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Harutaka

La via dello Shokunin

Shokunin è una parola giapponese di difficile traduzione nella nostra lingua. La traduzione proposta è spesso quella di artigiano o di maestro artigiano ma il suo significato va ricercato nelle profondità della cultura nipponica, nella dedizione verso il proprio lavoro tale da renderlo una vera forma d’arte, è quindi una questione non solo di tecnica ma anche di attitudine. Nella sola Tokyo si stima vi siano più di cinquemila ristoranti di sushi ma solo una manciata di questi sono gestiti da veri e propri shokunin e Harutaka Takahashi può rientrare senza alcun dubbio in questo novero. Originario dell’Hokkaido, inizia la sua carriera nel mondo del sushi giovanissimo, all’età di soli diciotto anni, prima in un ristorante nella sua regione natia e poi a Tokyo, presso forse il più famoso maestro di sushi del mondo, Jiro Ono, dove il suo apprendistato dura ben tredici anni. Il passo successivo e l’apertura di un proprio ristorante nel lussuoso quartiere di Ginza, come il suo maestro, che dopo qualche anno viene rilocato nell’attuale sede. L’ambiente, a differenza del rustico Sikiyabashi Jiro, denota il raffinato gusto del suo titolare mostrando appieno la maestria dell’artigianato giapponese in ogni dettaglio, a partire dallo splendido bancone, in legno chiaro, in grado di ospitare fino a dodici commensali.

Alla ricerca del nigiri perfetto

La cena da Harutaka si apre con una serie di Otsumami, piccoli antipasti principalmente a base di pesce, tra cui spicca su tutti lo splendido Shirako, ovvero lattume di merluzzo, servito in salsa ponzu, che rivela una stupefacente consistenza cremosa quasi vellutata unita a un sapore estremamente delicato, per poi passare ad una lunga sequenza di nigiri e concludere con l’immancabile Tamago (piccola frittata al confine tra dolce e salato). La chiave di volta dell’intera esperienza, tuttavia, risiede nella preparazione dello Shari (il riso) il quale è cotto molto al dente con aceto di riso (kome-zu), acido e fresco, così come tramandato dal maestro Jiro Ono, una scelta controtendenza rispetto all’attuale moda che predilige l’utilizzo di aceto di foglie di sakè (aka-zu), più aromatico. Il risultato è un riso dalla forte acidità, unita a una buona sapidità, che dona una pulizia gustativa davvero unica.

I Nigiri sono quindi assemblati personalmente per tutti i commensali dal taisho (il titolare), che con una maestria nei movimenti delle mani davvero formidabile assembla neta (il pesce finemente tagliato) e shari, riuscendo a comprimere quest’ultimo abbastanza perché nessun chicco si stacchi ma al tempo stesso non eccessivamente per permettere al riso di sfaldarsi una volta giunto a contatto con la lingua. Ogni neta si rivela di livello supremo, dimostrando non solo una qualità straordinaria della materia prima ma anche una grande capacità nel trattare tale materia con preparazioni complesse di marinatura e maturazione.

Il servizio è cortese ma l’impressione di una maggiore attenzione per i clienti abituali è senza dubbio presente, anche a causa di una barriera linguistica difficilmente superabile nonostante qualche cameriere e uno dei sous chef parli non più di qualche parola di inglese. L’atmosfera è tuttavia rilassata e meno “monastica” e ingessata rispetto ad altri ristoranti di questo livello in Giappone e non stupisce che Harutaka sia un’opzione molto apprezzata da una clientela varia che spazia da assidui gourmet e famosi chef fino a uomini d’affari e influencer.

La prenotazione è complicata ma non impossibile per gli standard giapponesi, complice anche un prezzo molto elevato e l’apertura fino a tarda sera, permettendo anche alla clientela straniera di godere di uno dei più grandi ristoranti di sushi del pianeta.

IL PIATTO MIGLIORE: Trittico di nigiri di tonno (akami, chutoro e otoro).

La Galleria Fotografica:

Il miglior Chef italiano, fuori dall’Italia? Per noi è indubbiamente Luca Fantin, del Bulgari di Tokyo.

Luca Fantin è il prototipo del cuoco con la C maiuscola. Carattere schivo, educato, gentile, dai sani principi. Ma con una fermezza ed una determinazione che, uniti ad un grande talento, ne fanno davvero un protagonista di primo piano ed un rappresentante (a nostro avviso il rappresentante) della cucina italiana all’estero.
Con la sua tenacia e la sua voglia concreta di migliorarsi costantemente, Luca ha raggiunto vertici impensabili. La sua è una cucina pulita, elementare apparentemente ma al contempo complessa ed articolata.
Ha scelto certamente la via più impervia, fatta di quella che noi consideriamo la vera ed unica forma di fusion che possa esistere. Applicare concetti, tecniche e sensazioni della cucina italiana ai prodotti e ai sapori della terra ospite, in questo caso il Giappone.

Il risultato? Semplicemente strepitoso. Una cucina che ha forte personalità, senza punti di riferimento, piacevole, elegante e interessantissima sotto il profilo gustativo.

La ricerca estenuante di ingredienti di qualità, che porta Luca una volta al mese a setacciare tutte le prefetture del Giappone a caccia dell’ingrediente perfetto, gli ha fatto scoprire interessanti particolarità e ha spinto molti produttori ad aprire nuove strade. Oggi in Giappone c’è anche chi produce olio, di qualità ça va sans dire. O maialini da latte strepitosi, allevati apposta per il cuoco trevigiano.
Ha cambiato il volto della cucina italiana in Giappone, ha percorso strade nuove, ha stimolato produttori e allevatori, ha fatto ciò che poteva fare con i prodotti del luogo, limitando al minimo l’importazione (ai derivati del latte ad esempio, ancora troppo indietro nel Sol Levante) di prodotti italiani, esportando cultura e tecnica a fiumi.

Ecco quindi aprirsi uno scrigno di sapori e consistenze con la parte iniziale del benvenuto, il suo biglietto da visita, fatto di diverse consistenze e cotture di verdure e pesci. Un inno ai prodotti locali costruito con tecnica e sensibilità Italiana. Con colpi d’ala inauditi e persistenti, come la sardina, l’acqua di pomodoro verde e burrata, il piccolo calamaro con uova di salmone. Uno scampo impressionante accompagna gli asparagi serviti in varie consistenze e forme, non mero sfoggio di tecnica ma pragmatica ricerca dei sapori e delle concentrazioni.
Poi una vera e propria opera d’arte come i ravioli con ripieno di verdure amare spontanee, involucro impastato con alga e ricci di mare della baia Okkaido. Il risotto, strepitoso, all’acqua pazza e quel maialino, apparentemente semplice ma al contempo complesso ed articolato nei sapori. Accompagnato da verdure e wasabi, il tocco determinante.

Grande classe, grande eleganza e grande concentrazione per una cucina di cui non si parla mai abbastanza. E invece il Bulgari di Tokyo può valere un viaggio.

Per la carriera e la fama di uno chef, qualsiasi cosa esso vi dica, tra le cose più importanti ci sono i riconoscimenti delle guide, il più rapido veicolo per “uscire dall’anonimato” e salire agli onori della cronaca, per raggiungere così una vasta platea di pubblico (pagante).

Nel suo ristorante a Tokio, Mitsuhiro Araki aveva raggiunto i massimi possibili, di riconoscimenti.
Protagonista del gotha mondiale della ristorazione, uno dei pesi massimi della gastronomia giapponese, specialista nel sushi in bella compagnia insieme a nomi del calibro di Jiro Ono, Haichiri Mizutani, Masahiro Yoshitake, Takashi Saito… non precisamente un gruppetto di sconosciuti, insomma.
Poi di punto in bianco, all’apice del successo, come un fulmine a ciel sereno il passaggio da Araki-San a Mister Araki: la chiusura del tristellato locale nella lussuosa Ginza, il trasferimento in pianta stabile con la famiglia a Londra, e la relativa apertura di “The Araki”, piccolo locale a cinquecento metri da Piccadilly Circus.
La motivazione ufficiale della scelta? Un molto british “motivi di studio della figlia”, e stop.

Quindi, cosa offre oggi Araki, a Londra? Semplicemente, rispettando a pieno le aspettative promesse, la più alta esperienza di edomae sushi europea, certamente tuttora accostabile ai big a livello mondiale, se non altro perché non si tratta di una consulenza, una seconda apertura o il ristorante di un pur bravo “…allievo di…” o “…secondo storico di…”, ma del vero e proprio sushi bar di un Master, con lo stesso al lavoro dietro al bancone ed il relativo inarrivabile background: una cosa davvero più unica che rara, mai avvenuta in precedenza.
Anche gli arredi del locale, da soli nove posti a sedere in fila di fronte al piano di lavoro, sono praticamente identici a quello di Ginza, tanto che dopo quasi tre ore di totalizzante esperienza, è straniante ritrovarsi su un Black Cab nella City, anziché sulla Tokyo Metro.

Ma non siamo a Tokyo, e Araki ben lo sa: intelligentemente, ha smussato parte dei rigidi spigoli della tradizione giapponese, per adattarli ad usi e consuetudini della clientela europea. Nonostante il rigore e l’intransigenza espressi sul sito, la cena si svolge senza fretta né apprensioni di alcun tipo, impegnando tutto il tempo necessario, senza la volontà di mantenere alcun distacco anzi cercando di coinvolgere al massimo i clienti, arrivando a ridere e scherzare con loro.

Sempre perché non si trova a Tokyo, perché complicarsi la vita con laboriose forniture di materia prima dal Giappone, con il rischio tra l’altro di vanificare lo sforzo compromettendo la freschezza, quando, con l’esperienza, è possibile selezionare e valorizzare al meglio il pescato dai mari europei?
La qualità media del pesce non è ancora paragonabile a quello del mercato di Tsukiji (per vari motivi, in primis la tecnica di pesca e conservazione), cosa che non permette di raggiungere le vette dei migliori indirizzi di Tokyo, ma stiamo parlando di dettagli davvero sottili.
Soltanto il riso è proveniente dal Giappone, il medesimo che veniva utilizzato in patria.
Per contrapposizione allora, per tentare di colmare questo gap, perché non utilizzare (lussuosi) ingredienti tipicamente occidentali, quali il caviale ed il tartufo, se non si tratta di una banale contaminazione ma tali ingredienti si riveleranno realmente migliorativi per l’insieme?

All’atto pratico, la ragione è sua, e la guadagna attraverso una sequenza meravigliosa tanto negli appetizer iniziali, dei veri e propri piccoli piatti di valore assoluto, che nel sushi, a cui è difficile trovare difetti: praticamente perfetto, dal chicco non tanto al dente sebbene ottimamente sgranato, lievemente acido e servito appena tiepido, in maniera da esaltare il neta, per una serie di bocconi profondi, persistenti, ampi, sempre assolutamente fini sebbene estremamente materici, dall’espressione preminentemente “ittica” o burrosa a seconda del taglio.

Una esperienza davvero illuminante, macchiata soltanto dall’unico reale difetto degno di essere segnalato come tale: il vertiginoso conto, vera e propria nota dolente di questo luogo, ancor prima che semplice difetto.
Anche in questo caso non siamo a Tokyo, e Araki lo sa. Volete provare un’esperienza di livello assoluto, unica in Europa? Il solo menù Omakase disponibile è prezzato a 300£ +15% di servizio, che tradotto significa, anche bevendo dell’acqua, che è impossibile varcare questa soglia senza spendere meno di 500€ a testa, grossomodo l’equivalente ad un volo A/R Milano-Tokyo.
In nessuno dei due casi sbaglierete, dovrete soltanto decidere quante ore di volo affrontare.

La rigorosa… “mise en place”.
mise en place, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Dopo i saluti, il maestro inizia l’opera di pulizia e porzionatura del tonno. Emozionante anche solo stare a guardare.
Porzionatura del tonno, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Il primo degli “appetizers”: Brodo di rombo, scampi, Yuzu e Kombu, da bere. Puro umami, rinvigorito dalla decisa nota agrumata dello yuzu.
Appetizer, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Sashimi di rombo con caviale Almas, wasabi e salsa ponzu speziata.
La pura e lieve sapidità marina del rombo viene amplificata dallo splendido caviale, profondo ma anch’esso dalle nuance morbide e tenui. Molto più decisa la ponzu sul fondo, marcatamente citrica, che allunga la persistenza in maniera imbarazzante. Dettaglio, notevoli anche le porcellane ove verranno serviti i piatti.
Sashimi, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Abalone cotto al vapore di sake, servito su capesante grigliate.
Elegantissimo e rigoroso l’abalone, nella sua splendida consistenza; le capesante invece, grigliate in maniera decisa, si rivelano di estrema golosità.
Abalone, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
La preparazione della “maionese”, dalla notevole quantità di misteriosi ingredienti…
preparazione della maionese, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
…per la Tartare di tonno (ove vengono utilizzati tutti e tre i tagli), con maionese, sesamo, tartufo nero e bianco, wasabi.
Per estrarre l’aromaticità dei tartufi ci viene chiesto di mescolare il tutto a lungo nel piatto, insieme al tonno, precedentemente lavorato con la salsa e la mayo, ed al wasabi, perfettamente dosato. La risultante è un piatto spettacolare, profondissimo ed estremamente sfaccettato. Attacco sapido, lievemente piccante ed aromatico, ma dalla base sempre morbida e vellutata, dalla quale alle volte emerge il sesamo, poi ancora la grassezza del tonno, per poi chiudere il tutto con una marcatissima nota di nocciola. Un piatto di valore in scala assoluta, in ogni angolo del globo.
Tartare di tonno, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Ricciola marinata nel Koji, soya e prugna con strisce di capesante essiccate: marcatissimo il contrasto di consistenze, più morbida la ricciola, molto più tenaci e gommose le scallops strings, una sorta di katsuobushi di capasanta.
Ricciola Marinata, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Il servizio dello zenzero (splendido: croccante, aromatico e lievemente piccante) preannuncia l’arrivo del Sushi.
zenzero, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
La minuziosa e ipnotizzante preparazione dei neta.
neta, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Akami.
Akami, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Chu-Toro.
Chu toro, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
O-Toro.
O-Toro, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Il wasabi è preparato istantaneamente dall’assistente, a seconda della necessità del Maestro.
Wasabi, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Mackerel.
Mackerel, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Seppia, con caviale Almas.
Seppia con Caviale, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Salmone norvegese.
Salmone Norvegese, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
Guancia del tonno, marinata nella salsa di soia.
guancia di tonno marinata, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
O-toro grigliato, un boccone da Re, dal gusto intenso e coinvolgente.
O-toro, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
La preparazione dell’anago roll…
anno roll, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
…servito direttamente nelle mani.
The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London
In chiusura, tamago.
tamago, The Araki, Chef Mitsuhiro Araki, London

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Il cammino verso la perfezione.
Concezione, esecuzione, risultato: gesti ripetuti ossessivamente nella ricerca del miglioramento continuo. Giorno dopo giorno. Per tutta una vita.
Jiro Ono è un uomo di 88 anni, ancora al posto di comando nel suo minuscolo locale nella stazione della metropolitana di Ginza.
Jiro Ono è uno shokunin: è difficile tradurre in italiano un termine così lontano dalla nostra cultura. La traduzione in “artigiano” infatti non gli rende giustizia: è molto di più.
Comporta certamente avere competenze tecniche, ma implica anche una coscienza e un atteggiamento sociale. Lo shokunin ha l’obbligo sociale di lavorare al meglio per il benessere generale della popolazione. Obbligo che è sia spirituale che materiale. Una cosa enorme, ma è fondamentale averne chiarezza prima di mettere piede qui dentro.

“Dovete innamorarvi del vostro lavoro”: così dice Jiro nel famoso documentario di David Gelb, Jiro Dreams of Sushi.

Quanto è fortunato l’uomo che riesce a trovare nel proprio lavoro passione e forza innamorandosi di quello che giornalmente è chiamato a fare per la comunità! L’unione tra vita e lavoro diventa quindi vocazione.
Tutta la vita di quest’uomo non è stato che questo: un cammino verso una perfezione che non è raggiungibile perché non si sa quale sia il suo apice ma a cui bisogna continuamente tendere.

«Io continuerò a salire, cercando di raggiungere la vetta, anche se nessuno sa quale essa sia». (Jiro Ono)

Ma Sukiyabashi Jiro non è solo il contenitore della storia di un grande uomo: qui le storie da raccontare sono molteplici e si intrecciano come si mischiano le esistenze degli esseri umani.
C’è la storia di Yoshikazu, il figlio maggiore di Jiro San: al fianco del padre tutti i giorni. E’ un macigno da portare sulla schiena quella eredità che probabilmente lo relegherà ad eterno secondo.
E’ lui che tutti i giorni va al mercato a scegliere il pesce: solo il meglio per Jiro Ono. Possono essere aperti anche 40 tonnetti prima di trovare quello degno di essere servito da Jiro San.
C’è la storia del figlio minore Takashi, che ha aperto un suo locale a Roppongi Hills che è l’esatta copia a specchio del locale del padre ( Takashi è mancino). Fuga che può diventare salvezza e rinascita.
O quella dei tanti apprendisti in attesa di un segno di approvazione dal Maestro: chi ha il compito di strizzare gli asciugamani, chi per mesi e mesi non fa altro che frittate dolci, chi ancora massaggia i polpi (non meno di cinquanta minuti per renderli morbidi).
Non ci sono concessioni, non ci sono regali: qui ogni cosa è sudata e guadagnata sul campo.

Al giorno d’oggi i genitori dicono ai figli: “Se non funziona puoi tornare a casa”. Quando i genitori dicono stupidaggini come questa, i figli sono destinati a fallire nella vita. (Jiro Ono)

Due virtù caratterizzano la cultura giapponese: l’onore e la ricerca della purezza.
L’onore è parte integrante del proprio lavoro, nell’amore che si prova per esso e nella continua ricerca del miglioramento.
La purezza va invece ricercata nella semplicità.
Niente di più semplice dell’accoppiamento di riso e pesce in un vortice armonioso che porta alla fusione di questi due elementi.
Il riso: molti tendono a cuocerlo troppo. In quello di Jiro si sente l’aceto ed è servito a temperatura corporea. È cotto ad altissima pressione, il che lo rende soffice e vaporoso, ma allo stesso tempo ogni chicco mantiene la sua forma. E’ una rivelazione, un riso straordinario.
Il pesce: niente che sia meno di eccellente. La fornitura giornaliera al mercato di Tokyo è maniacale.
L’armonia: la perfetta unione tra i due elementi si rispecchia nel gusto, unico ed emozionante.
Il wasabi, modulato in quantità a seconda del pezzo: uno schiaffo iniziale che lascia il campo al gusto di questa incredibile radice che in Giappone tocca vertici qualitativi assoluti.
Una spennellata di salsa di soia. E subito in bocca in pochi secondi, perché la perfezione è fugace.
Il menu (19 portate fisse) si sviluppa come un’onda, in un crescendo di sapori.
Solo sushi preparato dal Maestro davanti ai vostri occhi: 30 minuti per i 240 euro meglio spesi della vostra vita.
Una composizione che rende terra e cielo più vicini, continui shock neurosensoriali che non si dimenticheranno facilmente.
Chissà se avremo ancora la possibilità di gustare il sushi preparato da questo monumento della gastronomia mondiale. Chissà se lo troveremo ancora lì, a perfezionare il suo riso, il suo pesce, il suo sushi. A costruire il suo destino partendo da se stesso, giorno dopo giorno.
Dopo giorno, dopo giorno…

Note pratiche: la prenotazione può essere fatta dal concierge dell’albergo, solo il primo giorno del mese precedente la visita (esempio, il primo settembre per il mese di ottobre).

Il ristorante si trova sotto alla fermata Ginza della metropolitana: per individuarlo cercate il cartello del ristorante Birdland che riporta la scritta in inglese ed entrate nel corridoio. Jiro si trova proprio di fronte.

Il menu è fisso ma a fine pasto è possibile richiedere dei bis dei pezzi che avete preferito.

Sono accettati solo contanti, quindi ricordate di fare il pieno prima di entrare.

Akagai, Jiro, Tokyo
Akagai: vongola rossa (ark shell)

I cartelli da seguire per l’ingresso
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Karei: passera pianuzza
Karei, Jiro, Tokyo
Sumi-ika: Calamaro
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Shima-aji: caranx vinctus (striped jack)
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Akami: tonno
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Chu-toro: Tonno semi grasso
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Kohada: alosa americana (gizzard shad)
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Mushi-awabi: abalone al vapore
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Aji: sugarello (jack mackerel)
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Kurumaebi: gambero bollito
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Katsuo: tonnetto (bonito). Leggermente affumicato, l’apice di tutto il pasto. Gusto e consistenze indescrivibili.
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Shako: canocchia
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Iwashi: sardina. Altro colpo da ko, di cui infatti abbiamo chiesto il bis.
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Akagai: vongola rossa (ark shell)

Uni: riccio di mare
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Kobashira: cappasanta
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Ikura: uova di salmone
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Anago: grongo
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Tamago: frittata dolce di uovo. La consistenza di questa frittata è unica. Solo una frittata? Non scherziamo…
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Musk Melon: non si può descrivere l’intensità gustativa di questi costosissimi meloni giapponesi (al mercato vengono venduti intorno ai 100 euro cadauno)
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Mise en place essenziale
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Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il perfezionismo del minimalismo.
Questa è, a nostro parere, la sintesi della filosofia kaiseki e di questo grande ristorante. Abbiamo già trattato l’argomento nella recensione di Kitcho, ma qui vorremmo dare un ulteriore punto di vista, che vada oltre la maniacale attenzione per la materia prima, per la stagionalità e per il rito.
Perché al ristorante Koju ci troviamo di fronte ad un’interpretazione, se volete estrema, del modernismo stilistico kaiseki targato Giappone. Un rito che rimane tale e che al contempo viene spogliato di numerosi orpelli, reso metropolitano e contemporaneo, per certi versi anche antiteticamente veloce, ma che preserva tutti i contenuti veri e profondi di quest’arte.
Punto di partenza è la cura nelle preparazioni, apparentemente semplici, ma frutto di elaborazioni lunghe e molto puntigliose. In cucina, anche se non si vedono, ci sono 2 addetti alla cottura del riso, 3 addetti alla preparazione dei brodi, altri 4 alla cesellatura di verdure e pesce. Un esercito concentrato su partite a prima vista elementari, in realtà coordinate e capitanate da veri e propri maestri dotati di esperienza pluriennale.
Il “Maestro” rifinisce e cesella il sashimi, assaggia e ritocca il già quasi perfetto brodo per lo shabu-shabu, osserva e dirige con una attenzione da vero e proprio direttore d’orchestra. Comprendiamo ora sino in fondo l’assonanza con un altro Maestro come Marchesi con questa filosofia, ed anche il suo costante accostamento alla simbologia e alla stilistica, nonché al rigore della grande opera musicale d’orchestra. Mai come in questo caso metafora fu azzeccata.
Il giorno della nostra visita lo chef Toro Okuda si trovava a Parigi per l’apertura del suo primo locale fuori dal Giappone (Okuda Paris, già segnato col pennarello rosso tra le prossime visite da fare nella Ville Lumière).
Il suo sostituto, giovane ma con una sicurezza da chef navigato, non ha fatto rimpiangere il Maestro.
Koju è l’esperienza, con la E maiuscola, di una contemporaneità Kaiseki portata all’apice.
Dove ogni ingrediente primario, un pesce o una verdura, viene preservato nella sua essenza più profonda. Non troverete sale aggiunto da nessuna parte. Tutto puro, se è dolce sarà dolce, se è sapido sarà sapido. Così come, se l’ingrediente lo è, lievemente piccante. Presentato nella sua purezza maestosa e intonsa.
Il ruolo di protagonista di ogni preparazione è demandato spesso ai brodi, di concentrazione, finezza e persistenza, nonché sapidità, notevoli e dagli apparenti comprimari. Una volta un frutto secco, l’altra volta un’erba piuttosto che una laccatura in cottura.
Una affascinante esperienza che dovrete, se vorrete avere un quadro completo ed esaustivo, affiancare ad un grande esempio di tradizione kaiseki in quel di Kyoto. Ed il vostro cerchio gustativo in Sol Levante sarà completo.

La table du chef.

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Mise en place.

mise en place, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il giovane chef all’opera.

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Granchio reale, gelatina di aceto di riso e soia, agrumi: un concentrato di rara eleganza.

granchio reale, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Abalone, purea di melanzana e fagioli di soia: consistenza fantastica dell’abalone e della melanzana profumata al gelsomino.

Abalone, pure di manzo, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione del nostro sashimi.

sashimi, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il primo brodo.

brodo, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Aragosta, fagiolini di soia, funghi, polpetta ai crostacei e radice di loto.

aragosta, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Sashimi di tonno, seppia, orata, daikon, insalata di alghe, rapanelli. Di consistenza e purezza fantastici.

sashimi di tonno, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione dello shabu-shabu.

shabu-shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Barracuda al vapore con funghi, anguilla arrosto e laccata con bianchetti. Immersi in un giardino d’autunno. Patate dolci, noci gingo, polpette di daikon, radici di zenzero, peperoni, lime, pepe e shiso. La foglia di pepe sull’anguilla un tocco da vero maestro.

barracuda al vapore, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

barracuda, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La preparazione della radice di Wasabi.

wasabi, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Shabu-Shabu di pesce (simil merluzzo) e funghi pregiatissimi Matsutake. Il brodo intenso e pervasivo, con il fungo che emana sentori di fiori d’autunno e sottobosco. Fantastico.

shabu shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

shabu shabu, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Riso, brodo di miso e funghi, cipollotto e sottaceti.

riso, brodo, miso, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

La rilettura del tradizionale mochi. Gelato al caramello e castagna, liquore di castagna, castagna bollita e palline di riso dolce. Strepitoso.

pochi, gelato al caramello, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo

Il classico finale con il the Matcha.

the matcha, Koju, Chef Toro Okuda, Ginza, Tokyo