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Gramen

Una cucina buona e sostenibile

Gramen, ovvero “erbe” in latino, è il nome del ristorante gourmet all’interno del Lefay Hotel sul Lago di Garda, il resort che sorge in un luogo incantevole sulla sponda bresciana del lago e che si mimetizza perfettamente con paesaggio e territorio. Qui si viene per ricercare il benessere e quest’ultimo passa anche per il rispetto dell’ecosistema circostante e per la sostenibilità. Tutti concetti alla base della cucina del Gramen dove si prediligono i vegetali, le erbe spontanee, la stagionalità e, in generale, ingredienti frutto di un processo di lavorazione che rispetti la natura. Come? In primo luogo è bandita la carne, né si utilizzano latticini, senza che, tuttavia, se ne avverta la mancanza al termine del pasto. Qui lo Chef Matteo Maenza ha messo a punto due percorsi degustazione, uno interamente dedicato alla componente vegetale e un altro che include delle portate a base di pesce; stessa filosofia viene seguita anche per la carta. Tutte le portate risultano eseguite in maniera tecnicamente inappuntabile, con gusti spesso rotondi ed equilibrati. Le pietanze più divertenti sono, tuttavia, quelle in cui lo Chef osa di più, come nel caso della Trippa di mare ricavate dalle parti di scarto delle capesante, dove le note erano spiccatamente dolciastre con una texture morbida ma non gommosa e un boccone nell’insieme molto incisivo.

Al bando carne e latticini

Molto gradevole, e di “crippiana memoria”, il Biancomangiare di mandorle con ricci di mare, dove la parte iodata perfettamente si sposa con la mandorla. La Spigola con zucca e cime di rapa era cotta millimetricamente e ben abbinata ai due vegetali, dal sapore autentico. Un piccolo capolavoro, poi, il Moscardino alla Luciana, laccato con una salsa molto densa e molto intensa a ricordare la classica preparazione della cucina partenopea. La Tagliatella di rapa con fagioli e cozze ci è parsa invece un piccolo esercizio di stile, dove il vegetale appariva un po’ slegato dal contesto. Buono il reparto dolci, anch’essi nel rispetto della sostenibilità ma senza rinunciare alla golosità.

La carta dei vini è originale e ben strutturata, il servizio decisamente disponibile e pronto al confronto. Per tutte queste ragioni Gramen sicuramente merita una sosta: unico consiglio, quello di osare di più in cucina anche in virtù del potenziale sin d’ora già espresso.

IL PIATTO MIGLIORE: Moscardino… quasi alla Luciana, olive e foglie di cappero di Gargnano.

La Galleria Fotografica

Uomo e natura

Un’oasi di benessere a tutto tondo, questo è il Lefay Resort & SPA Lago di Garda. A Gargnano, nell’incantevole Riviera dei Limoni, con i suoi 11 ettari tra colline e terrazze naturali di boschi e uliveti, spicca non solo per l’impagabile e iconica vista sul lago ma come destinazione unica. La natura, che circonda l’eco-resort del gruppo Lefay, e in cui è immerso, è il fil rouge che lega la SPA, otto volte miglior SPA d’Europa e due volte miglior SPA al mondo, la cucina – basata suII’etica e la stagionalità – fino allo stile delle camere e l’impegno alla ridotta emissione di CO2.

La SPA

Dopo l’apertura primaverile del 2022, dovuta al completamento del restyling della struttura e l’ampliamento con la nuova area Adults only, che offre una sauna panoramica finlandese affacciata direttamente sul Lago, un idromassaggio a sfioro con vista e la cascata di acqua temperata “Aquamoon”, il Lefay Resort & SPA Lago di Garda accoglie in un vero e proprio santuario del benessere. Sono i principi della medicina cinese uniti alla ricerca scientifica occidentale a fondare una proposta volta alla rigenerazione di mente e copro. Un vero e proprio tempio del benessere che, nei sui 4300 metri quadrati, si completa con nuovi programmi salute Lefay SPA Method, come le proposte dedicate alla longevità e all’aumento delle difese immunitarie.

Il cibo per l’anima

La filosofia di cucina Lefay Vital Gourmet, volta alla valorizzazione dei prodotti del territorio e delle loro peculiarità, offre una doppia proposta: il ristorante più informale La Limonaia e il gourmet Gramen. Se la dieta mediterranea e dunque le materie prime di stagione, l’olio extravergine d’oliva, gli agrumi del lago e le erbe aromatiche degli orti locali costituiscono i fondamenti di una cucina “vitale” e leggera al ristorante La Limonaia, al Gramen la stessa filosofia si declina privilegiando l’elemento vegetale e il pesce, evitando l’utilizzo di carne, latticini e derivati, ed esaltando i prodotti della terra, alcuni dei quali provenienti dal giardino energetico terapeutico che circonda il Resort.

Gli spazi e lo stile

Il primo cinque stelle lusso del Lago di Garda offre varie tipologie di suite in base ad ogni esigenza: le Prestige Junior Suite, le Deluxe Junior Suite (con balcone), le Family Suite, le Exclusive Suite – con Jacuzzi vista lago -, le Sky Suite con sauna privata e la Jacuzzi esterna situata in una terrazza panoramica, e le lussuose ed esclusive Royal Pool & Spa Suite. Lo stile che contraddistingue l’intero complesso e caratterizza ciascuna delle stanze, prediligendo tessuti naturali, pregiati materiali come marmi italiani, legno di ulivo e noce, è in totale simbiosi con la natura circostante. Dal lounge bar, che si affaccia su una splendida terrazza vista lago, fino alle aree dedicate ai meeting, e ancora l’impostazione carbon neutral e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, corredano un’offerta che al primo posto mette l’armonia e la pace.

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Cenare attorniati da otto ettari di storia: non si può parlare della cucina di Stefano Baiocco senza prima approfondire cosa è Villa Feltrinelli.
In Italia abbiamo la fortuna di avere moltissimi alberghi di grande fascino: vuoi per il paesaggio mozzafiato, vuoi per la splendida architettura o semplicemente per il grande servizio.
Ma niente è paragonabile a questo.
Un monumento, un patrimonio artistico italiano che incidentalmente è anche un albergo-ristorante.
Se venite a cenare qui, chiedete di poter vedere almeno le sale al piano terra: guardate il bar, la biblioteca, le boiserie, gli arredi originali. Vi sembrerà di essere protagonisti di un film in bianco e nero, vi sembrerà di annusare la storia, di poterla toccare.
La Villa fu costruita nel 1892 dai Feltrinelli, a nord-est dell’abitato di Gargnano. Un gioiello a cui la facoltosa famiglia dedicò una particolare attenzione, ma era grande il feeling con la cittadina sul lago, tale da rendere i Feltrinelli dei veri e propri benefattori: strade, ospedale, palazzi, non si contano le costruzioni finanziate in questo territorio.
Ai tempi della Repubblica Sociale Italiana la Villa venne requisita e divenne il teatro di una fetta determinante della nostra storia: Mussolini arrivò a Villa Feltrinelli l’8 ottobre 1943 e qui restò fino all’aprile del 1945, quando si trasferì a Milano per terminare poco dopo la sua vicenda umana e politica.
La sua camera c’è ancora, la “Magnolia”, dal nome dell’albero situato proprio davanti alla finestra dell’alloggio: pare che a Mussolini non piacesse molto la vista del lago…
Dopo la guerra la Villa ritornò in possesso dei Feltrinelli, che decisero però di venderla a una importante famiglia Bresciana.
Nel 1997, dopo anni di declino, l’hotelier Bob Burns (il fondatore della catena alberghiera “Regent International Hotels”) decise di rilevare la proprietà e darle nuova vita affidando lo studio di architettura di interni a “Babey Moulton Jue and Booth” di San Francisco.
Ogni singolo dettaglio della villa originale è stato conservato e ristrutturato. l magnifici dipinti su muri e soffitti, le eleganti decorazioni in gesso e “boiseries” sono stati tutti restaurati e rifiniti per riprendere l’originale splendore di fine secolo, come anche gran parte del mobilio originale della famiglia Feltrinelli.
Ci ha lavorato un team di arredatori, meccanici ed elettricisti, esperti d’illuminazione e paesaggisti, tutti guidati dall’architetto Giorgio Rovati.
Il risultato è sotto gli occhi di chiunque abbia la fortuna di varcare il cancello: l’impressione non è tanto di lusso, quanto di esclusività. Sarebbe sciocco negare l’inacessibilità ai più di questa proprietà alberghiera, dormire qui è cosa da ricchi. Il prezzo di una cena è invece in linea con i grandi ristoranti europei.
Dal 2007 l’albergo è di proprietà del russo Viktor Vekselberg e la qualità è rimasta inalterata.
Villa Feltrinelli lavora solo con clientela straniera, soprattutto americana: i prezzi come dicevamo sono altissimi, ma è proprio vero che tutto è relativo se poi c’è chi si ferma qui anche tre settimane.
80 dipendenti per un massimo di 40 clienti: si può intuire il livello di servizio a cui si tende tra queste mura.
Il ristorante non è da meno: scambiate due parole con il maitre, un vero fuoriclasse dell’arte dell’accoglienza. Ma anche gli altri camerieri faranno di tutto per creare una atmosfera rilassata, informale: davvero un servizio da 10 e lode.
E poi c’è lo chef, Stefano Baiocco. I suoi piatti potrebbero essere da soli un valido motivo per mettersi in viaggio.
Non è facile imporre una cucina di forte personalità in un contesto come questo: le scelte più scontate e ovvie sarebbero ben altre, quindi bisogna dare atto alla proprietà di avere avuto lungimiranza in questa scelta fuori dal comune.
Qualcuno l’ha definita una cucina femminile: a noi è parsa invece una cucina di grande eleganza e finezza, e decisamente maschia e caratterizzata nei suoi passaggi cruciali.
Volutamente una cucina non urlata: a primo impatto potrebbe anche generare spaesamento. Almeno così è stato per noi, abituati ad altre potenze espressive di fronte a cucine che utilizzano, come questa, erbe e fiori a profusione.
La scelta dello chef è chiaramente quella di ricercare l’armonia e costruire il menù come il crescere di un’onda, dai sapori più delicati ai più intensi: in questo ricorda molto la filosofia di alcuni maestri giapponesi. Più morbidezza che spigolosità nelle prima parte del menù, contrasti invece più accentuati nella seconda parte.
Maniacale lo studio delle quantità: quelle che possono sembrare inizialmente porzioni troppo risicate, si rilevano invece perfette a fine cena. E il risultato di sazietà ma di estrema leggerezza è pari a poche altre tavole.
Si potrebbe spingere di più sull’acceleratore fin dall’inizio? Forse sì, si potrebbe cercare fin dai primi piatti quella profondità e complessità che per esempio è mirabile nei secondi e nei dessert. Solo un piatto è risultato infelice, il tortello all’arrabbiata, eccessivamente slegato nelle sue componenti: il resto scorre liscio, calmo, ma intenso proprio come il Grande Lago.
Una cucina di colori, di equilibri, di incastri che ha ancora necessità di un piccolo salto per entrare tra le grandissime cucine italiane.
Il motto di Baiocco è “La cucina ha senso soltanto se abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni“. Come dargli torto: portate una persona che amate davvero e condividete con lei una esperienza speciale che va al di là di cibo, ristoranti, lusso e soldi.
Un regalo esclusivo da fare e farsi almeno una volta nella vita.

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Menu 100% Baiocco

Per iniziare:
Tartelletta con patè di fegatini di coniglio e nocciole
Corteccia di topinambur
Crocchetta di salmone con tartare di salmone e maionese di capperi
Pan soffiato, tonno e crema al sesamo e lime
Patata con bottarga di muggine

Un benvenuto di gran classe: in evidenza le perfette le temperature di servizio.

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Ricciola giusto scottata, stracciatella, gelatina piccante e fiori di begonia.

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Scampo, anguria e zuppa di mela verde: scampi appena marinati con buccia di agrumi, pomodori ciliegia, anguria e mela verde in salsa. Il finto pomodoro è di cioccolato bianco con crema di limoni. Se la salsa di mela fosse ancora più acida, a nostro avviso il piatto ne guadagnerebbe.

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“Tutto pomodoro”. 23 tipi di pomodoro, 6 di basililico: un piatto di assemblaggio, ma quando il risultato è così convincente nessuno ha niente da dire. Semplicemente incredibile.

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Gli gnocchetti soffici di latte crudo cagliato in casa, crema di cavolfiore, caviale ” Calvisius “e foglioline di lattuga: si punta all’essenzialità, alla giusta misura. Non c’è un ingrediente che prevarica l’altro.

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L’arrabbiata come ripieno del tortello di pasta all’uovo, filetto di sgombro passato alla griglia e salsa al prezzemolo: poco convincenti sia il forte piccante del ripieno che l’unione con gli altri componenti del piatto. Slegato.

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“Il ricordo di un viaggio”: cuore di salmone cotto rosè in olio di oliva, tapioca, zuppa di cocco, coriandolo e lemongrass. Grande piatto dalla persistenza infinita. Si punta a concentrare i sapori senza l’ausilio di grassi aggiunti.

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Piccione marinato con salsa di curry e poi grigliato, insalata di nasturzi, friggitello e bavarese all’aglio olio e peperoncino: la marinatura diventa una riduzione di grande intensità. Piatto straordinario, sicuramente il migliore della serata.

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Pancia di maialino da latte arrostito sulla cotenna, cuor di cipolla in agrodolce, foglie di oxalis e ragù di finferli: altro ottimo piatto, ma manca della complessità del precedente.

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“Una semplice insalata”: 100 erbe e 20 fiori. Alla base delle sottili cialde di pasta brick con funghi champignon. Da gustare dal primo all’ultimo boccone. Incredibile quali sensazioni può regalare il mondo vegetale.

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L’argilla: meringa di fisherman. Un giochino.

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Pain perdu al nasturzio, gelato al basilico, sorbetto al peperoncino, chips di patata viola e infuso alle 10 spezie: dessert favoloso. Grande complessità che allo stesso tempo si rivela al palato nel modo più semplice possibile.

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Semifreddo al franciacorta, insalata di rabarbaro e spinaci e granita al pompelmo rosa: fresco ed efficace.

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Carta dei vini solo italiana, ad eccezione degli champagne.
Per noi, Pinot Bianco ” Schulthauser ” 2010: una mezza bottiglia per non fare troppo male al portafogli.

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Recensione ristorante.

Se il nostro cuore, cittadino, ormai non più abituato alla bellezza allo stato puro, ad un’atmosfera sospesa nel tempo, a forme ed eleganza di struggente intensità, resta senza un sussulto, per nulla basito e commosso, davanti a tanta grazia allora vuol dire che una parte di noi, probabilmente la migliore, ci ha abbandonato per sempre.
In un luogo così bello, avessi anche mangiato a livello di mensa aziendale, sarei stato comunque contento. Francamente mi sembrava troppo chiedere anche della grande cucina.
Ed invece qui c’è uno chef che appartiene alla categoria dei migliori italiani.
Un ragazzo marchigiano di trentotto anni, cresciuto all’ombra di Ducasse e Gagnaire, con passaggi dalla Feolde ed Adrià, animato da una passione febbrile che opera qui, silenziosamente, dal 2004.
La sua cucina? Fatta di leggerezza, armonia e gusto. E tanto buon senso.
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