Nella miriade di ristoranti pseudo-messicani questo tacos bar, il figlio minore di Hoja Santa, saprà regalarvi intensi colpi d’ala, grazie alla classe e al talento di Albert Adrià. No,qui non troverete tacos fumanti, inzuppati di salse brodose e grasse a base di carne, o filamentosi pastrocchi di formaggio fuso a profusione.
Da Nino Viejo troverete tanto Messico, quello più autentico e puro, rivisitato da una grande mano, che dona eleganza ed un pizzico di avanguardia alla tradizione. In un luogo peraltro informale, divertente, chiassoso e dissacrante ma sempre curato con classe, eleganza e attenzione ai minimi dettagli. Mai nulla, dall’accoglienza, all’apparecchiatura, al servizio, ai cocktail così come alla cucina è lasciato al caso. Un ottimo punto di riferimento per uno spuntino veloce, che poi la gola farà diventare tutt’altro che fast, per un aperitivo o per una cena defatigante. Il guacamole è paradigmantico: l’amalgama del nobile frutto con il resto degli ingredienti, l’equilibrio in bocca, la cremosità ci fanno comprendere a fondo la caratura di chi l’ha preparato.
E l’infinità di tacos, ognuno con un accompagnamento, salsa, ristretto, foglie e le stesse tortillas differenti e studiate nei minimi particolari. Ci ha colpito il tonno, decisamente al di sopra della media, e quelle fantastiche polpettine e il loro intingolo, davvero centrate e molto golose. Anche i dolci, semplici ma non banali, ci hanno davvero tanto divertito ed appagato. Abbiamo accompagnato il pranzo con alcune variazioni, tra le classiche e le più innovative, di Margarita, opera che chiude il cerchio gustativo nell’universo messicano, con anche qualche tocco esotico al Pisco, che non guasta.
L’unico appunto, leggero beninteso, è sull’uso smodato di coriandolo e lime: due ingredienti preziosi e ricchi di carattere, ma che potrebbero far storcere il naso a qualcuno per la loro presenza ripetitiva. Nino Viejo rimane comunque una tappa da non perdere nel vostro girovagare per la città catalana.
Una delle domande più frequenti tra gli appassionati di cucina è: “Come sarebbe stato El Bulli oggi, nel 2017?“
La risposta è Disfrutar, il ristorante creato a Barcellona da Mateu Casañas, Oriol Castro e Eduard Xatruch, per anni al fianco dei fratelli Adrià ed oggi nel loro ristorante, appunto, aperto nel 2014. Una grandissima ed intensa esperienza vi attende, l’evoluzione, la continua crescita delle tecniche, dell’esperienza culinaria del Bulli di cala Montjoi, inderogabilmente fedele ai suoi principi e alle sue fondamenta. Vi sembrerà di rientrare in quelle sale, non solo per la cucina che i tre esprimono. I muri, l’aria, il senso dell’imediatezza, dell’istante rubato in molti piatti e preparazioni e, se volete, anche il profondo sentimento, parlano a tutti di quella rivoluzione che, negli anni ’90, portò frotte di Gourmet al pellegrinaggio nella punta più estrema della costa catalana.
E’ bello vedere, e a dire il vero rende un po tristi perché purtroppo da noi in Italia non è così, il ristorante completamente pieno al sabato pomeriggio, con tavoli occupati in larga misura dalla ricca borghesia barceloneta. Un’età media che ci ha stupito, ci saremmo aspettati più giovani un tantino estremi piuttosto che l’avvocato o il professionista di grido, alle soglie della pensione.
Ma è anche questa la forza dirompente di ciò che il movimento del Bulli ha creato e continua a generare. Un coinvolgimento in uno stile di cucina che ha indiscutibilmente segnato, e continua a marcare, la storia della cucina contemporanea.
La vibrante e frenetica attività in cucina, con un numero pressochè infinito di cuochi all’opera, è l’emblema di una proposta che ha mantenuto tutti i capisaldi, anche le piccole imperfezioni, della geniale macchina da guerra di Cala Montjoi.
Consistenze e texturas al limite, spesso bocconi che si rompono, temperature in equilibrio precario costante, un percorso snodato su molteplici e variegati assaggi di sapori, di abbinamenti stravaganti, di grande ed estrema personalità. Lo studio sull’istantanea immediatezza dei prodotti, questa volta operata su una variazione di mandorle che solo in una finestra di pochi giorni si possono gustare così: con quella consistenza e quella lavorazione, e quei sapori. Un lavoro sulla tradizione, stravolta e non semplicemente rivisitata nelle consistenze e nelle temperature, come purtroppo accade ai tanti maldestri copiatori seriali sparsi per il mondo intero.
Una rilettura del Laksa Malese seguita a stretto giro da una altrettanto intensa e pervasiva, nonché affine, proposizione della bouillabaisse a fare da contrappunto. Un piccione in stile marocchino che strizza l’occhio in un paio di passaggi prima ad una caprese profonda e golosa. Un lavoro per lo più nascosto su cappelonghe macerate e cotte al sale, tradizione atavica spogliata e destrutturata, non solo nel piatto ma anche nelle tecniche di cottura e lavorazione.
Una cucina che fa pensare, fa ragionare e che qualunque cuoco dovrebbe una volta nella vita esplorare. Il fascino che la ricerca e la profondità di analisi di ogni singolo dettaglio dell’opera si porta appresso non può affatto passare inosservato. Ma anche se non sarete così attenti, così tecnici, così curiosi del percorso, il risultato vi sembrerà ben riassunto in un paio di soli aggettivi: è tutto incredibilmente e tremendamente buono e gustoso.
I detrattori potrebbero portare ad istanza il fatto che si tratta di una cucina sostanzialmente di assemblaggio, che il 90/95% dei piatti è prodotto in catena di montaggio prima e poi costruito all’atto del servizio. Che di cucina “cucinata” nel senso tradizionale del termine c’è ben poco. In realtà, questa eventuale analisi si rivelerebbe una visione miope e riduttiva del capolavoro rivoluzionario e innovativo promosso dal team del Disfrutar.
La fantastica esperienza vissuta allontana ogni tipo di perplessità. I discepoli del Maestro sono in piena forma e continuano per la loro strada, crescendo ed evolvendo. E anche questo è un segno della grandezza di ciò che è avvenuto a Roses.
Chi è Terry Giacomello?
È un cuoco, nello specifico lo chef del ristorante Inkiostro, locato a poche centinaia di metri dal casello dell’autostrada di Parma, lungo una via che accompagna al centro della città ducale.
Visto da una certa prospettiva, Terry Giacomello è esattamente questo. Analizzandone il profilo però, avvicinandosi alla sua visione d’insieme, cercando di interpretare la sua filosofia di cucina, forse Terry Giacomello non è solo questo.
Un curriculum sviluppato lavorando nelle più prestigiose case d’Europa: El Bulli di Ferran Adrià in primis, ma anche Michel Bras, Mugaritz e il Dom di San Paolo. Una vita peregrinante alla ricerca della perfetta fusione tra innovazione tecnologica e romantica rimembranza artigianale.
In una dicotomia difficilmente spiegabile, lo chef Terry Giacomello, approdato all’Inkiostro di Parma da ormai quasi un anno, si concede al cliente mostrando senza timore tutta la sua tecnica, inquadrata e sopraffina, riuscendo sempre nell’intento di raccontare storie di tradizione, andando a chiacchierare con toni golosi, grassi, rincuoranti, appartenenti al passato di ognuno.
È un cuoco vero Terry Giacomello, uno di quelli che si fatica ad immaginare in altre vesti.
Ma la sua funzione si spinge oltre l’operato quotidiano tra pentole e fornelli. In una perversione verso lo stravolgimento dei sensi, riesce a raccontare serenamente un territorio, quello emiliano, a lui avulso data l’origine friulana, rovesciandone consistenze e approccio sensoriale, regalando fuochi d’artificio palatali mai fini a se stessi, ricercando l’autenticità mnemonica in ogni singolo passaggio.
L’influenza del genio di Roses si fa sentire, ma non al punto di intaccare la natura creativa di Giacomello. Come uno studente particolarmente dotato infatti, nell’evoluzione del menù, ci si trova di fronte ad un’impressione che diviene velocemente certezza, che l’allievo abbia colto e tratto beneficio dagli insegnamenti del maestro, ma che la sua fame di sapere non si sia saziata, spingendolo quotidianamente a studiare nuove formule che poi declinerà sotto svariate forme di piacere.
In una parabola ascendente Giacomello propone piatti divenuti in pochissimo tempo “storici”, come la spirale di uovo cotta a freddo, albume montato e contrasti acidi e salati, che però cedono il passo, pur non sfigurando, a nuove creazioni, mirabili per impatto emotivo e profondità gustativa.
Il “ricordo di Cala Montjioi: variazione di molluschi e sapori iodati”, esplicito omaggio ad Adrià, è un trionfo di consistenze e sfumature di sapidità che si rincorrono senza mai incontrarsi, sfiorandosi e guardandosi da vicino, creando una commistione che irretisce il palato e la mente all’abbandono completo della moralità.
Il resto della degustazione è un’immersione completa nel mondo emiliano, in cui maiale, pasta e uova sono i tre elementi portanti in chiave gastronomica, nello specifico presentati sotto forme e consistenze nuove, ma mai snaturate dalla loro indole prandiale, necessaria e non banale considerazione per tracciare un percorso coerente che parte dalla tradizione e che ha come destinazione l’innovazione pura.
Tornando all’apertura quindi, rispondere alla domanda di chi sia Terry Giacomello, non è affatto cosa semplice.
È un artigiano che con tatto e raffinatezza propone una cucina territoriale vista attraverso le lenti di occhiali in 3D.
E’ un esponente di una delle cucine che hanno stravolto il modo di concepire la gastronomia mondiale.
È uno studioso attento e minuzioso.
È un esteta e un lavoratore ineccepibile.
Ma soprattutto è un cuoco che regala emozioni a chiunque faccia visita al ristorante Inkiostro di Parma, raccontando se stesso e la cucina della città con un vocabolario completamente nuovo.
La mise en place.
Gli amuse bouche.
Chips di pelle di baccalà; ramo di riso con polvere di riso nero; hamburger di parmigiano e foglia di alloro da succhiare.
Ostia di olio e sale di Maldon.
Soffice di patate, gnocchi liquidi di piselli, olio di prosciutto crudo. Piatto molto armonico, che gioca su toni dolci e delicati. Fondamentale e geniale l’apporto dell’olio di prosciutto crudo che allunga e verticalizza il piatto.
Asparagi, burro acido, primule, concentrato di alloro. Primo passaggio di assoluto livello. Una rincorsa di golosità, acidità e note amaricanti che si evolvono durante la masticazione boccone dopo boccone. Notevole.
Spirale d’uovo cotta a freddo, albume montato, contrasti acidi e piccanti. Un classico di Terry Giacomello.
Ricordo di Cala Montjioi: variazione di molluschi e sapori iodati. Semplicemente geniale.
Tagliolini di bianco d’uovo, crema di parmigiano, caviale di tartufo nero. Piatto golosissimo. La tradizione vista da una prospettiva che non avevamo ancora preso in considerazione.
Mezze maniche di brodo di prosciutto crudo, torta fritta, ristretto di aceto balsamico. Con questo passaggio Giacomello sfata un tabù: il rancido può essere spunto di riflessioni e può venire declinato creando emozioni palatali che non lasciano indifferenti. Altro passaggio che sa di tradizione pur presentandosi in una veste avveneristica.
Anguilla, yogurt al pimento, pomodoro d’albero, foglie insolite. Eccellente preparazione. Il pomodoro d’albero veicola, grazie alla sua succosità, l’alternanza di amaro e acido durante l’assaggio. L’anguilla dona un giusto apporto grasso. Piatto complesso ma molto diretto.
Castagnole di maiale, latte di cocco, fagioli neri. La castagnola è una ghiandola mandibolare del maiale. Piatto molto elegante. Ennesimo grande passaggio.
Spaghetto prosciutto e piselli. Un fuori menu. Provare per credere!
Il pre dessert.
Terra di sesamo, gelato alla gomma di acacia, fragola: ricordo d’infanzia.
La piccola pasticceria.
Divertente: in questa unica e semplice parola si potrebbe racchiudere il Tickets.
E non crediate sia poca cosa, che sia un aggettivo sminuente per il lavoro che viene fatto qui: un’attività ristorativa che sa divertire il cliente, ha in mano le chiavi del successo.
Ed infatti il pubblico qui non manca, mai.
Nonostante i turni multipli, nonostante le difficoltà di prenotazione (l’apertura delle stesse avviene solo due mesi prima della data, e alle 00.01 i posti vengono bruciati in poche ore, con il sito web in tilt quasi sistematicamente), nonostante tutto: locale sempre e inesorabilmente pieno.
E questo apre uno spunto di riflessione sulle capacità imprenditoriali dei fratelli Adrià, che non solo hanno saputo rivoluzionare la storia della gastronomia, ma contemporaneamente sono riusciti probabilmente anche a fare un pozzo di soldi, circondandosi di soci illuminati e realizzando idee quasi sempre vincenti.
Si possono fare tanti soldi con la qualità: date un’occhiata qui dentro, e provate a fare un rapido calcolo di quale possa essere l’incasso settimanale.
La genialità la si coglie anche nel modo in cui viene data forma alle idee: Tickets è indubbiamente l’evoluzione gourmet del Tapas Bar, una taperia con il vestito della festa, colorato, bello e luccicante, studiato in maniera millimetrica per piacere e fare parlare di sé.
Ma non è l’unico locale di questo tipo di Barcellona, in altri hanno cercato di rendere più modaiolo quello che a Barcellona è più uno “state of mind” che un modo di mangiare.
Ma l’unicità, la chiave del successo, è che Tickets, in questa sua evoluzione, non ha perso l’anima del Tapas Bar, non ne ha perso l’essenza. Che è fatta di amici, di convivialità, di libertà, di bevute anarchiche passando andata e ritorno da cocktail a vino, a birra, di comande sempre troppo corte o sempre troppo lunghe, di aggiunte, di cancellazioni, di “porta pure tanto non rimane sul tavolo”, di confusione di gusti e sapori, di innamoramenti gustativi e profonde delusioni. Il Tapas bar ci concede di tornare bambini per due ore, di mangiare con le mani, di prendere qualcosa dal piatto del vicino, di spezzare i conformismi.
In un tapas bar c’è tutto un mondo, al Tickets anche di più.
I riferimenti al mondo di Alice, al Circo, ai cartoni animati vanno tutti in questa direzione: una ambientazione al limite del kitsch, eppure stranamente piacevole e azzeccata anche quando volutamente eccede.
A tutto questo è dovuto numeretto lì in alto, all’inizio della recensione: forse c’è solo qualche preparazione che valga quel numero, o forse no.
Ma questo posto è unico.
E noi ci torneremmo ancora, e ancora, e ancora.
Che teste questi Adrià…
Il locale si sviluppa in diverse aree di lavorazione: crudi, salumi, piatti caldi.
La carta delle bevande si presenta così:
Un Mojito favoloso, giusto per scaldare i motori.
Le olive del Tickets: nel nostro caso, varietà Gordal, con cannella, anice stellato, pepe nero e buccia di limone.
Jamón Ibérico Joselito Gran Riserva.
Pane e pomodoro, semplice e immancabile. Per chiarire meglio il concetto, per capire come la qualità si basi sui dettagli: questo è il pane al pomodoro più buono che troverete girando per tapas bar.
Rubia gallega in un Air Baguette: grande classico che merita tutta la sua fama.
Tonno in cornetto di alga nori: assemblato al tavolo. Stupefacente la profondità gustativa.
Ventresca di tonno, grasso di prosciutto e caviale: come si può spiegare una cosa come questa se non definendola capolavoro? Noi giriamo locali per cose come questa. Da lacrime. E da bis, ovviamente.
Ostriche!
Viaggio a Parigi: con aceto di vino al dragoncello.
Viaggio a Barcellona: con brodo caldo di pesce. Molto interessante.
Pomodoro e pomodoro: acqua di pomodoro, cuore di pomodoro, crema di mais e huacatay.
Polpo croccante e piparra (un tipo di peperoncino) sottaceto: polpo impanato con panko, bietola fermentata.
Anche questo ha richiesto il bis, senza nessuna discussione tra i commensali.
Pollo marinato, aria di lime, pane imbevuto nel suo succo di cottura.
Gamberi al carbone.
Accompagnati da una salsa olandese e da brodo di pesce.
Salsicce e seppioline, mare e montagna: la tradizione attuale. Spettacolo.
Per i dessert ci si può spostare in un’altra sala, decisamente “singolare”.
Il soffitto…
Le preparazioni.
Alle pareti video famosi…
Al Tickets i cucchiaini crescono sugli alberi.
La singolare carta dei dessert.
I Dessert sono tecnicamente perfetti, ma gustativamente non hanno la complessità della parte salata.
La Rosa, sfera di litchi e fragola con gelatina di acqua di rosa.
Air-pancake, spuma di yogurt, wafer caramellizzato, sciroppo d’acero e composta di ribes nero.
Cono di carota, yogurt al cardamomo, sesamo, gelato di mango e carota.
Éclair al cioccolato, nocciole e royaltine.
Millefoglie verticale coon una base di cioccolato, crema di burro di nocciole e fragoline di bosco.
Il cheese cake di Tickets: crema di formaggio “coulommiers”, cioccolato bianco, nocciola e frolla.
Le tapas non sono solo cibo, ma una filosofia di vita.
Partiva da questo concetto l’idea di Albert Adrià per quel posto che oggi è il Tickets. Un progetto creativo che andava ben oltre la concezione del miglior tapas bar al mondo. Perché, ancor prima di aprire i battenti, il Tickets era stato concepito come il luogo ideale per tutti.
È iniziato tutto in modo assai curioso. Era il febbraio del 2010 quando Albert festeggiava con amici di famiglia il terzo compleanno del figlio in uno dei suoi ristoranti del cuore. Prima della torta ricevette un regalo inaspettato dal suo amico Juan Carlos Iglesias, attualmente suo partner in affari. Si trattava di un mazzo di chiavi di un immobile le cui mura ospitavano una concessionaria di auto.
Albert si soffermava spesso davanti quella bottega, affascinato dalla spaziosità di quegli interni. Un luogo ideale in cui, un giorno, avrebbe potuto trasferire il suo Inopia Classic Bar. Ma non era soltanto una questione di spazi. Quello era solo un pretesto.
Da quel momento, infatti, i concetti di tapas classici e dell’Inopia si persero tra le mille idee partorite in innumerevoli brain storming, fatti tra le cucine di elBulli e il Taller di Barcellona da quelli che erano le colonne portanti della fucina d’avanguardia di Roses: Albert e Ferran, Oriol Castro, Eduard Xatruch, Andrés Conde e Miguel Estrada.
Nasceva quindi l’idea del Tickets, alla base della quale c’erano due simboli del Bulli: l’oliva sferica e l’air baguette. A seguire, il lavoro sulle ostriche e un altro paio di centinaia di ricette tra tradizione e pura sperimentazione, perseguendo un (ennesimo) nuovo linguaggio gastronomico.
L’obiettivo era diventato sempre più preciso, anzi, non era mai mutato: si continuava a perseguire la ricerca dell’intrattenimento guardando al futuro.
Il Tickets è la dimostrazione di come i parametri culinari degli Adrià siano in continua evoluzione.
Tra queste mura è racchiuso un mondo su di giri, una sorta di automobile con cui, allacciate le cinture, il passeggero fa un viaggio a due velocità. La guida è sicura ma non mancano i grandi virtuosismi. Il pilota conosce come pochi le tecniche di avanguardia e di molte ne è anche l’inventore.
Dai primi snacks, fino ai dessert, si ha sempre l’impressione di oltrepassare il muro del suono, ma pian piano ci si stabilizza, con sorpresa, in una più rassicurante andatura di crociera.
Si fanno i conti con tanta modernità, ma dietro l’angolo, ad attendere il palato, ci sarà spesso il baluardo della tradizione, con la rivisitazione delle tapas che incontra i ricordi di luoghi lontani. Sapori decisi, dall’impronta catalana marchiata a fuoco, si avvicendano alla strabiliante capacità di far viaggiare il commensale con la mente oltre i confini della Spagna. Sensazione che qualcuno aveva già provato a Roses, poi al 41° e che può ritrovare, in un contesto più limitato ma forse più meditato, anche all’eccellente Pakta.
Fa tutto parte di quella marcia in più che contraddistingue da sempre i fratelli Adrià, capaci di racchiudere una miriade di sapori in pochi assaggi.
Il Tickets, il primo dei ristoranti de “elBarri” (ovvero il “quartiere” degli Adrià, come è stato definito), è come un parco di divertimenti in cui l’avventore ha la possibilità di scegliere la giostra che vuole, quando vuole. Senza vedersi imposte sequenze di sorta o particolari restrizioni. Su qualsiasi cosa ricadrà la scelta, si avrà la certezza di mangiare qualcosa di immediata piacevolezza che appagherà repentinamente il palato.
Difficile assoggettare a critiche un luogo così, perché da due assaggi a trenta che siano, ci si trova sempre al cospetto di qualcosa che stupisce.
Ci si sforza anche nel trovare i difetti (!?): forse il fatto che manchi l’identità di un percorso degustazione? No, quello ve lo fanno se lo chiedete. Anzi ve ne fanno di diversi tipi visto la vastità della carta.
E allora è forse il livello di raffinatezza dei piatti che muta alla velocità della luce, passando da armoniose complessità gustative a più semplici bocconi di rassicurante goduriosità, che, molte volte, tendono a lasciarsi alle spalle la componente raffinata e più cerebrale? Si, forse è proprio questo il rischio: di avere troppe idee e di sfornarle tutte nello stesso momento. Si, probabilmente è forse questo l’unico limite del Tickets.
E se invece fosse la sua imprescindibile chiave del successo?
Chi ha cenato a elBulli avrà sicuramente un ricordo straordinario del servizio, replicato perfettamente, con le dovute proporzioni, anche al 41°.
Al Tickets invece non ci sono particolari formalismi e la macchina della sala è particolarmente amichevole, coerentemente con l’ambiente ed il concetto di locale.
Ciò detto, resta comunque un servizio di rara puntualità e cortesia, come quasi tutti i ristoranti visitati a queste latitudini, in cui è facile constatare un livello medio sempre altissimo.
Gli snacks.
L’albero del Tickets.
Goliardica presentazione con tanto di forbicette per tagliare il picciolo ricostruito.
Geniali meringhe al mirtillo (c’è probabilmente del rafano nell’impasto che dona una lieve nota piccante)…
…da inzuppare in una intrigante crema al rafano.
Le abbiamo provate e riprovate. Un po’ ovunque…
…ma vi assicuriamo che qui sono uniche.
Le (super) olive elBulli. E’ facile che ve ne rifilino di diversi tipi in diversi ristoranti e in altrettanti continenti, ma nessuno ha la concentrazione di queste. Un gusto lunghissimo, forse anche migliore di un’oliva di qualità assoluta. Quando la tecnica potenzia la qualità di un ingrediente.
Questa è la varietà Verdial…
…ma abbiamo assaggiato e percepito le differenze con la varietà Gordial, più forti e aromatizzate all’anice stellato e cannella.
Crostino di acciughe con semi di pomodoro e cristalli di olio.
Dalla sezione “Pura Razza”, è il momento di Joselito. Pata negra Gran Reserva.
Accompagnato da pane al pomodoro.
Sezione “Finger Food”.
Tonno in tartare con mille-feuille di alga nori croccante. Boccone strepitoso.
Incredibili gamberi rossi crudi con panatura al “mojo” verde (tipica salsa delle Canarie, a base di coriandolo e prezzemolo). Spettacolo.
Le ostriche: sulla sinistra con kimchi di yuzu e sulla destra, con salsa ponzu e uova di salmone.
“Rubia gallega” arrotolata nella leggendaria air baguette.
“Jowl & Panceta”
Una succulenta brioche al burro con testina di maiale, mozzarella, mostarda, paprika e “ras el hanout”.
Ed ecco i piatti principali del Tickets: le tapas, all’insegna della tradizione.
Insalata di pomodori Raff, straciatella di bufala e aria di basilico. Sotto la schiuma degnamente concentrata si nasconde una caprese, ma non solo. Prima i pistacchi, poi delle fragoline di bosco generano una divertente alternanza di sapori e tonalità di raro equilibrio. Geniale semplicità.
Strepitosi cannolicchi con salsa al cocco, funghi e arachidi. Siamo in Thailandia o a Barcellona?
Carciofi, crema di sedano rapa e vinaigrette al tartufo. Notevole piatto di matrice francese.
Piselli di Maresme (una delle Comarche della Catalogna) con jus di finocchio e pancetta croccante. Piatto da trattoria o preparazione di alta scuola con tecnica sopraffina?
Un altro piatto cult: spalla di maiale con patate confit e salsa di ossa di costine di maiale. Piatto di estrema golosità il cui abuso rischia di saturare le papille gustative. Ne bastano un paio di bocconi.
Il pollo in due sequenze. O meglio, il piatto del viaggio.
Una favolosa variazione del volatile che fonde al meglio lo spirito di questa cucina: tradizione e innovazione.
La schiuma di lime da’ profondità al saporito boccone e il cubo di pane imbevuto nella salsa del volatile creano dipendenza.
Ma il colpo di grazia arriva con il brodo di pollo. Un consommé degno del miglior tristellato francese. Talmente chiarificato da sembrare acqua. È il caso di dire, uno di quei piatti indimenticabili.
Variazione di Payoyo, tradizione e evoluzione.
I dolci. Dai quali, francamente, ci aspettavamo un coinvolgimento emotivo maggiore. Comunque iper tecnici e anch’essi golosi, ma da un grandissimo pasticcere come Albert Adrià ci aspettavamo molto di più.
Mini cheesecake, meringhe al limone e crema di formaggio con composta ai frutti rossi.
Pancake con yogurt, sciroppo d’acero e composta di more. Questa volta il tasso di stucchevolezza va oltre il nostro gradimento.
Altro dessert, spuma di panna e cioccolato.
Tickets’ “crazy coconut”, gelatin alla menta, crema al frutto della passione e stracciatella di cocco. Da mangiare con le mani.
Uno dei tavolini.
Gli interni.
Alcuni banconi.
Merchandising.
Insegna.