Qualcuno potrebbe chiedersi per quale motivo in questa sede abbiamo deciso di parlare del Jova Beach Party, cosa avvicini la grande festa estiva di Jovanotti alla gastronomia italiana. Ebbene la parola chiave è una, un nome a dire il vero, quello di Filippo Polidori.
L’ultimo atto del grande spettacolo itinerante è andato in scena sabato scorso, 10 settembre, all’aeroporto di Bresso. Una location che ha permesso di radunare oltre 55 mila persone, un mare umano a ricreare le onde che lambivano le spiagge delle precedenti sedi del tour. Nell’arco di due mesi si sono succeduti 21 concerti e gli spettatori sono stati oltre 550.000. Una platea enorme, intrattenuta a suon di musica in ogni data per l’intera giornata. Musica che ha sicuramente nutrito l’animo della folla, configurandosi come una parte dell’ingranaggio della macchina che si è premurata di soddisfare quella componente non trascurabile che ne concerne le esigenze fisiologiche, prima di tutto l’appetito.
Uno degli obiettivi di questo festival di successo è sempre stato quello di operare all’insegna della sostenibilità ambientale, obiettivo concretizzato in molti e differenti modi. All’interno dei villaggi, ad esempio, sono state allestite grandi isole ecologiche per la raccolta differenziata dei rifiuti e aree relax fatte di materiali riciclati. La raccolta fondi Ri-Party-Amo, in accordo tra Jova Beach Party, Wwf e Intesa San Paolo, ha raccolto oltre 3 milioni di euro per la pulizia e il recupero di 20 milioni di metri quadri di spiagge, fondali marini e fiumi. Infine, ciò che più in questa sede ci interessa, nel 2022 è stato sviluppato un intero concept attorno al momento del pasto, il #JOVAFOODGOOD.
Dimenticate i panini con la salamella di dubbia provenienza e tutti quei cibi cartonati di pessima qualità che storicamente hanno sempre affiancato i concerti. Anche in questo campo il Jova Beach Party si è fatto promotore di un messaggio importante, proponendo cibo che fosse non solo buono, ma anche giusto e sostenibile. Un’idea coltivata da Jovanotti già nel 2019, quando propose di coinvolgere food truck selezionati in occasione di questi concerti, che ha trovato piena attuazione quest’anno, con la creazione di una food court fatta di food trucks, produttori e grandi chef che hanno portato cibo di altissima qualità lungo le spiagge di tutta Italia. Ed è qui che entra in gioco Filippo Polidori, consulente e Food Guru del Jova Beach Party, che ha avuto il compito di formulare la proposta gastronomica del Beach Party.
I Trucker selezionati in base alla qualità dei prodotti e alla passione profusa nel proprio lavoro, hanno offerto una proposta variegata da Nord a Sud fino ad arrivare in Oriente. Tra questi molti nomi noti, come quello di Porcobrado e di Rocket Truck, ma anche Attilio, “The King of Pizza & Mortazza”, la cucina greca di Original Greek Eat Food Truck, le creazioni vegetali del Jovannino Orto Lab e di molti altri dispensatori di buon cibo a prezzi più che abbordabili. A nutrire l’altresì smisurata comunità degli ospiti del backstage (più di 150 artisti e relativi staff provenienti da tutto il mondo) ci hanno pensato Special Food Guest del calibro di Riccardo Monco e Giancarlo Perbellini, Errico Recanati e Pier Giorgio Parini.
La cucina di qualità ha fatto così la sua apparizione su un tipo di palco fino a questo momento deputato a proporre junk food e poco altro. Portare la cucina gourmet in un contesto così popolare, rendendola accessibile al pubblico, significa fare un grande passo in avanti verso la democratizzazione dell’alta cucina.
Senza contare che l’aumento della qualità genera un aumento dei costi e quindi un minor guadagno per gli organizzatori e i promotori dell’evento – sacrificio sicuramente apprezzabile dal momento che l’hanno effettivamente accolto in nome della salute della collettività -. Il messaggio che passa è quello che si può fare del bene – e del buono – in ogni contesto, non ci sono scuse. Mangiare non è un gesto automatico e quotidiano, ma un approccio alla vita, una questione di scelte per un futuro ideale, pulito e giusto. Attraverso il cibo si trasmettono valori importanti, alcuni dei quali sono gli stessi che muovono il Jova Beach Party. Perché, dunque, non provare ad alzare l’asticella nel segno della qualità?
A chiudere il cerchio, l’impegno preso assieme al Banco Alimentare per recuperare le eccedenze alimentari al termine di ogni evento, consegnate poi – tramite furgoni refrigerati – a strutture convenzionate che sul territorio offrono aiuto alimentare a persone e famiglie in difficoltà.
Come si diceva, questo è solo un ingranaggio di quella grande macchina che è il Jova Beach Party, ma tuttavia mette a segno un grande risultato per quella che è la promozione del cibo di qualità. Qualità che, grazie a Jovanotti, Filippo Polidori e tutta l’organizzazione che si muove dietro le fila di questo immenso evento, oggi conta 550 mila supporters in più.
Tutto perfetto quindi ? No, siamo solo agli inizi, sia per il tema della sostenibilità che della proposta di qualità. Ma l’aspetto fondamentale è aver gettato il seme, aver creato un precedente e quindi dando fiducia a progetti di questa natura vedremo sviluppare sempre più l’idea giusta e forte di cibo consapevole in un contesto sostenibile.
Nella bella location di Piazza San Zeno a Verona, una piccola porta in legno conduce a un bell’appartamento al piano terra. Ad aprirvi lo chef in persona, che vi dà il benvenuto in Casa Perbellini. Il tavolo viene preparato in un baleno davanti ai vostri occhi, in una sala che è uno spazio unico, dove tutti i tavoli godono il privilegio di essere table du chef.
Sala e cucina (davvero bellissima) in un unico ambiente. La brigata, monocromatica, tutta in gilet e coppola d’ordinanza, si muove armoniosamente sotto l’attenta supervisione di Perbellini (il solo vestito con colori diversi).
Tutto scenograficamente molto bello. E così la cena diventa una sorta di rappresentazione teatrale, nella quale ospiti, cuochi e personale di sala interagiscono perfettamente.
La grande competenza e la lunga esperienza di chef Perbellini colpiscono subito, a partire dagli amuse bouche, non banali ed estremamente articolati.
Ma anche la sala non sbaglia un colpo. Professionalità alta, a cominciare da Barbara Manoni fino al preparatissimo sommelier Marco Matta. Tempi di servizio impeccabili. Carta dei vini d’altissimo livello – soprattutto sul versante francese – e lussuosa, visti i ricarichi, davvero importanti.
Non c’è la Carta, la scelta è tra due menu degustazione.
Sempre presente qualche grande classico come il Wafer al branzino, un grande piatto di pasticceria declinato in veste salata, e la Millefoglie “Strachin”, un dolce davvero dolce che, forse, più del Wafer inizia a sentire il peso del tempo che passa.
Cucina neo-classica, dicevamo, tendenzialmente senza spigoli, piatti rotondi, ricchi come le Mezze maniche, mais e umido di baccalà. Talvolta cogliamo qualche acidità in più rispetto al passato come nell’Astice al latte cagliato al pepe sansho.
Bocconi di grande classe, come il Gelato allo zabaione con caviale affumicato o di grande scuola e impeccabile esecuzione, come il Filetto di manzo e foie gras, si alternano a piatti monocordi quale il Granchio reale in crosta di croccante di amaranto.
Comunque, tutto sembra girare alla perfezione. Addirittura troppo, si potrebbe sostenere. E questo è oggi, a nostro giudizio il limite di Casa Perbellini.
Tutto troppo studiato, troppo ragionato. Una cucina che ci sembra concepita più con la testa che con il cuore. Si sta benissimo e si mangia meglio, ma manca il colpo d’ala. Il piatto nuovo, che non ti aspetti, che ti tramortisce e ti resta dentro. Il piatto che fa la differenza, a certi livelli. E così il voto, che ci sentiamo di confermare, stavolta non è poi così pieno.
Per il resto tutto è molto ricco, forse troppo, come la impegnativa sequenza di ben tre dessert al termine di un menu lungo e appagante. E poi ancora, bon bon di accompagnamento al caffè e una piccola Torta sablè al cioccolato, che diventa proibitivo anche solo assaggiare. Ed è stato un vero peccato!
Giancarlo Perbellini è uno degli alfieri della nuova cucina italiana.
Di lui abbiamo -e si è, più in generale- scritto tanto, tantissimo, ed i nostri elogi li merita tutti.
Professionista di rara serietà, legatissimo al suo territorio, di recente trasferitosi nella sua “Casa” ai margini di Piazza San Zeno, una delle più caratteristiche di Verona, officia a vista per i pochi fortunati (poco più di 20) che possono sedersi a questi tavoli.
Nessuno schermo tra sala e fornelli, sì da creare una simbiosi perfetta con l’ospite, che è lì, come a teatro, a godersi lo spettacolo a due passi dal palco.
Il servizio, di grande scuola, è in perfetta simbiosi con la cucina, ed è pronto a soddisfare ogni richiesta della clientela; la mano del Maestro è, da sempre, riconoscibile nelle sue creazioni.
Tecnica sopraffina, ma più assonanze che dissonanze. Si prediligono abbinamenti che conferiscono continuità gustativa, senza sferzanti contrasti. Dolcezza e note suadenti non vengono annullate da lievi acidità, presenti maggiormente che in passato.
Chi è consapevole dei suoi grandi mezzi non si concede così facilmente alle accattivanti sirene della modernità, o meglio della novità a tutti i costi. Anno dopo anno questa cucina si evolve, ma non crea mai un distacco netto col passato, neanche lontano.
Perbellini crea, ma non distrugge.
Una creatività davvero inesauribile: a Casa Perbellini il menù viene cambiato al massimo ogni due mesi, caso più unico che raro nel panorama dell’alta ristorazione italiana. Questa grande prolificità non viene però sempre accompagnata da una costanza qualitativa: nelle nostre visite abbiamo potuto constatare risultati altalenanti, non sempre al livello a cui ci ha abituato negli anni lo chef.
Alcune volte i piatti si sono rilevati confusionari, privi di quella eleganza e finezza neoclassica che sono il marchio di fabbrica Perbellini.
Beninteso, qui si gode comunque. Non una sola cottura sbagliata, non un solo abbinamento fuori posto.
Mai banali gli appetizer, molto interessanti gli spaghetti affumicati con fasolari e gamberi, rasenta la perfezione la cottura delle carni, manifesto della sua classe il sandwich di spigola e mazzancolle. Grandi, come sempre, i dolci; non possono tradirsi natali così illustri.
Nota stonata per la carta dei vini che, sebbene profonda e con etichette molto interessanti, presenta dei ricarichi davvero “monstre”, da far tremare i polsi.
Noi, come abbiamo fatto negli ultimi 20 anni, prima ad Isola Rizza ed ora a Verona, continueremo a tornare in questo piccolo antro di gusto e bien vivre, consapevoli che mai verranno tradite le elevate attese. Mille di questi cuochi!
Focaccia con pomodorini e olio al basilico.
Bignè farcito di ricotta affumicata, caramello di pomodoro.
Pomme soufflè al gusto pizza.
Cialda croccante di acciuga con burro e acciuga; Meringa di mais, crema di nocciola e gorgonzola.
Caviale affumicato e zabaione ghiacciato.
Ostrica in tempura, spuma di zafferano, pesto di lattuga di mare.
Sandwich di sogliola e mazzancolle, bavarese di asparagi, mandarino, cerfoglio.
Spaghetti alla chitarra affumicati, battuto di gamberi rossi, macedonia di fasolari.
Uova strapazzate, polpo, porro, tartufo e ristretto di dashi.
Quaglia affumicata, pomodori confit, carciofi, pistacchi e crema di Grana Padano.
Controfiletto di agnello, foie gras, coulis di asparagi e bacon.
Predessert.
Cremè brulée al limone, cialda di ananas croccante, sorbetto al mandarino e guazzetto di sciroppo ai fiori di sambuco e basilico.
Millefoglie strachin.
Succo d’arancia e gelsomino, Latte di mandorla e fragola, Pera e frutto della passione, Biscotto morbido al pistacchio, crema all’olio e mirtilli, Tartelletta dolce salata farcita di cioccolato caramellato e caviale di caffè.
I vini.
Non si è badato davvero a spese per l’apertura del primo JW Marriott italiano.
E non solo per la ristrutturazione, affidando i lavori alla felice mano dell’architetto Matteo Thun.
Tutto, dal personale ai servizi offerti al cliente, denota la grande ambizione di questa nuova realtà nel panorama dell’hotellerie veneziana.
Il settore ristorativo è senza dubbio uno dei aspetti più curati di questo resort nato nell’Isola delle Rose: sono 4 i ristoranti della struttura e alla guida di quello di punta, il Dopolavoro dining room, è stato chiamato Giancarlo Perbellini.
Lo chef veronese ha selezionato la brigata di cucina ponendo in cabina di regia Federico Belluco, già al suo fianco a Casa Perbellini.
Il risultato è già di tutto rispetto nonostante il mese di luglio sia stato “l’anno zero” per questa brigata e questo ristorante: è infatti questo il primo menù pensato completamente dalla brigata. Non quindi una riproposizione fedele dei grandi classici dello chef Perbellini, ma un menù ideato completamente ex novo per il nuovo pubblico da Belluco e il suo team, ovviamente con la supervisione dello chef veronese.
Una scelta coraggiosa ma coerente, non volendo importare un format di cucina pre-definito, ma desiderando adattare l’idea di cucina di Perbellini al nuovo contesto lagunare.
Quindi ingredienti locali (per le verdure sono a disposizione gli orti di questa isola particolarmente fertile) e reinterpretazione di ricette della tradizione veneziana, nel tentativo di contestualizzare il più possibile la cucina del Dopolavoro.
Non una fotocopia di altri locali della galassia Perbellini, ma un locale completamente nuovo, con l’ambizione di allargare la clientela (ad oggi prevalentemente alberghiera) e di potersi porre come riferimento nel panorama ristorativo veneziano.
Non sarà una facile missione, perché qui il cliente dovrà venire esclusivamente per il cibo, non essendoci al Dopolavoro una vista su Venezia come quella del ristorante più informale al 4° piano della struttura.
Quindi dovranno essere cibo e servizio a fare la differenza.
Sul secondo sono state giocate carte altrettanto importanti: il sommelier, Ottavio Venditto, miglior sommelier d’Italia AIS 2014, ha un entusiasmo contagioso e sa comunicare il vino in maniera convincente e coinvolgente. Non da meno il restaurant manager Nicola Abbattista, professionista di grande esperienza internazionale.
Allora il tasto su cui spingere ancora è proprio il mantra di Giancarlo Perbellini: gusto, gusto, e ancora gusto.
Piatti come il polpo alla plancia, il carpaccio di manzo o la crostatina inversa vanno in questa direzione: puliti, semplici, gustosi. Il resto della carta deve seguire questa logica, arrivando a concentrare in maniera più convincente i sapori e lasciando la scena agli ingredienti selezionati.
Così il ristorante potrà diventare non solo una bandiera del made in Italy per la numerosa e variegata clientela straniera, ma anche un riferimento per il cliente italiano alla ricerca di una cucina di qualità in una scena difficile come quella veneziana.
La visita è già più che consigliabile: fatevi portare da San Marco all’isola con la navetta dedicata, assicurandovi di arrivare con buon anticipo per potervi gustare un aperitivo all’ultimo piano dell’albergo, con una vista che spazia a 180° sulla splendida laguna veneziana.
Data la recentissima apertura, abbiamo preferito non assegnare il voto ma mantenere sospesa la valutazione, in attesa di ulteriori visite con tutti gli elementi al dovuto regime.
La ristrutturazione dell’edificio originale, datato 1936, è stata molto rispettosa dell’impianto originale.
E’ presente anche uno scoperto per le serate più fresche.
Uno degli orti a disposizione della cucina.
L’interno del locale, bello ma un po’ freddo. Andrà sicuramente personalizzato col tempo.
C’è anche una sala privata.
Burro buonissimo…
…e olio siciliano in degustazione.
Appetizer:
Polenta, baccalà e peperone.
Pane al latte fritto, vitello e salsa tonnata.
Rapa e ricotta.
Pane e acciuga.
In abbinamento: Ruinart Blanc de blancs.
Ricciola marinata con emulsione di cozze al “gratin”.
Ottima l’idea, che richiama la textura di una cotoletta, ma l’eccesso di pane penalizza il gusto del pesce.
In abbinamento: Soave Classico “Monte Carbonare” 2013 Suavia.
Carpaccio di manzo, emulsione di funghi estivi, rucola e senape.
Un grande piatto: partendo da un simbolo della tradizione veneziana (il mitico Carpaccio di Cipriani) si arriva a un piatto assolutamente moderno, dove è la concentrazione dei sapori ad essere protagonista (funghi di 5 diverse varietà ed emulsione della loro acqua).
In abbinamento: Carjcanti 2011 Gulfi.
Zucchine in saor, fiore in tempura e burrata.
Base di cipolla di Tropea, zucchina cruda, cotta e fritta, burrata, fiore di zucchina fritto
Da rivedere le proporzioni tra le varie componenti.
In abbinamento: Sauvignon “Pière” 2013 Vie di Romans.
Scampi alla “busara”.
Altra rivisitazione di un classico veneziano.
In abbinamento: Pinot bianco Vorberg 2013 Cantina di Terlano.
Mezze lune di crème brulèe al mais tostato, storione marinato e caviale.
L’unico piatto di Casa Perbellini proposto anche a Venezia: sempre ottimo.
In abbinamento: Terre alte 2012 Livio Felluga.
Trancio di branzino, insalata di fagioli cannellini e salsa al Verdisio.
Semplicità e gusto.
In abbinamento: Ribolla gialla 2010 Damijan Podversic.
Polpo alla plancha, lardo e maionese al rafano.
Il piatto più convincente della serata: pochi ingredienti per un risultato esplosivo. Un cicchetto vestito a festa.
In abbinamento: Pinot nero “Vigna S.Urbano” 2011 Hofstatter.
Petto d’anatra in agrodolce di camomilla, pane speziato e naoni.
Tecnicamente corretto ma un po’ confusionario.
In abbinamento: Solare 2007 Capannelle.
Sorbetto, gelatina di pesca, noce Pecan.
Bellini.
Crostatina inversa.
Il dessert migliore: Gelato di rabarbaro, pistacchio e fragola, pistacchi, frolla. Bello e buono.
Crema di riso al latte, albicocche, mandorle e rosmarino.
Ananas, formaggio caprino e pan di spezie.
Tiramisù di oggi.
In abbinamento ai dessert: Malvasia delle Lipari Capofaro 2013 Tasca d’Almerita.
Piccola pasticceria (ottima la frutta osmotizzata).
Da non perdere, prima di cena, la vista dal 4° piano dell’Hotel, che spazia su tutta la laguna.
Semplicemente, in Italia, un locale così non c’era.
Perché non si tratta più di avere la cucina a vista, ma di eliminare ogni barriera tra cuoco e cliente.
E se l’angolino ritagliato in sala per una piccola zona preparazione non è una novità, basti pensare ad alcuni famosi neo bistrot parigini, quello che è nuovo è vedere al lavoro una intera brigata da grande ristorante, comodamente seduti al proprio tavolo. Come se ogni tavolo della sala fosse la table du chef.
Ai frequentatori del locale parigino di JF Piége non sfuggiranno alcuni richiami, sia nell’arredo che nella proposta del menù (con gli ingredienti a scelta), così come alcune sensazioni avvertibili negli Atelier di Joel Robuchon (ma a San Zeno ci si accomoda ai tavoli, non al bancone). O ancora dettagli legati a proposte ristorative più tipiche del panorama asiatico.
Non è certo un ristorante adatto a uno chef burbero, tutt’altro: qui sarà normale aspettarsi un servizio al tavolo con annessa spiegazione del piatto da parte di Giancarlo Perbellini. E’ l’evoluzione finale di un percorso che ha visto piano piano il cuoco uscire dalla sua cucina e prendere contatto con i clienti, fatto impensabile fino agli anni 50 del secolo scorso. Ora non saranno più concesse serate con la luna di traverso perché il sorriso non si potrà negare a nessuno (e i bravi uomini di sala lo sanno bene): aspetto certamente logorante ma anche incredibilmente stimolante per il continuo e costante rapporto con il pubblico.
Il cuoco entra quindi nella scena e calamita gli sguardi su di sé.
Una sfavillante De Manincor che farebbe la gioia di ogni spadellatore: piastre a induzione, plancha, roner, forni e solo due gas. Una formula uno che romba a pieno regime.
Tante proposte dal menù, per un locale che necessariamente dovrà viaggiare a tutto gas dato l’esiguo numero di coperti (24 al massimo). Quindi c’è la possibilità di un primo turno la sera ad un prezzo agevolato (il classico pre-arena veronese), un menù più articolato con tutte le nuove creazioni della cucina (denominato “Assaggi”) e poi il “chi sceglie… prova”, con due ingredienti da scegliere tra i quattro disponibili che compariranno poi nel menù.
L’obiettivo prefissato sembra raggiunto, in quanto la sensazione è effettivamente quella di entrare e accomodarsi in una casa. E forse, col tempo, questo dettaglio potrebbe essere ulteriormente rafforzato, dando ancora più calore alla sala con alcuni accessori tipici di un salotto casalingo.
La carta dei vini è stata costruita a tempo di record e prevede una selezione di 50 vini italiani e 100 stranieri secondo i gusti della proprietà (quindi con la Borgogna a farla da padrone). Manca ovviamente un po’ di profondità di annate, ma permette già di bere molto bene.
La cucina è sempre quella di Giancarlo Perbellini, già perfettamente calata nella nuova realtà.
Una cucina che non rifugge quindi le rotondità, le dolcezze, le curve delicate. Ma sa anche dare delle improvvise accelerate, e in questa visita è stata una quaglia affumicata a farci sobbalzare sulla sedia.
Il locale è aperto da poche settimane, quindi rimandiamo il giudizio, comunque il livello della proposta è già paragonabile a quello di Isola Rizza. Cambia totalmente il contesto, e adesso non si potrà davvero iniziare una recensione scrivendo di capannoni e strade di campagna. La Piazza è quella di San Zeno e l’Arena è solo a 10 minuti di cammino.
Ci sono anche a disposizione alcune camere, per chi volesse dormire a pochi passi dal ristorante.
Una nuova sfida, moderna e coraggiosa: non può che far piacere, soprattutto in questo momento storico e economico, vedere che c’è gente che ancora ci crede e ha voglia di investire nel nostro Paese.
Cuochi ai nastri di partenza.
Il menù “in busta”.
Sfera ripiena di spritz liquido.
Tarteletta di storione.
Pancia di maiale con salsa agrodolce.
Ravioli ripieni di crema brulé al mais, caviale affumicato, panna acida, storione.
Sarà un grande classico, perché il gioco tra il mais e l’affumicatura è perfettamente riuscito.
Uovo strapazzato, spuma di patate acide, spinacini, polvere di topinambur e caramello al mandarino.
Scampo, maionese ai ricci di mare, frolla al basilico, yogurt e limone.
Il caramello al limone regala una bella profondità al piatto, la spennellata di caprino la morbidezza.
Scampo di grandissima qualità.
Spaghetti cremosi alle vongole, uovo, verza e capperi.
Ravioli farciti di pecorino, brodo alla menta e tartufo nero.
Chef all’impiattamento a mezzo metro dal vostro naso.
Quaglia affumicata, pomodori confit, pistacchio e carciofi. Piatto favoloso, il migliore della giornata. Profondo e complesso, sorprendente pur mantenendo le classiche caratteristiche della filosofia Perbellini.
Vitello in crosta di nocciola. Cottura favolosa.
Pre dessert: un mangia e bevi al cioccolato bianco con ripieno di mandarino e pera.
Dessert: una base di frolla, lamponi e poi due consistenze di cioccolato. Un dessert straordinario, da grande pasticceria.
Piccola pasticceria.
Il vino del pranzo.
La cucina.
Dettagli.