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Chateau Margaux 1972

Un viaggio a occhi aperti

È un vino che riporta indietro nel tempo – magari a un viaggio – per ricordare cosa si prova quando si vive il luogo in cui nasce un mito. E poi ci ritrova lì, soli, davanti al bicchiere e con la testa che, a distanza di anni, continua a essere avvolta da un tramestio fatto di interrogativi, e tutto quello che si è letto, ma soprattutto sentito, circa la grandezza e il valore qualitativo di quel vino mitico sta per entrare dentro il corpo.

E si è come soggiogati dalla storia, una storia che attraversa la cancellata d’accesso al parco in cui si erge lo Château, un bellissimo edificio neoclassico del 1802, e ti attraversa. Quella voce di sottofondo che narra di tutti i cambiamenti strutturali, a un certo punto non si sente più. Ma è la porta per quelle menti un po’ fuggitive il cui desiderio mormora di insistere sino a che non si riesce a scoprire cosa c’è all’interno della bottiglia.

È un sentimento irrefrenabile, e decisamente emozionante, quello dell’apertura di una bottiglia di Chateaux Margaux, sia essa la prima o l’“ennesima”. La reazione è di un impatto tale per cui la domanda se farlo o non farlo, aprirla o meno, è più che giustificata. L’etichetta è senza dubbio tra le già leggendarie, incancellabili nella storia.

La prova del tempo

Non a caso il suo prestigio ha origini lontane, nel duecento la tenuta era nota come “La Mothe de Margaux” mentre il parco vitato di 90 ettari appare nei documenti più tardi, nel 1715; il successo e la popolarità arrivano con l’inserimento di Margaux tra i Premier Cru Classé nella classificazione ufficiale dei vini di Bordeaux del 1855 redatta in occasione dell’Esposizione universale di Parigi su richiesta Napoleone III.  

Ebbene al netto della stoffa, che azzera ogni dubbio quando si assaggia un 1972, il talento di questo terroir del Medoc è noto dal 1500 ai tempi di Pierre de Lestonnac quando, una volta acquistata la tenuta, decise di implementare la coltivazione della vite.

All’inizio del XVIII secolo l’azienda contava già circa 265 ettari, di cui un terzo dedicato alla viticoltura, ma sarà con le gestioni successive che si delinea l’impianto attuale. Dopo diversi passaggi di mano è del 1810, con il Marchese di Colonilla Bertrand Duat, la costruzione del castello così come oggi lo conosciamo e, in seguito, nel 1977, con l’arrivo del greco André Mentzelopoulos si raggiungeranno precisione e specializzazione qualitativa.

Un’attitudine alla perfezione che cade silenziosa come la neve, sulle vigne e tutto intorno, diventando così immediato che l’accostamento di ingenti investimenti è una conseguenza naturale, come la chiamata di uno dei più grandi enologi, Emile Peynaud, che portò a una radicale e massima azione di ripristino nei vigneti e in cantina, con la sua ricostruzione. E dopo una breve parentesi, fatta di una gestione mista (tra cui anche i piemontesi Agnelli) la tenuta è ritornata in toto alla famiglia Mentzelopoulos, nella figura di Corinne, subentrata al padre André, dopo il 1980. 

Una storia arrivata fino a oggi, perché cantine come Châteaux Margaux si misurano nel tempo, e sebbene via sia stato un periodo più buio prima degli interventi sopracitati, la Maison è tornata ai livelli che l’hanno sempre contraddistinta affiancando al monumentale vino omonimo anche duecentomila bottiglie di Pavillon Rouge e quarantamila bottiglie di Pavillon Blanc.

Château Margaux 1972

Conquista ancora l’avvolgenza, ritmata da un tannino ancora sentito, seppur flebile, tenuto in vita dalla parte vegetale che continua a guadagnarsi la scena. Nell’uvaggio c’è infatti l’80% circa di Cabernet Sauvignon, che resta l’attore principale: viaggia, anzi corre alla ricerca di altre componenti fruttate per restituire un esempio, una voce, un ricordo che resti impresso nella memoria gustativa: un momento topico ma non per questo privo di difetti.

Ma ogni bottiglia è un momento intimo e irripetibile, una sorta di privé in cui cogliere quell’attimo di vita, che si manifesta per “troppa gioventù” o per troppa evoluzione. Una cosa è certa: il ricordo è incancellabile. Ecco spiegata la creazione di un mito nel tempo come Château Margaux che, in questo caso, fa bella mostra di sé in questa chiamata distale in cui si sfiorano i quarant’anni, in cui la maturità si tocca in ogni respiro, la profondità è manifestata da una potenza quasi celata ma che si palesa con evocative note già fresche dopo qualche minuto di attesa nel bicchiere. L’eleganza ricorda un ballo ottocentesco, tra arazzi e una composizione dodecafonica in cui potenza e materia diventano armonia.

Maison Guigal, un impero nella Valle del Rodano

Fondata nel 1946 da Etienne Guigal ad Ampuis, la Maison Guigal rappresenta oggi un’azienda prestigiosa, culla di denominazioni di eccezione come Côte-Rôtie, Condrieu, Hermitage, Châteauneuf-du-Pape, Saint-Joseph e Crozes-Hermitage. Un sito di rara bellezza quello che ospita la storica sede, un castello del XII secolo eretto sulle rive del Rodano, nel piccolo e antico villaggio sito a pochi chilometri a sud di Lione ed epicentro della denominazione Côte-Rôtie. Qui la famiglia continua a coltivare le viti con passione, prestando particolare attenzione alla loro preservazione attraverso un approccio ragionato, lontano da ogni artificio. L’obiettivo è quello di perpetuare la promessa fatta al fondatore, ossia di condurre l’azienda lungo il sentiero da lui tracciato, lavorando con impegno per trasmettere la stessa passione alle generazioni future; filosofia ben consolidata in quello che è il motto di questa famiglia: “Nul bien sans peine”.

Ermitage Ex-Voto 2001

Tra le gemme che adornano queste terre vi è l’Ermitage, una denominazione antica il cui nome è un omaggio all’eremita dedito alla vigna che abitava queste zone nel XIII secolo. Da sempre apprezzato presso le grandi corti europee per la trama fitta e la persistenza aromatica, qui nello specifico si produce l’Ermitage Ex-Voto, 100% Syrah affinato per 40 mesi in botti nuove, un vino dal grande potenziale di invecchiamento, prodotto esclusivamente nelle annate migliori.

Un naso, quello di questo vino, che sembra quasi invitare a prendere parte a un banchetto: carne alla brace, brodo, note umami e di spezie mediterranee tra le quali vengono in evidenza rosmarino, salvia, noce moscata e pepe nero. Al sorso si riscontra tutto quanto precedentemente detto, il brodo di carne e l’aroma di brace sono protagonisti, il che denota un segno di evoluzione e terziarizzazione forse eccessiva, ma si fanno largo anche una punta di oliva nera in salamoia, funghi e prugne sotto spirito. Nel complesso una grande eleganza e una struttura sostenuta, con l’unico difetto di scivolare via in fretta. Evanescente in alcuni tratti e leggermente corto, proprio come un pranzo piacevole che dura, però, troppo poco. Un grande Syrah, bisognoso di attenzioni e di lungo tempo per esprimersi.

La viticoltura itinerante di Joanna Dubrawska

La storia di questa piccola, grande produttrice incomincia in Sicilia, dove approda nell’ottobre 2012 alla corte dell’azienda agricola COS, e in cui è rimasta 5 anni ma, come dice lei, “non me ne sono mai andata, ho solo aperto delle filiali all’estero”. Il suo mentore, Giusto Occhipinti, la sprona ad allargare i suoi orizzonti, a mettere la sua passione al servizio del vino, che per lei diventa una vera e propria missione. È entusiasta dei metodi di lavoro dell’azienda in cui presta la sua opera, e giorno dopo giorno impara ad assecondare i ritmi della natura, a non essere interventista ed invasiva, a comprendere ciò che l’uva vuole comunicarle in quel determinato anno, in quel momento, a rincorrere le sue peculiarità e le sue caratteristiche, a trattarla insomma come un essere vivente.

L’impronta di Giusto Occhipinti

Sembrerà banale, sembrerà scontato, ma il confronto quotidiano in COS, una azienda vinicola che ha fatto la storia della viticultura, non solo siciliana, fa crescere in lei il desiderio di misurarsi con la sua grande passione in maniera più diretta. Ecco quindi che Giusto Occhipinti, straordinario produttore di vino, ma non solo, gli dona in gestione una vigna di Nero d’Avola. E nel 2015 nasce la prima annata di Maninalto, un progetto itinerante che prevede la vinificazione ogni anno di un uva diversa, proveniente da un territorio diverso, con caratteristiche e peculiarità diverse. Sempre però con l’attenzione all’uso di vigneti cresciuti con i dettami biologici o biodinamici e nessun uso di prodotti chimici di sintesi. Risiede nell’errore e nell’imperfezione, nel rispetto dei ritmi e delle cause naturali il fascino di questo mestiere. La scommessa? Comprendere come il terroir di un vino si fonda con la personalità e lo stile di chi l’ha creato. Un progetto originale, e davvero unico.

Ecco, quindi che dopo le prime tre annate, 2015 – 2016 -2017 prodotte e vinificate in Sicilia, il suo viaggio nel mondo del vino l’ha portata nei vigneti della famiglia Cazottes nel remoto angolo sud-occidentale della Francia. La famiglia Cazottes lavora con varietà uniche: Mauzac Rosé, Prunelart o Jurancon Noir. Quelle rarità affascinano e incuriosiscono Joanna e sposano completamente la sua filosofia.

Maninalto 2018

Nasce quindi Maninalto 2018, un orange wine ottenuto da una rara mutazione del Mauzac Blanc chiamata Mauzac Rosé. La maggior parte del vino matura in anfore per 5 mesi sulle bucce mentre il 10% è stato ottenuto con le stesse uve, ma con la tradizionale pressatura diretta. Dopo la svinatura (marzo 2019) il vino è stato messo in parte di nuovo nelle anfore e in parte in vecchie barrique. Una piccola parte di questo assemblaggio proviene dallo stesso vitigno ma è stato vinificato solo con mosto fiore. Segue poi assemblaggio finale. Il suo colore ambrato deriva dall’uva e dalla macerazione. Un vino intenso, vibrante e profondo, imbottigliato in bottiglie da 50 cl. Una produzione di nicchia, piccolissima, che vi consigliamo di accaparrarvi al più presto.

Un vino che sa di albicocca secca, appassita lentamente, di garrigue mediteranea, con un tannino tanto elegante quanto intenso, un po’ come la stessa Joanna. Ribelle, acceso, irriverente, primordiale. Un vino che potrà durare a lungo, sempre che non lo apriate, perché possiede una beva straordinariamente e fantasmagoricamente veloce.

Il nome, infine, contiene una parte del destino del vino: Maninalto, un riferimento alle viti che sono le mani della terra, offrendo il frutto del suo lavoro. C’è anche un significato più giocoso in questa parola, come nel rispondere alla domanda: “Mani in alto, chi vorrebbe del vino?” Io, Sì grazie!

Yannick Alleno in Langa

Prendete uno chef pluri-tristellato francese, Yannick Alleno, noto per il suo lavoro sulle estrazioni, tra i più à la page in questo momento storico in Francia, chiedetegli di fare una consulenza, di firmare la linea e il menù in un resort di lusso a Monforte d’Alba. Voilà, siete arrivati da Fre. La prima stella è arrivata a pochi mesi dall’apertura, e tanti altri traguardi si preannunciano alla sua portata, in questo luogo bucolico immerso nella campagna langarola.

La cucina è affidata a Bruno Melatti, giovane diplomato ad Alma, con importanti trascorsi in Francia, anche proprio da Alleno. E Bruno trasferisce in maniera esemplare i dettami e le idee del grande chef d’Oltralpe contaminando la cucina del territorio con prodotti e tecniche francesi. Il risultato? Semplicemente ottimo, a cominciare dallo splendido rosso di anguria e passando attraverso l’uovo in illusione, due piatti che, oltre ad eleganza e finezza, giocano con il concetto delle estrazioni in maniera mirabile, applicando alla lettera, per appunto, i dettami dell’Alleno-pensiero.

Ottimi e veramente golosi tutti i primi piatti, anche se la reinterpretazione in chiave francese della cucina del territorio si è spinta forse un filo troppo oltre, specie in alcuni passaggi: pensiamo in particolare alla tartare di Fassona, completamente coperta dall’estrazione di funghi e dalla crema di foie gras.

Sorprendente poi la pomponette di trota, con le sue uova e il burro e splendido, purissimo nella sua apparentemente semplice essenza, infine, il piccione affumicato: vessillo della grande tecnica acquisita.

Una cena perfetta, con un servizio attento e molto curato e un percorso che, forse, a parte qualche marginale considerazione, risente solo del prezzo, piuttosto elevato. Del resto siamo pur sempre a Monforte d’Alba, in un relais di gran classe.

La galleria fotografica:

Un e-commerce made in Dijon dalle mille sfaccettature

Il Pinot Noir e lo Chardonnay di Borgogna, i tagli che hanno reso celebre Bordeaux, il Sauvignon Blanc e il Cabernet Franc della Loira, i vini speziati della Valle del Rodano, gli Champagne: sono solo alcuni dei vitigni e delle zone d’Oltralpe che, con le loro eccellenze,  ammaliano i palati di tutto il mondo e sono da sempre tra i vini più ricercati dagli appassionati. Il mercato dei vini francesi in Italia è in crescita, anche se perlopiù concentrato sulle etichette più prestigiose, spesso disponibili a prezzi difficilmente accessibili. Oltre alla sempre maggiore disponibilità nelle enoteche, anche attraverso l’e-commerce, tuttavia, oggi è più facile poter accedere ad un ampio ventaglio di etichette, che contempla cantine emergenti e meno blasonate, con prezzi più abbordabili. Alcuni dealer con sede in Francia guardano con grande interesse all’Italia e hanno strutturato siti ben organizzati che ormai accettano ordini anche dal Bel Paese.

Grazie ad alcune segnalazioni ne abbiamo individuato uno che ci è particolarmente piaciuto. Si tratta di un progetto nato da un’idea di Éric Carrière, il quale avvia nel 2010 il proprio e-commerce chiamato Caves Carrière. Éric, all’epoca, proveniva dal mondo dello sport, giocando come calciatore professionista. Eppure, l’amore per la terra affondava radici già nella sua storia familiare, nel sud-ovest francese ove i nonni conducevano una vita contadina. Avvenne nel 2002 l’incontro importantissimo con l’enologo Stéphane Ogier, che segnò il punto zero di una lunga avventura vitivinicola destinata a crescere negli anni. Nel 2006 infatti i due acquistarono dei vigneti nella Côte Rôtie e nel Condrieu, per poi approdare alla zona di Pommard, in Borgogna, dove Éric acquistò qualche anno dopo un vigneto grazie all’incontro con un altro personaggio chiave della zona, Laurent Lignier.

Fu così che, nel 2010, Éric prese la decisione di ritirarsi dai campi da calcio e dedicarsi pienamente alla sua nuova attività di commerciante di vini, a Digione, fondando Caves Carrière. Tre anni dopo giunse ad affiancarlo Nicolas Creuzot, oggi co-manager di Caves Carrière ed esperto di Borgogna. Esperto, sì, perché quello che offre Caves Carrière è innanzitutto questo: il sapere.

Caves Carrière è un punto di acquisto che racchiude una varia e qualitativamente elevatissima gamma di etichette francesi, spaziando dai grandi nomi fino alle piccole chicche tutte da scoprire. Il format è quello di una vera e propria enoteca, dove è possibile farsi guidare nell’acquisto. Dopo aver consultato il sito, abbiamo contattato telefonicamente l’e-commerce affidandoci alla guida del sommelier Elian Mathiot, originario della Borgogna ed entrato a far parte della squadra di Caves Carrière dal 2019. La nostra richiesta era quella di consigliarci vini bianchi e rossi di Borgogna – magari con l’aggiunta di un vino della Valle del Rodano – con il requisito del buon rapporto qualità prezzo. Dopo una breve ma istruttiva chiacchierata, Elian ci ha consigliato sei bottiglie, di cui tre vini rossi – due di Borgogna e uno della valle del Rodano – e tre vini bianchi, tutti di Borgogna. La chiacchierata si è svolta comodamente in inglese. Elian, che abbiamo capito subito essere molto competente, è stato cortese, ha capito subito cosa cercavamo e ci ha dato diversi consigli, orientandosi soprattutto su produttori emergenti o, come nel caso del Chassagne Montrachet rosso di Jean-Claude Ramonet, su un vino rosso poco conosciuto di un produttore noto per i suoi grandi vini bianchi. L’ordine è stato fatto dal sito durante il weekend. Il pacco è partito il lunedì e il mercoledì è stato consegnato in portineria, a Milano.

Riportiamo di seguito le nostre note di degustazione dei vini acquistati e il loro prezzo, a cui va sommato un costo di spedizione che per sei bottiglie è stato di 18 euro (se fossero state 12 il costo di spedizione sarebbe stato di 24 euro).

Pommard “En Brescul” 2017 – Domaine Hubert Lignier

Naso che rispecchia il tono rubino del colore, definendosi in un timbro prettamente fruttato di fragolina, lampone e ciliegia. Sorso tagliente, freschissimo, che chiude su una traccia agrumata di pompelmo rosa. Voto 89

48 euro

Chassagne-Montrachet 2017 – Jean-Claude Ramonet

Il frutto condivide il palcoscenico con il fiore, sullo sfondo accennato di resina, pepe bianco e cenere. Vino fresco, dal sorso composto e finemente tannico, che consegna al palato la traccia balsamica percepita al naso. Citrino e teso ma affatto scomposto. Voto 90

48 euro

Côte – Rôtie Réserve 2013 – Stephane Ogier

Naso pieno, stratificato, scuro. La speziatura porta le tracce del pepe nero e del curry, perfettamente integrata alla mora, alla prugna e al pot pourri. Bocca di profondità, per un vino carnoso rifinito da un tannino finissimo. Complesso, composto e completo. Voto 92

48 euro

Chassagne-Montrachet 2018 – Joseph Colin

Naso tipico, spartito fra la dolcezza della vaniglia e la parte agrumata, con l’insistenza delle note erbacee di menta selvatica e salvia. L’ingresso di bocca regala un’impressione dolce, ben equilibrata nella sapidità e nella morbidezza. Voto 89

45 euro

Hautes – Côtes de Nuits 2017 – Olivier Jouan

Intrigante, al naso. Intrigante e complesso, con quegli accenni di frutta a polpa gialla, mela, pepe bianco e curcuma. Bocca piena, di bellissima finezza sapida che rimane in persistenza ricordando la tensione del sorso, ben bilanciata dalla morbidezza. Coinvolgente. Eccezionale il rapporto qualità prezzo. Voto 90

15 euro

Meursault “Les Tessons” 2017 – Michel Bouzereau et Fils

Si respira il profumo della Borgogna in questo calice. Una parte balsamica, una parte erbacea, una parte delicatamente affumicata ed una quasi marina, fino a deviare su un’appena percettibile tocco smaltato: la grandezza di questo vino si svela pochi profumi alla volta, conducendo l’attenzione al sorso. In bocca è equilibrio, è eleganza, è classe impressa sulla punta sapida e su quella acida, protratte in una persistenza iodata. Gran vino. Voto 93

54 euro