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Taian

Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan

Non tutte le ciambelle riescono col buco.
Ad Osaka, tra una miriade di rinomati ristoranti, abbiamo puntato il dito sul Taian, nel quartiere di Chuo-ku, a pochi isolati da una delle aree più frenetiche del mondo, Dotonbori, regno incontrastato del kitsch nipponico, puntellato da migliaia di locali a buon mercato con enormi insegne lampeggianti.
Breve digressione: Osaka è la seconda città del Giappone per numero di abitanti, e contende alla capitale la palma di città più food-oriented del Paese.
Regno dei cibi di strada è culla di alcune delle preparazioni più celebri del Sol Levante: il takoyaki, gustose polpettine di polpo fritte racchiuse in una croccante pastella; lo shabu-shabu, fettine di carne di manzo da immergere in una pentola posta al centro della tavola sopra un fornello acceso in cui cuoce un brodo di verdure; lo hakozushi, o sushi in scatola, così chiamato perchè il sushi non si presenta nella sua forma caratteristica, originaria di Tokyo, ma i sottili filetti di pesce e riso vengono disposti in una scatola di legno quadrata e pressati a mano mediante un coperchio; ed infine la celebre okonomiyaki, che letteralmente significa “cotto alla griglia come più ti piace”, in quanto non ne esiste una vera e propria ricetta e in cui l’ingrediente base non è il riso ma la farina (che lo fa assomigliare vagamente ad una pizza).
Ovviamente al Taian nulla di tutto ciò, siamo distantissimi dal cibo di strada.
È un ristorante che offre una cucina assimilabile a quella kaiseki, senza però le classiche sequenze stagionali made in Kyoto.
L’indubbia elevata qualità degli ingredienti è andata quasi sempre, nel corso della cena, di pari passo con la profondità dei sapori, la finezza dei condimenti, la persistenza gustativa.
Alcune portate, però, si sono perse nei meandri della ricerca estetica, tassello fondamentale su cui poggia le basi tutta la cucina giapponese, ma non hanno raggiunto né il palato, né il cuore, né la mente.
Di contro c’è da sottolineare l’ineffabile sforzo che la padrona di casa ha fatto per mettere noi, unici gaijin, a proprio agio, articolando con notevole difficoltà poche parole in lingua inglese.
Seduti al bancone, abbiamo goduto della vista di una piccola brace dove chef Hitoshi Takahata abilmente grigliava preziosi ingredienti.
Non abbiamo, però, compreso il perché servire la wagyu (memorabile) nello stesso piatto dell’anguilla, consigliando di mangiarle alternate. La sensazione grassa al palato si è acuita sino a saturare inesorabilmente le papille.
Gelatine, come sovente accade a queste latitudini, a terminare il pasto.
Fortunatamente la piccola delusione di una cena al di sotto delle più rosee aspettative è stata mitigata da un conto “umano” che conferma ancora una volta che il Giappone, escludendo alcune ovvie eccezioni di Tokyo e Kyoto, non è poi così caro.

Mise en place.
mise en place, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Zuppa di mais e zenzero in gelatina, granchio e wasabi, tonburi e verdura dal vago sapore di fagiolini, uova di pesce, patate bianche e prugna salata.
zuppa di mais, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Zuppa di abalone e radici di loto con cetrioli, in brodo leggermente affumicato. Molto elegante.
zuppa di abalone, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Sashimi: hako e ricci di mare (perfetti) da accompagnare, a piacimento, con soia, sesamo e funghi essiccati. Perfetto.
sashimi, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Close up dell’hako.
hako, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Close up dei ricci di mare.
ricci di mare, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Indivia con pasta di soia, daikon e noci. Contrasto amaro-dolce non propriamente gradevole.
indivia con pasta di soia, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Composta dolce di biku (?), in cui intingere l’indivia.
composta, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Wagyu di Matsusaka. Eccezionale.
wagyu, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Anago, anguilla di mare.
anago, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Pike conger fritto con sale e limone.
pike conger, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Melanzana, peperoncino verde, pomodoro, ed altre verdure estive in gelatina dal sentore affumicato.
melanzana, peperoncino verde, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Riso in bianco e ayu grigliato. Classico a tutte le latitudini.
riso bianco e ayu, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Sottaceti, davvero salati.
sottaceti, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Zuppa di miso.
zuppa di miso, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Anguria e uva in gelatina.
anguria e uva in gelatina, Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan
Bancone.
Taian, Chef Hitoshi Takahata, Osaka, Japan

Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi

Un angolo di Giappone nel cuore del lusso della Grandeur.
A due passi da Avenue George V, dai negozi e dagli alberghi più costosi del pianeta e così pieni di Occidente, è incredibile la sensazione che si avverte oltrepassando la soglia di questo locale: uno sorta di stargate in grado di catapultare l’avventore dalla Ville Lumière direttamente nella patria del Sol Levante. Tutto qui dentro è Giappone, o almeno la sua parte più lussuosa.
Il profumo del legno hinoki e la sensazione bellissima che lascia al tatto, la purezza delle forme, il personale femminile in kimono: è una piacevole immersione nella cultura giapponese.
Per anni sono stati i grandi chef francesi ad aprire succursali in Giappone; l’apertura di Okuda segna un passaggio storico: per la prima volta è un grande Maestro giapponese pluripremiato in patria (Okuda san del ristorante Koju) ad aprire nella capitale del gusto europeo. Fuoco di paglia o inversione di tendenza? Lo vedremo.
Nel frattempo prendiamo atto del meraviglioso lavoro che è stato fatto e del livello già raggiunto a pochi mesi dall’apertura datata settembre 2013.
Okuda san è famoso per la sua tecnica di griglia al carbone: in numerose interviste ha sottolineato come avrebbe abbandonato l’idea di questa apertura se non gli fosse stato concesso di installare la sua griglia in cucina. Per nostra fortuna il permesso è arrivato e l’attrezzo è ben visibile dal bancone dove prenderete posto. Perché nonostante la presenza di una saletta privata, è solo al bancone che dovrete prenotare per godere a pieno dell’esperienza.

La griglia a carbone
Griglia Carbone, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi

La cucina è affidata al giovane Shun Miyahara, a lungo braccio destro di Okuda nei suoi locali di Tokyo: simpatico e disponibile al dialogo, caratteristiche non sempre ritrovabili nei grandi cuochi giapponesi.
Come nella casa madre di Tokyo, quella che viene fornita qui è una visione moderna dello stile Kaiseki: più contemporanea ma comunque intimamente legata a tutti i suoi riti, fatti di bellezza, stagionalità, purezza.
Qui la chiave di lettura è necessariamente ancora diversa ma altrettanto stimolante: l’esigenza di utilizzare anche ingredienti europei, in primis carne e pesce, crea un interessante connubio tra Europa e Giappone.
Le verdure sono quelle di Olivier Durand che a Nantes coltiva anche alcuni vegetali in uso in Giappone. La carne è quella di Hugo Desnoyer, il macellaio-star parigino del momento. La seppia dall’ Ile d’Yeu.
Per quanto straordinaria, sembra sia proprio la qualità del pescato a preoccupare maggiormente Miyahara-San. L’impossibilità di effettuare l’ikejime, una storica pratica giapponese utilizzata per uccidere i pesci in maniera istantanea, fa perdere qualcosa in termini di gusto e, soprattutto, di umami, tanto caro ai palati giapponesi.
Con l’ikejime si neutralizza con un colpo secco parte del cervello che controlla i nervi del pesce, poi vengono sezionate le arterie situate alle branchie e coda. Il sangue viene così eliminato e il suo sapore sgradevole non pregiudica il pesce, lasciando intatto il suo gusto e la sua struttura originaria. Inoltre il taglio netto produce un rilassamento dei muscoli del pesce: non c’è produzione di acido lattico e si preserva l’Adenosina trifosfato (ATP).
Una vera e propria arte giapponese che, tra l’altro, sul piano etico, potrebbe anche essere considerato come il metodo più veloce e “umano” per uccidere un pesce: chissà che questa volta non sia un ristoratore giapponese a cambiare le abitudini dei pescatori francesi e europei.
La maestria nella preparazione del sashimi di Miyahara-san è comunque uno spettacolo nello spettacolo: lievissimi colpi di coltello per sfibrare una seppia che poi si scioglierà letteralmente in bocca.
La parte del leone la fa comunque la griglia e l’apice viene raggiunto proprio con l’anguilla laccata e grigliata con polvere di pepe e wasabi, signature dish di Okuda san: un gioiello di minimalismo e assoluta perfezione.
Precisione, estetica, gusto: non siamo molto lontani dagli standard dei grandi kaiseki di Tokyo.
Il migliore locale giapponese in Europa? Difficile da dire. Sicuramente Okuda tocca vette di qualità difficilmente replicabili, sia come cibo che come atmosfera.
Parigi aggiunge una ulteriore perla alla sua offerta e speriamo che questo “sbarco” possa portare un arricchimento per tutto il movimento gastronomico europeo.

Il bancone
bancone, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Amuse bouche di stagione: un tripudio per occhi e palato.
Amuse bouche, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
amuse bouche, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
amuse bouche, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Brodo chiaro al merluzzo avvolto nell’alga fine Kombu, ravanello e bottarga: la prima zuppa servita nel pasto kaiseki. La bottarga apporta quella nota affumicata elegante e il tocco agrumato rinfresca e pulisce.
brodo chiaro al merluzzo, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Miyahara-San alla preparazione del sashimi
sashimi, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Aragosta, rombo e seppia dell’Ile d’Yeu, igname e alghe nori di acqua dolce: il caviale a regalare l’accento francese. Difficile trovare un sashimi migliore in un raggio di qualche migliaio di km.
aragosta, rombo, sashimi,Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Il menu è fisso, ma nel caso segnaliate intolleranze non vi sarà negata una sostituzione: nel nostro caso è stato preparato questo incredibile merluzzo con leggera impanatura fritto per una commensale che non poteva mangiare il pesce crudo.
merluzzo con leggera panatura, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
La rifinitura degli spiedini al bancone.
spiedini al bancone, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
spiedini, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
San Pietro grigliato al pepe di Sichuan.
Filetto di manzo di Hugo Desnoyer marinato al Miso e grigliato.
san pietro, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
san pietro, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
filetto di manzo, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Sempre splendide le ceramiche giapponesi. E’ presente una carta dei vini e dei sake e c’è anche la possibilità di un accompagnamento al bicchiere: noi abbiamo preferito il più tradizionale tè verde (tra l’altro non conteggiato nel conto finale)
sake, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
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Rana Pescatrice in preparazione “Nabe”, porri, fegato di rana pescatrice e tofu da intingere in una salsa a base di soia, limone e spezie.
Una tipica preparazione giapponese: viene portato il contenitore posizionato sopra una piccola brace. Si prendono i pezzi dal brodo bollente e si intingono nella salsa a piacimento.
nabe, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
La rifinitura al bancone dell’anguilla.
anguilla, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Anguilla laccata e grigliata, polvere di pepe, wasabi: non ci sono parole.
anguilla, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Riso, zuppa di Miso, sottaceti (ravanello, cetriolo fermentato, e alga kombu confit).
riso, zuppa, miso, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
riso, zuppa, miso, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi
Sorbetto allo Yuzu, budino all’Hoji-cha, arancia in gelatina di vino bianco: Hoji-cha è un particolare tè verde giapponese arrostito sul carbone (una sorta di tostatura), il sentore di caramello mischiato alle comuni caratteristiche del tè verde è affascinante. Ricorda il caffè, con note di affumicato. Fantastico il risultato in questo budino. Il sorbetto è sfacciatamente amaro. La gelatina acida e pulente. Un grandissimo dessert.
sorbetto allo yuzu, dessert, Okuda, Chef Shun Miyahara, Parigi

Friday Five, Speciale Giappone

Kinkakuji, il tempio del padiglione d’oro

Capita che un lettore curioso ci faccia un mare di domande sulle nostre recensioni giapponesi.
Capita che la voglia di partire vinca ogni cosa.
Capita anche che questo lettore decida di mettere in parole le emozioni provate nel paese del Sol Levante, emozioni poi non troppo diverse dalle nostre.
Ecco il Friday Five di oggi, con un vestito diverso ma la stessa anima libera.
E il lettore-scrittore chi è?
Lasciamo a lui descriversi in poche righe:
“Nikolai Di Placido nasce a Popoli, in Abruzzo nel 1990.
Senza dubbi studia cucina e si diploma presso l’istituto alberghiero di Villa Santa Maria.
Cresce nei luoghi in cui lavora, ma non solo.
Gli piace il bello in tutte le sue forme, che si tratti di musica, scarpe o libri.
Ha sempre lavorato nei posti dove gli sarebbe piaciuto mangiare.”

Buona lettura!

Dopo aver affrontato un viaggio in Giappone, quello che continua a scavarti dentro è il confronto con tutto ciò che hai visto e vissuto nel Sol Levante.
Credo che fare paragoni in cucina sia una delle cose più errate da fare, perché ci sono microclimi interni che mi faranno provare un’esperienza diversa a seconda di innumerevoli fattori.
Qui le diversità sono molteplici: la cosa più bella è andarci e viversi il proprio tempo e poi al ritorno provare a dimenticare tutto e decidere quando tornare.

La foresta di bambù di Arashiyama

Friday Five, Speciale Giappone

I giapponesi sono persone dal forte senso del rispetto, che ti aiutano con tutti i loro mezzi e sono felici e fieri di fare bene.
Visitare questa nazione è viaggio nel senso più ampio del termine. E’ lontano geograficamente e anche culturalmente nonostante la presenza dei pilastri del capitalismo.
Non dobbiamo immaginare di trovare samurai dietro l’angolo a Osaka o la cerimonia del Tè in centro a Tokyo, anche se curiosità, intraprendenza e, non ultime, conoscenze sul posto, potranno aiutarci a provare sensazioni antiche.
La cosa straordinaria del Giappone è che si può fare un’esperienza frastornante nella stessa giornata: nei pasti ci si può rifugiare in un’essenziale stanza in legno per stare in silenzio e osservare i gesti di un professionista mangiando il suo Omakase oppure in un stanza privata e sentire i ritmi vivendo l’esperienza Kaiseki, osservando un giardino e il suo fiume.
Nelle altre ore del giorno ci sono innumerevoli templi, musei incredibili, paesaggi oppure botteghe di artigiani dove poter acquistare oggetti, in primis piatti e coltelli, da noi inesistenti.

Il Fuji San visto dallo shinkansen per Tokyo

Friday Five, Speciale Giappone

Non basta un solo viaggio per vedere tutto il paese, ma sicuramente partire dalla regione del Kansai è un ottimo modo per iniziare.
Osaka è la “capitale” di questa zona situata a sud dell’isola ed è collegata perfettamente a tutti i principali centri che consiglio di raggiungere con lo Shinkansen, il treno veloce.
Una piccola parentesi su quest’ultimo va assolutamente fatta: i treni veloci giapponesi sono belli, funzionali ed estremamente precisi e sono un’ottima scusa per mangiare un bento che ci farà ulteriormente capire quanto il metodo e la precisione di queste persone si ritrovino anche su un pasto in treno.
Osaka è una città di origine portuale, ma solo in alcune zone si possono leggere le sue radici.
Una di queste è il quartiere di Naganoshima con il grande canale, l’immenso roseto e il bellissimo museo delle ceramiche orientali.

Quartiere di Naganoshima e il canale di Osaka

canale di osaka, Friday Five, Speciale Giappone

E’ qui che dopo tre anni incontro il mio amico Tatsuhiko, con cui ho avuto modo di lavorare a Torriana, al “Povero Diavolo”.

Friday Five, Speciale Giappone

E’ ulteriormente cresciuto, ha aperto un posto suo e, omaggiando il luogo nel quale si è maggiormente formato, l’ha chiamato come la casa madre.
Lo spirito è lo stesso, seppur con mezzi differenti; è troppo presto per dire come evolverà il suo percorso, ma di certo, quando avrà trovato stabilità, farà parlare di se e non deluderà le aspettative di chi affronta un viaggio più o meno lungo per andare da lui.
C’è il bancone dove poter osservare il lavoro in diretta oppure tre tavoli.
Ho avuto la fortuna di mangiare da lui la sera del primo servizio: forte tensione, fuochi nuovi, personale da formare e clienti curiosi.
Il menù è uno solo, ha circa dodici portate e prevede, per ora, solo pesce.
Si parte con qualche crudo per passare a preparazioni “cotte” con una portata di pasta secca.
Un predessert precede il dolce e un cioccolatino.

Tatsuhiko Hada, proprietario e cuoco de “Il Povero Diavolo” di Osaka

Friday Five, Speciale Giappone, Tatsuhiko Hada

Non avevo mai mangiato il sushi in vita mia e ho aspettato di andare in Giappone per poterlo fare.
E’ la preparazione più inflazionata di tutta la cucina nipponica e se fatta bene non è seconda a pasti più “complessi”.
Quando mangi sushi e non parli la lingua del luogo (in alcuni posti in Giappone credo sia un vantaggio) ho riflettuto su ciò che noi crediamo semplicità; un pomodoro tagliato e condito, o in alcuni casi scondito, con olio e basilico è il parallelo di pesce con riso, aceto e wasabi.
Entrambi possono avere una materia prima da lacrima, tagliata in un certo modo ed esaltata con la sensibilità di ciascuna persona.
Sakamoto Yoshihiko, cuoco di Ibuki, è un uomo sulla cinquantina che forse il prossimo anno prenderà la stella michelin.
Nel ristorante lavorano lui e la moglie, che mi ha preparato tutte le traduzioni di ciò che avrei mangiato: è stato l’antipasto che mi ha fatto capire il forte senso di ospitalità che c’è da queste parti.
La mia cena è durata circa trenta assaggi, difficili da spiegare: sarebbe come spiegare un colore.
Dalle interiora innalzate al loro massimo splendore, a pesce da noi inesistente l’esperienza è garantita.

Le munizioni di Sakamoto Yoshihiko presso “Sushi Ibuki”

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Orata con il suo fegato

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Sake di accompagnamento

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Carrellata finale….

Verdure e manzo bolliti con Asahi ghiacciata presso un izakaya di Osaka

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Fegato di pescatrice e daikon

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e poi alcune istantanee …

Un pasto notturno a 5 euro

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L’ingresso di un ristorante che prepara unagi

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Ristorante di yakitori a pieno regime

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Note
Location: In Giappone si potranno trovare alcuni tra i migliori ristoranti in luoghi dove noi non penseremmo di aprire neanche uno sgabuzzino.
Istantaneità: il katsuobushi viene tagliato al momento ogni volta che serve, così come il wasabi ripetutamente “grattugiato” durante il corso della serata.
Temperature: mai come nel sushi sono fondamentali per percepire, se si ha la fortuna di poterlo fare, le innumerevoli sfumature di questo percorso e in questo ristorante il riso è stato gettato almeno sei volte per garantire la giusta temperatura.
Noia: rifletti su di essa perchè non c’è, ogni singolo passaggio puoi vederlo, ma soprattutto non rifarlo.

Continua…?

Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan

Mangiare e bere sono il nutrimento della vita. Mangia cibo semplice. La carne dovrebbe essere consumata in piccole quantità. Scegli alimenti che nutrano il corpo.
Smetti di mangiare prima che il tuo appetito sia del tutto soddisfatto.
Cinque cose da tenere a mente quando ci si nutre:
1) pensa a chi ti dà il cibo
2) pensa alle fatiche di chi l’ha prodotto
3) ricorda che sei fortunato a godere di un buon pasto senza avere fatto nulla per meritarlo
4) ricorda che ci sono tanti esseri umani ben più poveri di te
5) pensa ai tempi antichi in cui gli uomini mangiavano frutta, radici e semi senza conoscere la cottura.
Astieniti dal mangiare troppo. Sii moderato nel cibo e nelle bevande.
Così prescriveva nel 1713 lo Yojokun, un trattato in cui venivano formulate regole di vita per una buona salute fisica e spirituale.
L’arte della cucina è da secoli tenuta in grande considerazione in Giappone.
Chiunque sia stato nel Sol Levante avrà apprezzato l’estrema eleganza e la squisita delicatezza dei piatti anche più semplici. La cucina giapponese è la più “spirituale” del mondo: regola vuole che gli ingredienti mantengano la propria natura, il colore, la consistenza, che i colori del vasellame armonizzino con il cibo e con la stagione del momento, che i sapori siano leggeri ma non insipidi, che non vi sia ostentazione ma che ogni cosa sia perfetta nella sua austera, raffinata semplicità.
L’estetica dell’ospitalità giapponese è essenzialmente rappresentata dalla cucina kaiseki, che di solito viene servita prima della cerimonia del tè e nella quale si raggiungono vette di delicata, “povera” eleganza. L’abbondanza è bandita: lo scopo del pranzo non è quello di riempirsi, ma di godere insieme agli ospiti del piacere della reciproca compagnia, in armoniosa pace e tranquillità. Aeree composizioni vegetali ornano rustici piatti di ceramica e leggere ciotole di legno laccato creano sottili contrasti; i freschi colori dei vegetali armonizzano con il contenitore in cui sono deposti.
La cucina kaiseki è intrisa di profumi e sapori della stagione, segue i ritmi della natura.
Kyoto ne è la patria, un po’ come Napoli lo è della pizza in Italia e Tokyo del sushi.
Gli ingredienti utilizzati sono sempre freschissimi e, nei locali migliori, di qualità eccezionale.
Le varie portate vengono servite in sequenza, non necessariamente in un crescendo di sapori e odori, e vanno assaporate come le pagine di un racconto. Mangiare seguendo la filosofia kaiseki significa entrare in un mondo quasi onirico, in cui si devono scoprire i dettagli lentamente, senza fretta di conoscere il finale.
Passeggiando per il centro di Kyoto vi capiterà di imbattervi in centinaia di porticine dischiuse di ristoranti, tutte simili tra loro, che renderà oltremodo ardua la vostra scelta soprattutto se non avete le idee già chiare.
E dietro alcuni di quegli anonimi ingressi si celano i migliori ristoranti dell’intero Paese.
Il Kikunoi Roan, fratello minore (ma non troppo), del celebre Kikunoi, è uno di essi.
Due stellette della Rossa brillano sul bancone, dove sarete accolti da sinceri sorrisi e, finalmente (non parlare l’idioma locale può essere a volte frustrante), da un menu scritto in lingua inglese.
La cura della presentazione dei piatti è maniacale, bellissime composizioni prevalentemente vegetali ci fanno comprendere quanto sia importante l’estetica per i giapponesi.
Il cibo si assapora prima con gli occhi sembrano volerci insegnare.
Nessuna sbavatura in un percorso di complessiva grande piacevolezza. Sapori netti, riconoscibili, cotture brevi che tendono ad esaltare ingredienti rari ed ineccepibili.
Si vola alti con il sashimi, l’abalone cotto sotto sale con ricci di mare ed una perfetta zuppa di melanzane, peperone e ravioli di gamberi fritti.
Di impatto l’insalata servita in un cubo di ghiaccio e semplici ma buoni, come sovente accade, i dolci, con le gelatine a farla da padrone.
Il godimento ha un prezzo, neanche tanto elevato questa volta.
La nostalgia per il Giappone aumenta, ogni scheda di più.

Mise en place .. nipponica.
mise en place, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Fico in crema di miso bianco, bonito essicato.
fico in crema, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Appetizer “nascosti” in bellissimi fiori rossi (lanterne cinesi).
appetizers, lanterne cinesi, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Ricci e gelatina d’uovo.
ricci e gelatina d'uovo, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Fagiolini di Kyoto con salsa di sesamo nero.
fagiolini di kyoto, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Poached bayberry.
poached bayberry, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Terrina di uova di pike conger.
terrina di uova, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Pike conger in roll di cetriolo.
roll di cetriolo, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sashimi di pike conger.
sashimi di pike conger, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Pike conger con salsa acetata di prugne e wasabi.
Pike Conger, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sashimi: red sea bream, cutlass fish con geltina di ponzu, porri gialli, melanzane.
sashimi, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sashimi close up.
sashimi close up, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Zuppa di melanzana in una ciotola a forma di… melanzana.
zuppa di melanzana, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Zuppa di melanzana, peperone verde, e dumpling di gamberi fritti.
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Cottura sotto sale e…
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…verdure per…
verdure, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
…un magnifico abalone con ricci di mare.
ricci di mare, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Insalata: Glass noodles, funghi shiitake, cetrioli, zenzero e fiori di shiso.
glas noodles, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Master at work.
master, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Manzo con salsa di miso e cetrioli. Neanche a dirlo fantastica.
manzo con salsa, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Riso con ayu fish, cetrioli sottaceto, peperone dolce, ravioli di radici di loto.
Riso con ayu fish, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Immancabili sottaceti e riso in bianco.
sottaceti e riso bianco, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Sorbetto di ananas e pudding di mango.
sorbetto di ananas, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Gelatina di sesamo nero, gelato allo zucchero di canna.
gelatina di sesamo, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan
Bancone.
bancone, Kikunoi Roan, chef Hiroki Maruyama, Kyoto, Japan

Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo

Quando il concierge del nostro hotel ci ha consegnato il foglio della prenotazione di Shima siamo rimasti allibiti: una cartina ben definita, con particolari oltre ogni ragionevole immaginazione, addirittura la foto dell’ingresso con una grossa freccia che recitava “Entrance just before Tully’s coffee shop”. “Ci avranno preso per Totò e Peppino in trasferta a Milano?” abbiamo pensato con presunzione. Ma dopo una decina di minuti, sicuri di essere davanti al posto giusto e senza la minima idea di dove fosse il ristorante, magari avessimo incontrato un vigile a cui offrire un accorato “Noio volevan savuar …”.

Già perché l’imprescindibile caratteristica che accomuna la maggior parte dei ristoranti di Tokyo, ovvero un mimetismo camaleontico che può provocare pericolosi stati di ansia ad un gourmet incapace di orientarsi, qui è portato all’eccesso. Timorosi siamo scesi con l’ascensore al piano B1, chiaramente indicato nel premuroso vademecum, ma davanti a noi le porte si sono aperte svelando uno sgabuzzino di un metro quadro, buio e ricolmo di scatoloni. “Ma non può essere qui” abbiamo pensato. Ebbene sì, quello era l’ingresso. E non lo avremmo varcato se un timido commis non avesse aperto per caso il pertugio d’accesso alla nostra sinistra.
Superato lo stupore, eccoci da Shima, indirizzo noto in città per l’eccellenza delle sue carni. Manabu Oshima ci accoglie con un sorriso e una buona parlata inglese. Ha girato molto in Europa, ha acquisito un atteggiamento non usuale da queste parti, cordiale, affabile, curioso, compiacente. Ci accomodiamo al bancone, l’esperienza si rivelerà estremamente piacevole.

Shima è un indirizzo ideale per un percorso iniziatico nel mondo della cucina nipponica: senza l’eccessiva rigidità di altri locali, qui si respira un’aria quasi “internazionale” e “casual”, lontana da quel clima di religiosa ostentazione spirituale che abbiamo imparato a conoscere nel Sol Levante.
Il menù è ridotto all’osso: pochi piatti d’entrata (pesce e verdure), poi il pezzo forte della casa, la carne. E’ proposta in due versioni, Beef Sirloin e filetto: lo Chef prima di procedere alla loro preparazione ci mostra con orgoglio i grandi tagli di questa prelibatezza. In pochi gesti i nostri golosi bocconi sono tagliati, conditi e pronti per essere accolti nel forno a carbone di legno di quercia. La nostra preferenza andrà al Sirloin, più saporito e consistente del filetto, e forse più corrispondente ai nostri gusti europei.
Tra una chiacchiera e l’altra il pranzo scorre via veloce e divertente, con Manabu Oshima che regge una conversazione veramente gradevole. Forzati dalla nostra bulimica fame d’informazioni gli chiediamo maggiori dettagli sulla provenienza e sulla qualità della carne di Kobe che ci ha servito. Per levarsi dall’imbarazzo ci fornisce la scheda di provenienza dell’animale, con tanto d’impronta del naso, ma completamente in giapponese e del tutto incomprensibile.
Lo ringraziamo lo stesso. D’altronde sapere proprio tutto, alle volte, non è affatto necessario.

Manabu Oshima all’opera sulle entrée.
Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Mise en place atipica con olive e panini.
mise en place, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il nostro goloso obiettivo.
wagyu, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Inizia la preparazione.
wagyu, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Taglio del Beef Sirloin e del filetto.
taglio filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
taglio filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyofiletto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyofiletto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
E via nel forno.
forno, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
In attesa una buona insalata di stagione.
insalata, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il Beef Sirloin, a cui va la nostra preferenza: texture e succulenza splendide.
beef sirloin, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
Il filetto. In entrambi i casi, l’accompagnamento alle carni è più europeo che nipponico, con verdure e purè.
filetto, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
La scheda.
scheda, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo
La mappa…
mappa, Shima, Chef Manabu Oshima, Tokyo