“Abbiamo dovuto uccidere la bestia. Dopo tanti anni, avevamo paura che la passione morisse”.
Lo disse qualche tempo fa Albert Adrià. Parlava del Bulli, ovviamente. Per fortuna, però, lui e il fratello si erano sbagliati di grosso. La loro passione per la cucina non è mai stata accesa come adesso.
Tutto ciò che si può scrivere oggi su Ferran Adrià, dopo tutto quello che è stato detto, scritto e pensato da quando il genio catalano è entrato in scena cambiando radicalmente il volto della cucina creativa mondiale, potrebbe essere retorico. È dato certo che in pochi hanno avuto il privilegio di provare la sua cucina.
Sedere ad uno dei tavoli nel leggendario ristorante di Cala Montjoi è stato per molti, compresi alcuni di noi, un miraggio di indefinita durata. Non nascondiamo che, per chi non c’è riuscito, la mancanza di un’esperienza gastronomica di tale peso resterà forse il più incolmabile cruccio di questa passione.
Data l’impossibilità, almeno per ora, di mangiare in quel luogo, i geniali fratelli di Roses hanno trovato una degna soluzione: la cucina esperienziale di El Bulli in un contesto raccolto, informale, innovativo e singolare, nella città catalana per eccellenza. Semplice e geniale. E non poteva essere altrimenti.
Così, a due anni dall’ultima cena servita nel più famoso ristorante dell’ultimo ventennio, ha visto la luce l’impero gastronomico di Albert Adrià che, con ben quattro (ma fra poco ne verrà alla luce un quinto) locali diversi, si sta imponendo come il nuovo re Mida della ristorazione mondiale. E, chiariamo, non è solo una questione di nome se Tickets e compagnia bella sono in overbooking tutto l’anno.
Tra tutte le sue nuove e geniali creature, merita grande considerazione il 41° Experience che ci aveva già impressionato lo scorso anno.
Ubicato in Avinguda del Paral-lel, la strada che coincide con il 41°22’34” parallelo terrestre nord, questo non è un semplice ristorante ma una vera e propria esperienza sensoriale a 360 gradi partorita da una mente perfezionista. Basta accaparrarsi, con largo anticipo, sul web uno degli otto tavolini (non è impresa difficilissima ma tocca pagare una discutibile caparra) per vivere l’essenza di un’esperienza gustativa, olfattiva, tattile, uditiva e visiva totalizzante e farsi un’esaustiva idea di cosa sia la tanto acclamata avanguardia culinaria. Tutto ciò in uno spazio piccolissimo ma confortevole, un vero e proprio cocktail bar.
Sedici coperti, un solo menù.
Del Bulli sono rimasti qualche piatto memorabile che ne ha fatto la storia, ma soprattutto lo spirito e parte del team creativo tra i quali il geniale direttore creativo argentino Sebastiàn Mazzola, ancora poco conosciuto, ma del quale si sentirà parlare nell’imminente futuro. Insieme ad Albert sono anche i creatori dell’originalissimo Pakta, che fa cucina “nikkei”, un ibrido tra la cultura giapponese e quella peruviana.
L’ambiente sembra, d’impatto, crepuscolare, ma una serie indefinita e confusa di immagini proiettate su 20.000 lastre di cristallo pendenti dal soffitto crea un’atmosfera rilassata, calda, quasi ipnotica cui ci si abitua col passare del tempo. Si tratta di un’installazione conosciuta come “Frosted Rain”, opera dell’artista spagnolo Javier Milara.
Le immagini sono accompagnate da un sottofondo musicale che muta al mutare delle portate, dando la sensazione di stare seduti all’interno di un’installazione artistica.
Questo è, più o meno, quello che si trova e vi aspetta al “Quarantunesimo”.
Tutto secondario al cospetto dei piatti-assaggi che vi arriveranno sotto gli occhi. Preparazioni di pochi centimetri di diametro, ogni piatto è un piccolo scrigno che custodisce una supernova di sapori.
Solo al momento dell’assaggio si può avere un’idea della rivoluzione culinaria degli Adrià.
Freddo, caldo, freddo, dolce, amaro, freddo, piccante, carne, pesce, frutta, poi pesce, ancora carne, infine dolce. Una palestra per il palato che azzera, o forse ridefinisce, i canoni delle priorità degli ingredienti a tavola.
Quarantuno portate per un totale di una cinquantina di snack, suddivisi in “paesaggi” geografici di tutto il mondo innestati in un preciso contesto stagionale (nel nostro caso “l’autunno”). Una cucina che consente al commensale di viaggiare tra terre e sapori che spaziano dalla rivisitazione di piatti e ingredienti simbolici della cultura italiana, alla tradizione scandinava, passando per il Messico e il Perù, spingendosi fino al Giappone, al Vietnam e alla Thailandia, senza mai trascurare, ovviamente, la tradizione catalana e i sapori mediterranei. In alternanza verranno serviti cocktail, vini e birre. Anche il mariage cibo-bevande è studiato nei minimi dettagli, così come le singolari, bellissime stoviglie, parte integrante delle creazioni.
E poi c’è il servizio, capace di garantire il medesimo lasso di tempo – circa 4 minuti di attesa – tra un piatto e l’altro (avvertiteli se dovete assentare), sempre pronto a pulire il vostro tavolino ed eliminare ogni briciola dopo ogni portata.
Un servizio realmente su misura. Corale, preparato, multilingue (il nostro cameriere parlava benissimo anche l’italiano) e pronto a raccontare ogni minimo dettaglio del singolo piatto, nonché la storia dietro l’idea, contribuendo attivamente a rendere quella del 41° un’esperienza davvero unica, da fare almeno una volta nella vita.
Picnic Cocktail, a base di fiori di sambuco e more.
Paesaggio autunnale: ricordiamo lamponi caramellati con wasabi, pistacchio con miele di pistacchio; uva con lime e timo.
Pere infuse in succo di barbabietola e arancia.
Perla al sesamo nero.
Olive ripiene di acciughe (un classico del Bulli).
Cozze marinate con patate soffiate e polvere di salsa “espinaler”.
Vermouth.
Con il “pizzicato five” (omaggio ad un gruppo pop giapponese la cui musica era in sottofondo) arrivano le chips piccanti di tentacoli di piovra e mais…
…e alghe croccanti con quinoa.
Inizia il viaggio in Italia con la divertente mini burrata fatta in casa (che pecca solo di una accentuata sapidità della pasta filata)…
…e la rivisitazione in perfetto stile “bulliano” della pizza che sprigiona prima olfattivamente, poi in bocca, ogni singolo ingrediente (pomodoro, mozzarella disidratata, gelatina di olio d’oliva e basilico fresco).
Chiude il trittico italico il gustoso sottobosco autunnale: porcini disidratati e cannolo con crema di parmigiano.
Si fa un passo nel passato al Bulli anno 2004: air baguette con prosciutto iberico gran riserva “Joselito”.
Inizia il “paesaggio nordico” con il fantastico salmone affumicato con uova di salmone e panna acida, adagiati su una pellicola che nasconde un fumo di pino molto denso.
Accompagnato da un succo di frutti rossi.
“Shot Caviar”: variazione di uova con caviale beluga, nocciola e melanzana.
Toast and carrots. Ecco le carotine baby…
e il toast con carne cruda, scalogni, aneto e caprino.
Dai toni freddi a quelli calienti: ecco il “paesaggio messicano”: tequila sferica…
…accompagnata da succo di agave.
Una birra spagnola: Shipa India Pale Ale…
…accompagna l’eccezionale taco coni gamberi “aguachile” (peperoni, lime e cipolle).
Si va in Vietnam: il panino Banh Mi, farcito con maialino iberico cotto per 36 ore. Non siamo nemmeno a metà, ma da qui inizia il meglio della cena.
Ecco il Perù. Un fantastico cocktail rivisitato: l’atahualpa 2.0 (Cachaca, ananas, pesca, zucchero e lime).
Ceviche norteno.
Uno dei paesaggi migliori, quello giapponese. Si parte con il pregiatissimo sakè Sohomare Kimoto Junmai Ginjo.
Temaki fritto ai ricci di mare. Boccone di puro piacere.
Anelli di cannolicchi con salsa di soia. La tradizione delle tapas incontra il Giappone con un’eterea tempura.
Cannolicchio che viene riproposto in un’altra raffinatissima preparazione, in scapece con ciccioli di maiale.
La vetta più alta del piacere si tocca con il “paesaggio Thai”. Magnifica la zuppa di calamari e insalata di mango.
Il delizioso agnello piccante.
Per la serie le sorprese non finiscono mai.. udite udite, è l’ottimo Frappato di Cos ad accompagnare…
…il “mountain fideua”, ricetta andalusa mari e monti, a base di tipici funghi spagnoli (simili ai finferli) e seppia tagliata tipo vermicelli.
Pane, formaggio e tartufo bianco d’Alba.
Un calice di Palo Cortado Vors trentennale accompagna l’ultimo boccone salato.
La tartelletta al foie gras e mandorle.
Si apre lo show dei desserts. Entra la postazione mobile di ghiaccio e azoto liquido…
…per il Nitro Pineapple: una crema di vaniglia, ananas e rhum trasformata in gelato espresso.
Seguito da una micro pesca disidratata al mango. Esplosione di piacere.
Fichi.
Oroley Martini. Fatto con una qualità oro della Lavazza.
Banana Musubi.
Nido al passion fruit, anch’esso esplosivo.
Non una cupcake ma una incredibile torta al limone. Con il pirottino che è in verità una finissima pellicola di zucchero.
Si chiude con i cioccolatini.
Bangkok è una realtà gourmet in grande fermento. Da qualche anno a questa parte si è assistito ad una inarrestabile ascesa di cuochi e ristoranti in cui contaminazioni occidentali – fortunatamente ancora non così influenti come a Singapore e Hong Kong – si scontrano con il grande fascino della cultura alimentare locale, dando vita ad un terreno fertile per nuove proposte gastronomiche.
Gaggan è considerato da molti opinionisti e frequentatori abituali (inclusa la famiglia reale thailandese) il miglior ristorante della città e dopo la nostra esperienza abbiamo la conferma che la cucina di Ferran Adrià ha influenzato i cuochi di tutti i continenti del mondo.
Il bel ristorante dello chef nato a Calcutta Gaggan Anand conserva un certo fascino, per la location in primis (è ospitato in una bellissima casa coloniale in teak bianco), ma anche perché è probabilmente l’unica tavola al mondo a reinterpretare in maniera divertente una cucina – quella indiana – tutt’altro che di moda, dando lustro agli effetti ludico scenici della cucina molecolare.
Sebbene questa, definita “Progressive Indian”, non brilli per originalità a livello di tecnica, è comunque concettualmente valida. Anand è l’unico chef indiano nonché il secondo asiatico ad aver lavorato nel team di ricerca di El Bulli e, sebbene non riesca a fare a meno delle tecniche moderniste, è riuscito comunque nell’apprezzabile intento di pensare ad una visione nuova della antica tradizione culinaria indiana risaltandone le più importanti qualità come il dosaggio al millimetro di spezie e aromi. Alcune (ma non tutte) elaborazioni centrano in pieno l’obiettivo prefissato presentando una ben definita carica gustativa. L’ostentazione del divertimento e dell’effetto scenico accompagna tutto il menù, a partire dagli amuse bouche in cui fanno la loro comparsa sferificazioni e contenitori edibili, per finire con la preparazione – eseguita direttamente davanti al commensale – del dessert finale, tra sifoni e spugne.
Non esiste una carta delle pietanze, ma solo tre percorsi degustazione, tutti abbastanza ampi.
Nel menu India Reinvented, da noi scelto in alternanza ad altre proposte vegetariane, ci sono momenti in cui si riesce a viaggiare con la mente tra profumi e sapori inconfondibili della cucina indiana, sorprendentemente integrati ad ingredienti a più ampio raggio di geolocalizzazione come maiale iberico o capesante norvegesi.
Il dato inconfutabile è che Gaggan Anand, ad oggi, a Bangkok è una star. Vedremo però nell’imminente futuro quali sensazioni potrà suscitare verso una clientela più occidentale e la critica che conta ad Hong Kong, dove sta per aprire una succursale all’interno del Landmark Mandarin Oriental.
L’incipit del nostro percorso si rivelerà già la parte migliore dell’intera cena: “Streets eats from India”: sequenza che parte dallo Yogurt chaat, reinterpretazione sferica del papdi chaat, tipico cibo da strada di Mumbai. Gusto esplosivo, concentrato e definito tra diversi ingredienti,
noccioline alla paprika da mangiare direttamente con la bustina di plastica commestibile,
la deliziosa variazione di patate: liquide e croccanti,
si conclude con un altro classico dello street food indiano: pani puri, ma al cioccolato bianco.
Una prima cocente delusione arriva con il poco esplosivo “Explosion”, differente reinterpretazione del precedente assaggio, conosciuto anche come Golgappa. Ma il sorbetto di lattuga nella siringa e l’involucro di patate piccanti contenente una crema di yogurt sono davvero poco concentrati nei sapori.
Si ritorna a riscoprire i sapori indiani con la “Alchemist Cake”. Questa volta ad essere reinterpretata è il Dhokla qui riproposta con farina di lenticchie, foglie di curry, chutney e gelato al cocco.
Il primo passaggio del menu vegetariano è soltanto soddisfacente: verdure in perfetta tempura con maionese vegetale al curry.
Prosegue il nostro India Reinvented con la “Treasure Shells”. Capasanta norvegese, senape, Cognac e panna acida speziata.
Visto che siamo in tema Adrià… Estrella Dam Inedit, birra studiata in collaborazione con lo chef catalano.
“River King”: gambero tigre grigliato in salsa tandoori con infusione di foglie di curry e chutney di mango.
Altra incursione vegetariana: “Down to Earth”. Un mix di verdure e funghi estivi: asparagi, morchelle, carciofi con tuorlo cotto a 62° e chili tartufato. Discreta riuscita ma il tubero latita.
Ottimo e gustoso il “Keema Pav”: panino contenente una tartare al curry di agnello, con pomodoro disidratato, a ricreare una sorta di ragout.
L’interlocutorio piatto di verdure saltate con spezie indiane.
Di gran livello il “Gunpowder”. Merluzzo fiammeggiato alle spezie thai, polvere di foglie di curry, porridge di riso basmati e zucchero al tamarindo. Gran bella intuizione.
Delude il “Portuguese Connection”. Pancia di maiale Joselito arrostita con vindaloo e aglio schiacciato.
Il piatto più tradizionale, eseguito impeccabilmente, viene sarcasticamente chiamato “British National Dish”, in quanto è un classico anche nel Regno Unito. Si tratta del pollo tekka masala accompagnato dal naan, tipico pane indiano.
Pre-dessert privo di sussulti. Il “Poor man’s porridge” è una crema di riso e gelsomino, gel di pistacchio e croccante di mandorla; nel momento in cui viene servito i camerieri spruzzano sul tavolo un’essenza di rosa che si rileverà piacevole solo all’olfatto. Eccessivamente stucchevole e poco incisivo.
Al contrario, un grandissimo boccone lo riserva il secondo pre-dessert: “Masala Chai”, ovvero il “tè speziato misto” fatta con tè nero, latte e una miscela di spezie ed erbe indiane, con gelatina alle giuggiole. Ci si ritrova in India.
Per l’ultima preparazione entrano in sala gli chef pasticceri.
Buono ma già visto il dessert: “I Love Chocolate”. 5 tipi di cioccolato in differenti consistenze, mango e sale frizzante.
Una delle salette.
Ingresso alla villa.
Nel 1898 i primi cittadini giapponesi emigrarono in Perù con al seguito i loro prodotti e le proprie tecniche di cucina. Da quel momento si unirono ai colori e ai sapori della cucina peruviana. Agli inizi degli anni ‘80 nasce la cucina Nikkei, frutto dell’unione delle due culture, diversissime tra loro.
Crediamo che queste parole siano perfette per introdurre la spirito del Pakta, che nella lingua Quecha originaria del Perù vuol dire proprio “unione”, la filosofia di questo locale.
E’ l’ennesimo, originalissimo progetto dei fratelli Adrià a Barcellona, fortemente voluto dopo la folgorazione per la cultura asiatica e per la varietà dei prodotti e delle marinature scoperti in Sudamerica. Aperto nella primavera 2013, Albert Adrià è coinvolto in prima persona e cura interamente il menù, con il contributo del geniale direttore creativo argentino Sebastiàn Mazzola, chef del 41° Experience, ma soprattutto con due chef che garantiscono l’autenticità, sotto il profilo tecnico e filologico, delle preparazioni. Al banco sushi troviamo la nipponica Kyoko Li, mentre tra i fornelli della piccola cucina in coda alla sala c’è lo chef peruviano Jorge Muñoz: entrambi sono coadiuvati da cinque collaboratori a testa. Anche in sala il servizio multietnico (peruviani e spagnoli) è preciso, gentilissimo e professionale, come c’è capitato di trovare in tutti i ristoranti dei fratelli Adrià.
L’ambiente è raccolto e l’atmosfera è molto calda: predomina il legno che ricorda l’estetica giapponese, ma la caratteristica principale dell’ambiente sono i telai multicolore che percorrono tutta la sala, conferendo alla stessa i vivaci lineamenti peruviani.
Quanto alla cucina, prima ancora di apprezzare un originalissimo stile fusion con essenziali tocchi alla Adrià, si registrano una serie di dettagli infinitesimali su ogni singolo elemento all’interno e al di fuori di ogni piatto: porcellane giapponesi autentiche, posate specifiche per ogni portata, presentazioni sceniche ma mai banali e tanta, tantissima sostanza. La gastronomia molecolare si intravede soltanto, perché quasi tutte le preparazioni sono frutto di cotture millimetriche da grande cucina classica.
Non c’è la carta, ma due menù: Fujiyama e Machu-Picchu. La sola differenza che il primo prevede nove portate e non è nient’altro che un “best of” del secondo che ne prevede ben quindici. E se la sequenza iniziale del percorso può far storcere il naso a qualcuno, per i contrasti nelle temperature e il solo assemblaggio dei pur grandi prodotti ittici locali e degli ortaggi sudamericani, nella seconda serie di portate Adrià & Co. sfoggiano prepotentemente il loro (elevatissimo) tasso tecnico tra i fornelli. L’inarrivabile tempura di funghi o la triglia panata col panko ci fanno capire che la grandezza di un cuoco non può prescindere da straordinarie basi tecniche. Si susseguono piatti che alternano sapori freschi e profumati con risvolti eleganti, ma che non rinunciano ad essere molto golosi e sempre all’insegna di una sorprendente leggerezza. Un luna park per il gourmet, ma anche per il gourmand.
Impressiona l’intesa tra cucina e servizio che porta a tempi di attesa pressoché nulli.
Anche qui, per ragioni di servizio, come al 41° Experience o a El Bulli, assentarsi per qualche istante implica la necessità di avvisare i camerieri che, a loro volta, provvederanno ad avvisare la cucina.
A nostro avviso, un grande ristorante che ben presto sarà sulla bocca di tutti.
Il percorso è suddiviso in “atti”. Si parte dalla cultura giapponese con una sequenza di preparazioni in stile Kaiseki, ma con una combinazione di sapori e ingredienti nippo-peruviani.
Honzen Ryori
Crema di mais e caviale. Dolce e iodato. Piacevolissimo.
Capasanta cruda con salsa chalaca (tipica salsa di Lima con mais marinato al lime).
Tofu di avocado con ricci di mare, yuzu e wasabi. Viene servito un cucchiaio di legno asettico, per non intaccare il sapore definito degli elementi. Tipici sapori giapponesi.
Melanzana al carbone con kimizu (sorta di maionese con dashi e aceto di riso).
“Olluco” (patata) alla “huancaína”. Piatto tipico della cucina criolla peruviana. La salsa è fatta con latte, peperoncini e formaggio. E’ la preparazione che chiude (in dolcezza) il ryori.
Nikkei Chilcano. Tofu fritto con carote e un intenso brodo di pesce. Il tofu si scioglie in bocca.
Vongole crude con salsa “tozazu”, alghe wakeme e umibudo (detta anche uva di mare, tipica di Okinawa).
Ecco il signature dish di Albert Adrià: il fantastico Ceviche di ricciola con kumquats “leche de tigre” (latte e succo di arancia), arachidi e cipolla. Una combinazione dalle tonalità sudamericane, fresco ed intrigante.
Inizia il secondo atto: The causas.
Due assaggi, l’eccellente boccone di piovra con olive nere sferificate e quinoa fritta…
…e il goloso pollo fritto con “ocopa sauce”, salsa a base di formaggio e huacatay (erba aromatica peruviana).
Te-maki di tonno con alga nori croccante e shichimi. L’alga è croccante e viene utilizzata come un crostino per il tonno.
Atto terzo: i Nigiri.
Tonno con wasabi fresco grattugiato al momento (tutta un’altra storia), seppia con sale allo huacatay, Mahi-mahi (lampugna) con salsa umeboshi. Semplicemente perfetta la temperatura del riso e grande qualità del pescato. Si chiude con una gelatina allo yuzu per rinfrescare il palato.
Soba con una salsa di ponzu, pomodoro e olio all’huacatay.
Piatto condito.
La fantastica tempura di funghi e purea di patate e funghi. Il fungo è praticamente integro all’interno della pastella.
I gyoza grigliati ripieni di maialino iberico.
Per finire: il gambero rosso al fumo di pino è magistrale per qualità del crostaceo ed equilibrio di sapori. Viene presentato in un cartoccio di bamboo e viene servito una polvere di gamberi e lime.
Dettaglio..
Ecco il gambero nascosto, appena cotto.
E questo è il risultato finale nel piatto.
Tecnicamente ineccepibile la triglia con salsa al tamarillo “escabeche” che il commensale sfiletta direttamente con il cucchiaio.
Pregevolissimo.
Si passa alla carne con il filetto di Wagyu grigliato con salsa al miso. Si tratta della famosa razza giapponese cresciuta in territorio spagnolo. Ottimo.
“Arroz con pato”: ennesima rivisitazione di una ricetta della tradizione peruviana, il riso all’anatra. Qui presentata in un cannolo contenente un risotto alle erbe. Buono, anche se forse è il piatto che satura con più velocità le papille gustive.
Chiudiamo con il nigiri al foie gras fiammato.
Per i dessert si ricomincia da dove avevamo iniziato: Honzen Ryori.
Picarones di patate dolci con miele e cannella, bombon di banana con gelatina di umeshu (liquore giapponese), mango ghiacciato con verbena.
“Shikwasa Suri”: fantastici marshmallow di limone e cioccolato.
Fichi con zuppa allo zenzero e tofu di mandorle.
Meringhe al frutto della passione con gelato al “dulce de leche”…
…e Pisco (liquore peruviano).
Post dessert: cioccolato bianco e the verde con sakura e caramella gommosa allo yuzu.
Banco sushi con chef all’opera.
La cucina.
Le corde colorate.
Ingresso.
Ferran e Albert Adrià.
Per paradossale che possa sembrare a chi ha girato per ristoranti negli ultimi quindici anni, il ruolo di questo binomio straordinario nel rifondare la cucina contemporanea è ancor oggi misconosciuto o mal inteso.
Nonostante si sia parlato e scritto tantissimo di Ferran (e quasi per nulla di Albert), anche tra gli appassionati e i professionisti del settore il lavoro dei due fratelli catalani è stato spesso confrontato con quello di cuochi loro contemporanei, a loro contrapposti senza sprezzo del pericolo e del ridicolo. Per esaltarlo talvolta o dileggiarlo di frequente.
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EL BULLI 31 03 2011