Passione Gourmet Erbe Archivi - Passione Gourmet

Villa Feltrinelli

520

Cenare attorniati da otto ettari di storia: non si può parlare della cucina di Stefano Baiocco senza prima approfondire cosa è Villa Feltrinelli.
In Italia abbiamo la fortuna di avere moltissimi alberghi di grande fascino: vuoi per il paesaggio mozzafiato, vuoi per la splendida architettura o semplicemente per il grande servizio.
Ma niente è paragonabile a questo.
Un monumento, un patrimonio artistico italiano che incidentalmente è anche un albergo-ristorante.
Se venite a cenare qui, chiedete di poter vedere almeno le sale al piano terra: guardate il bar, la biblioteca, le boiserie, gli arredi originali. Vi sembrerà di essere protagonisti di un film in bianco e nero, vi sembrerà di annusare la storia, di poterla toccare.
La Villa fu costruita nel 1892 dai Feltrinelli, a nord-est dell’abitato di Gargnano. Un gioiello a cui la facoltosa famiglia dedicò una particolare attenzione, ma era grande il feeling con la cittadina sul lago, tale da rendere i Feltrinelli dei veri e propri benefattori: strade, ospedale, palazzi, non si contano le costruzioni finanziate in questo territorio.
Ai tempi della Repubblica Sociale Italiana la Villa venne requisita e divenne il teatro di una fetta determinante della nostra storia: Mussolini arrivò a Villa Feltrinelli l’8 ottobre 1943 e qui restò fino all’aprile del 1945, quando si trasferì a Milano per terminare poco dopo la sua vicenda umana e politica.
La sua camera c’è ancora, la “Magnolia”, dal nome dell’albero situato proprio davanti alla finestra dell’alloggio: pare che a Mussolini non piacesse molto la vista del lago…
Dopo la guerra la Villa ritornò in possesso dei Feltrinelli, che decisero però di venderla a una importante famiglia Bresciana.
Nel 1997, dopo anni di declino, l’hotelier Bob Burns (il fondatore della catena alberghiera “Regent International Hotels”) decise di rilevare la proprietà e darle nuova vita affidando lo studio di architettura di interni a “Babey Moulton Jue and Booth” di San Francisco.
Ogni singolo dettaglio della villa originale è stato conservato e ristrutturato. l magnifici dipinti su muri e soffitti, le eleganti decorazioni in gesso e “boiseries” sono stati tutti restaurati e rifiniti per riprendere l’originale splendore di fine secolo, come anche gran parte del mobilio originale della famiglia Feltrinelli.
Ci ha lavorato un team di arredatori, meccanici ed elettricisti, esperti d’illuminazione e paesaggisti, tutti guidati dall’architetto Giorgio Rovati.
Il risultato è sotto gli occhi di chiunque abbia la fortuna di varcare il cancello: l’impressione non è tanto di lusso, quanto di esclusività. Sarebbe sciocco negare l’inacessibilità ai più di questa proprietà alberghiera, dormire qui è cosa da ricchi. Il prezzo di una cena è invece in linea con i grandi ristoranti europei.
Dal 2007 l’albergo è di proprietà del russo Viktor Vekselberg e la qualità è rimasta inalterata.
Villa Feltrinelli lavora solo con clientela straniera, soprattutto americana: i prezzi come dicevamo sono altissimi, ma è proprio vero che tutto è relativo se poi c’è chi si ferma qui anche tre settimane.
80 dipendenti per un massimo di 40 clienti: si può intuire il livello di servizio a cui si tende tra queste mura.
Il ristorante non è da meno: scambiate due parole con il maitre, un vero fuoriclasse dell’arte dell’accoglienza. Ma anche gli altri camerieri faranno di tutto per creare una atmosfera rilassata, informale: davvero un servizio da 10 e lode.
E poi c’è lo chef, Stefano Baiocco. I suoi piatti potrebbero essere da soli un valido motivo per mettersi in viaggio.
Non è facile imporre una cucina di forte personalità in un contesto come questo: le scelte più scontate e ovvie sarebbero ben altre, quindi bisogna dare atto alla proprietà di avere avuto lungimiranza in questa scelta fuori dal comune.
Qualcuno l’ha definita una cucina femminile: a noi è parsa invece una cucina di grande eleganza e finezza, e decisamente maschia e caratterizzata nei suoi passaggi cruciali.
Volutamente una cucina non urlata: a primo impatto potrebbe anche generare spaesamento. Almeno così è stato per noi, abituati ad altre potenze espressive di fronte a cucine che utilizzano, come questa, erbe e fiori a profusione.
La scelta dello chef è chiaramente quella di ricercare l’armonia e costruire il menù come il crescere di un’onda, dai sapori più delicati ai più intensi: in questo ricorda molto la filosofia di alcuni maestri giapponesi. Più morbidezza che spigolosità nelle prima parte del menù, contrasti invece più accentuati nella seconda parte.
Maniacale lo studio delle quantità: quelle che possono sembrare inizialmente porzioni troppo risicate, si rilevano invece perfette a fine cena. E il risultato di sazietà ma di estrema leggerezza è pari a poche altre tavole.
Si potrebbe spingere di più sull’acceleratore fin dall’inizio? Forse sì, si potrebbe cercare fin dai primi piatti quella profondità e complessità che per esempio è mirabile nei secondi e nei dessert. Solo un piatto è risultato infelice, il tortello all’arrabbiata, eccessivamente slegato nelle sue componenti: il resto scorre liscio, calmo, ma intenso proprio come il Grande Lago.
Una cucina di colori, di equilibri, di incastri che ha ancora necessità di un piccolo salto per entrare tra le grandissime cucine italiane.
Il motto di Baiocco è “La cucina ha senso soltanto se abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni“. Come dargli torto: portate una persona che amate davvero e condividete con lei una esperienza speciale che va al di là di cibo, ristoranti, lusso e soldi.
Un regalo esclusivo da fare e farsi almeno una volta nella vita.

520

Menu 100% Baiocco

Per iniziare:
Tartelletta con patè di fegatini di coniglio e nocciole
Corteccia di topinambur
Crocchetta di salmone con tartare di salmone e maionese di capperi
Pan soffiato, tonno e crema al sesamo e lime
Patata con bottarga di muggine

Un benvenuto di gran classe: in evidenza le perfette le temperature di servizio.

520

520

Ricciola giusto scottata, stracciatella, gelatina piccante e fiori di begonia.

520

Scampo, anguria e zuppa di mela verde: scampi appena marinati con buccia di agrumi, pomodori ciliegia, anguria e mela verde in salsa. Il finto pomodoro è di cioccolato bianco con crema di limoni. Se la salsa di mela fosse ancora più acida, a nostro avviso il piatto ne guadagnerebbe.

520

“Tutto pomodoro”. 23 tipi di pomodoro, 6 di basililico: un piatto di assemblaggio, ma quando il risultato è così convincente nessuno ha niente da dire. Semplicemente incredibile.

520

Gli gnocchetti soffici di latte crudo cagliato in casa, crema di cavolfiore, caviale ” Calvisius “e foglioline di lattuga: si punta all’essenzialità, alla giusta misura. Non c’è un ingrediente che prevarica l’altro.

520

L’arrabbiata come ripieno del tortello di pasta all’uovo, filetto di sgombro passato alla griglia e salsa al prezzemolo: poco convincenti sia il forte piccante del ripieno che l’unione con gli altri componenti del piatto. Slegato.

520

“Il ricordo di un viaggio”: cuore di salmone cotto rosè in olio di oliva, tapioca, zuppa di cocco, coriandolo e lemongrass. Grande piatto dalla persistenza infinita. Si punta a concentrare i sapori senza l’ausilio di grassi aggiunti.

520

Piccione marinato con salsa di curry e poi grigliato, insalata di nasturzi, friggitello e bavarese all’aglio olio e peperoncino: la marinatura diventa una riduzione di grande intensità. Piatto straordinario, sicuramente il migliore della serata.

520

Pancia di maialino da latte arrostito sulla cotenna, cuor di cipolla in agrodolce, foglie di oxalis e ragù di finferli: altro ottimo piatto, ma manca della complessità del precedente.

520

“Una semplice insalata”: 100 erbe e 20 fiori. Alla base delle sottili cialde di pasta brick con funghi champignon. Da gustare dal primo all’ultimo boccone. Incredibile quali sensazioni può regalare il mondo vegetale.

520

L’argilla: meringa di fisherman. Un giochino.

520

Pain perdu al nasturzio, gelato al basilico, sorbetto al peperoncino, chips di patata viola e infuso alle 10 spezie: dessert favoloso. Grande complessità che allo stesso tempo si rivela al palato nel modo più semplice possibile.

520

Semifreddo al franciacorta, insalata di rabarbaro e spinaci e granita al pompelmo rosa: fresco ed efficace.

520

Carta dei vini solo italiana, ad eccezione degli champagne.
Per noi, Pinot Bianco ” Schulthauser ” 2010: una mezza bottiglia per non fare troppo male al portafogli.

520

520

520

520

520

520

Questa recensione aggiorna la precedente  valutazione che trovate qui

Recensione Ristorante

Mai fidarsi delle recensioni che si trovano in rete. Non perché non siano affidabili (molte lo sono, ma molte altre purtroppo no), ma perché si rischia di farsi idee sbagliate, soprattutto concentrandosi sulle foto.
Io, per esempio, sono andato a provare la cucina di Michele Biagiola con un’idea totalmente distorta di quello che avrei trovato. I palati fidati che me lo avevano consigliato avevano chiaramente ragione nel dire che si tratta di uno chef molto bravo e ingiustamente trascurato; ma, con i miei sodali di sempre, di solito ci si sofferma poco a raccontarsi le cose, due parole bastano a capire che un posto vale il viaggio.
Restava un equivoco di fondo: pensavo di trovarmi davanti un ascetico amante di piante e fiori e mi sono ritrovato uno chef dalla mano totalmente “maschile”, amante sì della natura, ma dal piglio molto deciso. E proprio per questo al “piccolo menù di casa”, immaginato quasi etereo ho voluto per forza aggiungere il Pistacoppu ripienu, anno 2000 come indicato nella carta tutta millesimata. Con 35°C all’ombra, ma posso dirlo solo a posteriori, ho esagerato.
(altro…)

Img_2736

Questa valutazione, di archivio, è stata aggiornata da una più recente pubblicazione che trovate qui

Recensione ristorante.

Esiste una cucina d’autore Danese pre e post Renè Redzepi. Prima dell’avvento di questo gentile e cordiale folletto l’alta cucina Danese era totalmente appiattita nello scimmiottare, malamente, lo stile franco-italiano. Poi arriva lui, dopo importanti esperienze al French Laundry, a el Bulli e al al Jardin de Sens, e sconvolge, rivoluziona, definisce un nuovo paradigma in maniera così profonda tanto da meritarsi l’appellativo di precursore della “New Nordic Cuisine”. Una cucina fatta di ingredienti locali, bacche, muschi, licheni, funghi, erbe spontanee e tutto il sensazionale pescato del mare del nord. Un trionfo di buoi muschiati, granchi degli abissi marini, aragoste delle Far Oer, tartufi del Gotland, germogli di felce o trifogli acetosi dei boschi danesi sino allo skyr, formaggio da latte fermentato di cui già i Vichinghi si nutrivano dopo aver riposto le loro spade a doppia impugnatura. (altro…)