Passione Gourmet Giampiero Prozzo Archivi - Passione Gourmet

Marennà

Si dovrà andare in provincia di Avellino, per di più in una azienda vinicola di grande rilevanza, per assaggiare la cucina di uno dei cuochi più preparati e colti di tutta la regione.

In località Cerza Grossa infatti, Feudi San Gregorio cela, con le geometrie di vetro e acciaio poggiate sui declivi arredati di viti, la sua articolata produzione di vini autoctoni ma anche la cucina di Marennà, il ristorante gourmet in affido a Paolo Barrale. Siciliano di Palermo, gioventù sul quel colle di Roma da Heinz Beck ed infine irpino di adozione, all’interno di questa azienda sempre molto attenta al marketing e alla comunicazione e con quell’idea della grande famiglia allargata ai collaboratori e ai dipendenti tutti.

Il percorso che si consiglia di intraprendere ad uno di questi tavoli è fuori di dubbio quello a mano libera, dove agilmente si rincorrono memorie e profumi della vita in viaggio dello chef, una sorta di fusion dove affiorano di volta in volta piatti di cucina francese o comunque classica, intramezzati con le suggestioni della terra irpina e della costa campana e contrappuntati poi dalle schegge della grande anima araba dei siciliani. Un modo per non affaticare mai il palato, divertirsi ad una tavola ricca di profumi, cercando più rotondità che spigoli, più accordi che contrasti.

Così il cammino che si apre con il fioretto dei due piatti di mare giocosi, lavorati senza fiamma e dai profumi intensi della pesca e del cocco, comincia a intensificarsi con la sciabola della salinità della guancia prima salmistrata e successivamente cotta nel brodo, per poi culminare nella terrina di foie gras, di ottima fattura, accompagnata da un pan brioche caldo in cui si riconosce la terra natia dello chef.

Analogamente nei primi piatti si palesano le anime plurime che ispirano questa cucina. Un risotto di mestiere, dove il finocchio contiene gli eccessi delle alici, un raviolo più casalingo, semplice ed accattivante e quei piccoli cannelloni dove finalmente leggere il territorio irpino nelle sue tipiche espressioni di carni e formaggi. I due secondi riprendono la giostra con una spigola, prima al cucchiaio in versione cruda e vegetale, poi al trancio nel piatto, in oliocottura, speziato dal cous cous e magnificamente amplificato da una bisque di crostacei ed infine con un piccione, non memorabile ma di corretta esecuzione, sezionato sulla lavagna divenuta piatto.
Sui dessert mano felice, come ci si aspetta da un siciliano, con sorprendenti azzardi di sconfinamenti salati, prima con una delizia al limone a strati sovrapposti, dove si infiltrano i cristalli Maldon e poi con un cannolo sottilissimo e croccante, dove mascarpone e gelato sono solo sponde grasse ad un raffinato crunch di scarola ed alle erbe amaricate dal liquore benedettino.

Le ultime note sono per un servizio competente e preciso, un conto più che onesto, una carta dei vini ormai non più confinata nelle etichette aziendali e un maître, Angelo Nudo, che non smette di migliorarsi mai.

Il volume della struttura. Imponente ma non impattante. Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
La terrazza della sala affacciata sulle valli.

terrazza, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
L’orto, dispensa naturale dello chef.
orto, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Meringa soffice di Aperol e burro di arachidi. L’aperitivo dello chef.
Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Il pane. Notevolissimo, per varietà e qualità.
pane, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale

Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Gazpacho. Crudo di scampi, brunoise di pesca, pomodoro e caviale di peperone verde. Inizio leggero e di grande freschezza, a suggerire un percorso di lento e progressivo corpo.
gazpacho, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Caprese di capasanta… in Perù. Omaggio alla cucina andina, con la ceviche di capasanta al lime, pomodoro e latte di cocco.
caprese, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Bollito… alla palermitana. Un altro accenno alle contaminazioni geografiche con la guancia di vitello salmistrata. Elegante l’impiatto con il foglio di gelatina del brodo a velare la carne. Completa il succo di insalata versato al tavolo.
bollito, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Terrina di fegato grasso d’anatra. Marinato a crudo ecco il foie gras, accompagnato da albicocche, mandorle, miele e lavanda. Abbinamento zuccherino classico con dell’ottimo pan brioche. E qui ci sono tutti gli anni con Heinz Beck.
terrina, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Risotto. Buona mantecatura, equilibrio in gioco dolce/sapido con il finocchio e le polpette di alici.
risotto, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Ravioli alla “Neranese”. Una variazione sul tema omaggio al piatto simbolo di quel tratto di Costiera Sorrentina. Le zucchine sono dentro e fuori il raviolo poi condito con burro e parmigiano.
ravioli, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Cannelloni. Con ragù di agnello, cicoria, latte di pecora e pecorino. Intensità a fondo scala per un solido piatto di territorio.
cannelloni, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Spigola. Torna l’anima siciliana con il cous cous speziato a profumare la densa riduzione del fumetto di pesci di scoglio. A lato un cucchiaio di introduzione al piatto con una tartare con note vegetali.
spigola, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale

tartare, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Piccione. Un altro classico in tavola. Una ricomposizione delle sue parti con pop corn, cipollotto e le dissonanze del coccolato bianco e del caffè.
piccione, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
“Verde”. Cannoncini al mascarpone, biscuit alla scarola, succo di erbe di campo, amaro benedettino e gelato alla gianduia. Nome minimale per un dessert di struttura viceversa complessa, di contrasti e addizioni. Si compone boccone dopo boccone con un gran finale al palato.
dessert, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale
Al bancone del bar per i conclusivi petit four.
petit four, Marennà, Sorbo Serpico, Chef Paolo Barrale

Quella sottile linea ideale tra trattoria e ristorante si disegna qui a Puglianello, sul confine tra le province di Caserta e Benevento. Il Foro dei Baroni, d’altronde, ha nella sua storia il DNA del locale gourmet ma anche quella solida aspirazione della cucina evocativa, di tradizione, di quelle insomma che gastronomicamente fanno la ricchezza vera delle province meridionali.
Raffale D’Addio, lo chef patron con il fratello Mario, è certezza matematica di qualità, in un luogo dove spesso ci si accontenta di riempire stomaci e di rabboccare calici.

Così oggi il locale, luminoso ma mai freddo, rustico ma mai approssimato, curato e non stucchevole, coincide sempre più con la sua cucina. Tufo e legno per la sala, un bel giardino per i pranzi estivi e la classica piazza del paese come ingresso in questa che costituisce un’imprescindibile tappa in un territorio ricco di suggestioni culinarie e vitivinicole.
La carta, è composta da proposte riconoscibili ma di stimolante modernità, una sorta di trasversale narrazione del Sannio e delle sue consuetudini, con costi davvero contenuti. L’offerta dei vini, filosoficamente limitata alla sola produzione campana, riserva qualche piacere anche per i bevitori più esigenti e qualche sorpresa per i curiosi.
Tra le righe, i piatti raccontano di un radicato legame con quel territorio che parla di orti, colline e acqua dolce, vestiti tutti in maniera elegante, impiattati con gusto e eseguiti con la padronanza tecnica di uno chef che, a volte, ci piacerebbe poter vedere volare più alto.

L’antipasto, per esempio, è una bella prova di mestiere che prevede la cottura -glassata- del petto di quaglia, la confittatura della coscia e l’accompagnamento davvero centrato di un’insalata realizzata con la trota e quinoa. Il piatto di pasta che segue è la linguina del Pastificio dei Campi di Gragnano che appare come dominata, soggiogata e quasi trattenuta dalle chele dal grosso gambero di fiume. All’assaggio poi la dolcezza del crostaceo, con la bisque del suo corallo e con il pomodoro confit, è sapientemente mitigata dagli agrumi.

Tutto gira intorno a questa attenzione, al completamento del piatto seguendo l’elemento protagonista, quel riprendere le rotondità di una cucina casalinga attraverso la dinamica suggerita dai contorni nelle loro diverse preparazioni.

Così è infatti, incorniciata dall’azzurro dello smalto della mattonella quadrata, anche per quella carne di manzo posato sul suo fondo, denso, rinforzato da una maionese di salsa verde e dalla cipolla grigliata, con gli zuccheri della patata ancora una volta confit e la nota amara dei carciofini sott’olio. Una semplice partitura dove sembrerà di dover cercare un ritmo con la forchetta. Il dessert chiude con la stessa cura il percorso con una fresca zuppa di melone, il crumble di nocciola e l’allungo di liquirizia.

La sala. Luminosa ed accogliente.
Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Il giardino per le serate estive.
giardino, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Pani. Qui già ci si smarca dalle semplici trattorie.
pane, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Caccia e pesca sul Volturno: petto di quaglia glassato, la sua coscia confit ed insalatina di quinoa e trota salmonata. Forse più un secondo che un antipasto, comunque di esecuzione lavorata e in corretto equilibrio.
quaglia, trota, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Il gambero di fiume: linguine con gambero di fiume e panuria di agrumi. Dolce, acido, ancora toni concertati, equilibrio.
gambero di fiume, Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Miseria e nobiltà: reale di manzo con patate confit, salsa verde, carciofini e cipolla ramata grigliata. L’attenzione all’impiatto, gradevole, e la precisione dei contorni.
Il Foro dei Baroni, Puglianello, Chef Raffaele D’Addio, Benevento
Cantalupo e liquirizia: zuppa di melone con gelato alla liquirizia e crumbe alla nocciola. Dessert estivo di grande freschezza. Semplice ma di grande piacevolezza.
520

Enzo Coccia? A Napoli, in via Caravaggio. Ecco, se normalmente con la strada si indica l’indirizzo dei locali che ospitano la pizzeria, per Enzo Coccia -il maestro, come recita il cotone blu sulla giacca- la toponomastica coincide con la persona in carne ed ossa.
E’ qui, infatti, sul lungo tratto di marciapiede prospiciente le sue insegne, che ogni sera lo si trova -cappellino con visiera, penna e blocchetto tra le mani- ad allietare l’attesa, a smistare clienti, a coccolarli con qualche assaggio, a chiamarli a gran voce quando l’attesa è terminata.

Precursore del nuovo corso della pizza napoletana, classica nelle intenzioni ma con grande attenzione all’impasto ed agli ingredienti di farcitura, da qualche mese si misura con le pizze fritte, in passato mai in carta nelle sue sedi. In più, in una carta già affollata di suggerimenti (5 montanare e 18 ripieni) ha affiancato, dopo averle debitamente elaborate con lunghi approfondimenti, ben 22 versioni di ‘mpustarelle (spuntino in napoletano, qualcosa che puntelli l’appetito), la sua versione di merenda tra panuozzo e saltimbocca, nonché una bella selezione di bollicine.
Non contento della base di partenza del suo collaudatissimo impasto, per le pizze fritte ha voluto concentrare l’attenzione sull’hardware e, grazie alla proficua collaborazione con il fuoriclasse dei forni Stefano Ferrara, è nato per l’occasione il prototipo di una friggitrice a controllo della temperatura dell’olio finanche di grande impatto estetico. Raffreddamenti repentini o progressivi e un eventuale avvicinamento al punto di fumo sono tenuti a bada non più da manovre manuali sulla fiamma, ma gestiti da termostati.

Ma la vera sorpresa sono la fragranza e la leggerezza delle ‘mpustarelle, questa sorta di panuozzo gragnanese. Arte bianca pura dunque, e qui Coccia si è voluto affidare alla concertazione, quella di grande livello: Eduardo Ore, suo storico e collaudato compagno di avventure, ed il panificio gragnanese Massimiliano Malafronte. Da tutto ciò è nata la base, una “tasca” di farina integrale tipo 1, cinque cereali, semi di lino e 48 ore di lievitazione con biga. Che arriva in sede precotta all’80% a 220°, poi farcita all’uopo e nuovamente infornata per arrivare direttamente al tavolo. Il risultato sono le innumerevoli variazioni con cui sbizzarirsi, dalle più classiche a quelle pretenziose ed innovative, con costi, per qualsiasi cosa si scelga, comunque compresi tra i 5 e i 10 euro. Ai quali aggiungere, secondo gusto, il bicchiere preferito.

Ambiente accogliente, luminoso, rustico chic, con un bel tavolo conviviale proprio al centro del locale, a rimarcare la scelta di offrire un prodotto di qualità con un servizio rapido ed informale.
Ora si dovrà attendere solo la prossima idea del maestro Coccia.

La vetrina sulla strada.
vetrina, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La sala con il grande tavolo colloquiale.
sala, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
Scorcio della sala.
sala, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
Il forno per le ‘mpustarelle. Opera di Stefano Ferrara.
forno, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La rivoluzionaria friggitrice. Appositamente studiata da Coccia e poi costruita in collaborazione con Stefano Ferrara.
friggitrice, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La pizza fritta: scarola, provola, olive nere, acciughe e capperi. Una classica nella quale ogni cosa è come dovrebbe.
pizza fritta, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
L’interno della pizza.
pizza fritta, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La base della ‘mpustarella. Così arriva ogni giorno per poi essere completata.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La fase di farcitura della ‘mpustarella.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
La ‘mpustarella: mortadella, fiordilatte, crema di pistacchi.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli
Particolare. Anche la foto rende la particolarità del pane. Frialbile ed etereo.
'mpustarella, 'O Sfizio d'a Notizia, Enzo Coccia, Napoli

Te lo aspetti più o meno così il ristorante di Rosanna Marziale, a Caserta. Un’idea che si anticipa prima con la facciata del Palazzo Reale, in quella sua interminabile fuga prospettica, poi con quel nome che necessariamente evoca un ambiente classico, di quello con i marmi lucidi da calpestare, il pianoforte e i gessi ad incorniciare pareti.
Una contaminazione con la modernità che qui non avviene negli ambienti, particolarmente austeri, rimasti pressoché invariati dall’apertura di quella “Bomboniera” voluta dal padre Gaetano negli anni ’50 poi divenuta “Le Colonne”, ma in alcuni piatti che la figlia Rosanna, esperienze giovanili da Berasategui e Vissani, ha introdotto con cautela e parsimonia in un menù fortemente territoriale, e sostanzialmente riferito alla tradizione.

La carta, sempre molto curata ed elegante (c’è addirittura la possibilità di comprarne la versione illustrata ed ampliata a venti euro) raccoglie idee consolidate negli anni, quasi a raccontare una storia in cui riconoscersi, con i pomodori e i prodotti caseari, la pasta secca e le carni locali, le mele, l’olio, il pane. Piatti rigorosi, solidi con la scelta della materia prima, la giusta attenzione alle cotture e il gusto dell’impiatto. Poi, qua e là, alcune variazioni sul tema, dove forte traspare il tema del gioco e dell’occultamento, fondamentalmente riferito all’uso della mozzarella di bufala, alimento già concluso in sé, difficilmente maneggiabile e dove la chef, viceversa, dimostrando coraggio e mestiere, prova a giocarsi le sue carte.
L’idea di rimozzare la sfera bianca inserendoci altro all’interno è sin dal 2003 tradotta nel segreto di quel tagliolino al basilico, e nella successiva frittura della mozzarella impanata. Poi, ribaltando le gerarchie dell’altra icona della gastronomia campana, ecco la mozzarella diventare supporto di una “pizza al contrario” dove il pomodoro unitamente al pane croccante ne colora la superficie con un risultato di verosimiglianza sorprendente.
Due idee semplici e geniali, da cui adesso sono stati derivati due piccoli menu dedicati ad accogliere le variazioni sul tema che ancora continua ad elaborare.
Il tema del camouflage ritorna con “Evanescente” dove l’uovo deflagra al primo colpo di cucchiaio colorando il fondo di burro di bufala e colatura di alici rinforzato con le briciole di tarallo. Piatto apparentemente semplice ma che nasconde l’insidia del controllo di sapidità e della cottura dell’uovo, entrambe però da tarare con più precisione.
L’agnello Laticauda risulta viceversa un piatto costruito e ben bilanciato grazie all’uso delle contrapposizioni gustative: la cipolla di Tropea con lo zafferano, l’aceto della scapece di zucchine con l’affumicato della salsa di patate. Carne di qualità.
Dessert non molto intriganti sebbene vitalizzati con inserimenti di note differenti come il Conciato Romano, la birra o la mozzarella, con la quale infatti si potrà costruire una intera degustazione.

La sala. Marmi, stucchi, colonne. Richiami alla classicità.
sala, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
Sfogliatella salata, ricotta e spinaci. Una entrée che forse andrebbe aggiornata.
sfogliatella, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
Pane cafone, chips al pomodoro e bianco. Buono quello ai cereali.
pane cafone, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
Pizza al contrario. Datterini rossi e gialli, pesto di basilico, fiocchi di ricotta e fresella. Piatto di grande effetto ed inevitabilmente goloso, come antipasto sarebbe meglio dividerlo, in quanto eccessivo.
pizza al contrario, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
Evanescente. Uova con burro di bufala, colatura di alici e taralli napoletani. Prima e dopo l’affondo di cucchiaio. Pecca di una cottura non omogenea dell’albume e di eccessiva sapidità.
uova, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
uovo, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
65° Laticauda. Agnello cotto a bassa temperatura, salsa di patate grigliate, zafferano, zucchine alla scapece, cipolla di Tropea. Carne di qualità, buona cottura, accompagnamento che funziona.
agnello, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
Conciato per le feste. Dessert al cioccolato con succo di frutti rossi. Il cuore è di conciato romano, il fantastico formaggio stagionato di Manuel Lombardi.
dessert, cioccolato,Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
dessert, cioccolato, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Le Colonne, Chef Rosanna Marziale, Caserta

L’ombelico del mondo. Oramai quella scalinata tagliata come col bisturi, tra i palazzi in pietra nel centro storico di Caiazzo, l’hanno discesa davvero tutti.
Il locale Pepe in Grani però, elegante e di buon gusto, non ingombra le pareti di fotografie con i sorrisi delle personalità che hanno scoperto l’esistenza di questo piccolo paese del casertano per venire a provare le sue pizze. Basterà però la modernità delle pagine web per comprenderne appieno la dimensione di tutto ciò, e pensare che c’è molto della favola in questa storia cominciata in bianco e nero, con i mille ricordi di famiglia.
A raccontartela, ancora con la meraviglia degli umili, sarà lui stesso, Franco Pepe, magari con le mani imbiancate di farina ad accompagnare i gesti, quelli precisi dell’impasto. La fama e le classifiche non gli hanno tolto lo stupore, lo hanno solamente reso consapevole della sua missione, del riscatto di un paese e dei suoi intorni, dei prodotti che quelle terre riescono a regalare e dei suoi artefici.
Ancora adesso, se glielo chiedi, gli piace pensare semplicemente che quella ricchezza gastronomica, frutto di lavoro antico che continua a scoprire nei dintorni, meritasse qualcosa per essere valorizzata, per essere conosciuta.

Lui sapeva fare la pizza, la migliore del pianeta come ora dicono, e così tutto ha potuto avere inizio.

L’impasto è alchimia di farine, lieviti, tempi e modi. Alle sue mani, a quei centimetri di pelle, alla sensibilità dei suoi pori è demandata l’arte e la scienza. Leggono l’umidità nell’aria, lo traducono in tempi e quantità.
E’ il miracolo che si compie ogni giorno, con gli stessi gesti, proprio quelli che aveva rubato al padre panettiere, ai tempi dei calzoni corti.

Guardate la carta delle pizze, quelle tre pagine che incolonnano oltre 40 proposte, tentazioni, idee. Impressiona per la quantità sicuramente ma anche per il suo essere altro, una sorta di catalogo ragionato di prodotti, scelti maniacalmente, con cura, recependo spesso consigli e consulenze di amici, ricordando tradizioni antiche o appuntando a memoria le osservazioni di tutti i grandi chef con cui si è trovato fianco a fianco negli eventi, che lo continuano a portare in giro per il mondo.
E poi l’impasto, certo. Un mix di farine con lievito di birra e lievito madre. Leggero al fuoco ed all’olio bollente, protagonista invisibile ed etereo. Ci si accorge paradossalmente della sua importanza quando talvolta viene sopraffatto da ingredienti ingombranti.

Le colorazioni variano ma il resto è cornicione pronunciato, alveolatura spiccata, dimensione media, cottura con evidenti bruciature di piccole parti superficiali. Non sappiamo quanta innovazione ci sia, non sappiamo se sia la migliore del pianeta, semplicemente è la pizza di Franco Pepe.
Locale di bella architettura ed un servizio che riesce ad essere attento e professionale, nonostante i ritmi serrati della sala. Si sceglie liberamente o ci si affida alla degustazione, tre diverse presenti in carta, con le pizze che vengono servite già ripartite al tavolo ed una alla volta.
Forse serve anche per non avere indecisioni o pentimenti sulla scelta.

Le targhe nel centro di Caiazzo.
Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Il terrazzo con la parte coperta.
terrazzo, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Il mosaico con le tessere ramate del primo forno.
forno, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
I tavoli nella nuova sala con vista zenitale sul forno attraverso il vetro del foro nel solaio.
tavoli, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Calzone fritto. Ricotta, scamorza affumicata, salame e pepe. Cominciare la lunga degustazione con questa tipologia già svela la leggerezza dell’impasto e la perfezione della frittura.
calzone fritto, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Margherita sbagliata. Mozzarella di bufala, pomodoro riccio a crudo, basilico, olio evo. L’icona della pizzeria, quella che si ritrova anche sulle t-shirt. La modernità dell’Accademia.
margherita sbagliata, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
margherita sbagliata, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Schiacciata con mortadella, ricotta di bufala, pistacchi e bucce di limone. La continua ricerca approda in una sensuale ed appagante semplicità. Molto interessante l’acidità del limone, sgrassa e prepara immediatamente al seguito.
schiacciata con mortadella, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Sfizio ai pomodori. Pomodorino giallo, Sam Marzano essiccato con sale di Trapani, mozzarella di bufala, olio evo. Si sono scelti due pomodori agli antipodi per caratteristiche, forza, sapidità. E il bilanciamento funziona.
sfizio ai pomodori, pizza, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Profumi del Matese. Fiordilatte, formaggio ed origano del Matese, porcini, pomodoro confit. Pizza con spiccata deriva dolce, forse leggermente stucchevole, consigliata in chiusura.
profumi del matese, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Sensazioni di Costiera. Pizza fritta con aglio, peperoncino, pomodoro cuore di bue, acciughe di Cetara, buccia di limone, olio evo. Si ritorna in cattedra con una pizza fritta risolta in maniera fresca ed originale. Per chi pensa che la frittura non si addica alla stagione estiva.
costiera, pizza, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Parmigiana. Pomodoro San Marzano, fiordilatte, melanzane, basilico, scamorza, parmigiano. Tra le proposte stagionali estive compare in carta la pizza sormontata da una parmigiana di melanzana. Buona ma eccessivamente carica, probabilmente non adatta ad una lunga degustazione.
parmigiana, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Calzone con scarola riccia. Scarola, acciughe, capperi, olive nere caiazzane, olio evo. Il monumento di Franco Pepe. Con la consistenza della scarola a crudo l’impasto davvero fa la differenza. Vale il viaggio. Inarrivabile.
calzone, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
calzone, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
La Pinsa conciata del ‘500. Sugna di maiale nero casertano, pepe, conciato romano, basilico e confettura di fichi del Cilento. Altresì detta Mastunicola. L’unico dessert possibile, con il formaggio stagionato di Manuel Lombardi, altra icona del territorio.
pinsa, conciata, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Distillato di Falernum, che con i biscotti artigianali accompagna il conto. La testimonianza dell’attaccamento al territorio e alla sua storia del maestro Pepe.
distillato, falernum, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Il Lido Mister Marlin che stagionalmente accoglie il temporary lab di Franco Pepe sulla spiaggia di Acciaroli, in Cilento. Menù semplificato ma risultati ampiamente soddisfacenti.
lido mister marlin, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Caserta
Per una pizza sulla spiaggia. Solo a luglio ed agosto.
lido mister marlin, Pepe in Grani, Franco Pepe, Caiazzo, Casertam, salerno, acciaroli