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Cracco Portofino

La giusta ribalta per un talento e un territorio

Le ambasciate aperte dei grandi cuochi in luoghi altri rispetto alla “casa madre” vengono spesso percepite dall’appassionato come cloni sbiaditi – e vocati alla serialità – di un pensiero gastronomico spesso ben più complesso (con meravigliose eccezioni, chiaramente). Nel caso del ristorante aperto da Carlo Cracco a Portofino, la scelta è stata coraggiosa: si è deciso di concedere fiducia e libertà a un giovane, Mattia Pecis, sì da consentirgli di proporre la propria idea di cucina, esponendosi in prima persona (l’ennesima riprova delle doti da pigmalione del “cuoco di Creazzo”).

Il compito di nobilitare – in termini di rappresentazione – la cucina ligure è stato curiosamente affidato a un ragazzo nato in Val Seriana: un occhio alieno che – è lampante – si è innamorato di un territorio e sta lavorando con contagioso entusiasmo per condividere la propria meraviglia (forse è proprio questo approccio felicemente distante, candido, a restituire una visione così nitida). Nell’approccio al contesto, si percepisce il lascito del periodo trascorso al St. Hubertus (e la vocazione universale e non solo montana del Cook the mountain): lo strettissimo legame con i produttori della zona – ciascuno valorizzato e personificato nel menù – e il fascino della memoria gustativa del popolo ligure (prebuggiun, presciseua, cappon magro, focaccia, pansoti, …). In fin dei conti, concetti già sentiti ed “esauriti”? No, semmai abusati: in quest’ambito, il discrimine tra narrazione e autenticità è netto, decisivo, tant’è che non è ardito affermare che siamo dinanzi a una delle più convincenti interpretazioni della Liguria partorite da una cucina autoriale in tempi recenti (gli ultimi esempi illuminanti – passaggi episodici inseriti in percorsi meno “tematici” – recavano la firma di un figlio di questa regione, Luigi Taglienti).

Ciononostante, si riconosce immediatamente il forte legame intercorrente con la sede milanese, sintetizzabile in termini di stile ed identità: una cucina didascalica – l’alta cucina come ambasciatrice di una cultura gastronomica (fondamentale per la clientela internazionale di Milano e Portofino) – e, nel contempo, un lavoro sulle sfumature capace di intrigare anche il gourmet più esigente: come in un quadro di Hieronymus Bosch, vi è una narrazione principale composta da infinite vicende periferiche.

Un percorso fatto di territorio, materia e personalità

I benvenuti, come di rado accade, sono precisi nel sintetizzare l’identità del ristorante, nell’anticipare i tratti salienti del percorso: ci sono il mare ed il lavoro sulla maturazione del pesce – Orzo fermentato e speck di mare -, la materia nella sua immediatezza – Tartelletta di zucchina, cetriolo e prescinsêua -, il legame con la casamadre – l’Insalata russa “Portofino”: l’interpretazione di un’icona, incisiva l’aggiunta delle note agrumate e aromatiche – e la tradizione locale, rappresentata dal corzetto di tuorlo d’uovo marinato, pinoli e maggiorana (bella la citazione dell’uovo marinato, omaggio a Carlo Cracco).

In alcuni passaggi, colpisce la capacità di Mattia Pecis di dar vita a piatti incisivi, dall’identità chiara, chiusi con notevole precisione: su tutti, Crostatina di alici, bieta, cipolla caramellata, pinoli e olive – un intreccio equilibratissimo tra iodio, amarotico, dolcezza ed acidità, oltre ad un bel morso – e Fusillone con estratto di ragù di tonno, velo di siero di parmigiano e profumi locali, un piatto in cui le cucine regionali si confondono felicemente, il chiaro esempio di come la componente didascalica di cui si diceva non significhi necessariamente semplificazione bensì chiarezza espressiva, intelligibilità (una portata che consentirebbe ad un cliente straniero di comprendere molto della nostra cucina, al di là degli stereotipi: la regionalità, la pasta – cottura e qualità ineccepibili -, il condimento alla bolognese, l’utilizzo delle parti povere della materia…).

La precoce maturità del cuoco emerge, poi, nei passaggi in cui vengono impiegate tecniche contemporanee – anche di tendenza (spesso un pericolo, il prodromo all’omologazione) – come la brace e la maturazione del pesce, qui non estremizzata bensì concepita come strumento al servizio dell’identità della cucina e della migliore valorizzazione dell’ingrediente: Collare di tonno alla brace, erbe selvatiche e morchella ripiena ne è l’esempio lampante, un assaggio che colpisce per l’eleganza e la pulizia (il collare spesso ha note forti, simili a quelle della ventresca, qui smussate dalla maturazione e dall’abbinamento vegetale). Nella stessa direzione, Anguria in conserva come un peperone, capperi, olive, mandorla e basilico: l’anguria che si fa peperone è una tecnica già sperimentata, ma maneggiata con intelligenza, non solo per stupire bensì per dipingere i profumi e i sapori della macchia ligure. 

Al termine del pranzo, la sensazione che rimane è quella di essersi imbattuti in un cuoco di talento non comune, il cui percorso alla ricerca di un linguaggio sempre più personale potrebbe regalarci grandi soddisfazioni.

IL PIATTO MIGLIORE: Fusillone con estratto di ragù di tonno, velo di siero di parmigiano e profumi locali.

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Le maree del Genovesato

Al secolo gli abitanti delle riviere, quando andavano in paesi stranieri, si auto-definivano genovesi; e la parola ligure, paradossalmente nei dialetti di Liguria, neppure esiste. La chiamavano piuttosto Genovesato, quel lembo di terra costiero di difficile limitazione geografica ma perfettamente riconoscibile per la ferrea identità che ha contraddistinto, cosa che poi fa ancora oggi, questa parte di Italia. Terra dove l’evoluzione gastronomica ha conservato preziosa eredità, ma che al contempo è stata spesso ridotta nei suoi (seppur monumentali) pesto e focaccia. Avvalendoci di un’anciènne réclame, “contro il logorio…” del gourmet, una soluzione potrebbe trovarsi in quel de Il Marin a Genova.

Curioso interprete oramai da oltre 10 anni, Marco Visciola colloca il suo ristorante, II Marin, nel Porto (sì) Antico, ma è così tanto nuovo per tecnica al servizio del piatto da aver aperto la strada gourmand raccontando la multiforme dimensione della Liguria sia di mare che di terra. Luogo fertile, abbracciato dal sole e dal mare, cinto al contempo dalle montagne a creare un unicum climatico a beneficio di materie prime di rara bontà, proprio alla materia per Visciola si affianca l’ambizione di proporre, in una città non sempre avvezza al mondo fine dining, l’altro volto della granitica tradizione. I capisaldi rimangono ancora Cappon magro 2.0 in bilico tra Via del Campo e Seoul, i Tortelli al pesto leggero o ancora l’antologica Finanziera di mare, che ha consacrato Visciola come uno dei prolifici conoscitori della frattaglia ittica. Da menzionare anche il Crudo di mare centenario. Non moda o costume degli ultimi anni, bensì tradizione locale tra le più longeve della Penisola, ripensando alle acciughe in conserva fino ad arrivare a prodromiche frollature ittiche, come per il mosciame.

Maree

La nostra visita questa volta ha virato sul percorso “Maree”, ingredienti ma anche cadenze che lasciano trasparire l’andirivieni ritmico che caratterizza questo fenomeno. Qui a Il Marin anche nel piatto. Un’onda lunga da 9 passaggi dove spiccano due piatti di forte personalità e abile tecnica: il Carpione di frutti di mare cesella attentamente la simmetria cristallina tra acidità e salinità. I molluschi cotti a vapore e alcuni fritti poggiano carnosi sulla salsa di ostrica ed il pungente zenzero. Il Tubetto, nella sua nuova acme storica per via dell’impiego stellato, è sposato al totanetto, al miele, e alla birra alle erbe. Di fatto il sapido fondo bruno dei totanetti incontra la callosità della pasta cotta nell’amaricante tono tra birra e miele di castagno. Molto meno convincente invece la Coda di rospo, sabbia di zanchette, alga e porro dove la cottura, in creta, del pesce frollato e poi avvolto nell’alga non trova logica funzionale nella sabbia di zanchette affiancata dalla mugnaia in salsa locale attraverso l’impiego del Vermentino. Lontano anche il “Tacos” con maionese di fegato di pescatrice e porro cotto in tempura, dove la centralità dell’elemento si perde nelle consistenze, invero disarmoniche.

Sono dunque vere e proprie maree, quelle di Visciola, che mostrano la volontà di spingersi ancora più al largo di quello che si è fatto finora. Va detto che, forse, la marea di nozioni tecniche può finire per adombrare, talvolta, la fulgida creatività gustativa che ha sempre contraddistinto questa insegna del Genovesato. Confermiamo quindi la valutazione della precedente visita, auspicando però che saremo pronti a levare di nuovo gli ormeggi non appena si sarà alzata una vela più alta per questo Marin

IL PIATTO MIGLIORE: Carpione di mare.

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Un tuffo nel Porto Antico di Genova

L’atmosfera del Porto Antico di Genova è parte integrante dell’esperienza al ristorante Il Marin. La Biosfera e il Bigo di Renzo Piano, la Porta Siberia saranno la vista che allieterà il pasto. Poco più avanti vi è l’edificio Millo, proprio quello che all’ultimo piano ospita il ristorante all’interno di Eataly. La sala è incredibilmente luminosa, a vetri e con la cucina a vista, le ceramiche di Fabrizio Russo portano in tavola la tradizione Albisolese. La carta, disegnata da Francesco Musante, è suddivisa in più percorsi: “I classici“, “Liguria Contemporanea” e il “Percorso Maree“, dedicato al mare, alla sua varietà, alle consistenze e alle tecniche di lavorazione. Per tutti i percorsi vi è la possibilità della degustazione completa o un menu più breve, in ultima istanza si possono scegliere due portate tra quelle dei vari degustazione.

Lo Chef Marco Visciola, bogliaschino di nascita, traina la tradizione genovese nella cucina contemporanea utilizzando materie prime del territorio, senza sprechi, con tecniche a tratti dal sapore asiatico. Una identità definita e non banale con radici ben piantate. Il benvenuto dalla cucina ci accarezza dapprima con voluttuosità e sapidità: Pane sfogliato alle erbe aromatiche, che ne conferiscono quel tipico retrogusto amaricante tutto genovese, abbinato con burro montato all’acciuga, una delizia. Si prosegue con Ciliegia accompagnata da maionese di soia e carota e melone marinato all’asinello e gelatina di agrumi. Dalla gustosità iniziale un climax ci porta sino alla freschezza della gelatina di agrumi. Il secondo benvenuto prepara il palato alle portate a seguire, ci si ispira al Condijun ligure declinato con pomodorino confit, sarda affumicata, anguria e peperone cotto alla brace, il gelato all’olio extra vergine di oliva rinfresca la bocca e il kombutcha alla ciliegia dà una piacevole nota acidula.

Il Percorso Maree

Si apre con il Crudo centenario che rimanda nel nome all’uovo centenario cinese. Crudo di ricciola frollata 10 giorni, base salsa di albicocca fermentata e insalata di salicornia, completa infuso freddo preparato con le lische della ricciola frollata, albicocca e whiskey torbato, cotto 10 ore nell’ocoo, una pentola coreana che mescola la pentola a pressione a bassa temperatura e la cottura ad infrarossi, preservando quindi le proprietà organolettiche degli ingredienti. Il vapore all’interno dell’ocoo non fuoriesce, si lega con gli aromi del cibo e ne esalta e concentra profumi e sapori. L’Insalata di mare è meno incisiva, cuore della salanova, ripieno di battutto di cozze, vongole e cannolicchi, si completa con ostrica ed emulsione di ostriche, arselle, lime e cipollotto. Il piatto è molto, molto delicato, la salsa di salicornia copre appena i sapori fini all’interno.

Interessantissima “La riserva della grotta“, selezione e produzione di norcineria di mare, lardo di seppia stagionato due settimane, mortadella tonno e totani cotta, prosciutto di spada un mese di frollatura, bresaola di tonno alletterato due mesi di stagionatura, salame di bonitto quattro mesi di stagionatura e ‘nduja leggermente piccante di pesce spada, una settimana di frollatura. Al centro il sancrau, cavolo verza fermentato, condito con emulsione di pinoli e maggiorana.  In questo piatto la tipicità del sancrau genovese si affianca alla frollatura di mare, dopo ogni assaggio infatti il cavolo verza rinfresca e pulisce la bocca. Esperienza interessante quella di poter saggiare le diverse consistenze, la morbidezza ed il profumo della mortadella di tonno e totani ed il contrasto con i quattro mesi di stagionatura del salame di bonitto.

Da segnalare ancora il “100% gambero” che già nel nome racchiude la sua essenza, pelle di latte fatta con i carapaci dei gamberi, gambero viola di Santa Margherita crudo ed in tempura e una emulsione di gamberi e le Mezze maniche fondale e salvia: la pasta è mantecata in un fondo di pesce di fondale, scorfano mostella e sogliola, un pil pil degli stessi, carpaccio di mostella e tracina e polvere di salvia. Davvero un bel piatto con il leggero amaro del fondo e la consistenza dei pezzi di pesce carnosi che regalano una bella sensazione d’insieme. Un percorso a tratti molto delicato ed a tratti potente, dalle consistenze insolite e ben calibrate.

La chiusura del percorso è un marchio dello Chef e del suo impegno, sia in “Quel che resta si frigge” sia in “Save the sea“. Il primo un piatto di recupero, gola del nasello, lattume di ricciola, uova di palamita quindi il tema dello spreco zero. Il secondo, suddiviso in due parti, un messaggio per la salvezza del nostro mare. La prima parte una rappresentazione dell’inquinamento: petrolio, plastica e polistirolo, ottimo il “petrolio” gelato di cioccolato fondente mirtillo e fondo di totani. La seconda parte rappresenta il mare pulito, la medusa. 

Il servizio di sala è solerte e attento, gradita la possibilità di assaggiare grazie al Coravin il vino scelto prima di aprirlo. E, come all’arrivo, non si può far a meno di immergersi nel Porto Antico dopo questo percorso si sente la necessità di riemergere dall’acqua. Il mare negli occhi e nel piatto è l’esperienza che Il Marin regala ai suoi ospiti.

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Un ristorante sul porto di Genova con l’animo nell’entroterra ligure

Aperto nel 2011, a una una decade da quel momento il ristorante Il Marin e la sua cucina restituiscono, oggi, una chiara visione di quello che sono, sono stati, e vogliono essere. Passione Gourmet ci orbita da tempo a Il Marin e, ogni volta, ci sono sempre emozioni nuove: novità che iniziano da come si entra in passeggiata nel porto, in cui una delle prime cose da fare è quella di viverlo nella sua interezza benché parte dello sguardo propenderà per i canali: e proprio questi aiuteranno a comprendere lo spirito de Il Marin, che fa del pescato del giorno e delle erbe (15 le varietà coltivate in idroponica) lo zoccolo duro per impostare una cucina costruita sui sapori del mare, ovviamente, ma che nel tempo ha saputo concretizzarsi e portare i sapori verso nuovi orizzonti, ad osservare e cogliere le potenzialità celate in quelli racchiusi tra gli scogli o nell’entroterra liguri.

La potenza dei sogni sotto traccia, si sa, sono sempre quelli più potenti, e così personali, che Marco Viscola, cuoco in carica dal 2015, dopo un’esperienza in Corea, traduce tra i fornelli in un dialogo con i movimenti e climi del mare, rendendoli più profondi e precisi.

Nuovi menù, figli dell’esperienza

E con una maturità nuova raggiunta, si può spaziare, dopo anni di attività alle spalle, tra menù che ripercorrono i “piatti salienti” che massimalizzano la manualità e quei sapori diventati must e quindi catalogabili in un menù dedicato ai 10 ANNI di attività, ad esempio, a completamento di un’offerta del ristorante ove i piatti diventano “intoccabili” o meglio ”irrinunciabili”. E tra questi, su tutti, come con un bacio allo specchio, troviamo il baccalà mantecato e il cappon magro 2.0 in cui si potrebbe tranquillamente rinunciare alla salsa – subito seguiti dalla finanziera dal mare, dove la ricerca di lavorazioni a scarto zero, atti alla produzione di piatti sostenibili, si mettono al centro del gusto per ottenere la valorizzazione di ogni parte del pesce (fegato di pescatrice, corallo di capasanta e di fasolaro, guance e trippe di merluzzo, lumache di mare) che diventa indiscussa protagonista, accompagnata da verdure di acqua dolce. Qui, tutto è poggiato su una salsa di cozze e ricci di mare, un vero tuffo – nel mare – riproposto in altre consistenze in piatti scelti dal menù MAREE: “Sugli scogli” e la “Minestra degli abissi”. 

La cucina pare avere assunto uno stile boccaccesco, licenzioso e piccante. A conferma di ciò c’è il piatto che proietta a quanto espresso, solo a nominarlo appaiono vari frammenti del noto agente a doppio zero: Bond. Lo Spaghetto Martini è un sogno che si materializza in sala, dove viene preparato interpretando l’iconica frase “agitalo non mescolato”.

Tutti gli ingredienti, pasta compresa, finiscono nello shaker. Il piatto è avvolto da una nuvola di gin taggiasco. Un piatto che concentra, in un piccolo nido, fatto di pasta al burro alle alghe, emulsione di olive verdi e vermouth, coperto poi dal caviale, una sensazione di un viaggio in barca. Siamo sempre in un porto, del resto, e non possiamo fare finta che la storia di questo luogo non influisca sulle nostre esperienze. Anche palatali. Soprattutto se il pasto viene consumato a un metro della vetrata che mostra la vitalità dello stesso: una piccola piazza in cui turisti e cittadini godono della salsedine, che vivono nell’aria fotografate da famiglie impegnate coi figli a godersi la giornata assolata in autunno contrapposti al passaggio di manager incravattati.

Qui, Il Marin si pone come meta in un punto strategico della città, all’ultimo piano di Eataly, con una cucina autonoma e stabile. La chironomia dei saperi di uno chef che esprime la terra in cui vive assieme a una sala molto preparata, in cui spicca il sommelier Alessio Silesu che, col Coravin, riesce a interpretare i gusti dei clienti e proporre vini per un matrimonio del palato, col cliente prima che col piatto. Una posizione di ascolto e comprensione in cui entra in gioco, e in poco tempo, la capacità umana di interpretazione del momento e la soluzione per rendere l’esperienza piacevole. Che si arricchisce, nel percorso di degustazione, con drink, tisane e liquori, necessari quando arrivano i dolci, come il tiramisù, che col pesce, preso dal mare, diventa un esempio di pratica: il pescato è salato. Come il dolce, il tiramisù, pizzicato dal crumble. 

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A Genova un bistrot con cucina interessante e vini mai banali

Genova è una città che, a dispetto di altri capoluoghi italiani, non ha molto da offrire in termini di qualità a tavola. Può sembrar strano, ma è drammaticamente così. Ecco quindi che in un panorama così uniforme  si staglia, a dire il vero anche in maniera piuttosto significativa, questo grazioso bistrot contemporaneo. L’offerta è varia: piatti semplici e una carta senza distinzione tra primi, secondi e antipasti. Qualche assaggio, tra spuntini gastronomici e stuzzicheria.

A fare da contraltare, una cantina profonda e interessante popolata da vini veri e assai simpatizzante verso il mondo Triple A, una carta dei cocktails e, per finire, una sezione di distillati in grado di accontentare il pubblico più eterogeneo. Del resto, si viene qui attirati dalla prospettiva di uno stuzzichino, una merenda, una buona bottiglia, un aperitivo, un pranzo o una cena. Ma l’aspetto che più intriga è che un locale dalla natura polifunzionale ospiti una cucina che sa anche mettersi in doppiopetto se solo darete mano libera a Fabio Fauraz, chef e patron di questa storia.

Un’insegna di grande appeal oggi; domani, una grande trattoria d’autore

Il nostro giudizio, per l’impostazione del locale e per i prezzi davvero encomiabili, vira verso la grande trattoria d’autore di cui Trippa e Il Ronchettino sono già i prodromi. Ma se chiedete alla cucina di prepararvi qualche piatto a mano libera possono uscire preparazioni che, in taluni casi, strizzano l’occhio ai migliori ristoranti della zona, quelli che hanno delle velleità, per intenderci.

Comunque sia, la rivisitazione dei piatti della tradizione genovese trova il suo culmine nella focaccia di calamari, in cui la focaccia di Recco trasfigura in una lieve ed eterea sfoglia di calamari, resa elastica grazie all’albumina presente naturalmente nel cefalopode. Intrigante l’orientalizzazione che ricorda i dim sum dei Ravioli genovesi al vapore e tocco di carne, intensissimo quest’ultimo, in salsa, e la Zeraria di carne, ottimo punto di congiunzione tra la millefoglie e la terrina. Maggiore rifinitura la meritano gli spaghetti, penalizzati dalla cozza, non propriamente espressiva, e dal limone prevaricante. Intrigante invece la Panera Genovese a cui ha dato la svolta un tocco di essenza, così ci piace chiamarlo, di rhum Hampden Estate.

Nel complesso non possiamo che fare un sentito plauso a questa iniziativa!

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