Frequentemente, nel valutare attentamente un piatto, ci sforziamo di cogliere tutte le sfumature di cui è composto, fino a cercare l’elemento che lo contraddistingue, assumendo, quest’ultimo, un ruolo chiave. Questo, frequentemente, costituisce l’ingrediente segreto.
In un meraviglioso casolare del 1500 nella cittadina rurale di Axpe, vicino Bilbao, Bittor Arginzoniz, una trentina di anni fa intraprendeva la sua avventura di oste della sua Etxebarri (in basco, “casa nuova”). Non contento di come andavano le cose, affascinato dalla brace e dalle cotture ancestrali, decise di prendere le redini della cucina per esplorare nuovi orizzonti che avessero quale filo conduttore, appunto, il fuoco vivo e la brace. Da quel momento Arginzoniz prese tre decisioni determinanti che trasformarono quel ristorante a gestione familiare in quello che potremmo definire, oggi, il non plus ultra delle bracerie esistenti: sostituire il carbone con la legna, creare utensili di cucina che non esistevano per poter introdurre l’acqua di mare nella brace e selezionare, in maniera ossessiva, una materia prima di primissima scelta.
Per tutto questo la sua cucina, definita “la semplice nudità dell’impossibile”, appare capace di distillare la tradizione culinaria basca fino alla sua essenza e, utilizzando solo la brace, diventare unica.
Il sapore conferito dal fuoco è quello della tradizione di famiglia che rievoca in Arginzoniz il passato. Il sistema di braci, ascendenti e discendenti, creato dall’asador era qualcosa di totalmente nuovo per un ristorante di alta cucina. Così come il posizionamento dell’ingrediente rispetto alle braci. Queste ultime si rilevano capaci di propiziare cotture millimetriche come un raggio laser e l’affumicatura, che varia a seconda del combustibile naturale utilizzato (solo legna, mai carbone), dona un sapore unico al prezioso ingrediente. L’esempio lampante è quello del Gambero di Palamos, i cui umori restano intatti nella testa e si sprigionano al momento dell’estrazione delle code dal carapace. La carne, neanche a dirlo, è tenera ma carnosa e succosa, inebriata dall’irresistibile aroma. I due estremi tra i quali si muove la gastronomia moderna sono l’ingrediente e la tecnica. Qui quest’ultima erge il cuoco e l’utilizzo ancestrale della stessa a deus ex machina della cucina, e se un altro grandissimo cuoco basco della vicina Errenteria è il massimo rappresentante mondiale della cucina “trasformista”, Arginzoniz ne è la nemesi prediligendo la purezza del prodotto. La gestualità è sempre la stessa – come un artigiano giapponese – e consiste nel nebulizzare l’ingrediente con olio di girasole (dal sapore neutro) e nel far ruotare le manovelle del sistema di griglie; l’ingrediente, quindi, viene arricchito e nobilitato dai profumi delle affumicature e leggermente trasformato dal calore del fuoco fino a raggiungere la consistenza perfetta.
Il menù degustazione, salvo qualche piatto iconico come la Costata, il Gambero di Palamos e qualche dessert, muta più di quanto si possa pensare e predilige, ovviamente, la stagionalità del miglior prodotto (in termini di sapore). Interessantissima anche la carta che riserva strepitose sorprese come l’Astice blu, dalla cottura commovente, servita con una salsa altrettanto strepitosa fatta con emulsione delle uova. Nel crescendo di assaggi, dopo l’immancabile accoppiata di Chorizo e pane, Pomodoro e acciughe salate in casa, abbiamo amato un friabilissimo Cracker di funghi, dai sapori netti, lo splendido Gazpacho di pomodoro in accompagnamento al “Formaggio” di bufala fatto in casa (nel servircelo hanno umilmente rimarcato la volontà di evitare l’appellativo di “mozzarella”, anche considerata la nostra nazionalità, sebbene si sia rivelato un riuscitissimo tentativo), il Calamaro con emulsione di salsa verde e cipolla, anch’esso perfetto nella consistenza, i Funghi porcini con melanzana che hanno preceduto una più ordinaria Animella con zucca e, prima della leggendaria Costata, di cui si è già scritto tanto, il Besugo rosso (una sorta di dentice locale) cotto intero, dove il sapore del mare resta praticamente intatto e acquista più fascino con la brace.
Il ristorante è molto bello, come l’ambiente naturale circostante, e il servizio, a gestione familiare, è informale e caloroso. La sala viene gestita con grande bravura e savoir–faire da Mohamed Benabdallah, uomo chiave che riesce ad anticipare le scelte del cliente anche sapendo consigliare (bene) i vini dalla vasta cantina.
Asador Etxebarri è un luogo magico, imprescindibile. Un santuario gastronomico dove ci si abbandona a un cibo con una qualità estrema e si resta inebriati da un persistente aroma di brace. È questo l’ingrediente segreto che si ritrova in ogni piatto, un qualcosa capace di evocare emozioni profonde e intime, come un richiamo nostalgico a una bellezza dimenticata.
IL PIATTO MIGLIORE: Il bogavante, ossia l’astice con salsa di emulsione delle sue uova.
Etxebarri.
La “casa nuova” in basco. Uno di quei ristoranti imperdibili per un appassionato, didattici come pochi per quanto riguarda la conoscenza e la comprensione di uno strumento tecnico come la brace, importante per l’esaltazione e il trattamento di qualsiasi ingrediente. Qui è lei la protagonista, perché dall’inizio alla fine del pasto tutto, ma proprio tutto, viene passato attraverso di essa.
Se le parole hanno un peso, è importante sottolineare come l’Etxebarri si autodefinisce “asador” e non ristorante. Questo non per un’anacronistica convenzione, o per un’asettica professione d’umiltà, bensì per un omaggio a un metodo di cottura rispettato e prediletto, solo apparentemente semplice (basti vedere l’impressionante strumentazione di pentole e padelle varie con forature e conformazioni diverse), che nelle mani di Victor Arguinzoniz, chef dalla incredibile sensibilità, è divenuto una vera e propria arte cui giustamente sono stati tributati onori e fama.
Il fuoco, quindi, che non solo è utilizzato per la combustione e la trasformazione della materia, ma anche per definirla e cesellarla con grazia ed eleganza quasi si usasse un bisturi, e anche la scelta del tipo di legna utilizzato ha un suo rigoroso perché.
Come non giudicare eccellente il lavoro fatto sui gamberi di Palamos, di cui volentieri avremmo abusato all’infinito, o sull’uovo al tartufo passato anch’esso per la cottura con le ceneri della brace, o sui commoventi polipetti. Per non parlare della divina bontà della costata gallega.
Questo anche grazie a materie prime di altissimo livello, come, oltre a quelle appena citate, le acciughe del Cantabrico, i percebes (crostacei difficili da pescare e da mangiare, ma concentratissimi di sapore), i mitili, i funghi, i pesci o i salumi “maison”.
Molto defilata e anonima la location: un casolare sperduto nelle campagne dei dintorni di Bilbao dove la sala principale, al primo piano di quello che potrebbe essere un tranquillo bar di paese, brilla per spartana efficacia.
Altrettanto essenziale sia il servizio gestito con una solerzia e un’efficienza quasi militaresche da signore che potrebbero essere tranquillamente della famiglia dello chef, sia il menù dove vengono appena elencati gli ingredienti dei piatti.
Tutto il degustazione è stato davvero corroborante e ci ha lasciato il progetto, al prossimo passaggio da queste parti, di attingere altro diletto direttamente dalla carta.
Nota di merito alla carta dei vini che permette di poter scegliere senza troppe preoccupazioni.
Tutto il resto è brace.
Mise en place.
Pane, chorizo e brodo di maiale.
Acciughe del Cantabrico su pane tostato, burro di capra.
Mozzarella di bufala (rigorosamente auto prodotta).
Foie fatto in casa (fuori menù).
Percebes, gustosissimi crostacei tipici galiziani da maneggiare con cura, molta cura, per evitare di sporcarsi. Mare allo stato puro.
Meravigliosi quisquillones, appena scottati. Delizia infinita.
Gamberi di Palamos, altrettanto emozionanti.
Cetriolo di mare con fave.
Polipetti grigliati.
Tartare di chorizo fresco, cracker con farina di mais.
Carciofi alla brace (fuori menù).
Uovo con tartufo.
Funghi.
Le preziose angulas.
Magnifica costata di vacca gallega.
Sorbetto di arance sanguinelle.
Crema di latte fritta.
Particolare.
Gelato di latte concentrato con infusione di frutti rossi.
Petit fours.
Visto il prezzo (210 euro) non ci siamo potuti esimere. Un grande.
Le braci…
Particolari delle mitiche (mai aggettivo fu più appropriato) griglie. Notare la manovella che le posiziona con precisione millimetrica a seconda della cottura desiderata.
La “casa nuova”.
Panorama bucolico circostante.
Recensione ristorante.
L’ Etxebarri de noàntri.
Che valutazione dai ad un luogo che ha una materia prima immensa e si impegna a non mortificarla ?
Difficile catalogare questo ristorante all’interno dello schema rigido imposto dai voti. Perchè questo è un posto, a tratti, da 19/20 … e non sto dicendo eresie.
L’arte della griglia : il primo pensiero che mi ha assalito all’uscita di questo ristorante. Non dimenticherò facilmente quei canestrelli, di cui non vi nego io ed il mio commensale abbiamo richiesto copioso bis, così carnosi, saporiti, intrisi di umori braceschi tanto intensi da far resuscitare un morto.