il giudizio, non ancora pieno, è prospetticamente e velocemente raggiungibile ma soprattutto è l’auspicio che qui si continui a fare questa rivoluzione lenta ma continua in una piazza tutt’altro che facile. E allora largo ai temerari di Cantina Morbelli, inondiamoli della nostra presenza!

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Girovagando per Parigi alla ricerca del bello e del buono

Per poter sopportare i grassi saturi e insaturi ingurgitati durante le splendide cene parigine occorre tanto moto e un pranzo leggero, ma senza farsi mancare il gusto. Poi, capita di andare a trovare un manico vero, anzi due, nei loro rispettivi ruoli e forse la pausa veloce e leggera che ti eri immaginato lo diventa un po’ meno. Ma, come sappiamo, la testa in questo caso fa molto, ed ecco quindi una interessante, e per certi aspetti, diversa prospettiva per una pausa pranzo alternativa a Parigi … con tanto, tantissimo gusto!

Restaurant Passerini

Giovanni Passerini, seppur quarantenne, è già un cuoco e un imprenditore maturo. Ha creato un luogo d’elezione vicino alla Bastiglia che è il regno dell’italianità più spinta. Un pastificio di fianco al ristorante, ormai sempre più marcatamente un avamposto della cucina italiana a Parigi. Semplice, ma non per questo non ricercato. Il puntiglio e la maniacalità, nonché la tecnica e il senso del gusto, del grande cuoco romano si sentono. Eccome se si sentono. Se poi deciderete di andarci a pranzo, avrete dalla vostra anche uno scontrino incredibilmente economico.

Cedric Grolet

Trentadue anni, oltre 1 milione di followers su Instagram, pastry-chef star e uomo del momento a Parigi. Capo pasticcere de Le Meurice, premiato come miglior pasticciere dell’anno 2018 dalla The World’s 50’s Best Restaurants, Cedric Grolet ha aperto la sua pasticceria, in collaborazione con Le Meurice, in cui allieta, tutti i giorni tranne il lunedì, i palati raffinati dei parigini. Famosissimo per i suoi dessert “trompe l’oeil”, prepara anche un’ampia gamma di prelibatezze che, frigorifero in camera permettendo, si possono degustare in un paio di giorni. Tanto belle quanto incredibilmente buone.

Passerini, Passard, Partager, Pulp, Proseliti, Paris.

Termini apparentemente accomunati dalla sola iniziale. Ma con un filo conduttore importante e significativo.

Perché Giovanni Passerini è un po’ di tutto questo. Lo ricordiamo ancora, nell’estate di quasi dieci anni fa, alla porta del bistrot Uno e Bino di Roma, luogo che lo rese famoso ai gastronomi erranti, raccontarci come, a esami terminati alla facoltà di economia, decise che la sua strada non sarebbe stata quella di sedersi ad una scrivania di una banca qualsiasi. E volle diventare cuoco, contro tutto e tutti.
E poi la svolta, da noi incoraggiata in tempi non sospetti, di approdare a Parigi, proprio da quell’Alain Passard che ce lo ricorda tanto. Arrivato per uno stage di pochi mesi non se ne è più andato.
Passard e Passerini: similitudini di pulizia gustativa, di avanguardia nelle forme, nei modi di fare ristorazione e di cosa mettere nel piatto. Similitudine anche nel creare una vera e propria filosofia, nel saper insegnare senza essere maestri… con il gesto, con le idee.
E qui ecco il collegamento ai proseliti.
Che per un quarantenne al giro di boa sono già tanti. Più che proseliti o discepoli li identificherei come compagni di viaggio, che però hanno innegabilmente preso qualcosa, più di qualcosa, dal loro mentore. E mi riferisco a nomi del calibro di Simone Tondo, oggi a rivitalizzare l’ex La Gazzetta (ora “Tondo”) di Rue de Cotte, a Michele Farnesi del Dilia (il vecchio Roseval, sempre a Parigi) e a Jeremiah Stone del Contra di New York. Tutti passati dalle sue cucine, tutti grandi talenti che oggi mostrano il meglio di sé altrove.
Ma, come la “generation Passard”, con l’imprinting del mentore ben in evidenza. Tondo come Barbot? Stone come Bosi? Farnesi come Colagreco? Le premesse ci sono tutte… e ottime diremmo.

Personaggio non comune Giovanni Passerini, che unisce talento culinario a visione, avanguardia a sana capacità imprenditoriale, un filo di follia “pulp” a lucida e razionale precisione.

Ecco così nascere l’ennesima sfida. Dopo molto tempo dalla chiusura di Rino, bistrot di successo non venduto, non atteso al declino ma semplicemente chiuso. Tempo passato a riflettere, a vivere la vita, a respirare il profumo della libertà, per rigenerarsi. Ma anche passato a progettare, a pensare, a programmare.

L’apertura del pastificio, alcuni mesi or sono, è stato solo il primo passo in direzione di un progetto ambizioso.
Un bistrot che non è né italiano, né francese. È passeriniano, nuovo neologismo da tenere ben impresso nella mente. Un gioco di collaborazione virtuosa in cui la macelleria al piano di sotto serve per prendere animali, d’acqua o di terra poco importa, di grossa pezzatura, rigorosamente interi, che poi vengono lavorati per i clienti “à Partager”, in condivisione, con una spinta estrema verso la convivialità.  E nell’annesso pastificio si lavora, egregiamente, il resto dell’animale per le paste ripiene, e viceversa si producono le basi per degli ottimi primi per il ristorante.

Innovazione nel modello di ristorante, conviviale e molto terreno, molto concreto, ma anche avanguardista e raffinato. Con un occhio attento ai conti e agli sfridi, per riciclare tutto. Idee apparentemente scontate, invero geniali.

Una cucina che fonde tecnica sopraffina alla riscoperta di un antico modo di mangiare, con condivisione, con allegria, con piatti sporchi ripuliti con la scarpetta. Golosità unita a raffinata eleganza e profondità, senza disdegnare qualche tocco di innovazione avanguardista.

Siamo solo agli inizi di un percorso, un grande percorso, che vedrà fare faville a questa idea e al suo creatore.

E già oggi Parigi, città tra le più adatte per questo esperimento, risponde con il costante pieno tutti i servizi. Sarà difficile sedersi a questa tavola ma provateci con tutte le vostre forze, ne vale davvero la pena.

Una vista alla cucina in miniatura.

Passerini, Chef Giovanni Passerini, Parigi

L’ottimo compagno di viaggio.

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Les plats à partager… pour 2, 3 o 4…

Passerini, Chef Giovanni Passerini, Parigi

L’ottimo pane, della panetteria di fronte al ristorante.

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Il Passerini creativo. Trippa, seppia, nero di seppia, nasturzio, menta, salsa di ortiche e pecorino. Un piatto da fondoscala!

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‘A scarpetta… doverosa.

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Gnudi di ricotta e granseola, acqua di pomodori, ciliegie e olio al fico: genial!

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Pici ai peperoni arrostiti, anguilla e maggiorana.

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Il rombo per 4?

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…o l’anatra per 2?

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Passerini, Chef Giovanni Passerini, Parigi

Fantastica anatra cotta intera, perfettamente…

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…accompagnata da gratin di finocchi al burro, fenomenale.

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Crostini di interiora alle melanzane e cipolle…

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…e insalata condita al fondo bruno.

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Et voilà, le plat.

Passerini, Chef Giovanni Passerini, Parigi

E gli ottimi residui.

Passerini, Chef Giovanni Passerini, Parigi

Babà da manuale: con crema cruda, sorbetto di albicocche e olivello spinoso.

Babà, Passerini, Chef Giovanni Passerini, Parigi