Eugenio Boer è uno chef che ha, sia nel DNA sia nella predisposizione professionale, una propensione al viaggio. Origini metà olandesi e metà italiane, ligure per la precisione, esperienze professionali sia in Italia, spaziando dal profondo Nord al profondo Sud, sia all’estero, in Germania. Prima del lockdown la sua proposta di cucina prevedeva molte contaminazioni con ingredienti, cotture e culture gastronomiche estere. Ora, invece, lo chef si è voluto concentrare sull’utilizzo rigoroso di materie prime di eccellenze italiane, la sua mente continua però a spaziare e il percorso creativo prevede intelligenti e intriganti rivisitazioni proprio dei piatti della storia della cucina italiana.
“Il risveglio” è il titolo del suo percorso degustazione ed è un risveglio di energia e grazia che non si può che apprezzare. È un risveglio dello chef che si è alleggerito, anche fisicamente: l’abbiamo trovato davvero in forma e con una maggiore leggerezza di fondo, rispetto al passato, anche nell’impostazione dei piatti.
La formazione palatale dello chef risale all’infanzia e alla figura della nonna, ligure, che ha definito un chiaro imprinting, ritrovabile in più di un piatto del percorso di degustazione. Eugenio parte però dai ricordi e dalla tradizione per far sempre viaggiare la mente, per reinterpretare i classici. Emblematica la cima alla genovese ma non troppo, dove la cima ha il ripieno classico per eccellenza, con carne trita, animelle, cervella, piselli, bietoline, carote, maggiorana, uova. Intorno al ripieno ci mette però una fassona piemontese cruda e, sopra, una maionese al cedro e caviale italiano. Viene servita con le bacchette, perché la cima viene reinterpretata come se fosse un roll giapponese, e si accompagna con una salsa pseudo-ponzu, perché 100% italiana, fatta con brodo di biete, succo di limone della costiera e colatura di Alici, intensamente deliziosa.
Simpatica la genesi creativa del piatto: la maionese veniva data da bambino, allo chef, sempre da sua nonna, dentro alla focaccia, per fargli mangiare la carne della cima. Da lì è partito il pensiero di sostituire la carne cotta con quella cruda, tagliandola, gli è venuto in mente il California-Roll, con il caviale al posto delle uova di pesce volante.
La Liguria è ancora protagonista in uno dei piatti decisamente più interessanti di tutto il percorso: la rivisitazione del coniglio alla Ligure, servito come raviolo. La pasta dei ravioli è fatta con farina di pomodoro, il ripieno è con il classico coniglio alla ligure, poi con pinoli glassati nel fondo di cottura del coniglio. Sui ravioli ci sono olive taggiasche, i suoi noccioli liofilizzati e polvere di porcini; anche qui torna il ricordo della nonna , perché l’utilizzo del pomodoro e dei funghi era una sua variante. Ringraziamo la nonna per l’ispirazione, ma il merito va tutto allo chef per aver concepito un piatto davvero di spessore, per equilibri sia di gusto che di estetica.
Usciamo, come ispirazione, dai confini italiani per la rivisitazione del filetto in crosta, in una versione più leggera ed estiva, volutamente servito tiepido. La carne è un controfiletto di manzo presentato a terrina, intervallato da Prosciutto di Carpegna e bietole, usate anche per la salsa e come accompagnamento: un piatto decisamente piacevole e gustoso.
Nella parte iniziale del percorso, una partenza non molto incisiva con una zucchina in crio-cottura e sorbetto di polline e zafferano, viene subito sistemata da una rivisitazione geniale di un altro piatto delle tradizione. Parliamo dei moscardini e piselli, serviti in due parti: la prima, una sfera con moscardini frullati e conditi a crudo, fritti in una pastella con il loro nero, maionese di moscardini, piselli e suoi germogli. La seconda, una zuppetta sempre di moscardini, fatta con i loro fegati, il loro nero e un estratto a freddo di bucce di piselli.
Una combinazione davvero vincente, fortemente sinergica fra le due parti, che si rivelano in tutte le loro componenti intrigando il palato per la varietà delle cotture e per le diverse sensazioni tattili palatali. Il percorso procede spedito fino alla fine, grazie all’apporto notevole della sala, coordinata egregiamente da Carlotta Perilli, compagna di vita e di professione di Eugenio, dotata di una naturale eleganza e/o eleganza naturale, precisa e professionale, spontaneamente accogliente. Bu:r è un luogo di accoglienza e di personalità, per la cucina, per la sala e per il decoro interno.
Davvero un bel risveglio per la cucina italiana.
Tra le competenze di un grande chef c’è, certamente, quella di disattendere le aspettative del palato medio. Di averne il coraggio e di saperlo fare, se non con tatto, comunque con stile. Si tratta di una tecnica o, meglio, di uno stratagemma: un modo per innescare nuovi significati, nuovi elementi di senso e, così facendo, permutare un significato ormai trito, liso dall’uso, e dal consumo, come quello di San Valentino, in qualcosa di nuovo e, possibilmente, in qualcosa di vivo.
Ma non crediate che si tratti di filantropia, ogni creativo lo sa bene: questo è anche un modo, se non il modo, di scendere a patti con le pur sacrosante ragioni commerciali della contemporaneità senza perdere il senso del proprio universo creativo.
Abbiamo quindi chiesto a quattro candidati d’eccezione, quattro interpreti privilegiati della ars culinaria contemporanea, di rielaborare la loro idea di San Valentino mediante quattro piatti, quattro ricette che prevedessero, inaspettatamente, l’uso della birra o come ingrediente o come abbinamento. È stato dando loro questa traccia, questo ingrediente totemico, che l’inventiva di ciascuno ha potuto reinventarsi, ritradursi, finanche ripensarsi, nel contesto enciclopedico di questo 14 febbraio.
Ecco il menu che ne è sortito!
1 l di latte
250 g di panna
300 g di patate con la buccia
5 g di sale
100 g di zucchero
30 g di glucosio
30 g di burro
5 grammi (a persona) di foie gras
Pelare le patate e tenere le bucce. Tagliarle a dadini e cuocere in forno col burro e le bucce, che dovranno risultare tostate. A parte, mescolare gli ingredienti restanti, aggiungere le patate arrostite, e portare il tutto a 85°C. Lasciare in infusione fino a raffreddare il composto, filtrare e versare il contenuto in un sifone. Mettere in frigo e far raffreddare. Mettere la spuma su un cucchiaio e mettere, all’interno, 3 g di torchon di foie gras. Coprire con la spuma e mettere nell’azoto liquido. Quando congelato, spolverare sopra le nocciole tostate grattugiate e i petali di fiori.
240 g di riso Carnaroli Motta
80 g burro demi-sel
120 g Parmigiano reggiano
20 cl vino bianco secco
20 ostriche Fine de Claire
180 g di pancetta affumicata
1 mela verde Granny Smith
1 bottiglia di birra Grolsch
1 albume d’uovo
1,5 l di brodo vegetale
Prendere la pancetta affumicata, tagliarla a listarelle e farla sudare in una padella lionese sino a renderla croccante, recuperando il grasso, filtrandolo e conservandolo per la mantecatura. Prendere la mela e, con una parisienne, ottenere delle piccole perle che conserveremo in acqua acidulata. Le ostriche andremo a cuocerle nel loro guscio, a vapore, per 3 minuti a 83 gradi conservando il loro liquido. A questo punto faremo partire il risotto in modo classico, sfumando quando caldo con il vino bianco. A metà cottura aggiungeremo il grasso filtrato e porteremo a cottura mantecando in modo classico e aggiungendo 3/4 della pancetta arrostita; lo terremo all’onda ma non troppo, andremo a metterlo nel piatto adagiando le ostriche, le perle di mela verde e montando con un frullatore a immersione la birra, l’acqua delle ostriche e l’albume facendo una bella schiuma.
2 stinchi posteriori di un agnello 12 mesi
1,5 l birra Asahi Super Dry
1 cipolla bianca
20 g di chiodi di garofano
Foglie di alloro
1 arancio non trattato
1 testa di cavolfiore
1 mazzetto di timo al limone
Pepe in grani
Sale in fiocchi
Olio evo
Aceto bianco
Per lo stinco: in padella lionese di ferro tostare gli stinchi leggermente infarinati, fino a renderli dorati esternamente. Allo stesso tempo, in una brasiera di ghisa appassire la cipolla tagliata a joulienne, due foglie di alloro, pepe nero in grani e qualche chiodo di garofano. Aggiungere gli stinchi, e coprire con la birra. Chiudere con il coperchio e finire la cottura, in forno ventilato, per un’ora e trenta minuti. Lasciare riposare e tirare poi la salsa a giusta consistenza.
Per il cavolfiore: dopo aver pulito e mondato il cavolfiore a piccoli pezzi, immergerlo in acqua ghiacciata per almeno due ore. Quindi tagliarlo molto sottile all’affettatrice e lasciarlo ancora a bagno in acqua ghiacciata. Con i resti di lavorazione e dopo averli cotti in abbondante acqua salata realizzare una purea aromatizzata con olio evo e aceto bianco. Asciugare i cavolfiori a fette con una centrifuga e tenerli da parte.
Per l’arancia: in un estrattore passare tutta l’arancia, buccia compresa, fino a ottenere un composto che abbia la consistenza di una pasta.
Frullare i restanti chiodi di garofano e rigenerare le foglioline di timo in acqua ghiacciata.
Finitura: sistemare alla base del piatto un cucchiaio di purea di cavolfiore, aggiungere lo stinco ben caldo, spolverare con i chiodi di garofano e la buccia di arancia a crudo. Nappare con la salsa alla birra e finire il piatto con l’insalata di cavolfiore crudo aromatizzata con il timo limone. Servire con birra Asahi Super Dry in accompagnamento.
Per lo zabaione alla birra:
240 g di tuorlo
160 g di zucchero 200 birra Pilsner Urquell
In una ciotola in acciaio a bagnomaria, montare i tuorli con lo zucchero, unire poi la birra a filo e stabilizzare a 80 gradi. Quindi, congelare.
Per le polpette:
La gelatina al Porto:
30 g di burro
1/2 scalogno
100 g di funghi champignon
50 g di ribes
250 g di Porto rosso
1 scorza essiccata di arancia
300 ml di fondo bruno di vitello
Sale
Rosolare lo scalogno tritato nel burro. Aggiungere i funghi e i ribes. Portare a cottura dolcemente, aggiungere il Porto con la scorza d’arancia e far ridurre di un terzo, aggiungere il fondo bruno e far sobbollire per 20 minuti. Filtrare. Stendere in teglia e far raffreddare.
Per l’impasto di carne:
160 g di gelatina al Porto
33 ml di birra Pilsner Urquell
68 g di pane al burro
60 g di miele
100 g panna fresca
200 g di latte intero
100 g di brodo di cappone
116 g di tuorlo d’uovo pastorizzato
315 g di scamone di vitello privato di grasso e nervi
4 g di sale
8 g di aceto
2 anici stellato
40 g di gelatina di Porto
30 g di farina di nocciole tostata
Far ridurre di 1/3 la birra con l’anice stellato. Unire latte, panna, pane e miele, scaldarli fino a 80 gradi, lasciare in infusione per 20 minuti. Filtrare, strizzare il pane e metterlo da parte.
Frullare tutti i restanti ingredienti insieme con la panna e il latte, la birra ridotta e 15 g di pane strizzato. Mettere in pacojet, abbattere e pacossare. Aggiungere la gelatina a cubetti, formare le polpettine e impararle con la farina di nocciole tostata.
Per la salsa Borsh:
250 g di succo di barbabietola
60 g di aceto di lampone
60 g di aceto di vino rosso
60 g di zucchero
50 g di cioccolato bianco
Portare tutti gli ingredienti a bollore escluso il cioccolato. Fuori dal fuoco mantecare con cioccolato bianco.
Finitura: in un piatto fondo mettere al centro lo zabaione ghiacciato, messo a forma di nido di spaghetti con lo schiacciapatate. Aggiungere 4 polpettine. Nel mezzo arrotolate uno spaghetto di semola cotto in abbondate acqua salata e saltato nella salsa Borsh al cioccolato. Cospargete di salsa Borsh e disponete sul piatto un mix a piacere di cioccolato bianco e Grana padano grattugiati.
Eugenio Boer, se fosse presente nel bellissimo libro “Giovani & Audaci, cronaca semi-seria della nouvelle vague Italiana in cucina” sarebbe sicuramente catalogato come “duro”.
All’apparenza l’uomo Denim, che non deve chiedere mai. Ma, dietro la scorza possente, nasconde un animo sensibile e tutt’altro che rigido e cazzuto.
Quando poi ti parla, spesso scivola nel suo accento ligure, tramandato dalla madre, che mette in ombra la sua anima da biker maledetto, proveniente direttamente dai sobborghi di Amsterdam, in Olanda, sua seconda patria.
E tu sorridi, perchè la sua cucina è lo specchio di tutto questo. Sembra quello che non è. Ed è ciò che non sembra.
Sembra moderna, à la page, alquanto trendy. Quasi non fosse chiaro che ci troviamo nel suo ristorante a Milano, potremmo essere nei Paesi Bassi, come in Australia o California.
Poi invece la affronti, la sfogli come una cipolla, vai appunto all’essenza e scopri una cucina personale, con una timbrica classica davvero importante. Qui salse, fondi, riduzioni, concentrazioni di sapori passano attraverso il veicolo del più esasperato classicismo d’oltralpe, ma non solo.
Gran classe ed eleganza, uso imperioso di componenti lipidiche, ben addomesticate, sapori maschi e ben distinti, intensi. Una cucina certamente importante, d’altra parte Eugenio è il primo a dirvi che al suo ristorante si mangia, e si mangia davvero!
Ma questo non preclude a questa realtà una sorta di eleganza di fondo, di accuratezza nel senso delle proporzioni, di visione moderna di preparazioni classiche che ci fanno certamente affermare che questo cuoco è sicuramente un personaggio che lascia il segno, la sua impronta, su tutto il suo operato.
Se volessimo fare qualche piccolissimo appunto, potremmo solo dirvi che non è fatta per percorsi chilometrici, ma questo potrebbe essere anche un pregio, e sopratutto potremmo dirvi che, per spiccare decisamente e definitivamente il volo verso l’alto olimpo, si potrebbe risparmiare qualche reiterazione stilistica (la “grattugiata” in molti piatti, seppur di derivazione ed elementi differenti, e lo stile d’impiatto per citare due esempi).
Ma qui, in questo momento, siamo al cospetto di un luogo tra i più interessanti presenti a Milano oggi, certamente nella nostra personale top five. Questo anche grazie ad un servizio, c’è da dirlo, giovane, spigliato, divertente, ma molto preciso e professionale. Forse solo un pochino in affanno, dicono le nostre varie visite, a locale pieno.
Ma questo è un posto da tenere ben presente sul vostro taccuino gourmet, fidatevi!
Il Nostro Benvenuto: il percorso dello chef in cinque piccoli ricordi.
L’ottimo pane.
Il primo compagno di viaggio.
Canederli: brodo ristretto di legno di castagno, canederli di spinaci, funghi pioppini e castagne crude.
Finferli: bavarese di finferli, aceto di sidro, blu del Moncenisio e semi di zucca.
Quaglie, Prugne: quaglia, umeboshi, nocciole del Piemonte, sedano rapa e foie gras.
Autunno: cappellaccio di pasta fresca alle castagne, zucca alla mantovana, porcini, jus di terra, topinambur e un terriccio di funghi ed erbe.
Altro compagno di avventura…
Carpa alla brace: tortelloni di segale, zabaione all’aneto, patate rosse alla panna acida e mele.
Lièvre à la Royale: tagliatelle di pasta fresca al civet, ragout di lepre, foie gras e tartufo nero.
Fantastico questo pinot grigio di Princic…
Risotto alle lumache: lumache, aglio nero, prezzemolo e ribes.
Storione: kefir, spinaci, olivello spinoso e caviale.
Un altro vino in accompagnamento…
Cassoeula: verze e maiale.
Sud.
Pollution: liquirizia, sesamo nero e cioccolato fondente affumicato.
La piccola pasticceria.
Qualche scorcio…
Sentendo nominare “Boer”, il pensiero del gourmet andrà con ottime probabilità in Olanda, nella tranquilla cittadina di Zwolle, terra del tristellato Librije e del suo Chef, Jonnie Boer.
C’è un altro Boer però, dal nome decisamente più familiare a chi gravita intorno Milano, altrettanto talentuoso e che sta facendo molto parlare di sé, allargando pian piano il tam tam gourmet anche al di fuori dell’area metropolitana: Eugenio Boer. Anch’esso, come suggerisce il cognome, ha origini olandesi, oltre a innumerevoli anni di esperienza in svariate tavole blasonate.
Da qualche anno la Madonnina lo vede impegnato in progetti sicuramente interessanti, tutti però con lo sguardo rivolto verso una cucina di deriva più o meno semplice ed informale: in primis Enocratia, dove all’interno di una cucina formato camper ha iniziato a far conoscere ed apprezzare il suo nome, in un format incentrato sul vino, ove il cibo era inteso come un accompagnamento e non il contrario, come più usuale. Poi la parentesi ancor più pop, quella di Fishbar e Meatbar, due bistrot gemelli entrambi in Brera, come di evince dal nome uno incentrato sul pesce, l’altro sulla carne.
Ora, finalmente, la prova del nove. Un ristorante nel senso più stretto del termine, con una bella ed accogliente sala, una brigata numerosa, un piccolo dehors per mangiare all’aperto durante il periodo estivo, ma soprattutto una bella carta scevra da tendenze, esclusivamente focalizzata sulla visione di cucina dello Chef.
E tutto ciò, è rappresentato fin dal nome scelto per questo ristorante: Essenza.
E la prova, per quanto ci riguarda, è stata abbondantemente superata, sotto certi aspetti spingendosi anche oltre le aspettative. Questa tavola ci colpì da subito, fin dalle prime visite, e se possibile ci ha colpito di più ancora nel nostro ultimo passaggio, con un salto notevole rispetto alle, pur eccellenti, performances iniziali.
Una cucina golosa e pensata, tecnica e personale, raccontata e leggibile, che si mantiene appagante e divertente anche nei suoi -frequenti- passaggi più tecnici e ragionati, salda sul suo binario senza il minimo tentennamento o passo falso anzi, che marcia con la decisione e la sicurezza del grande ristorante.
Partendo dagli amuse bouche, piccoli ed intelligenti concentrati di bontà, per arrivare fino alla pasticceria, tutta la nostra cena ha veleggiato sciolta su livelli decisamente alti, tra omaggi a maestri (però sarebbe gradevole, ed un ulteriore colpo di classe, che venissero dichiarati), vecchi e nuovi piatti dello chef, esercizi di stile o classici reinterpretati, mostrando una brigata a proprio agio non in un singolo compartimento ma sotto ogni aspetto, a ventaglio dal benvenuto all’arrivederci.
Anche il servizio, che in altre occasioni non ci convinse a pieno, ha ora trovato una sua quadra, risultando perfettamente registrato sul tono del locale: serio e brillante, professionale ma con toni smart e quel pizzico d’informalità necessaria a mettere a proprio agio il cliente, fin dal primo contatto.
Tutto questo, unito ad un rapporto qualità/prezzo ora come mai conveniente, fa sì che il libro delle prenotazioni riesca a registrare il fully booked praticamente ad ogni servizio serale, cosa che abbiamo potuto constatare personalmente in un lunedì qualsiasi, senza un solo coperto rimasto libero. Ulteriore dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che per la totalità dei fattori in gioco, Essenza ad oggi è sicuramente uno dei place to be milanesi, consigliabile davvero a chiunque.
“Il nostro Benvenuto”: il percorso dello chef in cinque piccoli ricordi.
Piccolo minus in quanto gli stessi delle precedenti visite… ma si chiude serenamente un occhio, quando così buoni e sensati, anche perché rappresentano un piccolo biglietto da visita, in quanto piccoli omaggi dello chef a luoghi e maestri del passato.
Madeleine alle olive taggiasche e pesto…
…bitterballen e senape…
…cialda di risotto alla milanese e Parmigiano Reggiano…
…tartare di salmerino…
…e macaron alla salvia e rosmarino con paté di fegatini, piccione e grue di cacao.
Pane e grissini.
“Il Cervo e la sua Storia”, Un salto indietro nel tempo, in tutto e per tutto.
Piatto in carta fin da Enocratia, un boccone di cervo -crudo- servito senza posate, da mangiare con le mani. Piatto ancestrale nell’idea, ma tecnico e razionale nell’esecuzione.
“Carote”, gialle, viola e arancioni di Polignano, nocciole tostate IGP del Piemonte, Taleggio, terra di Erbe, terra di Cereali e…
…uovo cotto nel Fieno, inserito a finire il piatto dal cameriere.
Golosità smodata, pur senza il minimo disturbo o accenno di stucchevolezza. Lode all’impiatto, estremamente curato.
“Brodo ristretto di Castagno”: Canederli di Sanguinacci, Pioppini, Mela verde e Castagne crude.
Brodo estremamente profumato e dalle marcate note acide, in contrasto con il canederlo.
“Lepre”: Tagliatelle di pasta fresca al Civet, ragout di Lepre, Foie gras e Tartufo nero.
Un piatto di pasta, classico italiano, riuscito omaggio alla lièvre à la royale, classico francese. Grande piatto, per concezione, esecuzione e risultato.
“Autunno”: Cappellaccio di pasta fresca alle Castagne, Zucca alla mantovana, Porcini, Jus di terra, Topinambur, terriccio di Funghi ed Erbe.
Un mirabile esercizio di stile, un piatto dalla quasi totalità di ingredienti dolci, tenuto in equilibrio da una omeopatica dose di Jus.
Risotto Murici, Finferli, Limone e Melissa. Notevole, come tutti i risotti serviti da queste parti.
“Tinca”: Zabaione al dragoncello, Polenta bianca ed Erbe amare.
“Piccione”: Olivello spinoso, Pastinaca e Tarassaco. Presenza fisicamente un po’ invadente del tarassaco, ma è solo un fattore estetico/funzionale. Ennesimo piatto più che riuscito.
Il predessert: “Sud”, Sorbetto di limone, Crumble di pistacchi e mandorle, Cioccolato di Modica al Peperoncino, Caffé, Capperi, Arance candite.
La chiusura del pensiero iniziato con il benvenuto, uno sguardo agli anni passati in Sicilia dallo chef. Poco “pre” e molto “dessert”.
E I dessert, profondamente diversi ma entrambi notevoli.
“Dulce”, Granola, Fava Tonka, Cioccolato bianco bruciato.
“Fichi”, Infusione di latte di foglie di Fico, Sambuca e Caffè.
Piccola pasticceria…
…piccola pasticceria, atto II.
Le bottiglie che ci hanno accompagnato durante la cena.
Essenza: mai come in questo caso il nome di un ristorante ne rispecchia, pienamente, la linea di cucina. Eugenio Boer abbiamo iniziato a seguirlo dai tempi di Enocratia, e già allora ne avevamo apprezzato l’entusiasmo, la passione e intravisto il talento. Che restava però ancora in buona parte inespresso.
Oggi, con Essenza, la sua nuova casa, Boer riesce finalmente ad esprimersi con la massima libertà, e i risultati si vedono. Essenza è, infatti, senza dubbio una delle novità più interessanti del 2015 all’ombra della Madonnina (e non solo).
Essenza, come quel che c’è al cuore delle cose, ciò che resta una volta eliminata ogni sovrastruttura.
Essenza, come “Il cervo e la sua storia”: filetto di cervo crudo da mangiare con le mani. Ancestrale, senza compromessi, un boccone da re.
Finalmente un ristorante dove tutto ha un senso, segue un filo, un percorso gustativo. Anche gli amuse bouche, troppo spesso ridotti ad inutile orpello, senza senso e fuori contesto, qui invece raccontano il passato e il presente di Boer e sono curatissimi, per un inizio pasto assai felice.
Essenza come l’ingrediente, la materia e come capacità del cuoco di valorizzarla e di cucinarla. E Boer sa il fatto suo, sia quando gioca con contrasti e toni acidi, come nello sgombro cotto e crudo avocado, cetrioli, erbe selvatiche, caprino e chartreause, sia quando si cimenta in un classico risotto. Il suo Risotto alla Cenere, Salmerino e le sue uova è uno dei più interessanti provati di recente… diventerà un classico, fidatevi.
Essenza. Perché non è necessario giocare con troppi ingredienti per mostrare al mondo che si è capaci di cucinare. Perché è giusto che ogni ingrediente sia essenziale al piatto. Carciofi, Cynar e liquirizia: l’esasperazione dell’ingrediente. Insomma, come avrete capito, Essenza ci è piaciuto e riteniamo che abbia ottimi margini per una ulteriore crescita, pertanto il voto di conseguenza è approssimato verso il basso, in attesa di ulteriori sviluppi, che certamente non tarderanno ad arrivare.
Lo trovate in via Marghera, all’interno di un portone con un gradevole dehors, semi nascosto, discreto, essenziale anche nella location.
Un peccato non venirci, un vero peccato.
Gli interessanti amuse bouche.
Cialda di Risotto alla Milanese e spuma di Parmigiano Reggiano (omaggio a Milano).
Bitterballen e Senape dolce (omaggio all’Olanda, una delle Patrie dello chef).
Tartare di Salmerino (in onore di Norbert Niederkofler, uno dei suoi Maestri).
Madeleine alle Olive Taggiasche e Pesto alla Genovese (Omaggio alla Liguria, altra Patria dello chef).
Macaron Salvia e Rosmarino con Paté di Fegatini, cuori di Piccione e Grue di cacao (in onore di Gaetano Trovato, altro Maestro riconosciuto come tale dallo chef).
Lungo il Fiume pensando a Marengo. Rivisitazione del Pollo alla Marengo. Cema di patate al tartufo nero, croccantissime briciole di pane aromatizzate all’amaretto, insalata di crescione di fiume, gamberi di fiume e crema di pinoli al whisky torbato. Il tutto immerso in un consommé classico di pollo.
Sgombro cotto e crudo, Avocado, Cetrioli, Erbe selvatiche, Caprino e Chartreause.
Il Cervo e la sua storia.
Tortellini di Gambero Rosso di Mazzara nel loro Consommé al Bergamotto. La sfoglia è bella rustica e giova alla riuscita del piatto.
Carciofi, Cynar e Liquirizia. Il carciofo con tutte le sue sfumature, forse al piatto gioverebbe una sfoglia più eterea. Un deja-vu da un’idea di Luigi Taglienti.
Risotto alla Cenere, Salmerino e le sue uova.
Bagnon. Rivisitazione di un piatto della tradizione ligure.
Lavanda, Yogurt, Mirtilli, Capra e Polline.